SENTENZA N. 137
ANNO 2018
Commento alla decisione di
Valeria Marcenò
Come
decide la Corte costituzionale dinanzi alle lacune tecniche?
per g.c. del Forum
di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI
Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli artt. 16, commi 1 e 2, 39, 41-bis, 48, commi 4 e 6,
lettera a), del decreto-legge
24 aprile 2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative
a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da
eventi sismici e misure per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella
legge 21 giugno 2017, n. 96, promossi dalle Regioni Liguria, Toscana,
Campania, Veneto, Lombardia e Piemonte con ricorsi notificati i primi due il 3-7
agosto e il 21-24
agosto, il terzo
spedito per la notificazione il 21 agosto, gli altri notificati il 22-24
agosto, il 22
agosto e il 17-21
agosto 2017, depositati in cancelleria il 4, 23, 24 e 28 agosto 2017,
iscritti rispettivamente ai numeri 53 e da 57 a 61 del registro ricorsi 2017 e
pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 36 e da 38 a 40,
prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visti gli atti di costituzione
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 maggio 2018 il Giudice relatore Daria de
Pretis;
uditi gli avvocati Gabriele Pafundi per le Regioni
Liguria e Piemonte, Marcello Cecchetti per la Regione Toscana, Almerina Bove
per la Regione Campania, Ezio Zanon e Luigi Manzi per la Regione Veneto, Maria
Lucia Tamborino per la Regione Lombardia, Giovanna Scollo
per la Regione Piemonte e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 3-7 agosto 2017,
depositato in cancelleria il 4 agosto 2017 e iscritto al n. 53 reg. ric. 2017,
la Regione Liguria ha impugnato l’art. 39 del decreto-legge 24 aprile 2017, n.
50 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti
territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e
misure per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno
2017, n. 96.
La norma impugnata,
rubricata «Trasferimenti regionali a province e città metropolitane per
funzioni conferite», dispone quanto segue:
«1. Ai fini del
coordinamento della finanza pubblica, per il quadriennio 2017-2020, una quota
del 20 per cento del fondo di cui all’articolo 16-bis, comma 1, del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge
7 agosto 2012, n. 135, è riconosciuta a condizione che la regione entro il 30
giugno di ciascun anno abbia certificato, in conformità alla legge regionale di
attuazione dell’Accordo sancito tra Stato e regioni in sede di Conferenza
unificata dell’11 settembre 2014, l’avvenuta erogazione a ciascuna provincia e
città metropolitana del rispettivo territorio delle risorse per l’esercizio
delle funzioni ad esse conferite. La predetta certificazione è formalizzata
tramite Intesa in Conferenza unificata da raggiungere entro il 10 luglio di
ciascun anno.
2. In caso di mancata
Intesa, il riconoscimento in favore della regione interessata del 20 per cento
del fondo per il trasporto pubblico locale di cui al comma 1 è deliberato dal
Consiglio dei Ministri su proposta del Dipartimento per gli Affari regionali».
1.1.– L’art. 39 del d.l. n. 50 del 2017
contrasterebbe in primo luogo con l’art. 3 della
Costituzione, per violazione dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza,
non corrispondendo alle dichiarate finalità di coordinamento della finanza
pubblica.
La ricorrente osserva che
la norma impugnata – destinando l’erogazione della quota del 20 per cento del
fondo nazionale per il concorso dello Stato agli oneri del trasporto pubblico
locale, di cui all’art. 16-bis, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95
(Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei
servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese
del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto
2012, n. 135, solo a quelle regioni che abbiano certificato entro il 30 giugno
di ogni anno l’avvenuta erogazione a province e città metropolitane delle
risorse per l’esercizio delle funzioni ad esse conferite a seguito del riordino
istituzionale previsto dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle
città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni) –
perseguirebbe nei confronti delle regioni finalità di tipo sanzionatorio non
collegate a «criticità interne al settore dei trasporti», in quanto la
riduzione del 20 per cento del fondo conseguirebbe alla mancata erogazione di
risorse in tutti gli ambiti in cui le regioni hanno conferito funzioni a province
e città metropolitane, come dimostrerebbe il riferimento normativo alla legge
regionale di attuazione dell’«Accordo ai sensi del comma 91 dell’art. 1 della
Legge n. 56/2014 tra Governo e Regioni, sancito in Conferenza unificata,
sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, concernente
l’individuazione delle funzioni di cui al comma 89 dello stesso articolo»,
dell’11 settembre 2014, che concerne tutte le funzioni oggetto del riordino
istituzionale di cui alla legge n. 56 del 2014. Lo "sblocco” della quota del 20
per cento, dunque, verrebbe fatto irragionevolmente dipendere dalla soluzione
di aspetti economici che trascendono completamente il settore del trasporto
pubblico locale, con il risultato finale di impedire la programmazione,
l’organizzazione, la gestione e la soddisfazione dei fabbisogni in tale
specifica materia.
L’irragionevolezza della
previsione emergerebbe anche dal contrasto con l’art. 27 dello stesso d.l. n.
50 del 2017, che disciplina il riparto tra le regioni del fondo in questione.
La ricorrente richiama, in particolare, la lettera e) del comma 2 e il comma 4
dell’art. 27, che così rispettivamente recitano: «in ogni caso, al fine di
garantire una ragionevole certezza delle risorse finanziarie disponibili, il riparto
derivante dall’attuazione delle lettere da a) a d) non può determinare per
ciascuna regione una riduzione annua maggiore del cinque per cento rispetto
alla quota attribuita nell’anno precedente; ove l’importo complessivo del Fondo
nell’anno di riferimento sia inferiore a quello dell’anno precedente, tale
limite è rideterminato in misura proporzionale alla riduzione del Fondo
medesimo. Nel primo quinquennio di applicazione il riparto non può determinare
per ciascuna regione, una riduzione annua maggiore del 10 per cento rispetto
alle risorse trasferite nel 2015; ove l’importo complessivo del Fondo nell’anno
di riferimento sia inferiore a quello del 2015, tale limite è rideterminato in
misura proporzionale alla riduzione del Fondo medesimo» (comma 2, lettera e); e
«[n]elle more dell’emanazione del decreto di cui all’alinea del comma 2 [id
est: il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, adottato di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la
Conferenza unificata, che deve ripartire le risorse del fondo entro il 30
giugno di ogni anno] […], è ripartito, entro il 15 gennaio di ciascun anno, tra
le regioni, a titolo di anticipazione, l’ottanta per cento dello stanziamento
del Fondo. L’anticipazione è effettuata sulla base delle percentuali attribuite
a ciascuna regione l’anno precedente. Le risorse erogate a titolo di
anticipazione sono oggetto di integrazione, di saldo o di compensazione con gli
anni successivi. La relativa erogazione alle regioni a statuto ordinario è
disposta con cadenza mensile» (comma 4).
Ad avviso della ricorrente,
dalla lettura congiunta di tali disposizioni e della norma impugnata consegue
che le regioni potrebbero beneficiare solo in apparenza di un’anticipazione
pari all’ottanta per cento del fondo, poiché l’anticipazione si ridurrebbe in
realtà a 64 punti percentuali (l’80 per cento dell’80 per cento).
1.2.– Sussisterebbe anche la violazione del
principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
In primo luogo, il
riconoscimento della quota del 20 per cento del fondo solo alle regioni che
certifichino l’erogazione delle risorse a province e città metropolitane
differenzierebbe il finanziamento del trasporto pubblico locale tra regione e
regione, abdicando all’imprescindibile necessità di assicurare in tutto il
territorio nazionale livelli omogenei di prestazione del servizio.
In secondo luogo, la norma
impugnata produrrebbe effetti sulla provvista destinata ai contratti di
servizio in corso, esponendo le pubbliche amministrazioni al rischio di
contenziosi.
Infine, verrebbe meno la
certezza delle risorse effettivamente disponibili per il trasporto pubblico
locale e, con essa, la possibilità di programmare e di prestare il servizio, in
quanto la norma impugnata subordina la disponibilità della quota del 20 per
cento del fondo a eventi futuri e incerti quali la certificazione delle
erogazioni a province e città metropolitane e il raggiungimento di un’intesa in
settori di notevole vastità.
1.3.– L’art. 39 del d.l. n. 50 del 2017 violerebbe
anche l’art. 117,
terzo comma, Cost., in quanto non sarebbero rispettate le condizioni che
secondo la giurisprudenza costituzionale legittimano lo Stato a dettare norme
di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica.
Le disposizioni statali
introduttive di restrizioni dei bilanci regionali sarebbero ammissibili solo
alla duplice condizione che prevedano un limite complessivo alla spesa corrente
e che abbiano il carattere della transitorietà (è citata la sentenza n. 64 del
2016), mentre la norma impugnata imporrebbe una decurtazione puntuale di
una voce del bilancio regionale dedicata al trasporto pubblico locale, senza
garanzia di transitorietà e con il fine palese di «far cassa».
1.4.– La prevista
decurtazione del fondo statale violerebbe altresì l’art. 117, quarto comma,
Cost., in quanto limiterebbe la competenza esclusiva delle regioni in
materia di trasporto pubblico locale, e l’art. 119, primo comma,
Cost., tagliando il relativo finanziamento in modo arbitrario, senza
collegamenti con le necessità di programmazione e di gestione del servizio.
Infine, sarebbe violato il
principio di leale collaborazione, poiché il comma 2 dell’art. 39 introdurrebbe
un potere sostitutivo non conforme all’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131
(Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), non prevedendo un termine per
provvedere, l’audizione dell’ente inadempiente e la partecipazione del
Presidente della Regione alla riunione del Consiglio dei ministri che adotta i
provvedimenti necessari.
1.5.– Con atto depositato in cancelleria il 12 settembre
2017 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza
delle questioni promosse dalla Regione Liguria.
L’art. 39 del d.l. n. 50
del 2017 perseguirebbe chiari obiettivi di coordinamento della finanza
pubblica, in un’ottica attenta alle esigenze finanziarie non soltanto delle
regioni, ma anche delle province e delle città metropolitane, nell’intento di
indurre le regioni inadempienti alla completa attuazione dell’Accordo sancito
l’11 settembre 2014 in sede di Conferenza unificata per l’erogazione delle
risorse necessarie allo svolgimento delle funzioni conferite a province e città
metropolitane ai sensi della legge n. 56 del 2014.
La previsione contestata
non rappresenterebbe dunque uno strumento sanzionatorio, dal momento che
prevede un’intesa in sede di Conferenza unificata, ma avrebbe il fine di
stimolare le regioni inadempienti a completare il processo di riordino
delineato dalla legge n. 56 del 2014, in presenza di «lacune e vuoti attuativi»
a tre anni dalla sua introduzione. Il mancato o parziale trasferimento di
risorse alle province e città metropolitane sarebbe stato più volte lamentato
da questi enti in sede di Conferenza, sicché il Governo avrebbe ritenuto di
intervenire per risolvere le criticità derivanti dalla mancata attuazione
dell’Accordo richiamato, al fine di coordinare e stimolare tutti i soggetti
coinvolti.
L’asserito contrasto tra il
contenuto della norma impugnata e l’art. 27, commi 2 e 4, dello stesso d.l. n.
50 del 2017 non sarebbe elemento sufficiente a fondare la questione di
illegittimità costituzionale, in quanto le previste modalità di concertazione e
coordinamento in sede di Conferenza unificata consentirebbero «di individuare
un percorso ragionevole e condiviso, al termine del quale sancire una intesa,
per risolvere eventuali incertezze applicative e dubbi interpretativi sul primo
periodo di applicazione delle norme in esame».
A conferma dell’assunto,
l’Avvocatura rileva che l’iter procedimentale diretto a raggiungere l’intesa
prevista dall’art. 39 del d.l. n. 50 del 2015 avrebbe già segnato importanti
punti di convergenza e consenso, formalizzati nella seduta della Conferenza
unificata del 3 agosto 2017 (dove sarebbero state condivise, a seguito di
apposite riunioni tecniche, «una tabella-tipo contenente i dati e le
informazioni che ciascuna regione dovrà fornire e una nota metodologica volta a
chiarire gli impegni delle parti e le procedure necessarie per pervenire all’intesa»),
così da far ritenere infondato il rischio, paventato dalla ricorrente, che sia
pregiudicata la chiusura dei bilanci regionali, essendo prevedibile il
raggiungimento dell’intesa all’esito della successiva seduta della Conferenza
unificata fissata il 21 settembre 2017.
La norma impugnata
interverrebbe dunque per assicurare il buon andamento dell’azione
amministrativa ex art. 97 Cost., introducendo un
meccanismo di verifica e di certificazione degli impegni assunti dalle regioni
con l’Accordo dell’11 settembre 2014, così da garantire e rendere effettivo
anche per le pubbliche amministrazioni il principio pacta
sunt servanda. Sulle
presunte incertezze delle risorse effettivamente disponibili per il trasporto
pubblico locale, lamentate dalla ricorrente, dovrebbero comunque prevalere le
analoghe e più rilevanti incertezze sulle risorse non ancora ricevute da
province e città metropolitane per svolgere le funzioni a esse conferite
secondo quanto convenuto nel richiamato Accordo, atteso il lungo lasso di tempo
trascorso dalla sua sottoscrizione.
Quanto all’asserita
violazione dell’art. 117 Cost., la norma impugnata non
interverrebbe «nell’ambito delle attribuzioni normative regionali» e non
entrerebbe nel merito delle leggi regionali emanate in attuazione dell’Accordo
dell’11 settembre 2014, limitandosi a disciplinare le modalità di verifica di
quanto disposto dalle medesime leggi regionali. Essa avrebbe altresì carattere
provvisorio e non permanente, operando solo nel periodo 2017-2020.
Infine, la norma impugnata
non contrasterebbe con il meccanismo di finanziamento delineato dall’art. 119
Cost., in quanto l’eventuale decurtazione delle risorse provenienti dal fondo
nazionale per il concorso dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale
non sarebbe arbitraria, ma deriverebbe dalla certificazione delle risorse
assegnate a province e città metropolitane, svolta attraverso un confronto con
tutte le amministrazioni interessate sulla base dei dati e delle informazioni
forniti dalle stesse regioni.
2.– Con ricorso notificato il 21-24 agosto 2017,
depositato in cancelleria il 23 agosto 2017 e iscritto al n. 57 reg. ric. 2017,
la Regione Toscana ha impugnato gli artt. 16, commi 1 e 2, 39 e 48, commi 4 e
6, lettera a), del d.l. n. 50 del 2017.
2.1.– Il comma 1 dell’art.
16 modifica l’art. 1, comma 418, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge di stabilità 2015)», che prevede una riduzione della spesa corrente
delle province e delle città metropolitane – di 1.000 milioni di euro per
l’anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l’anno 2016 e di 3.000 milioni di
euro a decorrere dall’anno 2017 – e un corrispondente versamento da parte di
ciascuna provincia e città metropolitana ad apposito capitolo di entrata del
bilancio dello Stato. L’art. 16, comma 1, dispone che «[…] il terzo periodo
[del comma 418] è sostituito dal seguente: "Fermo restando per ciascun ente il
versamento relativo all’anno 2015, l’incremento di 900 milioni di euro per
l’anno 2016 e l’ulteriore incremento di 900 milioni di euro a decorrere dal
2017 a carico degli enti appartenenti alle regioni a statuto ordinario sono
ripartiti per 650 milioni di euro a carico delle province e per 250 milioni di
euro a carico delle città metropolitane.”». L’art. 16, comma 2, stabilisce poi
che «[p]er gli anni 2017 e seguenti l’ammontare della
riduzione della spesa corrente che ciascuna provincia e città metropolitana
deve conseguire e del corrispondente versamento, ai sensi dell’articolo 1,
comma 418, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, è stabilito negli importi
indicati nella tabella 1 allegata al presente decreto».
La Regione rileva che, in
base alla sentenza
di questa Corte n. 205 del 2016, il comma 418 dovrebbe essere inteso nel
senso che le risorse versate allo Stato – e connesse al riordino delle funzioni
non fondamentali delle province e delle città metropolitane, previsto dalla
legge n. 56 del 2014 – devono essere riassegnate agli enti subentranti
nell’esercizio di tali funzioni. Tale vincolo di destinazione risulterebbe
anche dall’art. 1, comma 97, lettera b) della legge n. 56 del 2014. La
ricorrente riferisce che, in Toscana, la stessa Regione è subentrata
nell’esercizio di diverse funzioni (indicate nel ricorso) delle province e
della Città metropolitana di Firenze, ai sensi della legge della Regione
Toscana 3 marzo 2015, n. 22, recante «Riordino delle funzioni provinciali e
attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città
metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni). Modifiche
alle leggi regionali 32/2002, 67/2003, 41/2005, 68/2011, 65/2014», e osserva
che l’esercizio di tali funzioni richiederebbe risorse aggiuntive, richieste
dalla Regione ma non assegnate dallo Stato.
L’art. 16, commi 1 e 2, del
d.l. n. 50 del 2017, omettendo di riassegnare alle regioni e ai comuni
subentranti – in attuazione della citata sentenza n. 205
– le risorse sottratte alle province e alle città metropolitane, violerebbe l’art. 119, primo,
secondo, terzo e quarto comma Cost. In particolare, il quarto comma
dell’art. 119 Cost., in base al quale «[l]e risorse
derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle
Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente
le funzioni pubbliche loro attribuite», sarebbe violato dalle norme impugnate,
che non permetterebbero alle regioni di disporre delle risorse necessarie per
lo svolgimento delle loro funzioni.
2.2.– La Regione Toscana impugna anche l’art. 39
del d.l. n. 50 del 2017, per violazione degli artt. 97, 117, quarto comma, e
119 Cost., nonché
del principio di leale collaborazione.
I motivi dell’impugnazione
sono sostanzialmente analoghi a quelli dedotti dalla Regione Liguria nel
giudizio relativo al ricorso iscritto al registro ricorsi n. 53 del 2017.
Il buon andamento
dell’azione amministrativa sarebbe compromesso dall’incidenza della norma sulla
possibilità della regione di esercitare correttamente le funzioni connesse al
trasporto pubblico locale, per carenza delle risorse finanziarie necessarie,
sicché l’eventuale inadempienza regionale nel finanziare le province si
riverserebbe, in modo del tutto illogico, sulle aziende che gestiscono il
trasporto pubblico locale e quindi, alla fine, sulla collettività.
La sanzione prevista
dall’art. 39 del d.l. n. 50 del 2017 limiterebbe le competenze in materia di
trasporto pubblico locale attribuite alle regioni in via esclusiva dall’art.
