SENTENZA N. 325
ANNO 2010
Commento alla decisione di
I. Roberto Caranta,
Il diritto dell’UE sui servizi di interesse
economico generale e il riparto di competenze tra Stato e Regioni, per g.c. del Forum di Quaderni costituzionali
II. Alberto
Lucarelli, Primissime considerazioni a margine della
sentenza n. 325 del 2010, per g.c. della Rivista
AIC
III. Fulvio Costantino, Servizi
locali e concorrenza. A proposito della sent. n. 325
del 2010, per g.c. della Rivista
AIC
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
-
Francesco
AMIRANTE
Presidente
-
Ugo
DE SIERVO
Giudice
-
Paolo
MADDALENA
"
-
Alfio
FINOCCHIARO
"
-
Alfonso
QUARANTA
"
-
Franco
GALLO
"
-
Luigi
MAZZELLA
"
-
Gaetano
SILVESTRI
"
-
Sabino
CASSESE
"
-
Giuseppe
TESAURO
"
-
Paolo Maria
NAPOLITANO
"
-
Giuseppe
FRIGO
"
-
Alessandro
CRISCUOLO
"
-
Paolo
GROSSI
"
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della
finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo
originario ed in quello modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge 25
settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi
comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle
Comunità europee), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009,
n. 166; dell’art. 15, comma 1-ter, dello stesso decreto-legge n. 135 del
2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009; dell’art. 4,
commi 1, 4, 5, 6 e 14 della legge della Regione Liguria 28 ottobre 2008, n. 39
(Istituzione delle Autorità d’Ambito per l’esercizio delle funzioni degli enti
locali in materia di risorse idriche e gestione rifiuti ai sensi del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Norme in materia ambientale); dell’art. 1,
comma 1, della legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione Campania –
Legge finanziaria anno 2010); promossi dalle Regioni Emilia-Romagna (mediante
due ricorsi), Liguria (mediante due ricorsi), Piemonte (mediante due ricorsi),
Puglia, Toscana, Umbria e Marche e dal Presidente del Consiglio dei ministri
(mediante due ricorsi), notificati il 20 ottobre 2008, il 21 gennaio 2010, il
20 ottobre 2008, il 22 gennaio 2010, il 20 ottobre 2008, il 29 gennaio, il 9
gennaio, il 22 gennaio, il 21 gennaio ed il 22 gennaio 2010, il 30
dicembre 2008 e il 20 marzo 2010, depositati in cancelleria il 22 ottobre 2008,
il 28 gennaio 2010, il 22 ottobre 2008, il 27 gennaio, il 27 ottobre, il 29
gennaio, il 18 gennaio, il 27 gennaio, il 28 gennaio ed il 29 gennaio
2010, il 2 gennaio 2009 e il 30 marzo 2010, ed iscritti ai nn.
69 del registro ricorsi 2008, 13 del registro ricorsi 2010, 72 del registro
ricorsi 2008, 12 del registro ricorsi 2010, 77 del registro ricorsi 2008, 16,
6, 10, 14 e 15 del registro ricorsi 2010, 2 del registro ricorsi 2009, 51 del
registro ricorsi 2010.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri e delle Regioni Liguria e Campania;
udito nell’udienza pubblica del 5 ottobre 2010 il Giudice relatore
Franco Gallo;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon,
Franco Mastragostino e Luigi Manzi per
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 20
ottobre 2008 e depositato il 22 ottobre successivo (r. ric. n. 69 del 2008),
1.1. – La ricorrente premette che,
secondo la sentenza
della Corte costituzionale n. 272 del 2004, la legge dello Stato può
intervenire nella materia dei servizi pubblici a titolo di tutela della
concorrenza solo con norme che «che garantiscono, in forme adeguate e
proporzionate, la piú ampia libertà di concorrenza
nell’ambito di rapporti – come quelli relativi al regime delle gare o delle
modalità di gestione e conferimento dei servizi – i quali per la loro diretta
incidenza sul mercato appaiono piú meritevoli di
essere preservati da pratiche anticoncorrenziali».
1.1.1. –
Per la ricorrente, tale disposizione,
«sotto una apparenza meramente facoltizzante», vincola le Regioni e gli enti
locali ad assumere le proprie decisioni relative ai bacini di gara –
corrispondenti ai bacini di esercizio dei servizi pubblici – «d’intesa con
Lamenta
1.1.2. – È censurato, in secondo luogo,
il comma 10 dell’art. 23-bis, il quale prevede che «ll
Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro
centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione
del presente decreto, sentita
Tale disposizione violerebbe l’art. 117,
sesto comma, Cost., perché la materia che forma
oggetto della competenza regolamentare statale da essa prevista presenterebbe
un «inestricabile intreccio con le materie oggetto di potestà concorrente (come
il coordinamento della finanza pubblica, fondamento della lettera a) o
esclusiva delle regioni (come nel caso della gestione associata dei servizi
locali, oggetto della lettera c)». Secondo la ricorrente, in presenza di
un tale intreccio di materie, il solo modo di contemperare le competenze
rispettive dello Stato e delle Regioni sarebbe consistito nel sottoporre il
regolamento all’intesa della Conferenza Stato-Regioni o della Conferenza
unificata, in luogo del semplice parere previsto dalla disposizione impugnata.
