SENTENZA N.
93
ANNO 2017
Commento
alla decisione di
Elio Sparacino
La
Corte costituzionale e l’autonomia siciliana in materia di regolazione del
servizio idrico
per g.c.
del Forum di Quaderni
Costituzionali
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI
”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettera c), 3, comma 3, lettera i), 4, commi 2, 3, 4, 6, 7, 8, e 12, 5,
comma 2, 7, comma 3, e 11 della legge
della Regione siciliana 11 agosto 2015, n. 19 (Disciplina in materia di risorse
idriche),
promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 20-23 ottobre 2015, depositato in cancelleria il 22 ottobre 2015
ed iscritto al n. 99 del registro ricorsi 2015.
Udito nell’udienza
pubblica del 7 marzo 2017 il Giudice relatore Daria de Pretis;
udito l’avvocato dello Stato Pio Giovanni
Marrone per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.‒ Con
ricorso notificato il 20-23 ottobre 2015, depositato il 22 ottobre 2015 e
iscritto al n. 99 del registro ricorsi 2015, il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
impugnato diversi articoli della legge della Regione siciliana 11 agosto 2015,
n. 19, recante «Disciplina in materia di risorse idriche».
1.1.‒ In
primo luogo, il Governo impugna i commi 2 e 3 dell’art. 4 della legge reg.
Sicilia n. 19 del 2015, i quali così recitano: «2. La disciplina
dell’affidamento della gestione del servizio idrico integrato è di prevalente
interesse pubblico e non riveste carattere lucrativo. Per tale ragione, può
essere affidata dalle Assemblee Territoriali Idriche di cui all’articolo 3,
comma 2, ad enti di diritto pubblico, quali Aziende speciali, Aziende speciali
consortili, consorzi tra comuni, società a totale partecipazione pubblica, a
condizione che i comuni, che compongono le Assemblee, esercitino nei confronti
dei soggetti affidatari un controllo analogo. 3. La gestione del medesimo
servizio idrico integrato può essere affidata, per un periodo non superiore a
nove anni, all’esito di procedure di evidenza pubblica e con esclusione delle
procedure di affidamento di cui agli articoli 56 e 57 del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come recepito nella Regione con legge
regionale 12 luglio 2011, n. 12 e successive modifiche ed integrazioni, a
soggetti privati, ivi comprese le società miste a partecipazione pubblica. Tale
affidamento ha luogo previa verifica, da parte delle Assemblee territoriali
idriche, della sussistenza di condizioni di migliore economicità
dell’affidamento, rispetto alle ipotesi di cui al comma 2 […]».
Tali
disposizioni sarebbero viziate sotto tre differenti profili.
1.1.1.‒ La previsione di un’asimmetria tra l’affidamento in house
della gestione del servizio idrico integrato (in seguito, anche SII), per il
quale non è stabilito alcun termine di durata, e l’affidamento a privati
mediante procedura di evidenza pubblica, ristretto nel termine massimo di nove
anni, eccederebbe dalle competenze di cui all’art. 14, primo comma, del regio
decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della
Regione siciliana, di seguito: statuto della Regione siciliana), violando:
– l’art. 3, primo comma,
della Costituzione, in relazione al principio di eguaglianza e
ragionevolezza;
– l’art. 117, comma secondo,
lettere e) e s), Cost., in
riferimento agli artt. 119 e 154 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e all’art. 10, comma 14, lettera d), del decreto-legge
13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per
l’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106,
in quanto l’affidamento in house a tempo
indeterminato contrasterebbe con il principio secondo cui il servizio deve
essere organizzato in modo da garantire il recupero dei costi;
– gli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,
in riferimento agli artt. 14 e 106 del Trattato
sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), nonché in riferimento
all’art. 9 e al considerando n. 38 della direttiva
2000/60/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un
quadro per l’azione comunitaria in materia di acque), dai quali si
desumerebbero i principi di pari trattamento tra impresa pubblica e impresa
privata e di recupero dei costi;
– l’art. 117, comma secondo,
lettere e) e s), Cost., in
riferimento all’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, che non ammetterebbe discriminazioni in base alla
natura pubblica, mista o privata del soggetto affidatario;
– l’art.
117, comma secondo, lettere e) e s), Cost., in riferimento agli artt.
151, comma 2, lettera d),
del d.lgs.
n. 152 del 2006 e 10, comma 14, lettera d), del d.l.
n. 70 del 2011, i quali attribuiscono
all’Autorità per l’energia elettrica ed il gas e il sistema idrico (di seguito:
AEEGSI) il compito di predisporre la convenzione tipo della gestione, definendo
anche «la durata dell’affidamento, non
superiore comunque a trenta anni»;
–
l’art. 14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana, dato che il principio del recupero dei costi
costituirebbe una «norma di grande riforma economico-sociale».
1.1.2.‒
L’art. 4, comma 2, nella parte in cui non prevede che gli enti di diritto
pubblico cui è possibile affidare la gestione del servizio idrico integrato
svolgano la loro attività in prevalenza nei confronti dell’ente affidante, non
rispetterebbe le condizioni stabilite dal diritto dell’Unione europea per
l’affidamento in house.
Per questo motivo, la disposizione violerebbe:
–
l’art. 14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana;
– l’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost.,
in riferimento all’art. 149-bis del d.lgs.
n. 152 del 2006;
– gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento agli
artt. 14 e 106 del TFUE.
1.1.3.‒
L’art. 4, comma 3, garantirebbe un regime di favore per l’affidamento in house rispetto all’affidamento
tramite procedura di evidenza pubblica, dovendo, il soggetto affidante che
sceglie questo secondo sistema, assolvere a uno speciale onere motivazionale. È
prevista, infatti, una «previa
verifica, da parte delle Assemblee territoriali idriche, della sussistenza di
condizioni di migliore economicità dell’affidamento».
La disposizione violerebbe:
–
l’art. 14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana;
– l’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost.,
in riferimento all’art. 149-bis del d.lgs.
n. 152 del 2006, che non prevede analogo onere motivazionale;
– gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,
in riferimento agli artt. 14 e 106 TFUE,
in quanto secondo il diritto dell’Unione europea l’affidamento in house rappresenta una «eccezione rispetto alla regola
generale dell’affidamento a terzi mediante gara», come affermato da questa
Corte nella sentenza
n. 325 del 2010;
1.2.‒ L’art.
4, comma 4, recita: «Nell’ipotesi di affidamento
prevista dal comma 3 i bandi di gara prevedono, a pena di nullità, che: a) le
condizioni economiche dell’affidamento non possano mutare per tutta la sua
durata, rimanendo a carico dell’affidatario anche gli oneri relativi ad
eventuali varianti, per qualsiasi causa necessarie, ove funzionali
all’espletamento del servizio; b) il contratto di affidamento sia risolto di
diritto, ove il servizio venga interrotto per più di quattro giorni e interessi
almeno il 2 per cento della popolazione, fermo restando che, ove qualsiasi
interruzione anche di diversa natura si protragga per più di un giorno,
l’affidatario è tenuto al pagamento di una penale di importo non inferiore ad
euro 100.000 e non superiore ad euro 300.000 per giorno di interruzione. Le
fideiussioni definitive del contratto di affidamento devono garantire l’ipotesi
di pagamento della penale di cui alla presente lettera».
Avverso
tale previsione il Governo articola tre ordini di censure.
1.2.1.‒ Nel porre a carico dell’affidatario ogni variazione
economica che possa intervenire nel periodo di affidamento per qualsiasi causa,
anche non imputabile al gestore, la disposizione contrasterebbe con il
principio, di derivazione comunitaria, di copertura dei costi e di equilibrio
economico finanziario della gestione.
Ne
conseguirebbe la violazione:
– degli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art.
14 del TFUE,
all’art. 9 e al considerando n. 38 della direttiva
2000/60/CE;
–
dell’art. 14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana;
–
dell’art. 117,
secondo comma, lettere e) e s), Cost., in riferimento agli
artt. 119 e 154, comma l, del d.lgs.
n. 152 del 2006, e all’art. 10, commi 11 e 14, del decreto-legge
n. 70 del 2011, e agli artt. 2, lettera e), e 3, comma l, lettera c),
del d.P.C.m. 20 luglio 2012 (Individuazione delle funzioni
dell’Autorità per l’energia elettrica ed gas attinenti alla regolazione e al
controllo dei servizi idrici, ai sensi dell’articolo 21, comma 19 del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201).
1.2.2.‒ La
disposizione censurata colliderebbe, in secondo luogo, con l’art. 151 del d.lgs.
n. 152 del 2006, il quale attribuisce all’AEEGSI il compito di definire, nell’ambito
della convenzione tipo: «i
criteri e le modalità di
applicazione delle tariffe determinate dall’ente di governo dell’ambito e del
loro aggiornamento annuale, anche con riferimento alle diverse categorie di
utenze» (comma 2, lettera e);
nonché «le penali, le sanzioni in caso di
inadempimento e le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice
civile» (comma 2, lettera o).