117, quarto comma, Cost. e contrasterebbe con il
meccanismo di finanziamento delle funzioni delineato dall’art. 119, primo,
secondo, terzo e quarto comma, Cost., tagliando il finanziamento del trasporto
pubblico locale in modo arbitrario. La violazione dell’art. 119 Cost. rileverebbe sotto un ulteriore profilo, derivante dalla
mancata erogazione statale delle risorse connesse al subentro delle regioni
nelle funzioni non fondamentali delle province, oggetto del riordino disposto
dalla legge n. 56 del 2014. Richiamando la sentenza n. 205
del 2016, la ricorrente osserva che lo Stato non potrebbe penalizzare le
regioni con un altro taglio, dovendo esso prima assicurare la disponibilità
delle risorse destinate al finanziamento delle funzioni riassegnate ad altri
enti in attuazione delle legge n. 56 del 2014, salvo poi procedere alla
decurtazione qualora le regioni, per inadempimento imputabile, non erogassero
le risorse necessarie per l’esercizio delle funzioni non fondamentali da esse
conferite alle province.
Infine, la norma impugnata
introdurrebbe un potere sostitutivo del Governo, senza rispettare le garanzie
procedurali previste dall’art. 8 della legge
n. 131 del 2003.
2.3.– La Regione Toscana censura altresì l’art.
48, commi 4 e 6, lettera a), del d.l. n. 50 del 2017.
Il comma 4 dispone: «Ai
fini dello svolgimento delle procedure di scelta del contraente per i servizi
di trasporto locale e regionale, gli enti affidanti, con l’obiettivo di
promuovere la più ampia partecipazione alle medesime, articolano i bacini di
mobilità in più lotti, oggetto di procedure di gara e di contratti di servizio,
tenuto conto delle caratteristiche della domanda e salvo eccezioni motivate da
economie di scala proprie di ciascuna modalità e da altre ragioni di efficienza
economica, nonché relative alla specificità territoriale dell’area soggetta
alle disposizioni di cui alla legge 16 aprile 1973, n. 171 e successive
modificazioni. Tali eccezioni sono disciplinate con delibera dell’Autorità di
regolazione dei trasporti, ai sensi dell’articolo 37, comma 2, lettera f) del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla
legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dal comma 6, lettera a), del
presente articolo. Per quanto riguarda i servizi ferroviari l’Autorità può
prevedere eccezioni relative anche a lotti comprendenti territori appartenenti
a più Regioni, previa intesa tra le regioni interessate».
Il comma 6, lettera a),
recita: «All’articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito,
con modificazioni, dalla legge 22 dicembre [2011], n. 214, sono apportate le
seguenti modificazioni: a) al comma 2, lettera f) sono anteposte le seguenti
parole: "a definire i criteri per la determinazione delle eccezioni al
principio della minore estensione territoriale dei lotti di gara rispetto ai
bacini di pianificazione, tenendo conto della domanda effettiva e di quella
potenziale, delle economie di scala e di integrazione tra servizi, di eventuali
altri criteri determinati dalla normativa vigente, nonché”».
Le citate disposizioni sarebbero
lesive delle attribuzioni regionali per vari motivi.
In primo luogo, non
sussisterebbero i presupposti richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., per la decretazione
d’urgenza, sia perché le misure introdotte per l’organizzazione e la gestione
del trasporto pubblico locale non dovrebbero fare fronte a circostanze
accidentali ed eccezionali, sia perché i contenuti normativi del decreto-legge
sarebbero privi di omogeneità. Secondo la ricorrente, inoltre, il Governo
avrebbe adombrato che il decreto-legge sarebbe stato impiegato, in difetto dei
suoi presupposti, al fine di sottrarre la materia all’intesa con le regioni. Ai
fini della ridondanza, viene precisato che l’oggetto della disciplina qui
contestata inciderebbe sulle attribuzioni regionali in materia di trasporto
pubblico locale, con l’effetto di vanificare l’art. 84 della legge della
Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65 (Legge finanziaria per l’anno 2011),
che ha istituito il lotto unico regionale come ambito territoriale ottimale.
Sotto altro profilo, viene
dedotta la violazione della potestà legislativa residuale in materia di
organizzazione del servizio di trasporto pubblico locale, ex art. 117, quarto comma, Cost., poiché le regioni
verrebbero private della possibilità di decidere come organizzare il servizio
di trasporto e il livello ottimale di gestione. Viene rilevato sul punto che
non esisterebbe un modello di ambito territoriale adatto per tutti i contesti
regionali, dovendosi invece verificare caso per caso le esigenze del
territorio. Proprio per questo la dimensione del lotto dovrebbe rimanere una
scelta discrezionale dell’ente di governo e non potrebbe essere imposta per
norma statale.
Specularmente, si deduce
anche la violazione dell’art. 117, secondo comma,
Cost., in quanto non
sarebbe invocabile la potestà legislativa dello Stato in materia di tutela
della concorrenza. L’articolazione del bacino in più lotti non garantirebbe
affatto maggiore efficienza e concorrenza, e la fondatezza di tale assunto
sarebbe avvalorata dall’art. 51 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50
(Codice dei contratti pubblici), il quale affida alla singola stazione
appaltante la scelta della deroga rispetto alla suddivisione dell’appalto in
più lotti, con l’onere di motivarla (così disporrebbe anche il "considerando”
n. 78 della direttiva 2014/24/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 26
febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE).
L’imposizione della pluralità di lotti determinerebbe anzi una lievitazione
degli oneri economici per la stazione appaltante, in aperta antitesi quindi con
la logica della razionalizzazione e della semplificazione dei processi di
acquisto e fornitura di beni e servizi. L’obbligatoria suddivisione in più
lotti non permetterebbe inoltre di ridurre gli squilibri tra le diverse zone
territoriali all’interno della Regione, compensando le più redditizie con
quelle che lo sono meno.
Da ultimo, secondo la
ricorrente sarebbe violato il principio di leale collaborazione sotto due
differenti profili: da un lato, la disciplina avrebbe dovuto essere emanata
d’intesa con le regioni, come sancito dalla sentenza n. 251 del
2016; dall’altro, il compito di definire le deroghe alla regola della
obbligatoria suddivisione dei bacini di mobilità in più lotti ai fini della
gara verrebbe affidato in via esclusiva all’Autorità di regolazione dei
trasporti, senza alcun coinvolgimento delle regioni, pur essendo queste ultime
titolari della potestà in materia di trasporto e in grado di offrire importanti
elementi conoscitivi del territorio ai fini dell’articolazione delle gare.
2.4.– Con atto depositato in cancelleria il 29
settembre 2017 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per
l’infondatezza delle questioni promosse dalla Regione Toscana.
2.4.1.– In relazione all’art. 16, commi 1 e 2, il
resistente osserva che, secondo la giurisprudenza costituzionale, le regioni
che lamentano la violazione dell’art. 119, quarto comma, Cost., dovrebbero
provare l’impossibilità di esercizio delle funzioni di loro spettanza, mentre
la Regione Toscana non avrebbe soddisfatto tale onere probatorio.
Inoltre, la difesa erariale
rileva che lo Stato ha competenza esclusiva in materia di contabilità (art.
117, secondo comma, lettera e, Cost.), per cui potrebbe «stabilire
autonomamente con quali provvedimenti sancire l’attribuzione di risorse e
l’istituzione di fondi, considerato, peraltro, che la […] sentenza n. 205 del
2016 non ha sancito nel dispositivo l’illegittimità costituzionale della
norma impugnata e il correlato obbligo del Legislatore a provvedere». Il
resistente rileva poi che «allo stato non è ipotizzabile la retrocessione
integrale delle somme previste dal comma 418 della legge n. 190 del 2014 alle
Regioni e ai Comuni eventualmente destinatari delle funzioni non fondamentali»:
«[p]er la determinazione delle risorse eventualmente
e potenzialmente trasferibili occorre, in primo luogo, procedere all’effettiva
determinazione dell’ammontare di risorse necessarie per lo svolgimento delle
funzioni fondamentali».
Ancora, secondo
l’Avvocatura, per stabilire le risorse da destinare agli enti subentranti
occorrerebbe tener conto: «a) degli effetti di risparmio connessi
all’attuazione dei commi 421 e seguenti del citato art. 1 della legge n. 190
del 2014 […]; b) dei risparmi derivanti dall’efficientamento delle province e
delle città metropolitane; c) dei diversi interventi legislativi finalizzati ad
assicurare contributi a favore dei predetti enti a parziale ristoro dei
versamenti connessi al comma 418».
Inoltre, il resistente
osserva che la legge reg. Toscana n. 22 del 2015 ha disposto che le entrate extratributarie connesse alle funzioni non fondamentali
siano acquisite al bilancio regionale, con la conseguenza che, «non potendosi
ipotizzare che la Regione Toscana abbia adottato una legge priva della necessaria
copertura finanziaria […] occorre presupporre […] che il gettito derivante
dalle entrate extra-tributarie sia tale da coprire gli oneri per l’esercizio
delle funzioni non fondamentali».
La difesa erariale osserva
poi che le somme versate dalle province allo Stato derivano dalla riduzione
della spesa corrente: dunque, i risparmi in questione farebbero parte della
manovra complessiva di contenimento della finanza pubblica e non potrebbero
essere destinati a finanziare gli enti subentranti nell’esercizio delle
funzioni non fondamentali.
Infine, l’Avvocatura rileva
che parte delle funzioni passate dalle province alla Regione erano state
trasferite alle regioni, assieme ai mezzi necessari per il loro svolgimento, in
virtù del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e
compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), e che poi la Regione
Toscana ha delegato tali funzioni agli enti locali, dotandoli delle necessarie
risorse. Dunque, le funzioni non fondamentali da finanziare dovrebbero essere
diverse da tali funzioni delegate, «alle quali già occorre che corrispondano
specifici e congrui finanziamenti da parte delle medesime regioni».
2.4.2.– Quanto all’impugnazione dell’art. 39 del
d.l. n. 50 del 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce, in primo
luogo, la genericità dei rilievi svolti dalla ricorrente, in quanto non sarebbe
dimostrato l’effetto negativo dell’applicazione della norma sulla prestazione
del servizio di trasporto pubblico locale.
In secondo luogo, la norma
impugnata assolverebbe a una funzione di coordinamento della finanza pubblica,
il cui esercizio da parte dello Stato non è impedito dall’incidenza
dell’intervento in un ambito materiale rimesso alla potestà legislativa
residuale delle regioni, e risponderebbe al compito di assicurare uno standard
omogeneo nella fruizione del servizio a livello nazionale, subordinando il
trasferimento automatico di una quota del concorso statale all’accertamento,
tramite intesa, dell’avvenuta erogazione da parte delle regioni alle province e
città metropolitane. L’eventuale impatto della disciplina sull’autonomia
finanziaria e organizzativa regionale costituirebbe dunque una mera circostanza
di fatto, non incidente sul piano della legittimità costituzionale.
Il fondo in questione
risponderebbe all’esigenza di assicurare un livello uniforme di godimento dei
diritti tutelati dalla Costituzione, sicché sarebbe giustificato un meccanismo
di verifica dell’effettiva erogazione delle risorse ai destinatari, senza che
sia prevista una verifica anche della specifica destinazione dei trasferimenti.
Sarebbe infondata anche la
dedotta violazione del principio di leale collaborazione, poiché la norma non
disciplinerebbe una forma di esercizio del potere sostitutivo dello Stato in
attribuzioni proprie delle regioni, ma introdurrebbe una garanzia di
effettività del sostegno che si è inteso assicurare al settore.
Nel resto, l’Avvocatura
ripropone gli argomenti difensivi svolti nel giudizio reg. ric. n. 53 del 2017
e riportati al punto 1.5.
2.4.3.– In relazione all’art. 48, commi 4 e 6,
lettera a), il Presidente del Consiglio dei ministri replica quanto segue.
La censura incentrata sulla
violazione dell’art. 77 Cost. ‒ oltre che generica ‒ sarebbe
infondata. Il titolo del decreto-legge e il suo preambolo fanno riferimento
alla straordinaria necessità e urgenza di introdurre misure finanziarie e per
il contenimento della spesa pubblica, strumenti volti a consentire, in favore
degli enti territoriali, una migliore perequazione delle risorse e la
programmazione di nuovi o maggiori investimenti, favorendo così la crescita
economica del Paese. Viene altresì sottolineato come il Titolo IV (Misure
urgenti per rilancio economico e sociale) contenga ben undici articoli in
materia di «misure nel settore dei trasporti e delle infrastrutture», sicché
non si potrebbe sostenere che la norma impugnata sia dissonante rispetto al
contenuto ed alla materia del decreto-legge. Quanto esposto avrebbe valore
assorbente anche con riferimento alla denunciata violazione del principio di
leale collaborazione, considerato che la celerità con cui il decreto-legge deve
essere adottato escluderebbe la necessità del previo coinvolgimento delle regioni
nella sua formulazione (sono citate le sentenze n. 298 del
2009, n. 371
e n. 159 del
2008).
La questione sarebbe
infondata anche con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 117 Cost.
La norma in contestazione detta disposizioni per la promozione della
concorrenza e, nel dichiarato obiettivo di promuovere la partecipazione alle
gare, prevede che i bacini di mobilità siano articolati in più lotti, salve
eccezioni da individuare sulla base di criteri stabiliti dall’Autorità di
regolazione dei trasporti. Le funzioni attribuite a quest’ultima non
assorbirebbero le competenze spettanti alle amministrazioni regionali in
materia di trasporto pubblico locale (cui continuerebbe a spettare
l’articolazione dei bacini d’utenza in più lotti), bensì le presupporrebbero e
supporterebbero. In ogni caso, è sottolineata anche qui la genericità della
prospettazione, che si limiterebbe a petizioni di principio sull’opportunità
che la definizione della dimensione dei lotti di gara sia rimessa agli enti
territoriali per una migliore organizzazione del servizio.
Non sussisterebbe la
dedotta violazione del principio di leale collaborazione, il quale non
opererebbe quando lo Stato esercita la propria competenza legislativa esclusiva
in materia di tutela della concorrenza.
3.– Con ricorso spedito per la notificazione il
21 agosto 2017, depositato in cancelleria il 24 agosto 2017 e iscritto al n. 58
reg. ric. 2017, anche la Regione Campania ha impugnato l’art. 39 del d.l. n. 50
del 2017.
Tale disposizione, nella
parte in cui subordina il riconoscimento della quota del 20 per cento del fondo
nazionale trasporti all’erogazione delle risorse necessarie per l’esercizio
delle funzioni conferite a province e città metropolitane in attuazione della
legge n. 56 del 2014, imporrebbe alle regioni un indebito vincolo alla spesa per
i servizi e per gli altri interventi in materia di trasporto attraverso la
sottrazione, potenzialmente a titolo definitivo, delle relative risorse nella
misura indicata. Ne conseguirebbe la violazione degli artt. 117, terzo e
quarto comma, e 119,
primo comma, Cost., per
l’eccesso della norma dai limiti propri dei principi di coordinamento della
finanza pubblica, che impedirebbe alle regioni di esercitare la propria
autonomia finanziaria e di spesa.
Ad avviso della ricorrente,
trattandosi di una previsione che incide sul mancato trasferimento delle
risorse destinate a una specifica spesa, si dovrebbe ritenere applicabile il
costante orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui la
disciplina di principio dei vincoli finanziari è compatibile con l’autonomia
delle regioni solo se stabilisce un limite complessivo di intervento avente a
oggetto l’entità del disavanzo di parte corrente o i fattori di crescita di
spesa corrente, lasciando alle regioni stesse piena autonomia e libertà di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.
La violazione dei parametri
indicati sarebbe tanto più grave, in quanto la norma impugnata collegherebbe
alla mancata certificazione dell’erogazione entro il 30 giugno di ciascun anno
la definitiva sottrazione alla regione interessata della quota del 20 per cento
di sua competenza, ponendo in essere un’illegittima riserva allo Stato delle
entrate di competenza delle regioni in luogo del mero accantonamento di poste
attive conservate nella titolarità delle regioni.
Sussisterebbe altresì la
violazione degli artt.
3 e 97 Cost.,
per irragionevolezza, per difetto di proporzionalità e per mancanza di
corrispondenza logica rispetto alle dichiarate finalità di coordinamento della
finanza pubblica, con ridondanza «anche in termini di contrasto con la
disposizione di cui all’art. 119, comma 4 della
Costituzione». La norma impugnata interferirebbe con l’esercizio delle
funzioni regionali connesse all’erogazione del fondamentale servizio di
trasporto pubblico locale, introducendo una condizione e prevedendo un
procedimento ad hoc sottratto al "governo” della regione, alla cui definizione
è subordinato il riconoscimento delle risorse necessarie nella specifica
materia, in contrasto con l’imprescindibile necessità di assicurare livelli di
omogeneità nella prestazione del servizio su tutto il territorio nazionale.
Gli stessi parametri
sarebbero violati anche sotto il profilo concernente il procedimento di
formalizzazione mediante intesa in sede di Conferenza unificata. Esso
condurrebbe al differimento del termine per la certificazione e modificherebbe
la natura di quest’ultima da atto dichiarativo ad atto di volizione, demandando
l’eventuale erogazione della quota, in mancanza di intesa, alla competenza del
Consiglio dei ministri senza prevedere termini e presupposti della relativa
deliberazione. Il legislatore statale avrebbe così delineato un meccanismo
irrispettoso dell’assetto delle competenze, erroneo sotto l’aspetto «della
qualificazione degli atti prescritti e del relativo perfezionamento», nonché
farraginoso e incerto nei tempi, con evidenti riflessi sulla gestione delle
risorse e sull’erogazione dei servizi di trasporto pubblico locale di competenza
delle regioni, in evidente distonia con le previsioni dell’art. 27 dello stesso
d.l. n. 50 del 2017. Ne conseguirebbe un’alea «indebita e ingiustificata»,
collegata ad adempimenti estranei al settore dei trasporti, che esporrebbe le
regioni al concreto rischio di non conseguire l’apporto finanziario e la
liquidità necessari a coprire il fabbisogno minimo di mobilità, con effetti
gravissimi sull’efficacia della programmazione del servizio, sul piano
occupazionale e più in generale sull’economia del settore.
La norma impugnata
contrasterebbe infine con il principio di leale collaborazione e dell’intesa
(sono evocati gli
artt. 114, primo e secondo comma, 118, primo e secondo
comma, e 120,
secondo comma, Cost.), in quanto si tradurrebbe in un intralcio alla
gestione regionale delle risorse e delle competenze in materia di trasporto
pubblico locale, prevedendo un incerto meccanismo sostitutivo nelle
attribuzioni regionali, non conforme all’art. 8 della legge
n. 131 del 2003.