In particolare, con riferimento alla
lettera b) del comma 10 dell’art. 23-bis, la ricorrente lamenta
che l’oggetto della potestà regolamentare da esso assegnata allo Stato – e cioè
prevedere che «i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le
funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata»
– è del tutto estraneo alla tutela della concorrenza e a ogni altro titolo di
competenza normativa statale.
1.2. – Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate.
Rileva la difesa dello Stato che: a) il
censurato comma 7 dell’art. 23-bis reca una disciplina che rientra nella
materia della tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva
dello Stato, perché, attraverso l’individuazione dei bacini di gara e dei
criteri relativi a tale attività, individua in concreto il «mercato rilevante»,
allo scopo di evitare le distorsioni della concorrenza derivanti dalla
parcellizzazione delle gestioni; b) il censurato comma 10 dell’art. 23-bis
prevede una potestà regolamentare statale che ha la finalità di procedere
all’armonizzazione della disciplina di alcuni settori di pubblici servizi nei
quali sussiste una regolazione settoriale contrastante con i principi stabiliti
da detto articolo e tale finalità giustifica la previsione del parere della
Conferenza Stato-Regioni anziché del meccanismo dell’intesa forte; c) in
particolare, la lettera b) del censurato comma 10 dell’art. 23-bis ha
anch’essa una finalità di armonizzazione, perché prevede che «il "controllo
analogo” possa sussistere anche allorché piú comuni
e/o enti pubblici non detengano individualmente l’intera partecipazione del
soggetto affidatario in house».
1.3. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza,
2. – Con ricorso notificato il 20
ottobre 2008 e depositato il 22 ottobre successivo (r. ric. n. 72 del 2008),
2.1. – La ricorrente premette che la
legge dello Stato può intervenire nella materia dei servizi pubblici solo a
titolo di tutela della concorrenza e sostiene che le disposizioni censurate non
sono riferibili a tale titolo competenziale.
2.1.1. –
Osserva la ricorrente che il diritto
dell’ente territoriale responsabile di erogare in proprio il servizio pubblico
a favore della propria comunità «non solo non è precluso dalle regole di tutela
della concorrenza, ma è espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza della
Corte di giustizia delle Comunità europee», secondo cui «un’autorità pubblica,
che sia un’amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di adempiere ai
compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti,
amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso
ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi», e «in tal caso, non si
può parlare di contratto a titolo oneroso concluso con un’entità giuridicamente
distinta dall’amministrazione aggiudicatrice», con la conseguenza che «non
sussistono dunque i presupposti per applicare le norme comunitarie in materia
di appalti pubblici». La stessa giurisprudenza avrebbe, inoltre, costantemente
precisato che, «non è escluso che possano esistere altre circostanze nelle
quali l’appello alla concorrenza non è obbligatorio ancorché la controparte
contrattuale sia un’entità giuridicamente distinta dall’amministrazione
aggiudicatrice», e che «ciò si verifica nel caso in cui l’autorità pubblica,
che sia un’amministrazione aggiudicatrice, eserciti sull’entità distinta in
questione un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e
tale entità realizzi la parte piú importante della
propria attività con l’autorità o le autorità pubbliche che la controllano».
Ad avviso della ricorrente, le
disposizioni censurate si pongono in contrasto con tali principi, perché
limitano, in violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost.,
la potestà legislativa regionale di disciplinare il normale svolgimento del
servizio pubblico da parte dell’ente, sottoponendo tale scelta a vincoli sia
sostanziali (le «peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e
geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un
efficace e utile ricorso al mercato») che procedurali (l’onere di «trasmettere
una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all’Autorità garante
della concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione del settore, ove
costituite, per l’espressione di un parere sui profili di competenza»).
2.1.2. –
2.1.3. – La stessa Regione impugna,
infine, il comma 10 dell’art. 23-bis, in riferimento all’artt. 117,
sesto comma, Cost., proponendo questioni analoghe a
quelle proposte dalla Regione Emilia-Romagna nel ricorso n. 69 del 2008 (supra: punto 1.1.2.).
2.2. – Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate.
Rileva la difesa dello Stato che: a)
nella giurisprudenza comunitaria e interna, la possibilità dell’in
house providing è
costruita come deroga alla regolamentazione generale e deve, perciò, essere
interpretata in via restrittiva; b) nell’attuazione del diritto comunitario in
materia di tutela della concorrenza, il legislatore statale ha un margine di
discrezionalità e può, perciò, utilizzare gli strumenti che ritiene piú congrui in relazione alla situazione nazionale; c) non
vi è alcuna lesione dell’autonomia degli enti locali, perché le norme censurate
consentono che essi – qualora ne sussistano i presupposti – possano fare
ricorso all’affidamento dei servizi in house;
d) il censurato comma 7 dell’art. 23-bis reca una disciplina che rientra
nella materia della tutela della concorrenza, perché, attraverso l’individuazione
dei bacini di gara e dei criteri relativi a tale attività, individua in
concreto il «mercato rilevante»; e) il censurato comma 10 dell’art. 23-bis
prevede una potestà regolamentare statale che ha la finalità di procedere alla
armonizzazione della disciplina di alcuni settori di pubblici servizi nei quali
sussiste una disciplina settoriale contrastante con i principi stabiliti da
detto articolo.