1.2.3.‒
Nella parte in cui prevede condizioni per l’affidamento del servizio tramite
procedure di evidenza pubblica ulteriori e più rigorose rispetto a quelle
previste per l’affidamento in house, la
disposizione regionale renderebbe
eccessivamente difficile l’organizzazione di un servizio in grado di recuperare
efficacemente i costi nel corso di una gestione già di sé molto breve (avente durata massima
di nove anni), determinando una disparità di trattamento tra situazioni
analoghe.
La
norma si porrebbe quindi in contrasto con:
– l’art. 3, primo comma, Cost., in relazione al
principio di eguaglianza e ragionevolezza;
–
l’art. 14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana;
– l’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost.,
in riferimento all’art. 149-bis del d.lgs.
n. 152 del 2006;
– gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.
1.3.‒ Viene impugnato l’art. 4, comma 7,
il quale recita: «Al
fine di salvaguardare le forme e le capacità gestionali esistenti, i comuni
possono provvedere alla gestione in forma diretta e pubblica del servizio
idrico, in forma associata, anche ai sensi dell’articolo 30 del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, attraverso la costituzione di sub-ambiti ai
sensi dell’articolo 3, comma 3, lettera i), composti da più comuni facenti
parte dello stesso Ambito territoriale ottimale, che possono provvedere alla
gestione unitaria del servizio».
Secondo
il ricorrente, tale norma presenterebbe profili di illegittimità costituzionale sia in relazione alle modalità di affidamento del servizio, sia in
relazione alla frammentazione dell’unicità della
gestione nell’ambito.
1.3.1.‒
Sotto il primo profilo, contrasterebbe con l’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del
2006, il quale dispone che l’affidamento del servizio deve avvenire in una
delle forme «previste
dall’ordinamento europeo», nonché nel rispetto «della normativa nazionale in
materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza
economica», escludendo la possibilità della
gestione diretta del servizio consentita invece dalla norma censurata.
Ne
risulterebbero violati:
– l’art. 117, comma secondo,
lettera e), Cost., in riferimento all’art. 149-bis del d.lgs.
n. 152 del 2006;
–
l’art. 14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana;
– gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento agli
artt. 14 e 106 del TFUE.
In
via consequenziale, il ricorrente sollecita questa Corte a dichiarare, ai sensi
dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87 (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale), costituzionalmente illegittimo anche
l’art. 5, comma 6, della legge regionale impugnata, secondo cui: «[n]elle more dell’espletamento delle
procedure di cui all’art. 4, i comuni afferenti ai disciolti Ambiti
territoriali ottimali presso i quali non si sia determinata effettivamente
l’implementazione sull’intero territorio di pertinenza della gestione unica di
cui all’art. 147, comma 2, lettera b),
del decreto legislativo n. 152/2006 e successive modifiche e integrazioni, con
deliberazione motivata da assumere entro 90 giorni dalla data di entrata in
vigore della presente legge, possono adottare le forme gestionali del comma 7
dell’articolo 4».
1.3.2.‒
Sotto altro aspetto, la disposizione impugnata, consentendo la costituzione di
sub-ambiti, si porrebbe in contrasto con la legislazione statale – in
riferimento agli artt. 147, 149-bis e
172 del d.lgs.
n. 152 del 2006, e all’art. 3-bis,
comma l, del decreto-legge
13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, in legge 14
settembre 2011, n. 148 – la quale mira ad assicurare l’unicità della gestione per ciascun ambito
territoriale ottimale e l’integrazione verticale e orizzontale dei servizi,
superando la frammentazione gestionale determinata dall’esistenza di gestioni
comunali di dimensioni inadeguate rispetto alla mole di investimenti necessari
(vengono citati stralci della sentenza n. 32 del
2015). Ne conseguirebbe la violazione dell’art. 14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana e dell’art. 117, secondo comma,
lettere e) e s), Cost., in riferimento alle citate norme statali interposte.
1.4.‒ L’art. 4, comma 8, della legge
impugnata recita: «8. I
comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti nonché i comuni delle isole minori ed i comuni
di cui al comma 6 dell’articolo 1 della legge regionale 9 gennaio 2013, n. 2
possono gestire in forma singola e diretta il servizio idrico integrato nei
casi in cui la gestione associata del servizio risulti antieconomica».
Secondo
il ricorrente, anche tale disposizione presenterebbe profili di illegittimità costituzionale, sia con riguardo
alle modalità di
affidamento, sia per quel che riguarda l’effetto di frammentazione della
gestione nell’ambito ottimale che essa determina.
1.4.1.‒
Quanto al primo aspetto, per le stesse considerazioni illustrate in relazione
all’art. 4, comma 7, la norma sarebbe incostituzionale per violazione dell’art.
14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana e dell’art. 117, comma secondo,
lettera e), Cost., in riferimento
all’art. 149-bis del
d.lgs.
n. 152 del 2006, nonché degli
art. 11 e 117, primo comma, Cost.,
in riferimento agli artt. 14 e l06, lettera a),
del TFUE.
1.4.2.‒
Quanto al secondo profilo, la difesa statale osserva che l’art. 147, comma 2-bis, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, nel
disciplinare i casi di eccezione al vincolo dell’unicità della gestione nell’ambito
ottimale, fa salve «le
gestioni del servizio idrico in forma autonoma nei comuni montani con
popolazione inferiore a 1.000 abitanti già istituite ai sensi del comma 5
dell’articolo 148». Su queste basi, la disposizione regionale impugnata sarebbe
costituzionalmente illegittima nella parte in cui estende la richiamata
eccezione anche ai «comuni
che non hanno consegnato gli impianti ai gestori del servizio idrico
integrato», continuando nella gestione diretta (art. l, comma 6, della legge
regionale siciliana n. 2 del 2013). La fattispecie normativa regionale sarebbe
del tutto estranea alla ratio dell’eccezione
stabilita dalla norma statale. Il contrasto si determinerebbe anche in
relazione all’estensione della deroga ai «casi
in cui la gestione associata del servizio risulti antieconomica», da valutarsi
discrezionalmente pro futuro, a
fronte di una previsione statale concernente le sole gestioni già «esistenti».
1.4.3.‒
Il Governo chiede dunque che la norma sia dichiarata costituzionalmente
illegittima per violazione dell’art. 14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana e dell’art. 117, comma secondo,
lettera e), Cost., in
riferimento agli artt. 147, comma 2-bis e
149-bis del d.lgs.
n. 152 del 2006, nonché degli
art. 11 e 117, primo comma, Cost.,
in riferimento agli artt. 14 e 106 del TFUE.
In via consequenziale, aggiunge che dovrebbe essere dichiarata l’illegittimità
costituzionale anche
dell’art. 9, comma l, secondo cui: «L’Assessorato
regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità destina i finanziamenti previsti
per l’adeguamento degli impianti di depurazione e delle reti idriche anche ai
comuni degli ambiti privi del soggetto gestore ed ai comuni di cui all’articolo
1, comma 6, della legge regionale 9 gennaio 2013, n. 2.».
1.5.‒ Viene impugnato l’art. 3, comma 3,
lettera i),
il quale recita: « L’Assemblea
territoriale idrica svolge le seguenti funzioni: […] delibera, su proposta dei
comuni facenti parte del medesimo ATO, la costituzione di sub-ambiti previo
parere dell’Assessorato regionale competente da rendersi entro sessanta
giorni».
La
disposizione, consentendo la costituzione di sub-ambiti, sarebbe illegittima
per le stesse ragioni esposte con riferimento all’art. 4, comma 7, e cioè per
violazione dell’art. 14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana e dell’art. 117, comma 2,
lettere e) e s), Cost., in riferimento agli artt. 147, 149-bis
e 172 del d.lgs.
n. 152 del 2006 e all’art. 3-bis, commi l e 1-bis, del d.l.
n. 138 del 2011.
1.6.‒ Vengono
impugnati gli artt. 5, comma 2, 7, comma 3, e 11 della legge reg. Sicilia n. 19
del 2015.
Secondo
il Governo tali disposizioni, nella parte in cui attribuiscono alla Giunta ricorrente
regionale il compito di definire e approvare i modelli tariffari del ciclo
idrico relativi all’acquedotto e alla fognatura, violerebbero le competenze
esclusive dello Stato previste dall’art. 117, secondo comma,
lettere e) e s), Cost., in relazione agli
artt. 154, commi 2 e 4, e 161, comma 4, del d.lgs.
n. 152 del 2006, e all’art. 10, comma 14, del d.
l. n. 70 del 2011 (in combinato disposto con l’art. 21, comma 19, del decreto-legge
6 dicembre 2011, n. 201, recante «Disposizioni
urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici»,
convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e con
l’art. 3 del d.P.C.m. 20 luglio 2012). Il ricorrente precisa che
nello statuto della Regione siciliana non è contenuta alcuna disposizione che
assegni alla Regione competenza legislativa esclusiva per la disciplina della
materia tariffaria, come confermerebbe la circostanza che in Sicilia ha sempre
trovato applicazione la disciplina statale in materia di determinazione delle
tariffe del SII (con particolare riferimento al Metodo tariffario normalizzato
di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici del 1° agosto 1996 e, ancora
prima, ai provvedimenti del CIPE).