3.1.– Con atto depositato in cancelleria il 27
settembre 2017 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso
per l’infondatezza delle questioni, sulla base di difese analoghe a quelle
svolte nel giudizio relativo al ricorso iscritto al registro ricorsi n. 53 del
2017, riportate al punto 1.5.
4.– Con ricorso notificato il 22-24 agosto 2017,
depositato in cancelleria il 24 agosto 2017 e iscritto al n. 59 reg. ric. 2017,
la Regione Veneto ha impugnato gli artt. 39 e 41-bis
del d.l. n. 50 del 2017.
4.1– L’art. 39 del d.l. n.
50 del 2017 violerebbe gli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto
comma, 118 e 119 Cost., oltre al
principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.
In primo luogo, la norma
impugnata sarebbe irragionevole e quindi lesiva degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto idonea a pregiudicare in concreto il buon
andamento dell’azione amministrativa e il soddisfacimento degli interessi
pubblici sottesi ad esso, con ridondanza «in una lesione […] delle competenze
regionali in materia di trasporto pubblico locale, ascrivibile alla potestà
legislativa regionale residuale ai sensi dell’art. 117, comma 4, Cost.».
La sanzione in essa
prevista, assimilabile a una astreinte, consistente
nella decurtazione di una quota del fondo nazionale per il concorso dello Stato
agli oneri del trasporto pubblico locale, deriverebbe dall’inadempimento della
regione, incolpevole o meno, nell’erogazione di risorse destinate alle funzioni
non fondamentali delle province. Il legislatore avrebbe dunque messo
irragionevolmente in relazione due "poste” funzionali «del tutto
incommensurabili», senza compiere la necessaria opera di bilanciamento tra gli
interessi sottesi alle diverse situazioni coinvolte. Il servizio di trasporto
pubblico locale rappresenterebbe, infatti, un servizio pubblico fondamentale,
non comprimibile in ragione della mancata erogazione del finanziamento delle
funzioni non fondamentali delle province, il cui rilievo non secondario, nel
quadro del soddisfacimento degli interessi pubblici affidati alle cure degli
enti locali, dovrebbe essere tutelato mediante meccanismi idonei ad assicurarne
il sovvenzionamento senza pregiudizio diretto di altri interessi pubblici di
primaria importanza. La sottrazione di risorse statali ad altre funzioni
fondamentali costituirebbe pertanto un sistema coercitivo insoddisfacente e
incongruo, operante in danno degli interessi della collettività, che potrebbero
risultare doppiamente compromessi da una disposizione sanzionatoria come quella
impugnata.
La sanzione sarebbe viziata
anche da assenza di proporzionalità, in quanto la decurtazione del 20 per cento
provocherebbe, prendendo come valore di riferimento la quota del fondo
assegnata alla Regione Veneto nel 2017 (pari a 395.993.123,16 euro),
l’impossibilità per la ricorrente di finanziare i servizi automobilistici e di
navigazione lagunare per un quadrimestre, mentre dovrebbe garantire comunque il
trasporto ferroviario locale, con rilevantissimi effetti in danno dei
cittadini.
La prevista decurtazione
del 20 per cento, pari al doppio della riduzione massima consentita dall’art.
27 dello stesso d.l. n. 50 del 2017, impedirebbe inoltre di garantire la
ragionevole certezza delle risorse finanziarie disponibili, tradendo la
doverosa cooperazione tra Stato e regioni nell’interesse superiore del
cittadino e ponendosi così in contrasto con la Costituzione (è citata la sentenza n. 169 del
2017 in tema di servizio sanitario).
L’irragionevolezza della
norma impugnata deriverebbe altresì dal meccanismo di accertamento-verificazione
delineato in concreto dal legislatore, in quanto lo strumento dell’intesa in
sede di Conferenza unificata, dove le altre regioni non sembrano avere alcun
ruolo in relazione all’inadempimento di una di esse, costituirebbe un inutile
aggravio dell’iter procedimentale.
Sussisterebbe anche la
lesione dell’autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria delle regioni
in materia di trasporto pubblico locale ex artt. 118 e 119 Cost. Essa sarebbe
compressa da un regime sanzionatorio vessatorio e irragionevole, in grado di
alterare la libertà di scelta politica delle regioni, senza che sia possibile
invocare la competenza statale in materia di coordinamento della finanza
pubblica.
A dimostrazione della
concreta lesività della norma impugnata, la Regione Veneto invoca a sua volta
il mancato trasferimento statale delle risorse connesse al subentro delle
regioni nelle funzioni non fondamentali delle province, oggetto del riordino
disposto dalla legge n. 56 del 2014. A questo proposito richiama la sentenza n. 205 del
2016 e una nota della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome
del 6 luglio 2017, da cui emergerebbe che le regioni hanno colmato
direttamente, con strumenti di emergenza e contingenti, l’insufficiente
finanziamento delle funzioni provinciali fondamentali. Ad avviso della
ricorrente, prevedere in un tale contesto economico-finanziario un sistema
sanzionatorio gravoso e sproporzionato in relazione a un fatto di inadempimento
dipendente dall’omessa erogazione di risorse dallo Stato alle regioni sarebbe
ingiusto, prim’ancora che irragionevole, in quanto si sanzionerebbe così un
comportamento incolpevole.
L’art. 39 del d.l. n. 50
del 2017 violerebbe anche il principio di leale collaborazione di cui all’art.
120 Cost., là dove, al comma 2, non prevede che in
caso di mancata "ratifica” della certificazione da parte della Conferenza
unificata il Consiglio dei ministri provveda in contraddittorio con il
Presidente della Regione interessata e sulla base di criteri predeterminati in
sede di conferenza intergovernativa. La mancanza di tali criteri potrebbe
determinare ingiustificate disparità di trattamento trasmodanti in arbitrio,
con ulteriore lesione degli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., per l’ingiustificata compressione e menomazione
dell’autonomia regionale che ne deriverebbe.
La norma impugnata sarebbe
inoltre direttamente lesiva dell’autonomia finanziaria e, di conseguenza,
dell’autonomia amministrativa delle regioni ex artt. 119 e 118 Cost., nonché in
generale della loro autonomia politica ex art. 114 Cost., in
quanto il previsto regime sanzionatorio priverebbe le regioni della possibilità
di perseguire i fini di interesse pubblico affidati alle loro cure e di
orientare liberamente le proprie scelte politiche. Al riguardo, la ricorrente
si diffonde sull’insufficienza del margine residuale delle risorse disponibili,
sulla base della legge regionale di bilancio 2017, per garantire il trasporto
pubblico locale a seguito della decurtazione sanzionatoria del fondo statale,
osservando che dovrebbero essere "distratte” voci di spesa già autorizzate
dalla legge di bilancio per azioni di grande valenza socio-economica
(interventi di prevenzione, soccorso e pronto intervento per calamità naturali;
misure per la prevenzione e la riduzione del rischio idraulico e idrogeologico;
attività connesse alla pianificazione di interventi in materia ambientale;
azioni a favore delle forme di esercizio associato di funzioni e servizi
comunali e delle fusioni di comuni; interventi per garantire la parità
scolastica a favore delle famiglie degli alunni frequentanti il sistema
scolastico di istruzione), ma non ancora impegnate.
4.2.– L’art. 41-bis del d.l. n. 50 del 2017, nel testo vigente al
momento del ricorso, stabiliva al comma 1 quanto segue: «[a]l fine di favorire
gli investimenti, per il triennio 2017-2019, sono assegnati ai comuni,
compresi, alla data di presentazione della richiesta di cui al comma 2, nelle
zone a rischio sismico 1 ai sensi dell’ordinanza del Presidente del Consiglio
dei ministri n. 3519 del 28 aprile 2006, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.
108 dell’11 maggio 2006, contributi soggetti a rendicontazione a copertura
delle spese di progettazione definitiva ed esecutiva, relativa ad interventi di
opere pubbliche, nel limite di 5 milioni di euro per l’anno 2017, di 15 milioni
di euro per l’anno 2018 e di 20 milioni di euro per l’anno 2019»
(successivamente l’art. 41-bis è stato modificato dal decreto-legge 16 ottobre
2017, n. 148, recante «Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per
esigenze indifferibili», convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre
2017, n. 172). Il comma 2 dell’art. 41-bis regolava la richiesta di contributo
rivolta dai comuni al Ministero dell’interno e il comma 3 disciplinava
l’assegnazione del contributo, di competenza del Ministero dell’interno, di
concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze.
Secondo la ricorrente, la
norma istituisce un fondo a favore dei comuni situati in zona sismica e il
riferimento agli immobili pubblici e la preminente finalità di adeguamento
sismico dovrebbero indurre a collocare l’art. 41-bis nelle materie «governo del
territorio» e «protezione civile». La Regione ricorda che, secondo la
giurisprudenza costituzionale, sarebbero preclusi interventi finanziari statali
a destinazione vincolata a favore dei comuni, per i normali compiti di questi
ultimi, al di fuori delle materie di competenza statale o dei casi di cui all’art. 119, quinto comma,
Cost. (sono richiamate le sentenze n. 16 del
2004 e n.
189 del 2015). La norma impugnata contemplerebbe un fondo privo dei
presupposti considerati necessari dalla Corte costituzionale per la sua
legittimità: infatti, essa perseguirebbe una finalità (di favorire gli
investimenti) diversa da quelle di perequazione e garanzia indicate nell’art.
119, quinto comma, Cost.; inoltre i contributi in questione sarebbero volti a
finanziare una «segmento della complessiva realizzazione di interventi e opere
pubbliche già programmati nell’esercizio delle ordinarie competenze degli enti
locali», per cui si ricadrebbe nell’ambito dei normali compiti ad essi
spettanti.
Secondo la ricorrente,
anche qualora si ritenesse che la norma prevede «interventi speciali» ai sensi
dell’art. 119, quinto comma, Cost., essa sarebbe
incostituzionale in quanto non assegna alle regioni «compiti di programmazione
e di riparto dei fondi all’interno del proprio territorio», come sarebbe
richiesto dalla giurisprudenza costituzionale. L’art. 41-bis, infatti, non
contemplerebbe alcun intervento delle regioni e dei comuni, «né istruttorio né
decisorio né programmatorio», violando il principio di leale collaborazione e
l’art. 119, quinto comma, Cost. e ledendo l’autonomia
legislativa e amministrativa regionale in materia di «governo del territorio» e
«protezione civile».
Inoltre, la «mancata
previsione di ogni apporto partecipativo da parte delle Regioni» determinerebbe
la violazione del principio di leale collaborazione: l’art. 41-bis potrebbe
essere «ricondotto a legittimità unicamente prevedendo l’intervento diretto
delle Regioni in sede di determinazione dei criteri di ripartizione del Fondo
sui rispettivi territori e di distribuzione delle relative risorse».
4.3.– Con atto depositato in cancelleria il 29
settembre 2017 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
4.3.1.– Quanto
all’impugnazione dell’art. 39 del d.l. n. 50 del 2017, la difesa erariale
eccepisce l’inammissibilità sia delle questioni promosse con riferimento agli
artt. 3 e 97 Cost., per difetto di motivazione sulla ridondanza dell’asserita
lesione di tali parametri sulle competenze regionali, sia di quelle promosse
con riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., per carenza
di adeguata motivazione sul concreto effetto lesivo conseguente alle modifiche
introdotte dal legislatore, motivazione tanto più necessaria in quanto il
mancato raggiungimento dell’intesa non comporterebbe la perdita certa e
automatica della quota del 20 per cento del fondo, essendone previsto il
riconoscimento da parte del Consiglio dei ministri.
Nel merito, l’Avvocatura
osserva che l’incidenza della norma su una materia di competenza residuale
delle regioni, quale il trasporto pubblico locale, non sarebbe d’ostacolo
all’esercizio della competenza concorrente dello Stato in tema di coordinamento
della finanza pubblica, svolgendo nel resto difese analoghe a quelle del
giudizio relativo al ricorso iscritto al reg. ric. n. 53 del 2017 e concludendo
per l’infondatezza delle questioni.
4.3.2.– In relazione all’art. 41-bis, il resistente
si sofferma sulla portata della materia «protezione civile» e osserva che la
norma impugnata persegue «finalità di sviluppo del territorio, di tutela
dell’incolumità pubblica e dell’ambiente». Secondo l’Avvocatura, dalla
giurisprudenza costituzionale risulterebbe che la protezione civile non è solo
una «materia», ma «un insieme di funzioni, trasversale rispetto alle materie».
La «disciplina sull’emergenza» avrebbe dunque «finito per investire i più
diversi ambiti materiali». In particolare, l’«edilizia
in zona sismica» rientrerebbe nel «governo del territorio» nonché «nella
materia della protezione civile, per il profilo concernente la tutela
dell’incolumità pubblica». Secondo il resistente, occorrerebbe valutare la
possibile qualificazione del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189 (Interventi
urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016),
convertito, con modificazioni, nella legge 15 dicembre 2016, n. 229, «come
norma interposta nel presente giudizio di compatibilità costituzionale fra
l’art. 41bis e l’art. 117, comma 3, Cost.». Il principio fondamentale espresso
da tale norma interposta sarebbe individuabile «nella tutela dell’incolumità
pubblica, quale profilo di protezione civile», e la norma impugnata mirerebbe a
sostenere progetti «per il miglioramento e l’adeguamento antisismico degli
immobili pubblici e privati»: «il perseguimento di tali finalità, tramite i
detti interventi statali», potrebbe realizzarsi «senza dar luogo ad alcuna
lesione della sfera di competenza regionale».
5.– Con ricorso notificato
il 22 agosto 2017, depositato in cancelleria il 28 agosto 2017 e iscritto al n.
60 reg. ric. 2017, anche la Regione Lombardia ha impugnato l’art. 39 del d.l.
n. 50 del 2017, per violazione degli artt. 3, 97, 114, primo e secondo
comma, 117, terzo
e quarto comma, 118,
primo e secondo comma, 119, primo, secondo e
quarto comma, e 120,
secondo comma, Cost.
5.1.– La norma impugnata sarebbe lesiva del principio
di buon andamento dell’azione amministrativa, per il grave pregiudizio arrecato
all’erogazione del servizio fondamentale del trasporto pubblico locale, con
incidenza sull’esercizio delle competenze regionali legislative e
amministrative in materia.
Tale lesione deriverebbe da
plurime ragioni.
In primo luogo, dalla
previsione di un procedimento ad hoc per il riconoscimento di risorse
altrimenti spettanti alle regioni in via diretta e automatica ai sensi
dell’art. 16-bis, comma 1, del d.l. n. 95 del 2015, come modificato, e
dall’art. 27 del d.l. n. 50 del 2017, norme che non contemplerebbero né la
preventiva certificazione regionale né la rimessione di una quota delle risorse
statali alla determinazione del Presidente del Consiglio dei ministri, attribuendo
invece la competenza sul riparto del fondo al Ministro delle infrastrutture e
trasporti, di concerto con il Ministro delle finanze. Inoltre, secondo il
richiamato art. 27 del d.l. n. 50 del 2017 la quota del fondo potrebbe essere
decurtata al massimo del cinque per cento rispetto alla misura attribuita
l’anno precedente, mentre la norma impugnata, manifestando sotto questo profilo
anche irragionevolezza, contraddittorietà e illogicità, lascerebbe intendere
che sia possibile non erogare il 20 per cento alla regione che non riesca a
raggiungere l’intesa.
In secondo luogo, il
principio di buon andamento sarebbe leso dalla farraginosità e iniquità del
procedimento, che richiede il consenso unanime in sede di Conferenza unificata,
rendendo estremamente difficoltoso il raggiungimento dell’intesa anche per le
regioni più virtuose, e attribuisce a un organo politico la decisione su un
atto tecnico-finanziario, quale è la certificazione. Tale procedimento
costringerebbe le regioni a operare già dal 2017 un accantonamento di bilancio
pari al 20 per cento delle risorse destinate al trasporto pubblico locale,
senza consentire agli enti locali e alle aziende esercenti il servizio le
conseguenti riprogrammazioni, con il risultato che la norma impugnata, volendo assicurare
l’erogazione agli enti locali delle risorse necessarie per le funzioni a essi
conferite, metterebbe a rischio lo stesso svolgimento di una di tali funzioni,
come quella del trasporto pubblico locale, inerente a un servizio per il quale
dovrebbe essere garantito un livello uniforme di godimento.
Il procedimento previsto
dall’art. 39 del d.l. n. 50 del 2017 non consentirebbe il trasferimento alle
regioni di una quota del 20 per cento del fondo in tempi certi, in quanto la
norma stabilisce sì termini stringenti per la certificazione regionale e per il
raggiungimento dell’intesa, ma non per il riconoscimento delle risorse da parte
del Governo in mancanza dell’intesa, sicché le regioni potrebbero
autodeterminarsi sul piano legislativo e amministrativo sulla base delle uniche
risorse "certe”, corrispondenti all’ottanta per cento della quota spettante a
ciascuna di esse, compromettendo l’esercizio dei servizi di trasporto pubblico
locale.
Il principio di
ragionevolezza sarebbe violato dall’evidente mancanza di proporzionalità e di
«rispondenza logica» della norma rispetto alle finalità di coordinamento della
finanza pubblica da essa stessa dichiarate, in quanto non sarebbero imposti
vincoli alle politiche di bilancio delle regioni, ma un’abnorme misura
sanzionatoria, che farebbe ricadere sul cruciale settore dei trasporti le
conseguenze della pressione esercitata sugli equilibri già precari della
finanza provinciale.
Anche la Regione Lombardia
lamenta poi l’irragionevolezza derivante dall’asserita «distonia» della norma
impugnata con la previsione dell’art. 27, comma 4, dello stesso d.l. n. 50 del
2017, che aumenta all’80 per cento la misura dell’anticipazione di cassa sul
fondo nazionale trasporti da ripartire tra le regioni entro il 15 gennaio di
ogni anno, dal momento che la decurtazione del 20 per cento stabilita dall’art.
39 comporterebbe un’anticipazione reale del 64 per cento, id est dell’importo
risultante dalla riduzione del 20 per cento sull’80 per cento della quota
complessiva.