2.3. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza,
3. – Con ricorso notificato il 20
ottobre 2008 e depositato il 27 ottobre successivo (r. ric. n. 77 del 2008),
3.1. –
Il successivo comma 8 pone una
disciplina transitoria per il solo servizio idrico integrato, prevedendo che:
«Salvo quanto previsto dal comma 10, lettera e), le concessioni relative
al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall’evidenza
pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza
necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante. Sono escluse dalla
cessazione le concessioni affidate ai sensi del comma 3».
La preesistente disciplina generale del
servizio pubblico locale – prosegue
3.1.1. – La ricorrente lamenta, in primo
luogo, che i censurati commi 1, 2 e 3 violano l’art. 117, primo e quarto comma,
Cost. Sono richiamati, ma non propriamente evocati,
anche gli artt. 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo e sesto comma, e 118 Cost.
3.1.1.1. – Quanto al parametro dell’art.
117, quarto comma, Cost., esso sarebbe violato perché
le norme impugnate recano una disciplina che non è riconducibile alla materia
della tutela della concorrenza, ma alla potestà legislativa residuale delle
Regioni. Con tali disposizioni, infatti, il legislatore statale riconosce che
entrambe le forme di gestione ed affidamento dei servizi pubblici (soggetto
scelto con gara, organizzazione in house) sono
conformi all’ordinamento europeo e in particolare alla disciplina sulla concorrenza,
ma giunge sino ad individuare come forma preferenziale "ordinaria”
l’affidamento del servizio ad imprese terze, mentre relega la possibilità
dell’affidamento in house ai soli casi ivi
espressi in via d’eccezione, superando con ciò la stessa disciplina comunitaria
in materia di concorrenza. E non potrebbe essere richiamato, a sostegno della
legittimità di tali norme, il principio secondo cui la «legislazione nazionale
in materia di tutela dell’ambiente ha potuto individuare misure piú rigorose di quelle previste dal diritto comunitario»,
perché «ciò è stato possibile nei soli limiti di un rispetto del principio di
proporzionalità con altre disposizioni del Trattato […] tra le quali assume
particolare importanza la disciplina a tutela della concorrenza».
Quanto alla sussistenza di altri
eventuali titoli di competenza legislativa statale,
In conclusione – sempre secondo la
ricorrente – l’opzione tra le diverse modalità di gestione del servizio
pubblico «è una tipica scelta d’organizzazione, in particolare di buon
andamento del servizio pubblico (art. 97, primo comma, Cost.),
che proprio in quanto organizzazione locale e non nazionale dei servizi oggetto
della disciplina dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, non
può riconoscersi alla legislazione statale, ma spetta alla legislazione
regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.
seppure nel rispetto di una eventuale specifica disciplina degli enti
territoriali minori (art. 117, sesto comma, Cost.)».
Alle Regioni spetta, inoltre «la legittimazione ad impugnare le leggi statali
in via diretta non solo a tutela della propria legislazione ma anche con il
riferimento alla prospettata lesione da parte della legge nazionale della
potestà normativa degli enti territoriali, con affermazione della regione come
ente di tutela avanti alla Corte costituzionale del "sistema regionale delle
autonomie territoriali” (art. 114, secondo comma, Cost.)».
3.1.1.2. – Quanto al parametro dell’art.
117, primo comma, Cost., la ricorrente rileva che
esso sarebbe violato perché il diritto comunitario non consente che il
legislatore nazionale spinga la tutela della concorrenza fino comprimere il
«principio di libertà degli individui o di autonomia – del pari costituzionale
– degli enti territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.)
di mantenere la capacità di operare ogni qualvolta fanno la scelta che
ritengono piú opportuna: cioè se fruire dei vantaggi
economici offerti dal mercato dei produttori oppure se procedere a modellare
una propria struttura capace di diversamente configurare l’offerta delle
prestazioni di servizio pubblico». In tal senso si è espresso – prosegue la
ricorrente – l’ordinamento comunitario, laddove «ha ritenuto in contrasto con
la disciplina europea sulla concorrenza la legge nazionale sui lavori pubblici
(allora legge 11 febbraio 1994, n. 109, art. 21) che aveva limitato la scelta
tra i due criteri europei d’aggiudicazione degli appalti – offerta
economicamente piú vantaggiosa e prezzo piú basso − imponendo il vincolo legislativo alle
amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere unicamente al criterio del prezzo piú basso». L’attuazione del diritto comunitario non
consentirebbe al legislatore interno di esprimere un autonomo indirizzo
politico, perché essa può comportare solo «l’adozione di norme esecutive (secundum legem)»,
con l’impossibilità di spingersi sino a norme «integrative (praeter
legem), tali cioè da ampliare, senza derogarli, i
contenuti normativi espressi attraverso la legislazione» da attuare. Nel caso
di specie, «nessuna delle disposizioni comunitarie vigenti infatti impone −
come invece pretende l’art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.