Nella
denegata ipotesi in cui si ritenesse che alla Regione siciliana debbano essere
riconosciute particolari forme di autonomia in materia di determinazione della
tariffa, le citate disposizioni statali in tema di regolazione tariffaria
dell’AEEGSI dovrebbero ritenersi comunque norme di «grande riforma economico-sociale
della Repubblica», al cui rispetto sarebbe chiamata anche la Regione siciliana
nell’esercizio delle proprie competenze legislative primarie. In ogni caso, la
disposizione impugnata sarebbe illegittima nella parte in cui non prevede che i
provvedimenti adottati dalla Giunta regionale devono «conformarsi alle direttrici della
metodologia tariffaria statale» al fine di assicurare «una regolazione stabile e idonea a
garantire gli investimenti necessari, un servizio efficiente e di qualità ,
nonché la tutela degli utenti finali»
(così come prescritto dalla sentenza di questa
Corte n. 142 del 2015 con riguardo alla Regione autonoma Valle d’Aosta).
Da
ultimo, il Governo avverte che il riconoscimento di una competenza esclusiva
della Regione siciliana in materia di determinazione delle tariffe del SII
potrebbe generare richieste di restituzione da parte degli utenti di quanto
erroneamente versato, in forza dei provvedimenti dell’Autorità, per i bienni
2012/2013 e 2014/2015.
1.7.‒ L’art. 11
della legge reg. Sicilia n. 19 del 2015 sarebbe illegittimo anche sotto i
seguenti due ulteriori profili.
1.7.1.‒ Il
modello tariffario dettato dalla disposizione regionale escluderebbe il
segmento del servizio idrico relativo alla depurazione. Tale conclusione, oltre
che dalla lettera della norma impugnata, sarebbe avvalorata dall’autonoma
considerazione che l’art. 27, comma 1, n. 3, lettera e), della legge della Regione
siciliana 4 agosto 2015, n. 15 (Disposizioni in materia di liberi Consorzi
comunali e Città metropolitane), riserva al servizio di depurazione, la cui
organizzazione è attribuita ai liberi consorzi di comuni, senza che sia fatta
menzione alcuna degli ulteriori servizi che compongono il SII.
Interpretata
nel senso di escludere la depurazione dall’insieme dei servizi il cui costo
deve essere recuperato mediante la tariffa, la norma si porrebbe in contrasto
con gli artt. 119,
141, comma 2, e 154, comma l, del d.lgs.
n. 152 del 2006, e con l’art. 10, comma 14, lettera d), del d.l.
n. 70 del 2011. Queste norme esprimono il principio dell’intero recupero
dei costi in relazione a tutti i segmenti del SII, nonché il principio del "chi inquina
paga”, con la conseguenza che sarebbero
violati l’art. 117,
comma secondo, lettere e) e s), Cost. e
l’art. 14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana.
La
norma violerebbe anche la direttiva
2000/60/CE (in particolare il suo considerando n. 38 e il suo art. 9), che
enuncia i principi del recupero integrale dei costi e del "chi inquina paga”,
con conseguente violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.
1.7.2.‒
Oltre che per i motivi esposti al punto precedente, secondo il Governo l’art.
11 sarebbe illegittimo anche nella parte in cui prevede che «[i]n relazione al livello di qualità della risorsa idrica ovvero nei
casi in cui la stessa non è utilizzabile per fini alimentari, la tariffa è
ridotta in una misura pari al 50 per cento».
Avendo
la legge impugnata optato per un modello di gestione che esclude in radice la
generazione di qualunque profitto (come si desumerebbe dagli artt. l, commi1,
2, lettera c, e
4, commi l e 2), la prevista riduzione del 50 per cento della tariffa (ove la
risorsa idrica non sia utilizzabile per fini alimentari anche in assenza di
qualunque responsabilità del gestore) contrasterebbe con il principio del
recupero dei costi relativi ai servizi idrici.
Ne
conseguirebbe la violazione:
– dell’art. 14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana;
– dell’art. 117, secondo comma,
lettere e) e s), Cost., in riferimento agli artt. 119 e 154 del d.lgs.
n. 152 del 2006, e all’art. 10, comma 14, lettera d), del d.l.
n. 70 del 2011;
– nonché degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art.
9 della direttiva
2000/60/CE, e al considerando n. 38 della medesima.
1.8.‒ Per le medesime ragioni, anche
la previsione contenuta all’art. 4, comma 6, secondo cui «[p]er i
disservizi di cui al comma 4, lettera b),
prodotti dalle gestioni interamente pubbliche, le tariffe a carico degli utenti
sono proporzionalmente ridotte […]», violerebbe:
– l’art. 14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana;
– l’art. 117, secondo comma,
lettere e) e s), Cost., in riferimento agli artt. 119 e 154 del d.lgs.
n. 152 del 2006, ed all’art. 10, comma 14, lettera d), del d.l.
n. 70 del 2011;
– nonché gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art.
9 della direttiva
2000/60/CE, e al considerando n. 38 della medesima.
1.9.‒ L’art. 4, comma 12, prevede
l’istituzione di un Fondo di solidarietà a
sostegno dei soggetti meno abbienti, destinato ad essere alimentato per il
primo anno attraverso le risorse derivanti dalla tariffa del servizio idrico
integrato, e successivamente «mediante
un accantonamento a carico del gestore, nella misura pari allo 0,2 per cento
del fatturato complessivo annuo».
Osserva
la difesa statale che la tariffa, in quanto unica fonte di approvvigionamento
economico del gestore, è destinata anche a costituire e alimentare il fondo in
questione. Di conseguenza, essa dovrebbe essere determinata anche tenuto conto
del finanziamento del Fondo di solidarietà, da
considerare alla stregua di un costo del servizio per la gestione del rischio
di morosità.
Tale circostanza, tuttavia, sarebbe contraddetta dall’art. 11 della legge
impugnata, che prevedrebbe una tariffa determinata esclusivamente sulla base
dei costi vivi del servizio, al netto di quanto occorre per finanziare il
Fondo. La tariffa sarebbe, per questi motivi, inadeguata a realizzare un’effettiva
integrale copertura dei costi, con conseguente violazione:
– dell’art.
14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana;
– dell’art. 117, secondo comma,
lettere e) e s), Cost., in riferimento agli artt. 119 e 154 del d.lgs.
n. 152 del 2006, e all’art. 10, comma 14, lettera d),
del d.l.
n. 70 del 2011;
– degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 9 della direttiva
2000/60/CE, e al considerando n. 38.
1.10.‒
Viene impugnato anche l’art. l, comma 2, lettera c), che recita: «[…] Gli acquedotti, le reti fognarie,
gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture e dotazioni patrimoniali
afferenti al servizio idrico integrato costituiscono il capitale tecnico
necessario e indispensabile per lo svolgimento di un pubblico servizio e sono
proprietà degli
enti locali».
Secondo
il Governo, la disposizione determinerebbe effetti espropriativi generalizzati
nei confronti dei beni in essa elencati che siano in proprietà di privati alla data della sua
entrata in vigore. Per questo essa eccederebbe dalle competenze statutarie e
violerebbe:
– gli artt. 3, primo comma,
e 42, terzo comma,
Cost., nella misura in cui «la
generalizzazione e la indeterminatezza degli effetti espropriativi rendono
impossibile valutare se sussistano i motivi di interesse generale» in ciascuno
dei casi coinvolti che soli, ai sensi dell’art. 42, terzo comma, Cost., possono
giustificare un provvedimento espropriativo, caratterizzando in tal modo la
norma in questione in senso profondamente irragionevole, in violazione
dell’art. 3, primo comma, Cost.»;
– l’art. 42, terzo comma,
Cost., e l’art.
117 Cost., in riferimento all’art. l del Primo Protocollo
addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e
resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, in quanto il provvedimento
(legislativo) espropriativo non prevedrebbe alcun indennizzo;
– l’art.
14 dello statuto
della Regione siciliana, dovendosi interpretare la competenza legislativa
primaria della Regione in materia di «espropriazione»
come riferita esclusivamente agli aspetti amministrativistici (sono citate le
sentenze n. 95
del 1966 e n.
49 del 1961).
2.‒ La
Regione siciliana non si è costituita in giudizio.
Considerato in diritto
1.‒
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità
costituzionale degli artt. l, comma 2, lettera c), 3, comma 3,
lettera i), 4, commi 2, 3, 4, 6, 7, 8, e 12, 5, comma 2, 7, comma 3, e
11 della legge della Regione siciliana 11 agosto 2015, n. 19 (Disciplina in
materia di risorse idriche), per violazione dell’art.