Il legislatore statale
sarebbe intervenuto dopo l’Accordo sancito in sede di Conferenza unificata l’11
settembre 2014 violandone le clausole, in quanto avrebbe previsto
unilateralmente ulteriori oneri a carico delle regioni, compromettendo lo
svolgimento delle stesse funzioni conferite a province e città metropolitane
che la norma impugnata intenderebbe salvaguardare. Ne deriverebbe anche sotto
questo profilo la lesione del principio di ragionevolezza, oltre che di
legittimo affidamento, resa evidente dal fatto che, per un verso, entro il 30
giugno di ogni anno le regioni dovrebbero trasferire agli enti locali tutte le
risorse per lo svolgimento delle funzioni a essi conferite, compresa la quota
maggioritaria afferente al trasporto pubblico locale (che per la Lombardia
ammonta a oltre 152 milioni di euro su un importo complessivo di 195 milioni di
euro), mentre lo Stato, per altro verso, destinerebbe alle regioni solo
l’ottanta per cento delle risorse destinate al trasporto pubblico locale,
assoggettando il restante 20 per cento alla descritta certificazione e intesa
nonché, in mancanza di quest’ultima, alla determinazione del Governo.
5.1.1.– La norma impugnata
violerebbe altresì il principio di leale collaborazione e dell’intesa di cui
all’art. 114, primo e
secondo comma, Cost., i principi fondamentali di coordinamento della
finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma,
Cost., e i principi di «attribuzione, sussidiarietà e differenziazione» di
cui agli artt. 118,
primo comma, e 120,
secondo comma, Cost.
L’intesa prevista dall’art.
39 del d.l. n. 50 del 2017 si tradurrebbe in un intralcio alla gestione
regionale delle risorse e delle competenze in materia di trasporto pubblico
locale, producendo a cascata una seria compromissione all’esercizio delle
funzioni amministrative degli enti locali e delle agenzie regionali di
trasporto pubblico. La norma non attuerebbe il principio di leale
collaborazione tra lo Stato e le regioni, ma introdurrebbe uno strumento di
controllo contabile-finanziario diretto alla verifica del trasferimento delle
risorse derivanti dall’Accordo sancito in sede di Conferenza unificata l’11
settembre 2014. L’intesa assumerebbe pertanto finalità e modalità inedite, non
conformi alla Costituzione, in quanto espressive di un rapporto di gerarchia e
non della necessità di evitare i conflitti derivanti dall’inestricabile
connessione di competenze regionali e statali, alla quale fa riferimento la
giurisprudenza costituzionale in materia (è citata la sentenza n. 251 del
2016). Nel caso specifico, comunque, si dovrebbe escludere anche la
sussistenza di tali inestricabili connessioni e comunque sarebbe prevalente la
competenza residuale delle regioni in materia di trasporto pubblico locale.
La norma impugnata neppure
sarebbe espressione della competenza dello Stato in materia di coordinamento
della finanza pubblica ex art. 117, terzo comma, Cost.,
in quanto attribuirebbe direttamente al Governo un potere di verifica e
sorveglianza sull’intero spettro delle attività amministrative e finanziarie
della regione, anche nel caso di insussistenza di uno squilibrio finanziario,
apprestando uno strumento sproporzionato rispetto al fine perseguito.
5.1.2.– Ad avviso della
ricorrente, l’art. 39 del d.l. n. 50 del 2017 violerebbe anche la competenza
residuale in materia di trasporto pubblico locale attribuita alle regioni
all’art. 117, quarto comma, Cost., in assenza dei presupposti per la chiamata
in sussidiarietà ex art. 118 Cost., in quanto la norma non si traduce in una
diversa allocazione delle funzioni amministrative delle regioni nella suddetta
materia, previo giudizio di inadeguatezza del livello regionale allo
svolgimento delle medesime funzioni, ma, come visto, in una sanzione
finanziaria a carico delle regioni ai fini dell’attuazione dell’Accordo dell’11
settembre 2014, incidente su plurime materie, così da riverberarsi
sull’esercizio delle funzioni amministrative in tema di trasporto pubblico
locale svolte dagli stessi enti che il legislatore intenderebbe salvaguardare.
Tale previsione, inoltre,
sarebbe lesiva dell’autonomia finanziaria di spesa riconosciuta alle regioni
dall’art. 119, primo, secondo e quarto comma, Cost.,
eccedendo dai limiti del coordinamento della finanza pubblica, come visto, e
non prevedendo risorse aggiuntive o interventi speciali, ma producendo
l’effetto opposto di ridurre e rendere incerte nel loro ammontare complessivo
le risorse destinate al trasporto pubblico locale da un fondo istituito con
legge statale.
5.1.3.– Infine, la Regione
Lombardia ha proposto istanza di sospensione dell’efficacia della norma
impugnata, ai sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), adducendo che la
riduzione sin dal mese di settembre 2017 degli stanziamenti a favore degli enti
locali e delle agenzie di trasporto pubblico locale, causata dall’impossibilità
di disporre della quota del 20 per cento del fondo, avrebbe comportato la riduzione
dei servizi, qualora gli enti gestori non avessero potuto sopperire con risorse
proprie o con aumenti tariffari sulla base della normativa regionale vigente,
con gravi conseguenze su tutto il territorio, tra cui l’interruzione del
servizio, l’isolamento dei territori periferici, possibili licenziamenti del
personale addetto, gravi disagi per i pendolari, l’aumento dell’inquinamento
ambientale per il maggior uso dei mezzi privati di trasporto e l’incremento
della congestione stradale, con ricadute anche sul sistema logistico delle
merci, senza considerare i probabili disordini pubblici e i contenziosi
promossi dalle aziende di gestione del servizio nei confronti degli enti locali
e della stessa Regione.
5.2.– Con atto depositato in cancelleria il 27
settembre 2017 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso
per l’infondatezza delle questioni, anche in questo caso sulla base di difese
analoghe a quelle svolte nel giudizio relativo al ricorso iscritto al reg. ric.
n. 53 del 2017, riportate al punto 1.5.
6.– Con ricorso notificato
il 17-21 agosto 2017, depositato in cancelleria il 28 agosto 2017 e iscritto al
n. 61 del reg. ric. 2017, la Regione Piemonte ha impugnato a sua volta l’art.
39 del d.l. n. 50 del 2017, per violazione degli artt. 97, 114, primo e secondo
comma, 117, terzo
e quarto comma, e 119,
primo comma, Cost.
6.1.– Dopo avere riportato
il resoconto di un punto all’ordine del giorno della riunione della Conferenza
delle Regioni e delle Province autonome del 6 luglio 2017, relativo agli
effetti della norma impugnata, la ricorrente lamenta che quest’ultima
costituirebbe un’indebita intromissione nell’esercizio delle competenze delle
regioni in materia di trasporto pubblico locale, di cui all’art. 117, quarto
comma, Cost., e non potrebbe ascriversi ai principi fondamentali di
coordinamento della finanzia pubblica, non prescrivendo una riduzione del
debito pubblico, bensì introducendo un vero e proprio sistema sanzionatorio.
Ne conseguirebbe anche la
violazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa di cui
all’art. 97 Cost., per il grave pregiudizio arrecato
all’erogazione di un servizio fondamentale. Sarebbe previsto, infatti, un procedimento
ad hoc per il riconoscimento di risorse finanziarie altrimenti spettanti alle
regioni, caratterizzato da termini stringenti solo per le regioni e per la
Conferenza unificata ma non per il Presidente del Consiglio dei ministri, con
conseguente incertezza dei tempi di trasferimento delle risorse necessarie allo
svolgimento del servizio.
6.1.1.– Sussisterebbe altresì il contrasto con
l’art. 114, primo e secondo comma, Cost., per violazione del principio di leale
collaborazione e dell’intesa, in quanto l’intesa prevista dall’art. 39 del d.l.
n. 50 del 2017 avrebbe «fini impeditivi più che collaborativi» tra le
amministrazioni interessate. La «certificazione» regionale e la sua
«formalizzazione» tramite intesa, invero, si porrebbero al di fuori degli istituti
di riferimento, traducendosi in un originale procedimento di tipo
sanzionatorio.
6.1.2.– La norma impugnata
violerebbe anche l’autonomia finanziaria e di spesa delle regioni di cui
all’art. 119, primo comma, Cost., poiché il legislatore statale non si sarebbe
limitato a imporre temporanei vincoli alle politiche di bilancio per ragioni di
coordinamento finanziario, lasciando alle regioni ampia libertà di allocazione
delle risorse tra i vari ambiti e obiettivi di spesa, ma avrebbe escogitato un
meccanismo farraginoso e iniquo che di fatto accantonerebbe il 20 per cento
delle risorse già in corso d’anno e senza consentire la preventiva possibilità
di riprogrammazione, tanto declamata dal precedente art. 27 dello stesso
decreto-legge.
6.2.– Con atto depositato in cancelleria il 26
settembre 2017 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso
per l’infondatezza delle questioni, anche in questo caso sulla base di difese analoghe
a quelle svolte nel giudizio relativo al ricorso iscritto al reg. ric. n. 53
del 2017, riportate al punto 1.5.
7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha
depositato in tutti i giudizi memorie in prossimità dell’udienza.
Con riferimento all’art. 39
del d.l. n. 50 del 2017, segnala che nella seduta del 21 settembre 2017 la
Conferenza unificata ha sancito il raggiungimento dell’intesa prevista al comma
1 della disposizione censurata. Eccepisce inoltre (o ribadisce l’eccezione,
quanto al ricorso del Veneto) l’inammissibilità delle questioni riferite agli
artt. 3 e 97 Cost. per difetto di motivazione sulla
ridondanza. Nel resto, le memorie illustrano le difese già svolte.
Con riguardo all’art. 16,
commi 1 e 2 (reg. ric. n. 57 del 2017), il resistente osserva che «il mero
aggiornamento delle somme già individuate da una disposizione che ha superato
il vaglio costituzionale» non potrebbe essere considerato «violativo
dell’articolo 119 Cost., spettando con tutta evidenza allo Stato l’individuazione
della sede e del momento più opportuno per provvedere alla redistribuzione
delle risorse».
Con riferimento all’art.
41-bis (reg. ric. n. 59 del 2017) e all’art. 48, commi 4 e 6, lettera a) (reg.
ric. n. 57 del 2017), ribadisce le considerazioni già svolte negli atti di
costituzione.
8.– In prossimità dell’udienza hanno presentato
memorie anche le Regioni Toscana, Veneto e Lombardia.
8.1.– La Regione Toscana (reg. ric. n. 57 del
2017), con riferimento all’art. 16, commi 1 e 2, del d.l. n. 50 del 2017, replica
agli argomenti dedotti dall’Avvocatura nell’atto di costituzione.
Sull’impugnazione dell’art.
39 del d.l. n. 50 del 2017, la stessa Regione replica all’eccezione di
genericità della motivazione, sollevata dall’Avvocatura, deducendo che
l’incidenza negativa della norma impugnata sullo svolgimento del trasporto
pubblico locale sarebbe in re ipsa, sia per l’impatto
sul servizio di una riduzione del finanziamento pari al 20 per cento, sia
perché il "blocco” di tale quota dipenderebbe da un fatto (la certificazione
formalizzata in Conferenza unificata) non dipendente dal comportamento della
singola regione. Nel resto, la ricorrente ribadisce che la norma avrebbe natura
puntuale e non costituirebbe perciò principio di coordinamento della finanza
pubblica. Osserva inoltre che il sopravvenuto raggiungimento dell’intesa vale
solo per il 2017, cosicché il suo interesse all’impugnazione permane, come
specificato anche in sede di trasmissione dei dati ai fini della
certificazione.
Con riferimento all’art.
48, commi 4 e 6, lettera a), del citato decreto-legge, la Regione Toscana
ribadisce e specifica gli argomenti posti a fondamento della impugnazione.
8.2.– La Regione Veneto
(reg. ric. n. 59 del 2017), sull’art. 39 del d.l. n. 50 del 2017, ribadisce le
deduzioni già svolte sull’irragionevolezza della norma impugnata e replica
all’eccezione di carenza di adeguata motivazione sull’effetto lesivo della
norma stessa, rilevando che la misura introdotta dal legislatore statale
indurrebbe a distrarre risorse dal proprio bilancio regionale per garantire in
ogni evenienza l’erogazione del servizio del trasporto pubblico locale mediante
misure compensative (è citato l’art. 14 della legge della Regione Veneto 29
dicembre 2017, n. 45, recante «Collegato alla legge di stabilità regionale
2018»). Osserva altresì che le considerazioni dell’Avvocatura in ordine al
raggiungimento dell’intesa sarebbero inconferenti, considerando il carattere
stabile della previsione sanzionatoria, i cui effetti non si esauriscono nel
corrente anno, ma opereranno anche per gli anni a venire, fino all’abrogazione
della norma o al suo annullamento da parte della Corte costituzionale.
Con riferimento all’art.
41-bis, la Regione Veneto afferma che le novità introdotte dal d.l. n. 148 del
2017 non avrebbero modificato il contenuto sostanziale della disposizione
impugnata, limitandosi esse ad estendere il suo oggetto agli interventi
relativi al dissesto idrogeologico; dunque, la questione andrebbe trasferita
sulla nuova disposizione. La Regione poi ribadisce gli argomenti già svolti nel
ricorso e replica alle deduzioni contenute nell’atto di costituzione
dell’Avvocatura.
8.3.– La Regione Lombardia (reg. ric. n. 60 del
2017) illustra i passaggi che hanno condotto al raggiungimento dell’intesa per
il 2017 in sede di Conferenza unificata e si sofferma sulle difficoltà che
avrebbero contrassegnato l’iniziale applicazione dell’art. 39 del d.l. n. 50
del 2017 e sugli effetti distorsivi da essa derivanti. Si sarebbero infatti
prodotti significativi ritardi nell’erogazione delle risorse ai gestori del
trasporto pubblico locale nel territorio regionale. Osserva altresì che,
essendo solo alcune le regioni inadempienti, la norma impugnata si
confermerebbe irragionevole e non corrispondente all’obiettivo prefissato nel
subordinare l’erogazione della quota del 20 per cento del fondo alla
certificazione da formalizzare con intesa, sicché sarebbe violato il principio
di proporzionalità e sarebbero penalizzate le regioni che hanno adempiuto
all’Accordo dell’11 settembre 2014. Inoltre, la distonia dell’art. 39 con
l’art. 27 dello stesso d.l. n. 50 del 2017 emergerebbe anche dalle modalità di
raggiungimento dell’intesa, con la quale si sarebbe approdati a una soluzione
«pilatesca e compromissoria». Si sarebbe infatti inteso che il dovere di
certificazione venga adempiuto con il semplice monitoraggio delle risorse
erogate per il 2016, mentre la norma sembra riferirsi all’anno in corso, ovvero
al 2017. La ricorrente insiste, infine, nell’istanza di sospensione, lamentando
l’incertezza sull’ammontare e sulla data di erogazione delle risorse destinate
al trasporto pubblico locale, derivante dall’applicazione della disposizione
impugnata.
Considerato in diritto
1.– Con separati ricorsi, iscritti
rispettivamente ai numeri 53 e da 57 a 61 del registro ricorsi 2017, le Regioni
Liguria, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Piemonte hanno impugnato l’art.
39 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in materia
finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi
per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), convertito,
con modificazioni, nella legge 21 giugno 2017, n. 96. La Regione Toscana ha
impugnato, altresì, gli artt. 16, commi 1 e 2, e 48, commi 4 e 6, lettera a), e
la Regione Veneto l’art. 41-bis dello stesso decreto-legge.
I giudizi vanno riuniti per
essere definiti con un’unica pronuncia, avendo a oggetto questioni relative
alla medesima norma, censurata in riferimento a parametri in larga parte
coincidenti, e, nel resto, ad altre disposizioni dello stesso d.l. n. 50 del
2017.
2.– Si esaminano innanzi tutto le questioni
concernenti l’art. 16, commi 1 e 2, impugnato dalla sola Regione Toscana.
Il comma 1 dell’art. 16
modifica l’art. 1, comma 418, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge di stabilità 2015)», che prevede una riduzione della spesa corrente
delle province e delle città metropolitane – di 1.000 milioni di euro per
l’anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l’anno 2016 e di 3.000 milioni di
euro a decorrere dall’anno 2017 – e un corrispondente versamento da parte di
ciascuna provincia e città metropolitana ad apposito capitolo di entrata del bilancio
dello Stato. L’art. 16, comma 1, dispone che «[…] il terzo periodo [del comma
418] è sostituito dal seguente: "Fermo restando per ciascun ente il versamento
relativo all’anno 2015, l’incremento di 900 milioni di euro per l’anno 2016 e
l’ulteriore incremento di 900 milioni di euro a decorrere dal 2017 a carico
degli enti appartenenti alle regioni a statuto ordinario sono ripartiti per 650
milioni di euro a carico delle province e per 250 milioni di euro a carico
delle città metropolitane.”». L’art. 16, comma 2, stabilisce poi che «[p]er gli anni 2017 e seguenti l’ammontare della riduzione
della spesa corrente che ciascuna provincia e città metropolitana deve
conseguire e del corrispondente versamento, ai sensi dell’articolo 1, comma
418, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, è stabilito negli importi indicati
nella tabella 1 allegata al presente decreto».
La Regione, invocando il
vincolo di destinazione che risulterebbe dalla sentenza n. 205 del
2016 della Corte costituzionale e dall’art. 1, comma 97, lettera b), della
legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle
province, sulle unioni e fusioni di comuni), censura la disposizione citata,
«nella parte in cui non prevede la riassegnazione alle Regioni e agli enti
locali, subentrati nell’esercizio delle funzioni provinciali non fondamentali,
delle risorse sottratte alle province e città metropolitane, per violazione
dell’art. 119, commi 1, 2, 3 e 4, Cost.».
2.1.– La questione è parzialmente fondata, nei
termini di seguito indicati.
Il comma 418 della legge n.
190 del 2014 era stato impugnato (insieme al comma 419) dalla Regione Veneto,
con due distinti ricorsi che sono stati decisi dalla sentenza n. 205 del
2016 di questa Corte. La Regione contestava, fra l’altro, «il disposto
passaggio di risorse dal bilancio degli enti di area vasta a quello statale
senza prescrizioni sulla destinazione di tali risorse».