ai suoi commi secondo e terzo − agli Stati membri l’attribuzione ad
imprese terze come forma ordinaria o preferenziale di affidamento dei servizi
pubblici locali, relegando ai soli casi d’eccezione il ricorso alla diversa ed
alternativa forma dell’in house providing. Al contrario
si può affermare che la legislazione comunitaria lasci gli Stati membri liberi
di decidere se fornire i servizi pubblici con un’organizzazione propria […] o
affidarne la fornitura ad imprese terze».
3.1.2. – La ricorrente lamenta, in
secondo luogo, che i censurati commi 2, 3 e 4 violano gli artt. 3, 97, 114,
117, primo, secondo, terzo, quarto e sesto comma, e 118, primo e secondo comma,
Cost.
3.1.2.1. – Quanto ai parametri degli
artt. 3 e 97 Cost., la ricorrente rileva che essi
sarebbero violati perché la disciplina dell’affidamento del servizio pubblico
locale nella forma organizzativa dell’in house providing, contenuta
nelle disposizioni censurate, risulta lesiva della «competenza delle regioni e
degli enti locali ove le s’intenda come disciplina ulteriore rispetto a quella
generale sul procedimento amministrativo che da tempo prevede il dovere di
motivazione degli atti amministrativi (art. 3, legge 7 agosto 1990, n. 241),
secondo molti posto in attuazione del principio costituzionale di motivazione
delle scelte della amministrazioni pubbliche quanto meno nella cura di pubblici
interessi». Tale ulteriore disciplina, da intendersi come «deroga alla
disciplina generale sul procedimento e la motivazione degli atti
amministrativi», si porrebbe in violazione del principio di ragionevolezza «(arg. ex art. 3, secondo comma Cost.),
poiché non è ravvisabile nel caso in esame alcun interesse pubblico prevalente
capace di fondare sia l’esenzione dal generale dovere di motivazione per
l’affidamento ad imprese terze (art. 23-bis, secondo comma), sia
viceversa la limitazione dei casi sui quali può essere portata la motivazione a
fondamento di altre soluzioni organizzative». La denunciata invasione nella
sfera di competenza regionale e degli enti territoriali minori è addirittura
enfatizzata – prosegue
La ricorrente non esclude, peraltro, che
dell’art. 23-bis, commi 1 e 4, si possa dare «un’interpretazione adeguatrice capace di sorreggere una sentenza
interpretativa di rigetto della questione di costituzionalità proposta ove
s’intenda che tali disposizioni non deroghino alla disciplina generale sul
procedimento amministrativo, dovendo l’amministrazione motivare qualunque
scelta della forma di gestione del servizio pubblico locale, attraverso una
comparazione tra tutte quelle compatibili con l’ordinamento comunitario ed
offrendo infine la giustificazione in concreto della forma prescelta, secondo
un’interpretazione che espunge dalle norme qualsiasi preferenza o prevalenza in
astratto di una forma di gestione sull’altra».
Anche seguendo tale percorso
interpretativo, permarrebbe comunque – ad avviso della Regione –
l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 23-bis, commi 3 e 4,
del citato decreto-legge n. 112 del 2008, «per avere il legislatore statale
invaso la sfera di competenza normativa della Regione Piemonte e degli enti
territoriali piemontesi nella definizione dello svolgimento delle funzioni loro
attribuite (art. 117, commi quarto e sesto, Cost.)
poiché una parte della norma prevede una disciplina particolare del
procedimento di affidamento della gestione a soggetti diversi dagli operatori
di mercato, tra cui l’in house providing».
A tali considerazioni, la difesa
regionale aggiunge che i commi censurati contengono «norme di dettaglio cosí puntuali che non sarebbero neppure compatibili con una
competenza esclusiva dello Stato […] e in violazione del principio di
ragionevolezza (ex art. 3, secondo comma, Cost.)
poiché della legge impugnata non si comprendono le ragioni di una disciplina
differenziata per l’ambito locale dei pubblici servizi rispetto a quella
generalmente prevista per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ed
in genere per le autorità di regolazione».
3.1.2.2. – Quanto ai parametri
«dell’art. 117, commi primo, secondo, terzo, quarto, Cost.
con riferimento agli articoli 114, 117, sesto comma, e 118, commi primo e
secondo, Cost.», la ricorrente rileva che essi
sarebbero violati perché i commi censurati ledono «l’autonomia costituzionale
propria dell’intero sistema degli enti locali», limitando la «capacità
d’organizzazione e di autonoma definizione normativa dello svolgimento delle
funzioni di affidamento dei servizi pubblici locali». Secondo
3.1.2.3. – Quanto al parametro
«dell’art. 117, secondo comma, Cost. con riferimento
all’art. 3 Cost.», la ricorrente sostiene che la
disciplina contenuta nelle disposizioni censurate, anche ove fosse ritenuta di
tutela della concorrenza, difetterebbe di proporzionalità e adeguatezza.