14, primo comma, del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455
(Approvazione dello statuto della Regione siciliana), nonché degli artt. 3,
primo comma, 11, 42, terzo comma, 117, primo e secondo comma, lettere e)
e s), della Costituzione.
2.‒
La giurisprudenza di questa Corte riconduce ai titoli di competenza di cui
all’art. 117, secondo comma, lettere e)
e s), Cost., sia la disciplina della
tariffa del servizio idrico integrato (sentenze n. 67 del 2013,
n. 142 e n. 29 del 2010,
n. 246 del 2009),
sia le forme di gestione e le modalità di affidamento al soggetto gestore
(sentenze n. 117
e n. 32 del 2015,
n. 228 del 2013,
n. 62 del 2012,
n. 187 e n. 128 del 2011,
n. 325 del 2010),
con la precisazione, operata sempre con riguardo al settore idrico, che le regioni
possono dettare norme che tutelino più intensamente la concorrenza rispetto a
quelle poste dallo Stato (sentenza n. 307 del
2009).
2.1.‒
Tale giurisprudenza, tuttavia, riferita al riparto delle
attribuzioni fra lo Stato e le regioni ad autonomia ordinaria, non è
immediatamente trasponibile nell’odierno giudizio di costituzionalità, nel
quale occorre preliminarmente definire l’ambito delle competenze spettanti
statutariamente in materia a una regione ad autonomia speciale (sentenze n. 51 del 2016
e n. 142 del
2015, riferite, rispettivamente, alla Provincia autonoma di Trento e alla
Regione autonoma Valle d’Aosta).
L’art.
14 dello statuto della Regione siciliana,
nell’enumerare le materie nelle quali la Regione siciliana ha potestà
legislativa primaria, contiene un generico riferimento alle «acque pubbliche,
in quanto non siano oggetto di opere pubbliche di interesse nazionale» (lettera
i), ma la previsione è da riferire
alla mera disciplina demaniale del bene idrico e marittimo, come si desume sia
dal dato letterale, che significativamente considera l’acqua in quanto oggetto
di opera pubblica, sia dal dato di contesto del collegamento con la norma
statutaria, che dispone l’appartenenza delle acque pubbliche al demanio
regionale, con l’eccezione delle acque che interessano la difesa e i servizi di
carattere nazionale (art. 32).
I
servizi pubblici compaiono invece tra le materie di potestà legislativa
regionale concorrente. Infatti, ai sensi dell’art. 17 del medesimo statuto di
autonomia, è previsto che: «Entro i limiti dei principi ed interessi generali
cui si informa la legislazione dello Stato, l’Assemblea regionale può, al fine
di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della
Regione, emanare leggi, anche relative all’organizzazione dei servizi, sopra le
seguenti materie concernenti la Regione: […] «assunzione di pubblici servizi»
(lettera h), nonché «tutte le altre
materie che implicano servizi di prevalente interesse regionale» (lettera i).
Trattandosi in questo caso di competenze meno ampie rispetto
a quelle spettanti alle regioni ordinarie, nello stesso ambito, in base
all’art. 117, quarto comma, Cost. (sentenza n. 29 del
2006), alla Regione siciliana deve essere riconosciuta, in applicazione
della cosiddetta «clausola di maggior favore» contenuta all’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2003, n. 1 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione), potestà legislativa residuale, per quanto limitata dalle
competenze esclusive trasversali dello Stato interferenti con la materia del
servizio idrico integrato (in seguito, anche «SII»). In numerosi precedenti, questa Corte ha affermato
che le materie di competenza esclusiva e nel contempo «trasversali» dello
Stato, come la tutela della concorrenza e la tutela dell’ambiente di cui
all’art. 117, secondo comma, lettere e) e s), Cost., in virtù del loro
carattere «finalistico», «possono influire su altre materie attribuite alla
competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni fino ad incidere
sulla totalità degli ambiti materiali entro i quali si applicano» (sentenza n. 2 del
2014; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 291, n. 150 del 2011,
n. 288 del 2010,
n. 249 del 2009
e n. 80 del 2006),
come appunto accade nel caso della disciplina del servizio idrico integrato.
2.2.‒ È opportuno precisare che questa Corte ha riconosciuto che spetta
alla Regione autonoma Valle d’Aosta (sentenza n. 142 del
2015) e alla Provincia
autonoma di Trento (sentenza n. 51 del
2016) potestà legislativa
primaria in materia di organizzazione del servizio idrico, sulla base di un sistema di previsioni statutarie che
non è dato ravvisare per la Regione siciliana.
Si tratta, infatti, nel caso della
Provincia autonoma di Trento, dell’attribuzione, ad opera del d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), della competenza legislativa
primaria in materia di «acquedotti e
lavori pubblici di interesse provinciale» (art. 8, numero 17), di «assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione mediante aziende
speciali» (art. 8, numero 19) e di «opere idrauliche» (art. 8, numero 24).
E si tratta a sua volta, nel caso della Valle d’Aosta, in primo luogo della competenza primaria riconosciuta dalla
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle
d’Aosta) nelle materie delle «acque minerali e
termali» (art. 2, primo comma, lettera i),
e delle «acque pubbliche destinate ad irrigazione
ed uso domestico» (art. 2, primo comma, lettera m), con una marcata differenza, dunque, rispetto alla previsione
statutaria siciliana che, come visto, individua l’ambito delle acque pubbliche
oggetto di competenza regionale nella circostanza che «non siano oggetto di opere pubbliche di interesse nazionale» (art. 14,
lettera i). In secondo luogo, lo statuto assegna
alla Regione in regime di potestà integrativo-attuativa
le materie «igiene e sanità» (art. 3, primo comma,
lettera l) e «assunzione di pubblici servizi» (art. 3, primo comma, lettera o), e la normativa di attuazione
contenuta nel decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 89 (Norme di attuazione
dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta in materia di acque
pubbliche) – la quale, anche in ragione del suo speciale procedimento di
adozione (ex art. 48-bis dello statuto), possiede un sicuro
ruolo interpretativo e integrativo delle stesse espressioni statutarie che
delimitano le sfere di competenza delle regioni ad autonomia speciale (sentenza n. 51 del
2006) – trasferisce «al demanio della
Regione tutte le acque pubbliche utilizzate ai fini irrigui o potabili»,
prevedendo che la Regione stessa eserciti «tutte le
attribuzioni inerenti alla titolarità di tale demanio
e in particolare quelle concernenti la polizia idraulica e la difesa delle
acque dall’inquinamento» (art. 1, primo e secondo comma).
2.3.‒
Individuato così nella competenza legislativa residuale il titolo di intervento
della Regione siciliana nella disciplina del servizio idrico integrato, è
possibile passare ad esaminare puntualmente le censure del Governo.
3.‒ Il Governo impugna i commi 2 e 3
dell’art. 4 della legge reg. Sicilia n. 19 del 2015, sotto tre differenti
profili.
3.1.‒ Le
disposizioni censurate, sulla gestione del SII, non prevedono alcun termine di
durata per l’affidamento in house, mentre stabiliscono un termine
massimo di nove anni per l’affidamento mediante procedura di evidenza pubblica.
Per tale motivo esse violerebbero: l’art. 3, primo comma, Cost., in relazione
al principio di eguaglianza e ragionevolezza; l’art. 117, secondo comma,
lettere e) e s), Cost., in
riferimento agli artt. 149-bis e 151, comma 2, del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), i
quali non ammettono discriminazioni in base alla natura pubblica, mista o
privata del soggetto affidatario; l’art. 117, comma secondo, lettere e)
e s), Cost., in riferimento all’art.
151, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006 e all’art. 10,
comma 14, lettera d), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo
– Prime
disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106, che attribuiscono
all’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico (di seguito
AEEGSI) il compito di predisporre la convenzione tipo di gestione, definendo
anche «la durata dell’affidamento, non superiore comunque a trenta anni»;
l’art. 117, secondo comma, lettere e) e s), Cost., in riferimento agli
artt. 119 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006 e all’art. 10, comma 14, lettera d),
del d.l. n. 70 del 2011, secondo cui il servizio deve essere organizzato in
modo da garantire il recupero dei costi; l’art. 14, primo comma, dello statuto della Regione
siciliana, poiché il principio del recupero dei costi costituisce una «norma di grande riforma
economico-sociale»; gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,
in riferimento agli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea (da ora: TFUE), nonché in riferimento al considerando n. 38 e all’art.
9 della direttiva 2000/60/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio
del 23 ottobre 2000 (che istituisce un quadro per l’azione
comunitaria in materia di acque), da cui si desumono i principi di pari
trattamento tra impresa pubblica e impresa privata e di recupero dei costi.
3.1.1.‒ La questione è fondata.