Questa Corte ha dichiarato
la questione non fondata, sulla considerazione che, «disponendo il comma 418
che le risorse affluiscano "ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello
Stato”, si deve ritenere – e in questi termini la disposizione va correttamente
interpretata – che tale allocazione sia destinata, per quel che riguarda le
risorse degli enti di area vasta connesse al riordino delle funzioni non
fondamentali, a una successiva riassegnazione agli enti subentranti
nell’esercizio delle stesse funzioni non fondamentali (art. 1, comma 97,
lettera b, della legge n. 56 del 2014)». In questo contesto, risolvendosi la
previsione del versamento al bilancio statale «in uno specifico passaggio della
vicenda straordinaria di trasferimento delle risorse da detti enti [di area
vasta] ai nuovi soggetti ad essi subentranti nelle funzioni riallocate, vicenda
la cui gestione deve necessariamente essere affidata allo Stato», la sentenza
conclude che «[i] commi 418, 419 e 451 […] non violano l’art. 119, primo,
secondo e terzo comma, Cost. nei termini lamentati dalla ricorrente, perché le
disposizioni in essi contenute vanno intese nel senso che il versamento delle
risorse ad apposito capitolo del bilancio statale (così come l’eventuale
recupero delle somme a valere sui tributi di cui al comma 419) è specificamente
destinato al finanziamento delle funzioni provinciali non fondamentali e che
tale misura si inserisce sistematicamente nel contesto del processo di riordino
di tali funzioni e del passaggio delle relative risorse agli enti subentranti»
(sentenza n. 205
del 2016, punto 6.2. del Considerato in diritto).
Dopo tale pronuncia, il
dovere dello Stato di riassegnare le risorse in questione agli enti subentranti
nell’esercizio delle funzioni non fondamentali è già stato fatto valere davanti
a questa Corte dalla Regione Lombardia, che ha impugnato l’intera legge 11
dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario
2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019) perché, in contrasto con
l’art. 119 della Costituzione, non aveva disposto alcuna riassegnazione delle
risorse de quibus a favore delle regioni e degli enti
locali subentrati nell’esercizio delle funzioni provinciali non fondamentali.
Le questioni sollevate dalla Regione Lombardia sono state dichiarate
inammissibili per genericità del petitum e per la
natura discrezionale della scelta oggetto dell’intervento additivo richiesto,
ma la sentenza con cui sono state decise ribadisce, nella forma di un monito
allo Stato, «quanto asserito nella sentenza n. 205 del
2016 con riguardo all’esistenza stessa di tale dovere [di riassegnazione],
alla stregua dell’art. 1, comma 97, lettera b), della legge 7 aprile 2014, n.
56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e
fusioni di comuni) e, ancor prima, della logica stessa del processo di riordino
delle funzioni provinciali non fondamentali», aggiungendo che «la realizzazione
di tale riforma non deve comportare una compromissione delle funzioni
interessate: nel "processo riorganizzativo generale delle Province […]
l’esercizio delle funzioni a suo tempo conferite − così come
obiettivamente configurato dalla legislazione vigente − deve essere
correttamente attuato, indipendentemente dal soggetto che ne è temporalmente
titolare e comporta, soprattutto in un momento di transizione caratterizzato da
plurime criticità, che il suo svolgimento non sia negativamente influenzato
dalla complessità di tale processo di passaggio tra diversi modelli di
gestione” (sentenza
n. 10 del 2016, richiamata dalla già citata sentenza n. 205 del
2016)» (sentenza
n. 84 del 2018, punto 7 del Considerato in diritto).
2.2.– A differenza del ricorso allora proposto
dalla Regione Lombardia, il ricorso della Regione Toscana indica in primo luogo
l’ente che dovrebbe essere beneficiario della riassegnazione delle risorse. In
esso si precisa infatti che la Regione stessa è subentrata nell’esercizio di diverse
funzioni spettanti alle province e alla Città metropolitana di Firenze, in
virtù di quanto disposto dalla legge della Regione Toscana 3 marzo 2015, n. 22,
recante «Riordino delle funzioni provinciali e attuazione della legge 7 aprile
2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle
unioni e fusioni di comuni). Modifiche alle leggi regionali 32/2002, 67/2003,
41/2005, 68/2011, 65/2014», e si indicano specificamente le funzioni trasferite
alla Regione.
La Regione ha inoltre depositato
in giudizio la nota del Presidente della Regione 30 marzo 2017, n. prot.
168867/A.130, con la quale si chiede allo Stato di trasferire al bilancio
regionale le somme corrispondenti alle riduzioni di spesa di cui all’art. 1,
comma 418, della legge n. 190 del 2014 (nella nota si indicano le riduzioni
subite dalle singole province toscane in relazione agli anni 2015 e 2016).
In secondo luogo, oggetto
dell’impugnazione della Regione Toscana non è l’intera legge di bilancio del
2017 ma due specifiche disposizioni, delle quali una modifica proprio l’art. 1,
comma 418, della legge n. 190 del 2014 (art. 16, comma 1, del d.l. n. 50 del
2017) e l’altra determina l’ammontare della riduzione della spesa corrente che
ciascuna provincia e città metropolitana deve conseguire e del corrispondente
versamento, con riferimento agli anni 2017 e seguenti (art. 16, comma 2, del
citato decreto).
Il petitum
risulta dunque sufficientemente definito e non interferisce con la
discrezionalità del legislatore, giacché la Regione non chiede a questa Corte
di intervenire sulla legge di bilancio aggiungendo una nuova previsione,
estranea a quelle ivi contenute, né di disporre direttamente il trasferimento a
suo favore di un certo quantum di risorse, ma chiede di dichiarare l’illegittimità
della specifica disposizione impugnata nella parte in cui, modificando l’art.
1, comma 418, della legge n. 190 del 2014, non sancisce il dovere statale di
riassegnare agli enti subentrati nell’esercizio delle funzioni non fondamentali
le risorse di cui allo stesso comma 418 .
2.3.– Tale richiesta, come detto, è parzialmente
fondata.
Le citate sentenze n. 205 del
2016 e n. 84
del 2018 non hanno affermato il dovere dello Stato di assegnare agli enti
subentranti nell’esercizio delle funzioni non fondamentali delle province tutte
le risorse di cui all’art. 1, comma 418, della legge n. 190 del 2014, ma solo
quelle connesse allo svolgimento delle funzioni stesse. Come già sottolineato
nella sentenza
n. 205 del 2016, la riduzione della spesa corrente disposta dal comma 418 è
collegata – oltre che al riordino delle funzioni non fondamentali e al
conseguente dimezzamento dell’organico delle province, stabilito dall’art. 1,
comma 421, della legge n. 190 del 2014 – anche ad altri fattori, fra i quali in
particolare la gratuità degli incarichi politici provinciali e il miglioramento
dell’efficienza della spesa provinciale relativa alle funzioni fondamentali,
come risulta dall’ultimo periodo del comma 418, ove è previsto che l’ammontare
della riduzione per ciascun ente è determinato «tenendo conto anche della
differenza tra spesa storica e fabbisogni standard».
La questione è dunque
fondata solo con riferimento alle risorse connesse allo svolgimento delle
funzioni non fondamentali delle province, fermo restando che resta riservata alla
legislazione statale la quantificazione delle risorse da trasferire, tenuto
conto del costo delle funzioni stesse e delle complessive esigenze di bilancio.
La necessità che il riordino di tali funzioni sia accompagnato dal passaggio
delle relative risorse – oltre a risultare da diverse disposizioni della legge
n. 56 del 2014 (art. 1, commi 92, 96 e 97, lettera b) e dagli atti attuativi di
essa (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 settembre 2014,
recante «Criteri per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie,
umane, strumentali e organizzative connesse con l’esercizio delle funzioni
provinciali», e «Accordo ai sensi del comma 91 dell’art. 1 della Legge n.
56/2014 tra Governo e Regioni, sancito in Conferenza unificata, sentite le
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, concernente
l’individuazione delle funzioni di cui al comma 89 dello stesso articolo»,
dell’11 settembre 2014: punti 14, 15 e 16) – deriva dall’art. 119 Cost. Nel
momento in cui lo Stato avvia un processo di riordino delle funzioni non
fondamentali delle province, alle quali erano state assegnate risorse per
svolgerle, in attuazione dell’art. 119 Cost., questa
stessa norma costituzionale impedisce che lo Stato si appropri di quelle
risorse, costringendo gli enti subentranti (regioni o enti locali) a rinvenire
i fondi necessari nell’ambito del proprio bilancio, adeguato alle funzioni
preesistenti. L’omissione del legislatore statale lede l’autonomia di spesa
degli enti in questione (art. 119, primo comma, Cost.), perché la necessità di
trovare risorse per le nuove funzioni comprime inevitabilmente le scelte di
spesa relative alle funzioni preesistenti, e si pone altresì in contrasto con
il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse, ricavabile dall’art.
119, quarto comma, Cost. (sentenze n. 10 del
2016, n. 188
del 2015, n.
17 del 2015, n.
22 del 2012, n.
206 del 2001, n.
138 del 1999, n.
381 del 1990), perché all’assegnazione delle funzioni non corrisponde
l’attribuzione delle relative risorse, nonostante quanto richiesto dalla legge
n. 56 del 2014 e dalla sentenza n. 205 del
2016 di questa Corte. La necessità del finanziamento degli enti destinatari
delle funzioni amministrative, del resto, si fonda sulla «logica stessa del
processo di riordino delle funzioni» (sentenza n. 84 del
2018), come è confermato dai diversi atti legislativi che hanno
disciplinato conferimenti di funzioni: si vedano gli artt. 3, comma 1, lettera
b), e 7, comma 1, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il
conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma
della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa); gli
artt. 3, comma 3, e 7 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed
agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59);
l’art. 149, comma 12, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali); l’art. 2, comma 5, della
legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3); gli artt. 2,
comma 2, lettera ll), 8, comma 1, lettera i), e 10
della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo
fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione); l’art. 19, comma
2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza
pubblica).
Poiché l’interpretazione
accolta dalla sentenza
n. 205 del 2016 di questa Corte non ha trovato riscontro nel successivo
operato dello Stato, si rende ora necessario sancire il dovere statale di
riassegnazione delle risorse con una pronuncia di accoglimento che dichiari
illegittimo l’art. 16, comma 1, nella parte in cui – modificando l’art. 1,
comma 418, della legge n. 190 del 2014 – non prevede la riassegnazione alle
regioni e agli enti locali, subentrati nelle diverse regioni nell’esercizio
delle funzioni provinciali non fondamentali, delle risorse acquisite dallo
Stato per effetto dell’art. 1, commi 418 e 419, della legge n. 190 del 2014 e
connesse alle stesse funzioni non fondamentali. Resta riservata al legislatore
statale l’individuazione, nel contesto delle valutazioni attinenti alle scelte
generali di bilancio, del quantum da trasferire, con l’onere tuttavia di rendere
trasparenti, in sede di approvazione dell’atto legislativo di riassegnazione
delle risorse, i criteri seguiti per la quantificazione (sul rilievo
dell’istruttoria tecnica ai fini del controllo di costituzionalità sentenze n. 20 del
2018, n. 124
del 2017, n.
133 del 2016, n.
70 del 2015).
In relazione all’art. 16,
comma 2, che non modifica l’art. 1, comma 418, della legge n. 190 del 2014 ma
si limita a fissare l’ammontare della riduzione della spesa corrente che
ciascuna provincia e città metropolitana deve conseguire e del corrispondente
versamento, per gli anni 2017 e seguenti, la questione va dichiarata non
fondata.
3.– Tutte le Regioni ricorrenti impugnano l’art.
39 del d.l. n. 50 del 2017, recante una disposizione che incide sul riparto del
fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del
trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto
ordinario.
Tale fondo è istituito
dall’art. 16-bis, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni
urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai
cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore
bancario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, e
è alimentato da una compartecipazione al gettito derivante dalle accise sul
gasolio per autotrazione e sulla benzina. Il comma 3 dello stesso art. 16-bis
prevede che i criteri e le modalità di riparto delle risorse del fondo fra le
regioni a statuto ordinario sono definiti con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, previa intesa in sede di Conferenza unificata. I
criteri di riparto sono diretti a incentivare le regioni e gli enti locali a
razionalizzare e favorire un incremento dell’efficienza nella programmazione e
gestione dei servizi relativi al trasporto pubblico locale, mediante:
un’offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il
soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico; il progressivo incremento
del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi; la progressiva riduzione
dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e un corrispondente
incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata; la
definizione di livelli occupazionali appropriati; la predisposizione di
strumenti di monitoraggio e di verifica. Il successivo comma 5 prevede che la
ripartizione è operata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da
emanare, sentita la Conferenza unificata, entro il 30 giugno di ciascun anno.
I criteri di riparto del
fondo sono stati poi modificati dall’art. 27 dello stesso d.l. n. 50 del 2017.
Sono qui di particolare rilievo la lettera e) del comma 2 e il comma 4
dell’art. 27, che così recitano: «in ogni caso, al fine di garantire una
ragionevole certezza delle risorse finanziarie disponibili, il riparto
derivante dall’attuazione delle lettere da a) a d) non può determinare per
ciascuna regione una riduzione annua maggiore del cinque per cento rispetto
alla quota attribuita nell’anno precedente; ove l’importo complessivo del Fondo
nell’anno di riferimento sia inferiore a quello dell’anno precedente, tale
limite è rideterminato in misura proporzionale alla riduzione del Fondo
medesimo. Nel primo quinquennio di applicazione il riparto non può determinare
per ciascuna regione, una riduzione annua maggiore del 10 per cento rispetto
alle risorse trasferite nel 2015; ove l’importo complessivo del Fondo nell’anno
di riferimento sia inferiore a quello del 2015, tale limite è rideterminato in
misura proporzionale alla riduzione del Fondo medesimo» (comma 2, lettera e);
«[n]elle more dell’emanazione del decreto di cui all’alinea del comma 2 [id
est: il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, adottato di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza
unificata, che deve ripartire le risorse del fondo entro il 30 giugno di ogni
anno], […] è ripartito, entro il 15 gennaio di ciascun anno, tra le regioni, a
titolo di anticipazione, l’ottanta per cento dello stanziamento del Fondo.
L’anticipazione è effettuata sulla base delle percentuali attribuite a ciascuna
regione l’anno precedente. Le risorse erogate a titolo di anticipazione sono
oggetto di integrazione, di saldo o di compensazione con gli anni successivi.
La relativa erogazione alle regioni a statuto ordinario è disposta con cadenza
mensile» (comma 4).
L’impugnato art. 39 del
d.l. n. 50 del 2017 si inserisce in questo quadro disponendo, al comma 1, che
per il quadriennio 2017-2020, ai fini di coordinamento della finanza pubblica,
una quota del 20 per cento del fondo è riconosciuta alla regione a condizione
che essa entro il 30 giugno di ciascun anno abbia certificato – con successiva
formalizzazione mediante intesa in sede di Conferenza unificata da raggiungere
entro il l0 luglio di ciascun anno – l’avvenuta erogazione a ciascuna provincia
e città metropolitana del rispettivo territorio delle risorse per l’esercizio
delle funzioni ad esse conferite, in conformità alla legge regionale di
attuazione dell’Accordo sancito tra Governo e regioni in sede di Conferenza
unificata dell’11 settembre 2014.
Si tratta dell’Accordo
intervenuto ai sensi dell’art. l, comma 91, della legge n. 56 del 2014, con cui
si è delineato il quadro attuativo del riordino delle funzioni delle province e
si è stabilito che le regioni avrebbero proceduto all’approvazione delle leggi
contenenti i criteri e le modalità di trasferimento delle funzioni non fondamentali
esercitate dalle province, individuando altresì l’ente cui trasferire le
funzioni regionali che erano state delegate alle province e impegnandosi
inoltre a garantire il criterio di sussidiarietà e adeguatezza e a curare le
modalità di trasferimento del personale e la gestione delle risorse.
Con l’inizio del 2016,
tutte le regioni a statuto ordinario hanno adottato la normativa sul riordino
delle funzioni delle province in attuazione della legge n. 56 del 2014 e
dell’accordo Stato-regioni dell’11 settembre 2014.
La disposizione, pertanto,
subordina per un quadriennio il riconoscimento integrale alle regioni delle
quote del fondo nazionale trasporti alla condizione che esse abbiano erogato le
risorse necessarie per l’esercizio delle funzioni conferite alle province e
alle città metropolitane a seguito del riordino. L’avveramento della condizione
è certificato ogni anno da ciascuna regione e formalizzato da un’intesa in sede
di Conferenza unificata, entro termini prefissati. In caso di mancata intesa, il
riconoscimento della quota "bloccata” è deliberato dal Consiglio dei ministri.
3.1.– L’art. 39 del d.l. n. 50 del 2017 è
censurato con riferimento a plurimi parametri.
Un gruppo di censure
attiene alla violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, Cost. La
disposizione impugnata, prevedendo la decurtazione puntuale di una voce del
bilancio regionale dedicata al trasporto pubblico locale senza garanzia di
transitorietà, non rispetterebbe le condizioni che legittimano lo Stato a
dettare norme di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica.
Essa attribuirebbe inoltre direttamente al Governo un potere di verifica e
sorveglianza sull’intero spettro delle attività amministrative e finanziarie
della regione, anche in assenza di uno squilibrio finanziario, apprestando così
uno strumento sproporzionato rispetto al fine perseguito. Ne deriverebbe il
contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. e
l’invasione della competenza esclusiva residuale in materia di trasporto
pubblico locale attribuita alle regioni dall’art. 117, quarto comma, Cost.
Sarebbe altresì violata
l’autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria delle regioni in materia
di trasporto pubblico locale, nonché in generale la loro autonomia politica, in
quanto esse si vedrebbero private, in applicazione di un meccanismo
sanzionatorio incongruo e ingiusto, della possibilità di perseguire i fini di
interesse pubblico affidati alle loro cure e di orientare liberamente le
proprie scelte politiche (sono variamente evocati gli artt. 114, 118 e 119
Cost.).
Lo specifico contrasto con
l’art. 119 Cost. emergerebbe inoltre dai seguenti
rilievi.
In primo luogo, la
disposizione impugnata produrrebbe l’effetto di ridurre e rendere incerte nel
loro ammontare complessivo le risorse destinate al trasporto pubblico locale,
eccedendo dai limiti del coordinamento della finanza pubblica e non prevedendo
risorse aggiuntive o interventi speciali.
Inoltre, essa "taglierebbe”
il finanziamento del trasporto pubblico locale in modo arbitrario, senza consentire
la possibilità di riprogrammare e gestire il servizio e senza assicurare la
previa disponibilità delle risorse destinate al finanziamento delle funzioni
riassegnate ad altri enti, in attuazione della legge n. 56 del 2014 e della sentenza n. 205 del
2016, con cui questa Corte ha ritenuto che il versamento allo Stato delle
risorse sottratte a province e città metropolitane per effetto dell’art. 1,
comma 418, della legge n. 190 del 2014 «[…] è specificamente destinato al
finanziamento delle funzioni provinciali non fondamentali e che tale misura si
inserisce sistematicamente nel contesto del processo di riordino di tali
funzioni e del passaggio delle relative risorse agli enti subentranti».