In particolare, la difesa regionale
afferma che
3.1.3. – La ricorrente censura, in terzo
luogo, il comma 8 dell’art. 23-bis, il quale prevede – come visto – che,
in generale «le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate
con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre
la data del 31 dicembre 2010».
3.1.3.1. – Ad avviso della ricorrente,
la disposizione víola gli artt. 41, 114 e 117,
secondo comma, Cost., «con riferimento all’art. 3 Cost.», ponendosi in contrasto con «il principio di
ragionevolezza e di concorrenza comunitaria che la stessa proclama di voler
affermare ed addirittura di voler superare, poiché la stessa si configura come
ennesima […] norma di sanatoria degli affidamenti al mercato dei produttori
seppur disposti ancora una volta in difetto di evidenza pubblica, con proroga
di cui le imprese terze si possono giovare ex lege
sino alla data indicata dal 31 dicembre 2010». Si tratterebbe cioè di una norma
che contraddice i primi commi dello stesso art. 23-bis, i quali
realizzano «un indirizzo politico ispirato alla "ultra concorrenzialità”»,
perché favorisce gli affidamenti disposti in violazione della disciplina
italiana ed europea sulla concorrenza.
3.1.3.2. – Per la difesa regionale, la
stessa disposizione víola altresí
gli artt. 5, 114, 117, sesto comma, e 118, Cost., i
quali garantiscono l’autonomia costituzionale della Regione Piemonte e degli
enti locali (art. 5, 114, 117, sesto comma, 118, Cost.),
perché – stabilendo che cessano al 31 dicembre 2010 gli affidamenti rilasciati
con procedure diverse dall’evidenza pubblica, salvo quelli conformi ai vincoli
ulteriori di istruttoria e motivazione previsti dalla nuova disciplina –
determina la cessazione «di tutti gli affidamenti attribuiti secondo la
disciplina previgente (d.lgs. n. 267 del 2000, cit., art. 113, comma 5, lettera
c), ponendo in forse l’attuazione dei piani gestionali e di
investimento, nonché i relativi piani tariffari, travolgendo rapporti giuridici
perfezionati ed in via di esecuzione che le parti vogliono vedere procedere
secondo la loro scadenza naturale, al pari delle concessioni rilasciate ad
imprese terze secondo le procedure ad evidenza pubblica».
3.1.4. – La ricorrente lamenta, in
quarto luogo, che il censurato comma 10 dell’art. 23-bis, il quale
autorizza il Governo all’adozione di regolamenti di delegificazione, víola l’art. 117, secondo, quarto e sesto comma, Cost., nonché «il principio di ragionevolezza e leale
collaborazione» (artt. 3 e 120 Cost.), perché lo
Stato, non avendo potestà legislativa in materia, non ha neanche potestà
regolamentare.
Aggiunge la difesa regionale che la
clausola di autorizzazione contenuta in detto comma «prefigura una disciplina
regolamentare di particolare dettaglio» che víola i
principi di adeguatezza e proporzionalità, perché «non pare possibile ritenere
adeguato e proporzionale un intervento statale (per legge e regolamento) che
rechi l’intera disciplina sugli affidamenti dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, ad esclusione di ogni spazio di regolazione per le
regioni».
Inoltre – prosegue la ricorrente – la
previsione secondo cui l’indicato regolamento sarà approvato dal Governo
«sentita
In particolare, il comma censurato
rinvia al regolamento governativo la disciplina transitoria dei servizi
pubblici locali diversi da quello idrico, «con una irragionevole differenza di
trattamento che non appare giustificata in particolare per il servizio idrico
integrato per il quale la legge statale indica senz’altro in via generale ed
astratta la data di scadenza fissa del 31 dicembre 2010, mentre per gli altri
servizi pubblici consente al regolamento la previsione di adeguati "tempi
differenziati” in ragione di eterogeneità dei servizi presi in considerazione».
3.2. – Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate.
La difesa dello Stato svolge argomentazioni
analoghe a quelle svolte nei giudizi r. ric. n. 69 e n. 72 del 2008 (supra: punti 1.2. e 2.2.) e rileva, inoltre, che: a)
la doglianza relativa alla disciplina delle decadenze e proroghe delle gestioni
in essere è infondata, perché la scelta del legislatore statale è
sufficientemente chiara e razionale: un termine piú
breve per le gestioni nelle quali sono coinvolti direttamente soggetti e
interessi pubblici; un termine piú lungo per «quegli
affidamenti che presuppongono investimenti privati in corso di ammortamento»;
b) il censurato comma 10 dell’art. 23-bis prevede, nella materia della
tutela della concorrenza, una potestà regolamentare statale che ha la finalità
di procedere all’armonizzazione della disciplina di alcuni settori di pubblici
servizi nei quali sussiste una disciplina contrastante con i princípi stabiliti da detto articolo.