Va ribadito che –
alla stregua della già richiamata giurisprudenza di questa Corte – la
disciplina concernente le modalità dell’affidamento della gestione dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica è riferibile alla competenza legislativa
statale in tema di «tutela della concorrenza» (ex plurimis, sentenza n. 117 del
2015). Le norme regionali censurate derogano all’art 151, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, il
quale prevede che,
indipendentemente dalla natura pubblica, mista o privata del soggetto
affidatario, nella convenzione stipulata tra l’ente di governo dell’ambito e il
soggetto gestore del servizio idrico integrato, sia definita anche la durata
dell’affidamento, in ogni caso «non superiore comunque a trenta anni».
La deroga introdotta dal legislatore regionale ‒ che comporta un effetto restrittivo sull’assetto
competitivo del mercato di riferimento ‒ si pone dunque in contrasto con l’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost.
3.2.‒ Sotto altro profilo, il Governo lamenta che l’art. 4,
comma 2, della legge reg. Sicilia n. 19 del 2015 non rispetterebbe le
condizioni stabilite dal diritto dell’Unione europea per l’affidamento in
house, nella parte in cui non prevede che gli enti di diritto pubblico cui
è possibile affidare la gestione del servizio idrico integrato svolgano la loro
attività in prevalenza nei confronti dell’ente affidante. Per questo motivo la
norma sarebbe illegittima per violazione dell’art. 14, primo comma, dello
statuto della Regione siciliana e dell’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., in riferimento all’art. 149-bis del
d.lgs. n. 152 del 2006, nonché degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in
riferimento agli artt. 14 e 106 del TFUE.
3.2.1.‒ Anche tale questione è fondata, per le stesse ragioni di
inerenza della disciplina delle modalità di affidamento del servizio alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato fissata all’art. 117, secondo comma, lettere e) e s),
Cost.
Ai sensi dell’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del
2006, «[l]’affidamento
diretto può avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei
requisiti prescritti dall’ordinamento europeo per la gestione in house […]». In base alla giurisprudenza comunitaria, rientra nella
nozione di in house providing l’affidamento a
società a totale partecipazione pubblica sulle quali gli enti titolari del
capitale sociale esercitano un controllo analogo a quello esercitato sui propri
organi e apparati e che realizzano la parte prevalente della propria attività
per gli enti controllanti (a partire dal noto caso Teckal, Corte di Giustizia dell’Unione europea, 18 novembre
1999, in causa C -107/98). I presupposti che legittimano l’in house providing sono codificati dall’art. 12 della direttiva 24/2014/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 (sugli appalti
pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE) e, da ultimo,
attuati con l’art. 5 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Attuazione
delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei
contratti di concessione sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto
degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei
servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), e l’art. 16 del
decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a
partecipazione pubblica).
La tassatività dei
requisiti dell’in house
esclude che la legge regionale possa definire diversamente i presupposti
necessari per qualificare l’affidamento di un servizio a una società
partecipata come scelta di autoorganizzazione, in particolare elidendo il
requisito dell’attività prevalente, come fa la norma siciliana impugnata.
Il successivo
comma 9 dell’art. 4 prescrive sì che l’«esercizio
della propria attività istituzionale [avvenga] in via prevalente in favore
dell’ente o degli enti pubblici titolari del relativo capitale sociale», ma
limita tale vincolo alle società a capitale interamente pubblico già titolari
di affidamento (al momento dell’entrata in vigore della nuova legge) che
vogliano continuare a gestire il servizio idrico integrato.
3.3.‒ Il Governo censura l’art. 4, comma 3, della legge reg.
Sicilia n. 19 del 2015 nella parte in cui, per l’affidamento tramite procedura
di evidenza pubblica, impone
una «previa verifica, da parte delle Assemblee territoriali idriche, della
sussistenza di condizioni di migliore economicità dell’affidamento, rispetto
alle ipotesi di cui al comma 2». La norma violerebbe l’art. 14, primo comma, dello statuto
della Regione siciliana e l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in riferimento all’art. 149-bis del d.lgs. n.
152 del 2006, nonché gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento
agli artt. 14 e 106 del TFUE.
3.3.1.‒ La questione è fondata, ancora una volta per violazione
della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di affidamento del
servizio idrico integrato, in quanto la disposizione censurata si pone in
evidente contrasto con
l’art. 149-bis del d.lgs. n. 152
del 2006, che non prevede analogo onere di motivazione per l’esternalizzazione
del SII.
4.‒ Il
Governo impugna l’art. 4, comma 4, lettera a),
nella parte in cui pone a carico dell’affidatario ogni variazione economica che
possa intervenire nel periodo di affidamento per qualsiasi causa, anche non
imputabile al gestore. La disposizione regionale violerebbe: l’art. 117,
secondo comma, lettere e) e s), Cost., in riferimento all’art. 151
del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale attribuisce all’AEEGSI il compito di
definire, nell’ambito della convenzione tipo, «i criteri e le modalità di
applicazione delle tariffe determinate dall’ente di governo dell’ambito e del
loro aggiornamento annuale, anche con riferimento alle diverse categorie di
utenze» (lettera e), nonché «le
penali, le sanzioni in caso di inadempimento e le condizioni di risoluzione
secondo i principi del codice civile» (lettera o); l’art. 117, secondo comma, lettere e) e s), Cost., in
riferimento agli artt. 119 e 154, comma l, del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché
in riferimento all’art. 10, commi 11 e 14, del d.l. n. 70 del 2011, e agli
artt. 2, lettera e), e 3, comma l,
lettera c), del d.P.C.m.
del 20 luglio 2012 (Individuazione delle funzioni dell’Autorità per l’energia
elettrica ed il gas attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi
idrici, ai sensi dell’articolo 1, comma 19, del decreto-legge 6 dicembre 2011,
n. 201), i quali dettano il principio di copertura dei costi e di equilibrio
economico finanziario della gestione; gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,
in riferimento all’art. 14 del TFUE e all’art. 9 e al considerando n. 38 della
direttiva 2000/60/CE, da cui si desume il principio di copertura dei costi e di
equilibrio economico finanziario della gestione; l’art. 14, primo comma, dello
statuto della Regione siciliana.
4.1.‒ La
questione è fondata.
È
dirimente considerare che la disposizione regionale contrasta con l’art. 151
del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale attribuisce, al comma 2, all’Autorità il
compito di definire, nell’ambito della convenzione tipo, «le penali, le
sanzioni in caso di inadempimento e le condizioni di risoluzione secondo i
principi del codice civile» (lettera o)
e «i criteri e le modalità di applicazione delle tariffe determinate dall’ente
di governo dell’ambito e del loro aggiornamento annuale, anche con riferimento
alle diverse categorie di utenze» (lettera e).
La
norma statale è diretta a preservare l’equilibrio economico-finanziario della
gestione e ad assicurare all’utenza efficienza e affidabilità del servizio.
Trattandosi di profili che attengono alla tutela della concorrenza, si deve
concludere che i poteri legislativi esercitati con la norma censurata invadono
la competenza legislativa esclusiva statale disciplinata all’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost.
5.‒
Viene impugnato l’art. 4, comma 7, della legge reg. Sicilia n. 19 del 2015,
secondo cui, «[a]l fine di salvaguardare le forme e le capacità gestionali
esistenti, i comuni possono provvedere alla gestione in forma diretta e
pubblica del servizio idrico, in forma associata, anche ai sensi dell’articolo
30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, attraverso la costituzione
di sub-ambiti ai sensi dell’articolo 3, comma 3, lettera i), composti da più
comuni facenti parte dello stesso Ambito territoriale ottimale, che possono
provvedere alla gestione unitaria del servizio». La disposizione violerebbe:
l’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., in riferimento all’art. 149-bis
del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale esclude la possibilità di una gestione
diretta del servizio; l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto, consentendo la costituzione di sub-ambiti, si
porrebbe in contrasto con gli artt. 147, 149-bis e 172 del d.lgs. n. 152 del 2006, e 3-bis, comma l, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14
settembre 2011, n. 148, i quali mirano ad assicurare l’unicità della gestione
per ciascun ambito territoriale ottimale e l’integrazione-verticale e
orizzontale dei servizi; l’art. 14, primo comma, dello statuto della Regione
siciliana; gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 14
e l06 del TFUE.
Il
ricorrente chiede altresì che, in via consequenziale, venga dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 6, della legge regionale
impugnata, secondo cui «[n]elle more dell’espletamento delle procedure di cui
all’art. 4, i comuni afferenti ai disciolti Ambiti territoriali ottimali presso
i quali non si sia determinata effettivamente l’implementazione sull’intero
territorio di pertinenza della gestione unica di cui all’art. 147, comma 2,
lett. b), del decreto legislativo n. 152/2006 e successive modifiche e
integrazioni, con deliberazione motivata da assumere entro 90 giorni dalla data
di entrata in vigore della presente legge, possono adottare le forme gestionali
del comma 7 dell’articolo 4».