La disposizione violerebbe
poi il principio di leale collaborazione, per la natura e le finalità
dell’intesa prevista al comma 1 della norma impugnata, e per la previsione
della deliberazione del Consiglio dei ministri in mancanza dell’intesa (alcune
ricorrenti evocano fra gli altri gli artt. 114, primo e secondo comma, 118,
primo e secondo comma, e 120, secondo comma, Cost.).
Il procedimento congegnato
dal legislatore comporterebbe un intralcio alla gestione regionale delle
risorse e lederebbe le competenze regionali in materia di trasporto pubblico
locale, con un meccanismo sostitutivo non conforme all’art. 8 della legge n.
131 del 2003, giacché la deliberazione del Consiglio dei ministri non sarebbe
assunta in contraddittorio con il Presidente della Regione interessata e sulla
base di criteri predeterminati. Sarebbero violati anche i principi di
«attribuzione, sussidiarietà e differenziazione», e l’intesa, traducendosi in
uno strumento di controllo contabile-finanziario diretto alla verifica del trasferimento
delle risorse derivanti dall’Accordo sancito in sede di Conferenza unificata
tra Stato e regioni l’11 settembre 2014, assumerebbe inedite finalità e
modalità non conformi alla Costituzione, espressive di un rapporto di gerarchia
anziché dell’obiettivo di evitare i conflitti causati dall’inestricabile
connessione di competenze regionali e statali.
Un ulteriore gruppo di
censure attiene alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost.,
per lesione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità (declinati da
alcune ricorrenti anche sotto i profili della contraddittorietà logica della
norma e della tutela dell’affidamento) nonché del principio di buon andamento
dell’azione amministrativa.
La previsione impugnata
perseguirebbe irragionevoli e sproporzionate finalità di tipo sanzionatorio nei
confronti delle regioni, sottraendo risorse statali alla funzione fondamentale
del trasporto pubblico locale e introducendo un sistema coercitivo
insoddisfacente e incongruo, operante in danno degli interessi della collettività.
Essa contrasterebbe illogicamente con le previsioni contenute nell’art. 27
dello stesso d.l. n. 50 del 2017, che assicurano alle regioni un’anticipazione
pari all’80 per cento del fondo in questione, e con la necessità di assicurare
livelli di omogeneità nella prestazione del servizio su tutto il territorio
nazionale, disciplinando un procedimento con termini stringenti per la
certificazione regionale e per il raggiungimento dell’intesa ma non per il
riconoscimento delle risorse da parte del Governo in mancanza dell’intesa. Ciò
differenzierebbe il finanziamento del trasporto pubblico locale tra regione e
regione, con effetti sulla provvista destinata ai contratti di servizio in
corso e con l’esposizione delle pubbliche amministrazioni al rischio di
contenziosi. Il procedimento di formalizzazione con intesa, farraginoso e
inutilmente gravoso, porterebbe a un differimento del termine per la
certificazione regionale, modificandone la natura da atto dichiarativo ad atto
di volizione, e, in mancanza di intesa, affiderebbe la decisione, di natura
tecnico-finanziaria, di erogazione della quota a un organo politico quale il
Consiglio dei ministri. Le regioni sarebbero inoltre costrette a operare già
dal 2017 un accantonamento di bilancio pari al 20 per cento delle risorse
destinate al trasporto pubblico locale, sicché l’obiettivo di assicurare
l’erogazione agli enti locali delle risorse necessarie per le funzioni a essi
conferite sarebbe perseguito mettendo a rischio lo stesso svolgimento di una di
tali funzioni, e cioè il trasporto pubblico locale. Infine, le regioni
sarebbero irragionevolmente tenute a trasferire entro il 30 giugno di ogni anno
agli enti locali tutte le risorse per lo svolgimento delle funzioni conferite,
compresa la quota maggioritaria afferente al trasporto pubblico locale, mentre
lo Stato potrebbe destinare alle regioni stesse solo l’80 per cento delle
risorse riservate a quest’ultima funzione, avvalendosi di una misura che riduce
risorse statali necessarie per erogare gli stessi finanziamenti oggetto della
certificazione regionale.
3.2.– Prima di esaminare le singole questioni, va
escluso che sulla definizione del presente giudizio possa incidere il
sopravvenuto raggiungimento dell’intesa prevista dal comma 1 della disposizione
impugnata, sancito dalla Conferenza unificata nella seduta del 21 settembre
2017, e riferito dalle parti nelle memorie illustrative.
La sopravvenienza
dell’intesa non fa venire meno l’interesse delle ricorrenti all’impugnazione,
sia perché il suo raggiungimento non elimina il vulnus alle prerogative
regionali lamentato nei ricorsi delle regioni, sia perché l’intesa raggiunta
vale solo per il 2017, e non per gli anni successivi fino al 2020, per i quali
dovrà essere reiterata anno per anno previa certificazione delle regioni, come
condizione per il riparto integrale del fondo.
3.3.– Le questioni che denunciano la violazione
delle competenze e dell’autonomia regionali (artt. 114, 117, terzo e quarto
comma, 118 e 119 Cost.) non sono fondate.
L’incipit dell’art. 39 del
d.l. n. 50 del 2017 ne dichiara le finalità di «[…] coordinamento della finanza
pubblica», evocando in tal modo una competenza statale concorrente ex art. 117,
terzo comma, Cost.
Questa Corte ha
ripetutamente affermato che l’autoqualificazione compiuta dal legislatore «[…]
non vale ad attribuire alle norme una natura diversa da quella ad esse propria,
quale risulta dalla loro oggettiva sostanza», sicché «[p]er
individuare la materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni
oggetto di censura, non assume rilievo la qualificazione che di esse dà il
legislatore, ma occorre fare riferimento all’oggetto e alla disciplina delle
medesime, tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli effetti marginali e
riflessi, in guisa da identificare correttamente anche l’interesse tutelato (ex
plurimis: sentenze n. 207 del
2010; n. 1
del 2008; n.
169 del 2007; n.
447 del 2006; n.
406 e n. 29
del 1995)» (sentenza
n. 203 del 2012).
Nondimeno, nel caso in
esame la natura della norma appare conforme alla qualificazione che ne dà il
testo legislativo.
Il fatto che l’art. 39 del
d.l. n. 50 del 2017 non imponga limiti alla spesa complessiva delle regioni,
fissando obiettivi di suo riequilibrio e contenimento, non osta alla propria
riconducibilità ai principi di «coordinamento della finanza pubblica». Come
questa Corte ha già avuto modo di affermare, infatti, tale materia «[…] non può
essere limitata alle norme aventi lo scopo di limitare la spesa, ma comprende
anche quelle aventi la funzione di "riorientare” la spesa pubblica […], per una
complessiva maggiore efficienza del sistema» (sentenza n. 272 del
2015).
Scopo della disposizione
impugnata è assicurare che a province e città metropolitane siano
effettivamente erogate le risorse necessarie per l’esercizio delle funzioni non
fondamentali ad esse conferite dalle regioni in attuazione dell’Accordo dell’11
settembre 2014 nel quadro del riordino di tali funzioni disposto dalla legge n.
56 del 2014. Questo scopo è perseguito mediante la predisposizione di un
meccanismo incentivante che subordina il riconoscimento di una quota del fondo
per il trasporto pubblico locale all’erogazione delle risorse da parte delle
regioni e, in questa logica, alla previsione può essere riconosciuta la natura
di principio di coordinamento della finanza pubblica, rientrando in essa sia la
fissazione delle modalità di verifica dei trasferimenti finanziari mediante le
certificazioni e le conseguenti intese annuali entro termini prefissati, sia la
subordinazione a tale verifica del riparto integrale del fondo, con la
conseguenza di porre così in essere una penalizzazione per le regioni
inadempienti.
La circostanza che la norma
possa costituire una prescrizione specifica rivolta alle regioni non esclude,
di per sé, il suo carattere di norma di principio. Come questa Corte ha
ripetutamente affermato, «la stessa nozione di principio fondamentale non può
essere cristallizzata in una formula valida in ogni circostanza, ma deve tenere
conto del contesto, del momento congiunturale in relazione ai quali
l’accertamento va compiuto e della peculiarità della materia» (sentenza n. 16 del
2010). Pertanto, possono essere ricondotte nell’ambito dei principi di
coordinamento della finanza pubblica anche norme puntuali adottate dal
legislatore per realizzare in concreto la finalità del coordinamento
finanziario, che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli
territoriali sub-statali (sentenze n. 38 del
2016, n. 153
del 2015 e n.
237 del 2009), giacché «il finalismo» insito in tale genere di disposizioni
esclude che possa invocarsi «la logica della norma di dettaglio» (sentenza n. 205 del
2013). In linea con questa ricostruzione finalistica del coordinamento, è
stato altresì affermato che «la specificità delle prescrizioni, di per sé,
neppure può escludere il carattere di principio di una norma, qualora essa
risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione (sentenze n. 237 del
2009 e n.
430 del 2007)» (sentenza n. 16 del
2010).
Anche per i meccanismi
specifici individuati dalla norma impugnata è ravvisabile un rapporto di coessenzialità con il principio di coordinamento
perseguito, giacché, una volta assunto dal legislatore l’obiettivo generale di
assicurare, mediante una misura a un tempo incentivante e sanzionatoria nei
confronti delle regioni, i trasferimenti delle risorse per le funzioni
conferite dalle regioni stesse alle province e alle città metropolitane, la
specificazione puntuale della misura destinata allo scopo appare mezzo
necessario al suo raggiungimento (in senso analogo, sentenza n. 38 del
2016).
A sua volta, la
transitorietà della misura, quale ulteriore condizione legittimante l’esercizio
della competenza statale in materia, risulta soddisfatta dall’espressa
limitazione dell’efficacia della previsione al quadriennio 2017-2020.
La disposizione impugnata,
incidendo sulla ripartizione fra le regioni del fondo nazionale per il concorso
finanziario dello Stato agli oneri di tale servizio, ha indubbia attinenza
anche con il trasporto pubblico locale, materia che, come questa Corte ha
reiteratamente affermato, rientra nell’ambito delle competenze residuali delle
regioni di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (sentenze
n. 211 del 2016, n. 30 del 2016,
n. 452 del 2007,
n. 80 del 2006
e n. 222 del
2005).
Per costante giurisprudenza
costituzionale, tuttavia, la funzione statale di coordinamento della finanza
pubblica prevale su tutte le competenze regionali, anche esclusive (ex plurimis, sentenze n. 65 del
2016, n. 250
del 2015 e n.
151 del 2012), sicché la qualificazione dell’art. 39 del d.l. n. 50 del
2017 come principio statale di coordinamento della finanza pubblica comporta la
prevalenza di questo titolo di competenza sulla invocata potestà legislativa
regionale in materia di trasporto pubblico locale.
Alle stesse conclusioni di
prevalenza della competenza statale in materia di coordinamento finanziario si
deve pervenire anche per quel che riguarda la lamentata incidenza della
disposizione in esame sull’autonomia amministrativa e finanziaria delle regioni
ex artt. 118 e 119 Cost.
Con specifico riguardo poi
al censurato pregiudizio all’esercizio delle funzioni in materia di trasporto
pubblico locale, ricondotto alla violazione dell’art. 119, quarto comma, Cost.,
si deve preliminarmente osservare che i ricorsi, contrariamente a quanto assume
l’Avvocatura, sono assistiti da sufficiente motivazione sulla lesività della
norma impugnata, essendo in essi adeguatamente prospettata l’incidenza della
misura introdotta dal legislatore statale sulle risorse destinate a tali
funzioni nonché sulla programmazione e gestione del relativo servizio.
Tuttavia nel merito le
questioni sono infondate, non avendo offerto le ricorrenti adeguata prova
dell’impossibilità di svolgere le funzioni in esame per effetto della
disposizione impugnata, com’è invece richiesto dalla costante giurisprudenza di
questa Corte (ex plurimis, sentenze 239 e n. 89 del 2015,
n. 26 e n. 23 del 2014).
Neppure i dati finanziari relativi al 2017 forniti da alcune Regioni sono
idonei a dimostrare l’assunto, e ciò senza considerare che il sopravvenuto
raggiungimento dell’intesa e il conseguente "sblocco” della quota residua del
fondo statale per il 2017 hanno neutralizzato l’impatto sui rispettivi bilanci
lamentato nell’immediatezza dalle ricorrenti.
3.4.– Nemmeno le questioni che denunciano la
violazione del principio di leale collaborazione (artt. 114, primo e secondo
comma, 118, primo e secondo comma, e 120, secondo comma, Cost.) sono fondate.
Quanto alle censure
relative a finalità e modalità dell’intesa prevista al comma 1, si deve
osservare che la verifica delle risorse erogate dalle regioni alle province e
alle città metropolitane in attuazione dell’Accordo sancito in Conferenza
unificata l’11 settembre 2014 non costituisce un obiettivo estraneo alla sede
concertativa. Il principio di leale collaborazione consente infatti, per la sua
elasticità, di avere riguardo alle peculiarità delle singole situazioni, sicché
il confronto tra Stato e regioni è suscettibile di essere organizzato in modi
diversi per forme e intensità (sentenze n. 192 del
2017, n. 83
del 2016, n.
50 del 2005 e n.
308 del 2003). Una volta fissato dal legislatore statale l’obiettivo di
assicurare il trasferimento delle risorse per le funzioni non fondamentali
conferite a province e città metropolitane dalle leggi regionali emanate in
attuazione del citato Accordo nel quadro del riordino di cui alla legge n. 56
del 2014, l’intesa in sede di Conferenza unificata è strumento idoneo – in
applicazione di una scelta discrezionale dello stesso legislatore – al fine di
accertare con metodo condiviso l’effettività delle erogazioni sulla base di
dati e informazioni forniti dalle regioni e nel confronto di tutti gli enti interessati.
La natura di accertamento
propria dell’intesa qui esaminata non sembra inoltre modificare le conclusioni
di compatibilità del meccanismo con il principio di leale collaborazione, ben
potendo la sede concertativa essere dedicata anche ad azioni diverse dalla
volizione, come avviene ad esempio quando si recepisce uno stato di fatto o si
opera una ricognizione.
Le censure che si appuntano
sulla deliberazione del Consiglio dei ministri prevista al comma 2
presuppongono, erroneamente, che la norma impugnata disciplini in parte qua una
forma di esercizio del potere sostitutivo dello Stato ex art. 120, secondo
comma, Cost. Con la prevista deliberazione il Governo provvede definitivamente
sul riparto tra le regioni di risorse statali, come sono quelle che
costituiscono il fondo per il trasporto pubblico locale, nel caso in cui manchi
l’intesa sulla certificazione regionale di cui al comma 1. Poiché dunque il
Governo esercita una funzione sua propria e non si sostituisce alle regioni
nelle loro attribuzioni, secondo quanto previsto all’art. 120, secondo comma, Cost., la norma che disciplina il relativo potere non deve
necessariamente delineare un procedimento rispettoso dell’art. 8 della legge n.
131 del 2003, che prevede particolari garanzie a tutela del contraddittorio con
la regione per l’ipotesi in cui il Governo eserciti il suo potere sostitutivo.
3.5.– Quanto alle questioni promosse con
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri
ne ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità per difetto di motivazione
sulla ridondanza dell’asserita lesione di tali parametri sulle competenze
regionali.
L’eccezione non è fondata.
Per costante giurisprudenza
di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 13 del
2017, n. 287,
n. 251, n. 244, n. 147 e n. 145 del 2016),
le regioni possono evocare parametri di legittimità costituzionale diversi da
quelli che sovrintendono al riparto di competenze fra Stato e regioni solo a
due condizioni: che la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a
riverberarsi sulle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite e che le
regioni ricorrenti abbiano sufficientemente motivato in ordine alla ridondanza
della lamentata illegittimità costituzionale sul riparto di competenze,
indicando la specifica competenza che risulterebbe offesa e argomentando
adeguatamente in proposito.
Entrambe le condizioni sono
in concreto rispettate.
La Regione Veneto deduce
che «l’irragionevolezza della disposizione impugnata appare […] lesiva
dell’artt. 3 Cost. oltreché dell’art. 97 Cost., in
quanto idonea a pregiudicare in concreto il buon andamento dell’agire
amministrativo e il soddisfacimento degli interessi pubblici ad esso sottesi.
Lesioni, queste, che ridondano a loro volta in una lesione (la cui gravità è
già stata sottolineata) delle competenze regionali nella materia del trasporto
pubblico locale, ascrivibile alla potestà legislativa regionale residuale ai
sensi dell’art. 117, comma 4, Cost. (v. ex multis, sentenza n. 273/2013,
42/2008, 452/2007)». Il
ricorso motiva sul punto, argomentando diffusamente sulle ragioni della
lesione.
La ricorrente dà dunque
conto della ridondanza sulle sue attribuzioni della lamentata violazione dei
parametri non riguardanti la competenza regionale, con l’indicazione delle
attribuzioni costituzionali in materia di trasporto pubblico locale ex art.
117, quarto comma, Cost., che ne sarebbero
potenzialmente lese. Come visto, infatti, la disciplina statale impugnata, pur
trovando il proprio titolo di legittimazione nella prevalenza della competenza
statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, potrebbe
interferire con la citata materia regionale.
Analoghe conclusioni
valgono anche per gli altri ricorsi.
La Regione Campania deduce
che la violazione degli artt. 3 e 97 Cost. «[…] ridonda anche in termini di
contrasto con la disposizione di cui all’art. 119, comma 4 della Costituzione»,
lamentando tra l’altro «[…] le interferenze nell’esercizio delle funzioni
regionali connesse all’erogazione di un servizio fondamentale, quale quello dei
trasporti». Il ricorso argomenta sinteticamente circa i riflessi pregiudizievoli
della violazione dei suddetti parametri «[…] sulla gestione e sulla erogazione
dei servizi di trasporto pubblico locale la cui competenza è posta in capo alle
Regioni». È dunque prospettata e sufficientemente motivata la lesione indiretta
dell’autonomia finanziaria regionale ex art. 119 Cost.,
oltre che della competenza residuale in materia di trasporto pubblico locale,
pur non essendo espressamente indicato l’art. 117, quarto comma, Cost.
La Liguria, la Lombardia e
il Piemonte censurano la norma perché, dettando disposizioni puntuali,
invaderebbe la sfera di competenza regionale residuale in materia di trasporto
pubblico locale, e sostengono in definitiva che tale invasione si rivelerebbe
anche irragionevole e lesiva del buon andamento dell’amministrazione. Argomenti
sostanzialmente analoghi sono spesi dalla Toscana, che lamenta la sola
violazione dell’art. 97 Cost.