3.3. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza,
3.4. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto
che le questioni proposte siano dichiarate manifestamente infondate nel merito.
Precisa, in particolare, la difesa dello Stato che la disciplina censurata, la
quale è riconducibile alla materia della tutela della concorrenza, è legittima,
perché la giurisprudenza comunitaria e quella nazionale hanno sempre affermato
che l’istituto dell’in house
providing costituisce un’eccezione al principio
di concorrenza e all’ordinaria osservanza delle procedure di evidenza pubblica:
rappresenta, cioè, «una soluzione residuale alla quale ricorrere solo in caso
di impossibilità di trovare una soluzione alternativa efficiente».
4. – Con ricorso notificato il 30
dicembre 2008 e depositato il 2 gennaio 2009 (r. ric. n. 2 del 2009), il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha impugnato i commi 1, 4, 5, 6 e 14 dell’art. 4 della
legge della Regione Liguria 28 ottobre 2008, n. 39 (Istituzione delle Autorità
d’Ambito per l’esercizio delle funzioni degli enti locali in materia di risorse
idriche e gestione rifiuti ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152 – Norme in materia ambientale).
Detti commi prevedono, rispettivamente,
che: a) «Nei novanta giorni successivi alla costituzione dell’AATO,
4.1. – La difesa dello Stato premette
che il censurato art. 4 contiene disposizioni che contrastano con quanto
previsto dalla legge statale in materia di tutela dell’ambiente e tutela della
concorrenza e formula tre questioni.
4.1.1. – È impugnato, in primo luogo, il
comma 1 dell’art.
Sostiene il ricorrente che il suddetto
art. 151 deve ritenersi tacitamente abrogato dal d.lgs. correttivo 16 gennaio
2008, n. 4, che ha sostituito l’art. 161 del d.lgs. n. 152/2006, disponendo che
sia il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche (in seguito «Comitato»)
a redigere il contenuto di una o piú convenzioni-tipo
da adottare con decreto del Ministero dell’ambiente. Lo stesso, cosí novellato, art. 161 – prosegue la difesa dello Stato –
attribuisce, inoltre, al predetto Comitato la competenza anche in tema di
contratti di servizio, obiettivi qualitativi dei servizi erogati, monitoraggio
delle prestazioni e aspetti tariffari.
Ne deriva, per lo Stato, che «L’art. 4,
comma 14, della legge regionale n. 39/2008 impugnata appare, pertanto, in
contrasto con la normativa statale, nella parte in cui affida invece tali
competenze all’AATO».
In conclusione, i commi censurati
violerebbero il parametro costituzionale evocato, per il tramite dell’art. 161,
comma 4, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006, il quale
dispone, tra l’altro, che sia il Comitato per la vigilanza sull’uso delle
risorse idriche e non
4.1.2. – È impugnato, in secondo luogo –
in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., per il tramite dell’art. 23-bis, commi 2, 3 e
11, del d.l. n. 112 del 2008 – il comma 4 dell’art. 4
della legge reg. n. 39 del 2008, il quale stabilisce – come visto – che l’AATO
provvede all’affidamento del servizio idrico integrato, «in particolare, nel
rispetto dei criteri di cui all’articolo 113, comma 7, del d.lgs. 267/2000 e
delle modalità di cui agli articoli 150 e 172 del d.lgs.152/2006».
Evidenzia la difesa dello Stato che il
richiamato art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, al comma 1, consente la scelta
della forma di gestione degli AATO tra quelle elencate nell’art. 113, comma 5,
del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali), ma l’art. 23-bis, comma 11, del d.l.
n. 112 del 2008, prevede che le parti dell’art. 113 citato che siano
incompatibili con le prescrizioni in esso contenute siano da considerare
abrogate. Ad avviso della stessa difesa, quindi, la norma regionale risulta in
contrasto con l’art. 23-bis del d.l. n. 112
del 2008, perché quest’ultimo prevede come regola per l’affidamento dei servizi
pubblici locali le procedure competitive ad evidenza pubblica, ferma restando
la possibilità di ricorrere all’affidamento diretto solo in presenza di
circoscritte e motivate circostanze, contemplate al comma 3 del medesimo
articolo. La norma regionale, invece, prevede l’affidamento del servizio a un
soggetto da individuare genericamente in conformità alle disposizioni
comunitarie e alla normativa nazionale vigente in materia e, quindi,
indifferentemente in una delle tre forme previste dal menzionato art. 113,
comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, anche senza che ricorrano le suddette
peculiari circostanze.
4.1.3. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri censura, in terzo luogo – in riferimento all’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost., per il tramite dell’art.
23-bis, commi 8 e 9, del d.l. n. 112 del 2008
– i commi 5 e 6 dell’art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, i quali
disciplinano la cessazione delle concessioni esistenti e il relativo regime
transitorio degli affidamenti del servizio idrico integrato effettuati senza
gara, rinviando alle disposizioni di cui all’art. 113, comma 15-bis, del
d.lgs. n. 267 del 2000.
La difesa dello Stato sostiene che le
norme impugnate contrastano con gli evocati parametri, perché la materia è
attualmente regolata in maniera difforme dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, che ha abrogato – come visto – l’art.