5.1.‒ Le
censure formulate dal Governo ‒ riferite, sia alle modalità di
affidamento del servizio, in quanto se ne autorizza la gestione diretta,
pubblica e in forma associata, sia alla frammentazione dell’unicità della
gestione che consegue alla costituzione di sub-ambiti ‒ devono essere
accolte.
In
primo luogo, la disposizione regionale si pone in contrasto con l’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, il
quale, nel rispetto del «principio di unicità della gestione
per ciascun ambito territoriale ottimale», non
contempla la possibilità per i singoli comuni di associarsi autonomamente per
la gestione diretta del servizio idrico «al fine di salvaguardare le forme e le
capacità gestionali esistenti». Come più volte ricordato, la disciplina
concernente le modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica va ricondotta all’ambito della tutela della
concorrenza, «tenuto conto degli aspetti strutturali e funzionali suoi propri e
della sua diretta incidenza sul mercato» (sentenze n. 134 del 2013
e n. 325 del
2010), e quindi rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Consentendo
la costituzione di sub-ambiti,
inoltre, la norma regionale impugnata vìola anche sotto un altro profilo la
riserva statale di disciplina delle materie della «tutela della concorrenza» e
della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema». La soluzione adottata dal
legislatore regionale si pone invero in contrasto insanabile con l’invocata
normativa interposta, costituita dall’art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006, il
quale, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 2, comma 13,
del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni
correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in
materia ambientale), prevede che i servizi idrici sono organizzati sulla base
degli ambiti territoriali ottimali definiti dalle regioni in attuazione della
legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), e che
le regioni possono modificare le delimitazioni degli ATO per migliorare la
gestione del servizio idrico integrato, purché ne sia assicurato lo svolgimento
secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto dei
principi, rilevanti in questa sede, di unitarietà della gestione e superamento
della frammentazione verticale delle gestioni, nonché di adeguatezza delle
dimensioni gestionali in base a parametri fisici, demografici e tecnici.
Questa
Corte ha chiarito che la disciplina diretta al superamento della frammentazione
verticale della gestione delle risorse idriche, con l’assegnazione a un’unica
Autorità preposta all’ambito delle funzioni di organizzazione, affidamento e
controllo della gestione del servizio idrico integrato, è ascrivibile alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della
concorrenza, essendo essa diretta ad assicurare la concorrenzialità nel
conferimento della gestione e nella disciplina dei requisiti soggettivi del
gestore, allo scopo di assicurare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità del
servizio (sentenze n. 325 del 2010
e n. 246 del
2009). Al contempo, la stessa disciplina ricade nella sfera di competenza
esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente in quanto «l’allocazione
all’Autorità d’ambito territoriale ottimale delle competenze sulla gestione
serve a razionalizzare l’uso delle risorse idriche e le interazioni e gli
equilibri fra le diverse componenti della "biosfera” intesa "come ‘sistema’
[...] nel suo aspetto dinamico” (sentenze n. 168 del 2008,
n. 378 e n. 144 del 2007)»
(sentenza n. 246
del 2009).
5.2.‒ Ai
sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e
sul funzionamento della Corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimità
costituzionale va estesa, in via consequenziale, all’art. 5, comma 6, della legge
regionale impugnata, secondo cui «[n]elle more dell’espletamento delle
procedure di cui all’articolo 4, i comuni afferenti ai disciolti Ambiti
territoriali ottimali presso i quali non si sia determinata effettivamente
l’implementazione sull’intero territorio di pertinenza della gestione unica di
cui all’art. 147, comma 2, lett. b),
del decreto legislativo n. 152/2006 e successive modifiche e integrazioni, con
deliberazione motivata da assumere entro 90 giorni dalla data di entrata in
vigore della presente legge, possono adottare le forme gestionali del comma 7
dell’articolo 4». L’annullamento di quest’ultima disposizione rende infatti
inapplicabile il citato art. 5, comma 6.
6.‒
Viene impugnato, altresì, l’art. 4, comma 8, che recita: «I comuni montani con
popolazione inferiore a 1.000 abitanti nonché i comuni delle isole minori ed i
comuni di cui al comma 6 dell’articolo 1 della legge regionale 9 gennaio 2013,
n. 2 possono gestire in forma singola e diretta il servizio idrico integrato
nei casi in cui la gestione associata del servizio risulti antieconomica».
Secondo il Governo la norma violerebbe: l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in
riferimento agli artt. 147, comma 2-bis,
e 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006,
in quanto contempla un’eccezione non consentita al principio di unicità della
gestione nell’ambito ottimale; l’art. 14, primo comma, dello statuto della
Regione siciliana; gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento agli
artt. 14 e 106 del TFUE. Il Governo chiede inoltre che in via consequenziale
sia dichiarata l’illegittimità costituzionale anche
dell’art. 9, comma l, secondo cui «[l]’Assessorato
regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità destina i finanziamenti previsti
per l’adeguamento degli impianti di depurazione e delle reti idriche anche ai
comuni degli ambiti privi del soggetto gestore ed ai comuni di cui all’articolo
1, comma 6, della legge regionale 9 gennaio 2013, n. 2».
6.1.‒ La
questione è fondata, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Per
i profili di censura attinenti alle modalità di affidamento, valgono anche in
questo caso le considerazioni innanzi illustrate sull’art. 4, comma 7, alle
quali si rinvia.
Per
quanto concerne invece l’effetto di frammentazione della gestione, è necessaria
una precisazione aggiuntiva sul quadro normativo di riferimento.
L’art.
7, comma 1, lettera b), numero 4),
del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei
cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del
Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e
per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, introduce, tra
l’altro, modifiche all’art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006. Con esse sono
rafforzate le modalità attuative della definizione degli ambiti territoriali
ottimali e, dopo il comma 2 del citato art. 147, è aggiunto il seguente comma:
«2-bis. Qualora l’ambito territoriale
ottimale coincida con l’intero territorio regionale, ove si renda necessario al
fine di conseguire una maggiore efficienza gestionale ed una migliore qualità
del servizio all’utenza, è consentito l’affidamento del servizio idrico
integrato in ambiti territoriali comunque non inferiori agli ambiti
territoriali corrispondenti alle province o alle città metropolitane. Sono
fatte salve: a) le gestioni del
servizio idrico in forma autonoma nei comuni montani con popolazione inferiore
a 1.000 abitanti già istituite ai sensi del comma 5 dell’articolo 148; b) le gestioni del servizio idrico in
forma autonoma esistenti, nei comuni che presentano contestualmente le seguenti
caratteristiche: approvvigionamento idrico da fonti qualitativamente pregiate;
sorgenti ricadenti in parchi naturali o aree naturali protette ovvero in siti
individuati come beni paesaggistici ai sensi del codice dei beni culturali e
del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; utilizzo
efficiente della risorsa e tutela del corpo idrico. Ai fini della salvaguardia
delle gestioni in forma autonoma di cui alla lettera b), l’ente di governo d’ambito territorialmente competente provvede
all’accertamento dell’esistenza dei predetti requisiti».
Il
richiamato comma 5 dell’art. 148 recita: «Ferma restando la partecipazione
obbligatoria all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma
1, l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa
per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle
comunità montane, a condizione che gestiscano l’intero servizio idrico
integrato, e previo consenso della Autorità d’ambito competente».
Alla
luce della disciplina citata è agevole constatare che il legislatore regionale
non ha rispettato i limiti della deroga introdotta dal legislatore statale in
materia di gestione autonoma del servizio idrico integrato, quanto
all’individuazione dei comuni ai quali tale facoltà è concessa. Riferendosi
alla fattispecie dell’art. 1, comma 6, della legge della Regione siciliana 9
gennaio 2013, n. 2 (Norme transitorie per la regolazione del servizio idrico
integrato), la norma censurata estende infatti l’eccezione ai «comuni che non
hanno consegnato gli impianti ai gestori del servizio idrico integrato», i
quali «possono gestire in forma singola e diretta il servizio idrico integrato
nei casi in cui la gestione associata del servizio risulti antieconomica» (art.
l, comma 6, citato). Si tratta di un’eccezione del tutto estranea alla ratio della normativa statale, per la
quale la possibilità di derogare all’unicità della gestione del servizio si
giustifica esclusivamente in ragione di un elemento tipicamente ambientale
costituito dalla peculiarità idrica di talune aree del territorio.
6.2.–
Non sussistono peraltro gli estremi per dichiarare, ai sensi dell’art. 27 della
legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale consequenziale dell’art.
9, comma l, secondo cui «[l]’Assessorato regionale dell’energia e dei servizi
di pubblica utilità destina i finanziamenti previsti per l’adeguamento degli
impianti di depurazione e delle reti idriche anche ai comuni degli ambiti privi
del soggetto gestore ed ai comuni di cui all’articolo 1, comma 6, della legge
regionale 9 gennaio 2013, n. 2». La disposizione regionale sui finanziamenti
destinati all’adeguamento degli impianti idrici non è legata infatti da un
rapporto di necessaria presupposizione rispetto all’art. 4, comma 8, dichiarato
incostituzionale. Né può dirsi che la perdurante esistenza dell’art. 9, comma
1, sia idonea a frustrare la precedente dichiarazione di illegittimità.