Le questioni superano
quindi il vaglio dell’ammissibilità.
3.5.1.– Passando al merito,
si rammenta innanzitutto lo scopo della norma impugnata, ossia assicurare a
province e città metropolitane le risorse necessarie per l’esercizio delle
funzioni a esse conferite dalle regioni, in attuazione dell’Accordo dell’11
settembre 2014, attraverso un meccanismo che, subordinando il «riconoscimento»
di una quota del fondo per il trasporto pubblico locale alla verifica
dell’erogazione delle risorse, introduce una penalizzazione per le regioni
inadempienti, le quali subiscono dal risultato negativo della verifica il
mancato «riconoscimento» (e dunque la decurtazione) della quota del fondo.
Censurandone la
ragionevolezza, le ricorrenti lamentano che la disposizione, laddove nega il
«riconoscimento» del 20 per cento del fondo alla regione che non abbia
trasferito le risorse a province e a città metropolitane, può colpire regioni
che, nell’anno di riferimento, non sono state in grado di provvedere per cause
legate, anche solo in parte, a fattori a esse non imputabili. Tale circostanza
potrebbe dipendere ad esempio dal mancato trasferimento finanziario alle
regioni da parte di altri soggetti, e segnatamente dello Stato e, in tale caso,
potrebbe assumere specifico rilievo il profilo (messo in evidenza da Toscana,
Veneto e, tramite il richiamo a un documento della Conferenza delle Regioni e
delle Province autonome, dal Piemonte) concernente le risorse versate allo
Stato da province e città metropolitane ai sensi dell’art. 1, comma 418, della
legge n. 190 del 2014, ovvero recuperate sulla base del meccanismo previsto dal
comma 419 della stessa disposizione, e non riassegnate dallo Stato agli enti
subentranti nell’esercizio delle funzioni non fondamentali, di cui si è
trattato in precedenza.
La mancata considerazione
delle cause dell’inadempimento renderebbe ipotetica e, in definitiva, aleatoria
l’idoneità della norma a conseguire la sua finalità, dal momento che nei casi
in cui l’omissione non fosse superabile con un’attività rientrante nelle scelte
di azione e di organizzazione proprie dell’ente regionale, la minaccia del
blocco della quota del fondo per il trasporto pubblico locale non potrebbe
sortire l’effetto auspicato.
Le censure muovono tuttavia
da un erroneo presupposto interpretativo: la norma impugnata non fa
automaticamente discendere la penalizzazione in essa prevista dalla verifica
dei mancati trasferimenti a province e città metropolitane. Al contrario, si
deve ritenere che, correttamente intesa, essa subordina l’accertamento
dell’eventuale non imputabilità dell’inadempimento alla regione a un’adeguata
valutazione da compiere o nella sede concertativa prevista al comma 1 dell’art.
39 al fine del «riconoscimento» della quota del fondo o, nel caso di mancata
intesa, in occasione della deliberazione del Consiglio dei ministri di cui al
comma 2. La non imputabilità alla regione della mancata erogazione – ipotesi
che potrebbe verificarsi in concreto, come visto, nell’ipotesi dell’omessa
riassegnazione delle risorse versate allo Stato da province e città
metropolitane – accertata in quelle sedi comporterà il riconoscimento della
quota in favore della regione interessata. A fortiori ciò avverrà anche nei
confronti di quelle regioni che, pur avendo certificato le erogazioni, non
abbiano potuto ottenere il riconoscimento della quota a causa del mancato
raggiungimento dell’intesa dovuto all’inadempimento di altre regioni.
Così correttamente intesa,
dunque, la disposizione in esame non presenta i profili di irragionevolezza e
non proporzionalità individuati dalle ricorrenti nella mancata considerazione,
da parte del legislatore, delle ragioni dell’omessa erogazione e negli effetti
ritenuti distorsivi della previsione dell’intesa.
3.5.2.– La misura non è nemmeno irragionevolmente
destinata, come lamentano alcune ricorrenti, a incidere su risorse statali
necessarie per erogare gli stessi finanziamenti oggetto della certificazione
regionale. La norma che la prevede è infatti interpretabile nel senso – seguito
in sede di intesa per il 2017, raggiunta sui trasferimenti a province e città
metropolitane relativi al 2016 – che il blocco del 20 per cento del fondo
riguarda l’annualità successiva a quella cui si riferisce la certificazione
regionale dei trasferimenti finanziari a province e città metropolitane.
Neppure è fondata la tesi
di talune ricorrenti secondo cui gli effetti della norma impugnata ricadrebbero
sull’anticipazione dello stanziamento da assegnare alle regioni entro il 15
gennaio di ciascun anno, nelle more del decreto ministeriale di riparto del
fondo, ex art. 27, comma 4, dello stesso d.l. n. 50 del 2017. Né la lettera, né
la ratio dell’art. 39 impongono di ridurre del 20 per cento anche tale
anticipazione, proporzionalmente alla quota temporaneamente bloccata.
3.5.3.– Sulle censure proposte in relazione agli
artt. 3 e 97 Cost., attinenti al procedimento delineato dalla norma impugnata,
vanno richiamate in primo luogo le considerazioni svolte sopra sulla violazione
del principio di leale collaborazione. Ad esse si può aggiungere che la mancata
fissazione di un termine per la deliberazione del Consiglio dei ministri di cui
al comma 2 non è tale da comportare, di per se stessa, i rischi paventati dalle
ricorrenti di un trattamento differenziato fra le regioni nella provvista delle
risorse destinate al trasporto pubblico locale. Né si può d’altro canto
invocare il principio di affidamento, lamentando (come la Regione Lombardia)
che il legislatore statale sarebbe intervenuto unilateralmente dopo l’Accordo
sancito in sede di Conferenza unificata l’11 settembre 2014, «[…] dato che,
come affermato da questa Corte, un accordo non può condizionare l’esercizio
della funzione legislativa (sentenze n. 160 del
2009 e n.
437 del 2001)» (sentenza n. 205 del
2016).
3.5.4.– Ciò precisato, si deve passare a considerare
un ulteriore profilo della censura di violazione del principio di
proporzionalità ex art. 3 Cost. Pur dovendosi infatti escludere per le ragioni
fin qui svolte che la misura prevista nella disposizione impugnata arrechi di
per se stessa al principio un vulnus tale da imporne la caducazione, nondimeno
una violazione deve essere ravvisata nello specifico trattamento riservato dal
legislatore all’inadempimento delle regioni, da identificare nella parte della
disposizione in cui la riduzione della quota del fondo per il trasporto
pubblico locale è stabilita nella misura fissa del 20 per cento, qualunque sia
l’entità dei mancati trasferimenti regionali rispetto alla totalità del dovuto.
Questa Corte ha più volte
affermato che «[…] il principio di proporzionalità, […] se deve sempre
caratterizzare il rapporto fra violazione e sanzione (sentenze n. 132 e n. 98 del 2015,
n. 254 e n. 39 del 2014,
n. 57 del 2013,
n. 338 del 2011,
n. 333 del 2001),
tanto più deve trovare rigorosa applicazione nel contesto delle relazioni fra
Stato e regioni, quando, come nel caso in esame, la previsione della sanzione
ad opera del legislatore statale comporti una significativa compressione
dell’autonomia regionale (sentenze n. 156 del 2015,
n. 278 e n. 215 del 2010,
n. 50 del 2008,
n. 285 e n. 62 del 2005,
n. 272 del 2004)»,
precisando che «[…] il test di proporzionalità […] "richiede di valutare se la
norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione
stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente
perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno
restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati
rispetto al perseguimento di detti obiettivi” (sentenza n. 1 del 2014)»
(sentenza n. 272
del 2015).
La rigida previsione di una
sanzione fissa per qualsiasi inadempimento, a prescindere dalla sua
consistenza, non solo non è di per sé idonea a raggiungere i fini perseguiti –
far sì che le regioni eroghino tempestivamente tutte le risorse per lo
svolgimento delle funzioni da esse conferite a province e città metropolitane –
ma può comportare un onere sproporzionato anche rispetto al loro
raggiungimento, giacché le regioni si vedrebbero riservate, anche in caso di
modeste inadempienze, un trattamento di penalizzazione – la decurtazione del 20
per cento del fondo – destinato a incidere in modo significativo e
ingiustificato sull’erogazione del servizio di trasporto pubblico locale, e per
giunta irragionevolmente identico a quello riservato alle regioni responsabili
invece di omissioni di maggiore impatto sulle esigenze finanziarie di province
e città metropolitane.
Ciò chiarito
sull’illegittimità costituzionale dell’automatismo della misura prevista dalla
norma censurata, si può osservare che la norma stessa consente di individuare
nell’ammontare annuo delle risorse non erogate da ciascuna regione – che pur vi
sarebbe tenuta in conformità alle leggi di attuazione dell’Accordo dell’11
settembre 2014 – il parametro al quale commisurare proporzionalmente la
decurtazione percentuale della quota, fino alla misura massima del 20 per cento
già determinata dal legislatore, onde renderla adeguata all’effettiva rilevanza
dell’inadempimento, e in questi termini indenne dal vizio indicato.
Per queste ragioni va
dichiarata l’illegittimità dell’art. 39 del d.l. n. 50 del 2017 nella parte in
cui determina la riduzione della quota del fondo per il trasporto pubblico
locale spettante alla regione interessata nella misura del 20 per cento,
anziché fino al 20 per cento, in proporzione all’entità della mancata
erogazione a ciascuna provincia e città metropolitana del rispettivo territorio
delle risorse per l’esercizio delle funzioni ad esse conferite.
3.5.5.– Nel resto, con riferimento agli altri
profili sollevati dal rimettente, va dichiarata la non fondatezza delle
questioni.
3.5.6.– L’istanza formulata
dalla Regione Lombardia di sospensione dell’efficacia della norma impugnata, ex
art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale), rimane assorbita dalla decisione di
merito (ex plurimis, sentenze n. 211, n. 145 e n. 141 del 2016).
4.– La Regione Veneto ha impugnato, come già
detto, anche l’art. 41-bis del d.l. n. 50 del 2017.
Tale disposizione, nel
testo vigente al momento del ricorso, stabiliva al comma 1 quanto segue: «[a]l
fine di favorire gli investimenti, per il triennio 2017-2019, sono assegnati ai
comuni, compresi, alla data di presentazione della richiesta di cui al comma 2,
nelle zone a rischio sismico 1 ai sensi dell’ordinanza del Presidente del
Consiglio dei ministri n. 3519 del 28 aprile 2006, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 108 dell’11 maggio 2006, contributi soggetti a rendicontazione a
copertura delle spese di progettazione definitiva ed esecutiva, relativa ad
interventi di opere pubbliche, nel limite di 5 milioni di euro per l’anno 2017,
di 15 milioni di euro per l’anno 2018 e di 20 milioni di euro per l’anno 2019».
Il comma 2 dell’art. 41-bis regolava la richiesta di contributo rivolta dai
comuni al Ministero dell’interno e il comma 3 disciplinava l’assegnazione del
contributo, di competenza del Ministero dell’interno, di concerto con il
Ministero dell’economia e delle finanze.
La ricorrente censura
l’istituzione di un fondo settoriale statale in materie di competenza regionale,
in violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119, quinto comma,
Cost. e del principio di leale collaborazione.
4.1.– In via preliminare, occorre definire
l’esatto oggetto della questione e verificare il rilievo dello jus superveniens.
Quanto al primo punto, la
Regione Veneto contesta l’intero art. 41-bis ma, considerando il complesso del
motivo di ricorso, mira non alla eliminazione del fondo quanto piuttosto al
coinvolgimento regionale. Nella seconda parte del motivo la Regione sottolinea
la mancata previsione di un intervento delle regioni e fa riferimento alle
«concrete modalità di funzionamento del fondo»; soprattutto dalla lettera f)
risulta che il punto censurato è il mancato coinvolgimento regionale e che per
la Regione l’unico rimedio all’illegittimità è «l’intervento diretto delle
Regioni in sede di determinazione dei criteri di ripartizione del Fondo sui
rispettivi territori e di distribuzione delle relative risorse».
L’oggetto del ricorso può
quindi essere circoscritto al comma 3 dell’art. 41-bis, che fissa i criteri da
seguire nell’assegnazione del contributo, assegnandone la competenza al
Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle
finanze, senza prevedere il coinvolgimento delle regioni.
4.2.– Quanto al secondo punto, l’art. 41-bis è
stato modificato dall’art. 17-quater, comma 1, del decreto-legge 16 ottobre
2017, n. 148 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze
indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 2017, n.
172. Il d.l. n. 148 del 2017 ha introdotto innovazioni sostanziali. In
particolare, al posto della regolazione unitaria delle tre annualità di
riferimento del contributo (dal 2017 al 2019), originariamente prevista, il
nuovo art. 41-bis differenzia la disciplina relativa agli anni 2018 e 2019.
La novità più significativa
attiene all’ambito degli interventi finanziati. Mentre la disposizione
impugnata li individuava in generici «interventi di opere pubbliche», l’attuale
art. 41-bis li identifica, per gli anni 2018 e 2019, in «interventi di
miglioramento e di adeguamento antisismico di immobili pubblici e messa in
sicurezza del territorio dal dissesto idrogeologico». In corrispondenza a ciò,
l’art. 17-quater, comma 1, lettera l), del d.l. n. 148 del 2017 ha modificato
la rubrica dell’art. 41-bis del d.l. n. 50 del 2017,
che ora è intitolato «Fondo per la progettazione definitiva ed esecutiva nelle
zone a rischio sismico e per la messa in sicurezza del territorio dal dissesto
idrogeologico».
Altre novità riguardano
l’ambito territoriale dei comuni interessati (ora i contributi sono dati ai
comuni compresi nelle zone a rischio sismico 1 e 2); l’importo complessivo dei
contributi; la previsione di un tetto massimo al contributo (nuovo comma 1-bis)
e di diverse condizioni che, in base al nuovo comma 2, devono essere
soddisfatte dalla richiesta di contributo; i criteri di priorità per il 2018 e
2019 (nuovo comma 3-bis).
Non è dunque fondata la
richiesta di trasferimento della questione avanzata dalla Regione Veneto nella
memoria integrativa, poiché il nuovo art. 41-bis, essendo stato modificato in
modo sostanziale e non satisfattivo, avrebbe dovuto essere, se del caso,
autonomamente impugnato dalla Regione (da ultimo, sentenza n. 44 del
2018).
Ribadito che l’oggetto del
ricorso è da circoscrivere al comma 3 dell’art. 41-bis, si deve dunque
aggiungere ora che la censura relativa al comma 3, motivata in base al
contenuto complessivo dell’art. 41-bis, deve essere limitata a quanto disposto
in relazione al 2017, essendo successivamente mutata la disciplina relativa
agli anni 2018 e 2019.
4.3.– Prima di definire la questione sollevata
dalla Regione Veneto, si rende opportuna una precisazione sull’ambito materiale
in cui si colloca la norma impugnata. Come visto, la ricorrente riconduce
l’art. 41-bis alle materie «governo del territorio» e «protezione civile». La
norma impugnata interviene effettivamente in tali materie (sulle costruzioni in
zona sismica si vedano, ex multis, le sentenze n. 232 e n. 60 del 2017
e n. 272 del
2016) ma essa è idonea ad incidere anche su altre. Poiché, come visto, il
contesto normativo nel quale questa Corte deve muoversi è quello
dell’originario art. 41-bis, occorre rilevare che l’originario comma 1 di tale
articolo, pur rivolto solo a comuni situati in zone sismiche, non contemplava
specificamente interventi aventi finalità antisismiche ma si riferiva a
generici «interventi di opere pubbliche». Nemmeno i primi due criteri di
priorità fissati dal comma 3 avevano a che fare con la finalità antisismica ma
facevano riferimento soltanto alla dimensione dei comuni e al livello della
progettazione.
L’attuazione ricevuta dalla
norma impugnata per il 2017 (con il decreto del Ministro dell’interno 13
dicembre 2017, recante «Contributo erariale per il finanziamento delle spese di
progettazione definitiva ed esecutiva relativa ad interventi di opere
pubbliche») conferma che le opere pubbliche finanziabili in virtù della norma
impugnata erano di vario tipo. Il decreto ministeriale ha finanziato solo opere
conformi al primo criterio di priorità – dal momento che l’ammontare delle
relative richieste superava il budget disponibile – e fra esse si trovano,
oltre a opere di adeguamento antisismico di diverse strutture, anche interventi
di altra natura.
Questa Corte ha già
chiarito, per quanto riguarda le attribuzioni legislative delle regioni
ordinarie, che «i lavori pubblici "non integrano una vera e propria materia, ma
si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono” e pertanto possono
essere ascritti, di volta in volta, a potestà legislative statali o regionali (sentenza numero 303
del 2003)» (sentenza
n. 401 del 2007; nello stesso senso, sentenze n. 45 del 2010,
n. 256 del 2007
e n. 303 del
2003). La norma impugnata è quindi idonea a incidere su materie ulteriori
rispetto al «governo del territorio» e alla «protezione civile», eventualmente
anche di competenza statale.
4.4.– Precisato ciò, si può passare ad affrontare
le questioni sollevate dalla Regione.
Auspicando «l’intervento
diretto delle Regioni in sede di determinazione dei criteri di ripartizione del
Fondo sui rispettivi territori e di distribuzione delle relative risorse», la
ricorrente chiede in sostanza a questa Corte di introdurre due distinti
raccordi con le regioni: la richiesta è inammissibile relativamente al primo
profilo, non fondata per il secondo.
In generale, la Regione fa
leva sul fatto che, come visto, l’art. 41-bis prevede un fondo suscettibile di
coinvolgere (anche) materie regionali (in primis, governo del territorio e
protezione civile), e che pertanto, secondo la costante giurisprudenza
costituzionale, dovrebbe essere previsto un coinvolgimento degli enti
territoriali (da ultimo, sentenze n. 78 e n. 71 del 2018).
Nel caso di specie, tuttavia, il richiamato orientamento non può trovare
applicazione.
La richiesta di
coinvolgimento delle regioni nella determinazione dei criteri di ripartizione
del fondo è inammissibile per oscurità della censura (sentenze n. 175 e n. 114 del 2017,
n. 127 e n. 43 del 2016).
A differenza di quanto sembra implicitamente postulare la ricorrente, la
disposizione impugnata non regola le modalità di determinazione dei criteri di
assegnazione dei contributi, che sono già direttamente fissati dalla norma
stessa (art. 41-bis, commi 3 e 4), sicché la censura avente ad oggetto la
mancata previsione di un raccordo con le regioni in sede di determinazione dei
criteri risulta oscura. Poiché i criteri sono individuati direttamente dalla
legge, non è chiaro – e comunque non è spiegato nel ricorso – in che modo
questa Corte potrebbe, con una pronuncia additiva, prevedere il richiesto
coinvolgimento.