113 citato nelle parti incompatibili con le sue disposizioni, e che fissa, ai
commi 8 e 9, comunque, al 31 dicembre 2010 la data per la cessazione delle
concessioni esistenti rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica.
4.2. – Si è costituita in giudizio
4.2.1. – Quanto alle censure riguardanti
i commi 1 e 14 dell’art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la resistente osserva
che dette disposizioni non sono riconducibili a competenze legislative statali,
perché attengono alla materia dei pubblici servizi locali, di competenza
legislativa regionale.
In particolare, in relazione
all’impugnazione del comma 1 dell’art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la
resistente sostiene che la previsione per cui la «Giunta regionale approva lo
schema tipo di contratto di servizio e di convenzione di cui agli articoli 151
e 203 del d.lgs. 152/2006» non contrasta con la legislazione statale. Infatti,
il richiamato art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006 dispone che l’Autorità
d’àmbito predispone le convenzioni che regolano i rapporti con i gestori del
servizio e, a tal fine, le Regioni adottano convenzioni tipo con relativi
disciplinari. Ad avviso della Regione, tale ultima disposizione è tuttora in
vigore e non è stata tacitamente abrogata dalla nuova formulazione del
successivo art. 161 introdotta dal decreto legislativo correttivo 16 gennaio
2008, n. 4, il quale assegna al Comitato per la vigilanza sull’uso delle
risorse idriche la competenza a redigere una o piú
convenzioni tipo, da adottare con decreto ministeriale. In ogni caso, i compiti
del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche devono essere
interpretati – anche alla luce dei lavori preparatori – conformemente agli
artt. 5 e 117 Cost., nel senso che essi si aggiungono
e non si sostituiscono alle competenze disciplinate dalla legge regionale.
Quanto poi all’impugnazione del comma 14
dell’art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la resistente premette che essa è
inammissibile, perché generica, non specificando quali siano i profili che
determinano il contrasto con la norma statale. Nel merito, sostiene che non vi
è incompatibilità fra i poteri che il comma 14 assegna all’Autorità d’àmbito e
quelli assegnati dall’art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006 al Comitato per la
vigilanza sull’uso delle risorse idriche.
4.2.2. – In relazione alla censura
riguardante il comma 4 dell’art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008,
Se ne concluderebbe che la disposizione
censurata non víola, in ogni caso, la disciplina
settoriale applicabile al servizio idrico, ponendosi al piú
in contrasto con l’art. 23-bis, norma il cui scrutinio di
costituzionalità appare pregiudiziale.
4.2.3. – Quanto alla terza delle
questioni proposte – con cui sono censurati i commi 5 e 6 dell’art. 4 della
legge reg. n. 39 del 2008, sul rilievo che essi disciplinano la cessazione
delle concessioni esistenti e il relativo regime transitorio rinviando alle
disposizioni di cui all’art. 113, comma 15-bis, del d.lgs. n. 267 del
2000, da ritenersi abrogato dal citato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale ha regolato la materia in
maniera difforme – la resistente sostiene che il richiamato art. 113, comma 15-bis,
del d.lgs. n. 267 del 2000 non può ritenersi abrogato, perché: a) le sue
disposizioni non sono tutte incompatibili con quelle del successivo art. 23-bis,
con le quali possono essere armonizzate, ad esempio quanto alla data della
cessazione delle concessioni; b) l’articolo è coperto dal divieto generale di
abrogazione implicita contenuto nell’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 267 del
2000; c) lo stesso art. 23-bis non opera un’abrogazione per nuova
integrale disciplina della materia, perché dispone espressamente che
l’abrogazione sia limitata alle parti incompatibili. Ne consegue – per
4.2.4. – La ricorrente conclude
rilevando di avere già proposto, con il ricorso n. 72 del 2008, questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008 e chiede pertanto, per il caso in cui
4.3. – Con successiva memoria,
4.3.1. – Quanto alle censure riguardanti
i commi 1 e 14 dell’art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la resistente
osserva che l’art. 9-bis, comma 6, del decreto-legge 28 aprile 2009, n.
39 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici
nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di
protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009,
n.
Per
4.3.2. – Quanto alla seconda e alla
terza delle questioni sollevate, in relazione alle quali lo Stato ha evocato
come parametro interposto l’art. 23-bis del d.l.
n. 112 del 2008,
Precisa comunque
4.4. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza, da intendersi come sostitutiva dell’ultima memoria
depositata,
4.5. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rilevato –
allo scopo di puntualizzare la permanenza dell’interesse al ricorso nonostante
le modifiche normative intervenute nella materia – che il legislatore del
Quanto alla censura relativa ai
commi 1 e 14 dell’art. 4 della legge reg. n. 39 del 2008, la difesa dello Stato
rileva che detti commi attribuiscono alla Giunta regionale il potere di
predisporre lo schema tipo di contratti di servizio e di convenzioni regolanti
i rapporti tra le Autorità d’àmbito e i gestori del servizio idrico integrato,
secondo quanto previsto dall’art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006, disposizione
implicitamente abrogata dall’art. 161 dello stesso d.lgs., come sostituito dal
d.lgs. n. 4 del 2008.