7.‒ Il
Governo censura l’art. 3, comma 3, lettera i),
della legge della Regione siciliana n. 19 del 2015, secondo cui «L’Assemblea
territoriale idrica svolge le seguenti funzioni: […] delibera, su proposta dei
comuni facenti parte del medesimo ATO, la costituzione di sub-ambiti previo
parere dell’Assessorato regionale competente da rendersi entro sessanta
giorni».
La
disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in riferimento agli artt. 147,
149-bis e 172 del d.lgs. n. 152 del
2006 e all’art. 3-bis, commi l e 1-bis, del decreto-legge n. 138 del 2011,
nonché l’art. 14, primo comma, dello statuto della Regione siciliana.
7.1.‒ La questione è fondata per le stesse
ragioni esposte a fondamento della declaratoria di illegittimità costituzionale
dell’art. 4, commi 7 e 8, della legge impugnata, alle quali interamente si
rinvia.
8.‒ Vengono impugnati gli artt. 11, 5, comma 2, e 7, comma 3, della
legge della Regione siciliana n. 19 del 2015, nella parte in cui attribuiscono
alla Giunta regionale il compito di definire e approvare i modelli tariffari
del ciclo idrico relativi all’acquedotto e alla fognatura.
Ne
risulterebbero violati: l’art. 117, secondo comma, lettere e) e s), Cost., in
riferimento agli artt. 154, commi 2 e 4, e 161, comma 4, del d.lgs. n. 152 del
2006, e all’art. 10, comma 14, del decreto-legge n. 70 del 2011 (in combinato
disposto con l’art. 21, comma 19, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei
conti pubblici», convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge
22 dicembre 2011, n. 214, e con l’art. 3 del d.P.C.m.
20 luglio 2012); in subordine, l’art. 14, primo comma, dello statuto della
Regione siciliana, in quanto le sopra citate norme in tema di regolazione
tariffaria ad opera dell’AEEGSI dovrebbero ritenersi norme fondamentali di
riforma economico-sociale, al cui rispetto sarebbe chiamata anche la Regione
siciliana, nell’esercizio delle proprie competenze legislative primarie. A ciò
si aggiunge che la disposizione impugnata sarebbe comunque illegittima nella
parte in cui non prevede che i provvedimenti adottati dalla Giunta regionale
debbano «conformarsi alle direttrici della metodologia tariffaria statale» al
fine di assicurare «una regolazione stabile e idonea a garantire gli
investimenti necessari, un servizio efficiente e di qualità, nonché la tutela
degli utenti finali».
8.1.‒ La
questione è fondata.
La
giurisprudenza costituzionale, come si è detto, riconduce la disciplina della
tariffa del servizio idrico integrato ai titoli di competenza di cui all’art.
117, secondo comma, lettere e) e s), Cost. (sentenze
n. 67 del 2013,
n. 142 e n. 29 del 2010,
n. 246 del 2009).
Richiamando ancora una volta quanto già esposto circa la competenza esclusiva
statale in materia di tariffa del servizio idrico, ex art. 117, secondo comma, lettere e) e s), Cost., occorre
sottolineare che l’uniforme metodologia tariffaria adottata dalla legislazione
statale garantisce, in primo luogo, un trattamento uniforme alle varie imprese
operanti in concorrenza tra loro, evitando che si producano arbitrarie
disparità di trattamento sui costi aziendali, conseguenti a vincoli imposti in
modo differenziato sul territorio nazionale. Il nesso della previsione con la
tutela della concorrenza si spiega anche perché la
regolazione tariffaria deve assicurare l’equilibrio economico-finanziario della
gestione e l’efficienza e affidabilità del servizio (art. 151, comma 2, lettere
c, d, e, del codice
dell’ambiente) attraverso il meccanismo di price cap (artt. 151 e 154, comma 1, del
codice dell’ambiente), «diretto ad evitare che il concessionario [recte: gestore]
unico abusi della sua posizione dominante» (sentenza n. 246 del
2009, che richiama anche le sentenze n. 335 e n. 51 del 2008).
Sotto
altro profilo, attraverso la determinazione della tariffa il legislatore
statale fissa livelli uniformi di tutela dell’ambiente, perseguendo la finalità
di garantire la tutela e l’uso delle risorse idriche secondo criteri di
solidarietà e salvaguardando così la vivibilità dell’ambiente e le aspettative
e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio
ambientale. La finalità della tutela dell’ambiente è anche posta alla base
della scelta delle tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare,
tra i quali il legislatore ha incluso espressamente quelli ambientali.
Con
riguardo a disposizioni regionali che riservano a organi della regione poteri
di approvazione e modulazione delle tariffe, questa Corte ha già precisato che
la normativa regionale, allorché incida sulle attribuzioni dei soggetti
preposti alla regolazione tariffaria del servizio idrico integrato, sottraendo
parte della competenza ad essi riservata dagli artt. 154 e 161 del d.lgs. n.
152 del 2006, per ciò stesso deve ritenersi illegittima, senza che, in tale
contesto, possa essere rivendicata la competenza legislativa regionale in
materia di servizi pubblici locali (sentenza n. 29 del
2010).
Le
norme regionali impugnate, attribuendo alla Giunta regionale il compito di
definire e approvare i modelli tariffari del ciclo idrico relativi
all’acquedotto e alla fognatura, si pongono in aperto contrasto con la
disciplina statale che detta le funzioni e le sfere di competenza relative alla
regolazione tariffaria del SII.
In
particolare, l’art. 10, comma 14, del d.l. n. 70 del 2011 dispone che l’Agenzia
nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua definisce le
componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi
idrici per i vari settori di impiego dell’acqua, predispone il metodo
tariffario e «approva le tariffe predisposte dalle autorità competenti». L’art.
21, commi 13 e 19, del d.l. n. 201 del 2011 ha trasferito all’AEEGSI le
funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici, precisando che esse
«vengono esercitate con i medesimi poteri attribuiti all’Autorità stessa dalla
legge 14 novembre 1995, n. 481». L’art. 3, comma 1, del d.P.C.m.
20 luglio 2012, specificando le funzioni di regolazione e controllo dei servizi
idrici trasferite all’Autorità, precisa che essa «approva le tariffe del
servizio idrico integrato, ovvero di ciascuno dei singoli servizi che lo
compongono compresi i servizi di captazione e adduzione a usi multipli e i
servizi di depurazione ad usi misti civili e industriali, proposte dal soggetto
competente sulla base del piano di ambito di cui all’art. 149 del decreto
legislativo 6 aprile 2006, n. 152, impartendo, a pena d’inefficacia
prescrizioni [...]». Ai sensi dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, la
tariffa base viene predisposta dall’ente di governo dell’ambito,
nell’osservanza del metodo tariffario regolato dall’AEEGSI cui viene trasmessa
per l’approvazione. Nelle more della istituzione dell’ente di governo
dell’ambito, trova applicazione l’art. 3, comma 1, lettera f), del d.P.C.m. 20 luglio 2012, che
assegna all’Autorità la competenza di determinare in via provvisoria la
tariffa, ove l’ente di governo non adempia all’obbligo di predisporla.
9.‒
L’art. 11 della legge della Regione siciliana n. 19 del 2015 è stato impugnato
per due ulteriori aspetti.
9.1.‒
In primo luogo, nella parte in cui prevede modelli tariffari che escludono il
segmento del servizio idrico relativo alla depurazione, la disposizione
regionale violerebbe: l’art. 117, secondo comma, lettere e) e s), Cost., in
riferimento agli artt. 119, 141, comma 2, e 154, comma l, del d.lgs. n. 152 del
2006, e all’art. 10, comma 14, lettera d),
del d.l. n. 70 del 2011, da cui si desume il principio dell’intero recupero dei
costi in relazione a tutti i segmenti del SII, nonché il principio del "chi
inquina paga”; l’art 14, primo comma, dello statuto della Regione siciliana;
nonché gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 14 del
TFUE e all’art. 9 e al considerando n. 38 della direttiva 2000/60/CE.
La
questione è fondata.
La
norma regionale deroga alla disciplina statale (sopra dettagliatamente
richiamata), secondo cui la tariffa del SII è comprensiva di ciascuno dei
singoli servizi che lo compongono, tra cui anche il segmento della depurazione.
9.2.‒ In
secondo luogo, lo
stesso art. 11, nella parte in cui prevede che, «in relazione al livello di
qualità della risorsa idrica ovvero nei casi in cui la stessa non è
utilizzabile per fini alimentari, la tariffa è ridotta in una misura pari al 50
per cento», violerebbe: l’art.