Quanto alla richiesta
previsione di un «intervento diretto delle Regioni in sede di […] distribuzione
delle relative risorse», si può osservare che effettivamente l’art. 41-bis,
comma 3, prevede che l’assegnazione dei contributi ai comuni venga operata con
decreto ministeriale, senza alcun coinvolgimento degli enti territoriali. Ma si
deve ugualmente riconoscere che, nell’adottare tale decreto, l’amministrazione
non compie alcuna scelta né valutazioni di sorta, nemmeno di natura
semplicemente tecnica. Il comma 4 dispone infatti che, «[f]erme restando le
priorità di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 3, qualora l’entità
delle richieste pervenute superi l’ammontare delle risorse disponibili,
l’attribuzione è effettuata a favore dei comuni che presentano la maggiore
incidenza del fondo di cassa al 31 dicembre dell’esercizio precedente rispetto
al risultato di amministrazione risultante dal rendiconto della gestione del
medesimo esercizio». E, in base al comma 5, «[l]e informazioni sul fondo di
cassa e sul risultato di amministrazione sono desunte dal prospetto
dimostrativo del risultato di amministrazione allegato al rendiconto della
gestione trasmesso ai sensi dell’articolo 18, comma 2, del decreto legislativo
23 giugno 2011, n. 118, alla banca dati delle amministrazioni pubbliche […]».
In virtù di tali
previsioni, dunque, i contributi sono assegnati a seguito della mera attività
di accertamento, non complesso, di un dato contabile, come è confermato anche
dal citato decreto ministeriale attuativo del 13 dicembre 2017, che reca in
allegato la graduatoria dei comuni, redatta sulla base del rapporto fra fondo
di cassa e risultato di amministrazione. Il principio di leale collaborazione
richiede il coinvolgimento regionale nelle scelte statali o nelle valutazioni
anche non discrezionali oppure negli accertamenti complessi dello Stato, che
possano incidere sull’autonomia regionale, mentre esso risulta non pertinente
rispetto ad atti non complessi di mero accertamento di dati contabili. Questa
Corte ha già respinto censure con le quali si invocava il coinvolgimento
regionale nel procedimento di determinazione del maggior gettito riservato allo
Stato, osservando che la partecipazione regionale è necessaria «solamente se la
determinazione in concreto del gettito derivante dalle nuove norme sia
complessa» (sentenze
n. 77 del 2016, n. 42 del 2013,
n. 265 e n. 143 del 2012;
si vedano anche le sentenze n. 273 del 2013
e n. 272 del
2005).
A riprova di tale conclusione,
si può osservare che, qualora si affermasse la necessità di coinvolgere la
Conferenza unificata nella procedura di approvazione del decreto di
assegnazione dei contributi, ciò non gioverebbe all’autonomia degli enti
territoriali, visto che la loro interlocuzione in sede di riadozione del
decreto non potrebbe influire sul suo contenuto.
5.– La Regione Toscana ha impugnato anche l’art.
48, commi 4 e 6, lettera a), del d.l. n. 50 del 2017.
5.1.‒ La disposizione, secondo la ricorrente,
violerebbe in primo luogo l’art. 77, secondo comma, Cost., in quanto non
sussisterebbero i presupposti che giustificano la decretazione d’urgenza.
Si pone in via preliminare
il tema della ridondanza sul riparto delle competenze fra Stato e regioni delle
asserite violazioni di parametri diversi da quelli riguardanti tale riparto. La
ricorrente offre sul punto una adeguata motivazione facendo riferimento alla
supposta incidenza della violazione dell’art. 77 Cost. sulla
propria potestà legislativa residuale in materia di trasporto pubblico locale.
La norma statale impugnata avrebbe, a suo dire, anche l’effetto di vanificare
la disciplina contenuta all’art. 84 della legge della Regione Toscana 29
dicembre 2010, n. 65 (Legge finanziaria per l’anno 2011), che ha istituito il lotto
unico regionale come articolazione territoriale cui riferire la gara per la
scelta del gestore del servizio.
La censura supera dunque il
vaglio di ammissibilità, ma deve essere respinta nel merito.
Secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, il sindacato sulla legittimità dell’adozione,
da parte del Governo, di un decreto-legge va limitato alla verifica
dell’evidente mancanza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza
richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., o della manifesta irragionevolezza
o arbitrarietà della loro valutazione (ex plurimis, sentenze n. 287
e n. 133 del
2016, n. 10
del 2015, n.
22 del 2012, n.
93 del 2011, n.
355 e n. 83
del 2010, n.
128 del 2008,
n. 171 del 2007).
Il d.l. n. 50 del 2017 reca
«Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti
territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e
misure per lo sviluppo» e, nel suo preambolo, il Governo fa riferimento, per
quanto qui di interesse, alla necessità straordinaria e urgente di introdurre
«misure volte a favorire la crescita economica del Paese».
Tali ragioni ‒
soprattutto alla luce delle pesanti conseguenze della crisi economica che aveva
colpito il Paese ‒ non sono affette da manifesta irragionevolezza o
arbitrarietà, avuto riguardo al largo margine di elasticità che connota
l’espressione usata dalla Costituzione per indicare i presupposti della
decretazione d’urgenza, al fine di consentire al Governo di apprezzare la loro
esistenza con riguardo a una pluralità di situazioni per le quali non sono
configurabili rigidi parametri (sentenza n. 171 del
2007).
Le disposizioni
segnatamente censurate ‒ recanti misure per promuovere la più ampia
partecipazione alle procedure di scelta del gestore dei servizi di trasporto
locale e regionale, nel quadro di un complesso sinergico di interventi
riguardanti l’intero settore della mobilità (artt. da 47 a 52) ‒ non
sono, inoltre, estranee o dissonanti rispetto alle finalità dichiaratamente
perseguite dal decreto. I servizi di trasporto esercitano infatti un’influenza
decisiva sulla competitività complessiva del sistema economico, rientrando tra
le priorità industriali del Paese. L’esigenza di razionalizzarle e renderle
efficienti è resa ancor più pressante dalla circostanza che l’obbligo per tutte
le amministrazioni di concorrere al risanamento della finanza pubblica si è
tradotto negli ultimi anni in tagli ai trasferimenti erariali verso le regioni
e gli enti locali e questo ha spesso comportato una diminuzione dei servizi
offerti.
Ai fini del riconoscimento
dell’esistenza dei presupposti fattuali di cui all’art. 77, secondo comma,
Cost., questa Corte ha affermato che «[l]a urgente necessità del provvedere può
riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle
fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni
straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente
eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo
di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare»
(sentenza n. 22
del 2012).
Su queste basi la lamentata
eterogeneità ‒ tratteggiata peraltro in termini alquanto vaghi ‒
non sussiste, poiché tutte le misure contemplate dal d.l. n. 50 del 2017, per
quanto attinenti ad ambiti materiali diversi (segnatamente: finanza pubblica,
ausilio alle zone terremotate e messa in sicurezza del territorio dal dissesto
idrogeologico, rilancio economico e sociale) sono accomunate da un’intrinseca coerenza
dal punto di vista funzionale e finalistico.
5.2.‒ Con altro ordine di motivi, la Regione
Toscana deduce la violazione della potestà legislativa residuale regionale in
materia di organizzazione del servizio di trasporto pubblico locale di cui all’art.
117, quarto comma Cost., dal momento che la norma statale priverebbe gli enti
territoriali della possibilità di decidere come organizzare il servizio di
trasporto e il livello ottimale della sua gestione.
Lamenta altresì la
violazione dell’art. 117, secondo comma, Cost., in
quanto non sarebbe invocabile la potestà legislativa statale in materia di
«tutela della concorrenza». L’articolazione del bacino in più lotti non
garantirebbe maggiore efficienza e concorrenza, e la fondatezza di tale assunto
sarebbe avvalorata dall’art. 51 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50
(Codice dei contratti pubblici), che affida alla singola stazione appaltante la
scelta della deroga rispetto alla suddivisione dell’appalto in più lotti, con
l’onere di motivarla (così disporrebbe anche il "considerando” n. 78 della
direttiva 2014/24/UE, del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio
2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE).
I due ordini di motivi ‒
che, in quanto speculari, possono essere trattati congiuntamente ‒ non
sono fondati.
L’identificazione della
materia in cui si colloca la disposizione censurata richiede di fare
riferimento all’oggetto e alla disciplina da essa stabilita, tenendo conto
altresì della sua ratio e dell’interesse tutelato (ex plurimis,
sentenze n. 119
del 2014, n.
300 del 2011, n.
430 e n. 165
del 2007).
Il comma 4 dell’art. 48
prevede che, ai fini dello svolgimento delle procedure di scelta del contraente
per i servizi di trasporto locale e regionale, gli enti affidanti, con
l’obiettivo di promuovere la più ampia partecipazione, articolano i bacini di
mobilità in più lotti, oggetto di procedure di gara e di contratti di servizio,
tenuto conto delle caratteristiche della domanda e salvo eccezioni motivate da
economie di scala proprie di ciascuna modalità e da altre ragioni di efficienza
economica, nonché relative alla specificità territoriale dell’area. Tali
eccezioni sono disciplinate con delibera dell’Autorità di regolazione dei
trasporti, ai sensi dell’art. 37, comma 2, lettera f), del decreto-legge 6
dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge
22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dal comma 6, lettere a) e b), dello
stesso art. 48.
La scelta normativa di
distinguere la dimensione organizzativa ottimale del servizio di trasporto da
quella prettamente gestionale si fonda sulla considerazione che la previsione
di lotti molto ampi può non garantire un miglioramento in termini di superiore
efficienza e di ottimizzazione dei processi produttivi, atteso l’impatto talora
trascurabile delle economie di scala nel trasporto pubblico locale, in ragione
delle diverse caratteristiche geografiche e demografiche del territorio
italiano. La predisposizione di un lotto unico costituisce, al contrario, una
rilevante barriera di accesso al mercato, in quanto limita fortemente la platea
dei soggetti in possesso dei requisiti per la partecipazione alle gare per il
trasporto pubblico locale. Il ricorso a una pluralità di operatori all’interno
di uno stesso ambito territoriale ottimale consente invece che anche imprese di
medie e piccole dimensioni possano presentare, per quanto possibile, offerte in
forma singola, e che siano favorite forme di concorrenza per comparazione tra
gli operatori titolari di contratti di servizio gestiti dallo stesso soggetto
pubblico.
Così ricostruito il
contenuto e il fondamento della disposizione censurata, essa va ricondotta alla
materia della «tutela della concorrenza», di esclusiva pertinenza statale.
La giurisprudenza di questa
Corte è costante nell’affermare che la nozione di «concorrenza» di cui al
secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost., non può non riflettere quella
operante in ambito europeo (sentenze n. 83 del 2018,
n. 291 e n. 200 del 2012,
n. 45 del 2010).
Essa comprende, pertanto, sia le misure legislative di tutela in senso proprio,
intese a contrastare gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono
negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati, sia le misure
legislative di promozione, volte a eliminare limiti e vincoli alla libera
esplicazione della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese
(concorrenza "nel mercato”), ovvero a prefigurare procedure concorsuali di
garanzia che assicurino la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori
economici (concorrenza "per il mercato”). In questa seconda accezione,
attraverso la «tutela della concorrenza», vengono perseguite finalità di
ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste
ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi (sentenze n. 299 del
2012 e n.
401 del 2007).
Su queste basi, la
disciplina in esame ‒ diretta segnatamente a individuare un numero di
lotti superiore al bacino di programmazione, quale condizione necessaria (salvo
eccezioni derivanti dalle specifiche caratteristiche del mercato e del
territorio interessato) per garantire la più ampia contendibilità delle gare,
che rischierebbero di essere altrimenti riservate a pochissimi partecipanti ‒
rientra appieno nell’accezione dinamica di concorrenza, che, come detto,
contempla anche le misure pubbliche volte a favorire le condizioni di un
sufficiente sviluppo degli assetti concorrenziali.
Tale conclusione trova
riscontro anche nella giurisprudenza costituzionale che riconduce alla
competenza legislativa statale in tema di «tutela della concorrenza», sia la
disciplina concernente le modalità dell’affidamento della gestione
dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (ex plurimis,
sentenze n. 93
del 2017, n.
117 del 2015, n.
28, n. 22
e n. 2 del 2014,
n. 46 del 2013,
n. 123 del 2011,
n. 325 del 2010,
n. 246 del 2009
e n. 80 del 2006),
sia più in generale le norme che regolano le procedure di gara per
l’aggiudicazione dei contratti pubblici (ex plurimis,
sentenze n. 263
del 2016, n. 184
del 2011, n. 283
e n. 160 del
2009, n. 401 del 2007).
Il riferimento alla tutela
della concorrenza è coerente anche con l’assegnazione all’Autorità di
regolazione dei trasporti della funzione di definire i criteri per la
determinazione delle eccezioni al principio della minore estensione
territoriale dei lotti di gara rispetto ai bacini di pianificazione. Questa
Corte ha già escluso che le competenze regolatorie conferite a tale Autorità
determinino un’interferenza con le competenze regionali, dal momento che le sue
funzioni, pur avendo attinenza con la materia del trasporto pubblico locale,
perseguono precipuamente una finalità di promozione della concorrenza e quindi
afferiscono alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost. (sentenza
n. 41 del 2013).
L’attribuzione della nuova
competenza in capo al regolatore indipendente è, del resto, rispettosa dei
canoni di adeguatezza e proporzionalità ‒ cui deve attenersi l’esercizio
della competenza trasversale per la «tutela della concorrenza» quando interseca
titoli di potestà regionale (ex plurimis, sentenze n. 325 del 2010
e n. 452 del
2007) ‒ in quanto non esaurisce le attribuzioni delle amministrazioni
locali. Infatti, sia pure nel quadro definitorio fornito dall’Autorità di
regolazione dei trasporti, saranno pur sempre tali attribuzioni a determinare
la dimensione concreta del lotto oggetto delle procedure di gara.
5.3.‒ Con l’ultima
censura, la ricorrente si duole del fatto che le disposizioni impugnate
violerebbero il principio di leale collaborazione sotto due differenti profili:
da un lato, la disciplina avrebbe dovuto essere emanata d’intesa con le
regioni, come sancito dalla sentenza di questa Corte n. 251 del 2016;
dall’altro, il compito di definire le deroghe alla regola della obbligatoria
suddivisione dei bacini di mobilità in più lotti ai fini della gara verrebbe
affidato in via esclusiva all’Autorità di regolazione dei trasporti senza alcun
coinvolgimento delle Regioni, pur essendo queste ultime titolari della potestà
in materia di trasporto e in grado di offrire importanti elementi conoscitivi
del territorio ai fini dell’articolazione delle gare. Per quanto non
espressamente evocati, il riferimento agli artt. 5 e 120 Cost. emerge in modo chiaro, ancorché implicito, dall’intero
contesto dell’impugnativa.
Anche tale questione è
infondata.
Il principio di leale
collaborazione non opera quando lo Stato ‒ come accade nella fattispecie
normativa in contestazione ‒ esercita la sua competenza legislativa
esclusiva in materia di tutela della concorrenza (ex plurimis,
sentenza n. 339
del 2011), la cui natura trasversale funge da limite alla disciplina che le
regioni possono dettare nelle materie di competenza concorrente o residuale (sentenze n. 38 del
2013 e n. 299
del 2012; da ultimo, sentenza n. 165 del
2014). Nel caso in cui si tratti di una competenza esclusiva dello Stato,
infatti, non ricorre neppure quella inscindibile commistione tra diverse
competenze legislative dello Stato e delle Regioni che hanno eccezionalmente
giustificato le conclusioni della sentenza n. 251 del
2016 (riferite, per altro, al procedimento di delegazione e non alla
decretazione d’urgenza).
Si deve inoltre aggiungere ‒
con specifico riguardo alla leale collaborazione da attuare sul versante
dell’attività amministrativa ‒ che tale principio «attiene ai rapporti
tra Governo, o Ministeri, e Regioni e non riguarda, invece le Autorità
indipendenti […] chiamate ad operare "in piena autonomia e con indipendenza di
giudizio e di valutazione”. Esse dovranno, invece, agire nel rispetto delle
modalità di partecipazione previste dalla legge generale sul procedimento
amministrativo, 7 agosto 1990, n. 241 […] e dalle altre leggi dello Stato
applicabili alle Autorità indipendenti […]» (sentenza n. 41 del
2013).
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, del
decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in materia
finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi
per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), convertito,
con modificazioni, nella legge 21 giugno 2017, n. 96, nella parte in cui non
prevede la riassegnazione alle regioni e agli enti locali, subentrati nelle
diverse regioni nell’esercizio delle funzioni provinciali non fondamentali,
delle risorse acquisite dallo Stato per effetto dell’art. 1, commi 418 e 419,
della legge 29 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», e
connesse alle stesse funzioni non fondamentali, restando riservata al
legislatore statale l’individuazione del quantum da trasferire;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 39 del d.l. n. 50
del 2017, come convertito, nella parte in cui determina la riduzione della
quota del fondo per il trasporto pubblico locale spettante alla regione interessata
nella misura del 20 per cento, anziché fino al 20 per cento, in proporzione
all’entità della mancata erogazione a ciascuna provincia e città metropolitana
del rispettivo territorio delle risorse per l’esercizio delle funzioni ad esse
conferite;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 16, comma 2, del d.l. n. 50 del 2017, come convertito, promossa dalla
Regione Toscana, in riferimento all’art. 119, primo, secondo, terzo e quarto
comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 39 del d.l. n. 50 del 2017, come convertito, promosse dalle Regioni
Liguria, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Piemonte, in riferimento agli
artt. 3, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120, secondo comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 41-bis del d.l. n. 50 del 2017, come
convertito, promossa dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 117, terzo
e quarto comma, 118 e 119, quinto comma, Cost. e al
principio di leale collaborazione, con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 41-bis del d.l. n. 50 del 2017, come
convertito, promossa dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 117, terzo
e quarto comma, 118 e 119, quinto comma, Cost. e al
principio di leale collaborazione, con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 48, commi 4 e 6, lettera a), del d.l. n. 50 del 2017, come
convertito, promosse dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt. 77,
secondo comma, e 117, secondo e quarto comma, Cost., e
al principio di leale collaborazione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI,
Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria
il 27 giugno 2018.