117, secondo comma, lettere e)
ed s), Cost., in
riferimento agli artt. 119 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, e all’art. 10,
comma 14, lettera d),
del d.l. n. 70 del 2011, in quanto, avendo la legge impugnata optato per un
modello di gestione che esclude in radice la generazione di qualunque profitto
(come si desume dagli artt. l, commi l e 2, lettera c, e 4, commi l e 2), prevedere la
riduzione del 50 per cento della tariffa ove la risorsa idrica non sia
utilizzabile per fini alimentari anche in assenza di qualunque responsabilità
del gestore comporterebbe una violazione del principio fondamentale della
copertura dei costi; l’art
14, primo comma, dello statuto della Regione siciliana; gli artt. 11 e 117, primo comma,
Cost., in riferimento all’art. 14 del TFUE e all’art. 9 e del considerando n.
38 della direttiva 2000/60/CE.
La questione è
fondata.
Le norme
concernenti il sistema di calcolo delle tariffe, con la determinazione «delle
tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare», rientrano nella
potestà legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 142 del 2015,
n. 67 del 2013,
n. 29 del 2010
e n. 246 del
2009). Non è quindi consentito al legislatore regionale siciliano di
dettare una disciplina autonoma delle
componenti tariffarie, in deroga a quella statale (sentenza n. 325 del
2010).
10.‒
L’art. 4, comma 6, della legge della Regione siciliana n. 19 del 2015, secondo
cui «per i disservizi di cui al comma 4, lettera b), prodotti dalle gestioni interamente pubbliche, le tariffe a
carico degli utenti sono proporzionalmente ridotte», violerebbe: l’art. 117,
secondo comma, lettere e) e s), Cost., in riferimento agli artt. 119
e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, e all’art. 10, comma 14, lettera d), del d.l. n. 70 del 2011, da cui si
desume il principio della copertura dei costi; l’art 14, primo comma, dello
statuto della Regione siciliana; gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in
riferimento all’art. 14 del TFUE, all’art. 9 e al considerando n. 38 della
direttiva 2000/60/CE.
10.1.‒ La
questione è fondata, poiché anche la disposizione in esame invade la competenza
esclusiva dello Stato in materia tariffaria.
11.‒ È
impugnato l’art. 4, comma 12, della legge della
Regione siciliana n. 19 del 2015. La norma censurata
prevede l’istituzione di un Fondo di solidarietà a sostegno dei soggetti meno
abbienti, destinato ad essere alimentato per il primo anno, con le risorse
derivanti dalla tariffa del servizio idrico integrato», e successivamente
«mediante un accantonamento a carico del gestore, nella misura pari allo 0,2
per cento del fatturato complessivo annuo». Secondo il Governo la disposizione
violerebbe: l’art. 117, comma 2, lettere e)
e s), Cost., in riferimento agli
artt. 119 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006 e all’art. 10, comma 14, lettera d), del d.l. n. 70 del 2011, in quanto
la tariffa, non essendo determinata anche in ragione del finanziamento del
Fondo di solidarietà, non sarebbe in grado di realizzare una effettiva
integrale copertura dei costi; l’art 14, primo comma, dello statuto della
Regione siciliana; gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art.
14 del TFUE, all’art. 9 e al considerando n. 38 della direttiva 2000/60/CE.
11.1.‒ La
questione è fondata.
L’alimentazione
del Fondo di solidarietà a sostegno dei soggetti meno abbienti, essendo posta a
carico del soggetto gestore del SII (integralmente per il primo anno,
parzialmente per gli anni successivi), si traduce necessariamente in una
componente di costo aggiuntiva da imputarsi in tariffa in virtù del principio
del «recupero integrale dei costi» (artt. 119 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006
e art. 9 della direttiva 2000/60/CE).
Poiché,
come ripetuto, le finalità della tutela della concorrenza e dell’ambiente
vengono in rilievo anche in relazione alla scelta delle tipologie dei costi che
la tariffa è diretta a recuperare, si deve concludere che la norma impugnata
invade la competenza esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma,
lettere e) e s), Cost.
Queste
conclusioni non escludono che le regioni possano introdurre misure sociali di
accesso alla risorsa idrica che non interferiscano con la materia tariffaria e
che si coordinino con le misure di analoga funzione previste a livello
nazionale. Non è invero inutile ricordare che,
recentemente, l’art. 60 della legge 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni
in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il
contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali), dettato in tema di
tariffa sociale del servizio idrico integrato, prevede che l’AEEGSI, «al fine
di garantire l’accesso universale all’acqua, assicura agli utenti domestici del
servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l’accesso,
a condizioni agevolate, alla fornitura della quantità di acqua necessaria per
il soddisfacimento dei bisogni fondamentali, sentiti gli enti di ambito nelle
loro forme rappresentative, sulla base dei princìpi e dei criteri individuati
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri […]» (comma 1), e che la
stessa Autorità, al fine di assicurare la copertura degli oneri conseguenti,
«definisce le necessarie modifiche all’articolazione tariffaria per fasce di
consumo o per uso determinando i criteri e le modalità per il riconoscimento
delle agevolazioni» (comma 2).
12.‒ Il
Governo contesta infine l’art. l, comma 2, lettera c), della legge della Regione siciliana
n. 19 del 2015, che recita: «Gli
acquedotti, le reti fognarie, gli impianti di depurazione e le altre
infrastrutture e dotazioni patrimoniali afferenti al servizio idrico integrato
costituiscono il capitale tecnico necessario e indispensabile per lo
svolgimento di un pubblico servizio e sono proprietà degli enti locali».
Secondo il ricorrente, la norma determinerebbe effetti
espropriativi generalizzati nei confronti dei beni che, alla data della sua
entrata in vigore, siano in proprietà di privati, eccedendo così dalle
competenze statutarie regionali e in particolare violando: gli artt. 3, primo
comma, e 42, terzo comma, Cost., nella misura in cui «la generalizzazione e la
indeterminatezza degli effetti espropriativi rendono impossibile valutare se
sussistano i "motivi di interesse generale” in ciascuno dei casi coinvolti che
soli, ai sensi dell’art. 42, terzo comma, Cost., possono giustificare un
provvedimento espropriativo, caratterizzando in tal modo la norma in questione
in senso profondamente irragionevole, in violazione dell’art. 3, primo comma, Cost.»; gli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma,
Cost., in riferimento all’art. l del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, in quanto il provvedimento (legislativo) espropriativo non
prevede alcun indennizzo; l’art. 14, primo comma, dello statuto della Regione
siciliana, dovendosi interpretare la competenza legislativa primaria regionale
nella materia «espropriazione» come riferita esclusivamente agli aspetti
amministrativistici.
12.1.‒ Le
censure non sono fondate, in quanto muovono da un erroneo presupposto
interpretativo.
Gli
acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture
idriche, fino al punto di consegna o misurazione, fanno parte del demanio
"accidentale”, ai sensi dell’art. 822 e seguenti del codice civile. L’art. 143,
comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 conferma che «gli acquedotti, le fognature,
gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà
pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai
sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se
non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge». Ai sensi dell’art. 153, comma
1, del d.lgs. n. 152 del 2006, le infrastrutture idriche di proprietà degli
enti locali devono essere affidate in concessione d’uso gratuita per tutta la
durata della gestione al gestore del servizio idrico integrato che ne assume i
relativi oneri secondo le clausole contenute nella convenzione (che regola i
rapporti tra ente locale e gestore) e nel relativo disciplinare.
La
norma regionale, letta nel più ampio contesto normativo riportato, ha portata
meramente ricognitiva del regime demaniale "accidentale” delle infrastrutture e
dotazioni patrimoniali afferenti al servizio idrico integrato. Ad essa sono
dunque estranei gli intenti e gli effetti espropriativi lamentati dal Governo.
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 4, commi 2 e 3, della legge della Regione siciliana 11 agosto 2015,
n. 19, recante «Disciplina in materia di risorse idriche»;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 4, comma 4, lettera a),
della legge reg. Sicilia n. 19 del 2015;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 4, comma 7, della legge reg. Sicilia n. 19 del 2015;
4) dichiara in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge
11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 6, della
legge reg. Sicilia n. 19 del 2015;
5) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 4, comma 8, della legge reg. Sicilia n. 19 del 2015;
6) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 3, comma 3, lettera i), della legge reg. Sicilia n. 19 del 2015;
7) dichiara l’illegittimità costituzionale
degli artt. 11, 5, comma 2, e 7, comma 3, della legge reg. Sicilia n. 19 del
2015;
8) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 4, comma 6, della legge reg. Sicilia n. 19 del 2015;
9) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 4, comma 12, della legge reg. Sicilia n. 19 del 2015;
10) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. l, comma
2, lettera c), della legge reg.
Sicilia n. 19 del 2015, promossa in riferimento agli artt. 3, primo comma, 42,
terzo comma, 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del
Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, nonché all’art. 14 del regio decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione
siciliana), del Presidente del Consiglio dei ministri indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2017.
F.to:
Paolo
GROSSI, Presidente
Daria de
PRETIS, Redattore
Roberto
MILANA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 4 maggio 2017.