Quanto, poi, al contratto di servizio e alla convenzione cui fanno riferimento le disposizioni censurate, la difesa dello Stato rileva che essi sono sostanzialmente la medesima cosa, essendo entrambi atti negoziali conclusi dalle Autorità d’àmbito con i gestori del servizio pubblico onde regolare i loro rapporti. Confermerebbe «tale conclusione una analisi del dato normativo che pare usare alternativamente l’una piuttosto che l’altra nomenclatura».
Quanto alla censura relativa
all’art. 4, comma 4, della legge reg. n. 39 del 2008, la difesa dello Stato
sostiene che detta disposizione, trattando dell’affidamento del servizio
idrico, richiama l’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006 secondo cui l’Autorità
d’àmbito delibera la forma di gestione scegliendo tra quelle di cui all’art.
113, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, norma, quest’ultima, abrogata dal
citato art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 nelle parti
incompatibili con le disposizioni dello stesso art. 23-bis.
Per la difesa dello Stato, tali
argomenti risultano superabili, se si tiene conto del fatto che l’art. 150 del
d.lgs. n. 152 del
Quanto alle censure aventi ad oggetto
l’art. 4, commi 5 e 6, della legge reg. n. 39 del 2008, il ricorrente contesta
l’affermazione della controparte secondo cui il comma 15-bis dell’art.
113 e i commi 8 e 9 dell’art. 23-bis non sarebbero incompatibili e,
dunque, il primo non risulterebbe abrogato dal secondo. Rileva sul punto la
difesa dello Stato che «l’art. 23-bis fissa la cessazione delle
concessioni attribuite senza gara alla data del 31/12/2010 escludendo, però,
dalla perdita di efficacia gli affidamenti diretti effettuati nelle ipotesi in
cui il terzo comma dello stesso art. 23-bis ancora li consente (al
ricorrere cioè di "peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali,
geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento” che non consentono
l’espletamento della pubblica gara); mentre il comma 15-bis dell’art.
113 T.U. enti locali contempla […] quali eccezioni alla cessazione delle
concessioni i casi in cui l’affidamento è effettuato con una delle modalità di
cui al comma 5 dello stesso articolo».
5. – Con ricorso notificato il 9 gennaio
2010 e depositato il 18 gennaio successivo (r. ric. n. 6 del 2010),
5.1. –
In
particolare, il nuovo testo del citato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, come modificato dall’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, prevede che: «1. Le disposizioni del
presente articolo disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e
al fine di favorire la piú ampia diffusione dei
principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei
servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi
di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti
gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al
livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo
comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un
adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà,
proporzionalità e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente
articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle
relative discipline di settore con esse incompatibili. Sono fatte salve le
disposizioni del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, e dell’articolo
46-bis del decreto-legge 1º ottobre 2007, n. 159, convertito, con
modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n.
2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria:
a) a
favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati
mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi
del Trattato che istituisce
b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.
4. Nei casi di
cui al comma
4-bis. I regolamenti di cui al comma 10 definiscono le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell’espressione del parere di cui al comma 4.
5. Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati.
6. È consentito l’affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali nei casi in cui possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. In questo caso la durata dell’affidamento, unica per tutti i servizi, non può essere superiore alla media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore.
7. Le regioni
e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze e d’intesa con
8. Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai commi 2 e 3 è il seguente:
a) le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta "in house” cessano, improrogabilmente e senza necessità di deliberazione da parte dell’ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011. Esse cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio a condizione che entro il 31 dicembre 2011 le amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del capitale attraverso le modalità di cui alla lettera b) del comma 2;
b) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011;
c) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio;
d) gli
affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre
e) le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante.
9. Le società, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell’Unione europea, che, in Italia o all’estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtú di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2, lettera b), nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall’attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare. Il divieto di cui al primo periodo opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle società quotate in mercati regolamentati e al socio selezionato ai sensi della lettera b) del comma 2. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti.
10. Il
Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro il 31
dicembre 2009, sentita
a) prevedere l’assoggettamento dei soggetti affidatari cosiddetti in house di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno, tenendo conto delle scadenze fissate al comma 8, e l’osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi e l’assunzione di personale;
b) prevedere, in attuazione dei principi di proporzionalità e di adeguatezza di cui all’ articolo 118 della Costituzione, che i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata;
c) prevedere una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilità;
d) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua;
e) (abrogato)
f) prevedere l’applicazione del principio di reciprocità ai fini dell’ammissione alle gare di imprese estere;
g) limitare, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e razionalità economica, i casi di gestione in regime d’esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale;
h) prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti;
i) disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di proprietà del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio;
l) prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi;
m) individuare espressamente le norme abrogate ai sensi del presente articolo.
11. L’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, è abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni di cui al presente articolo.
12. Restano salve le procedure di
affidamento già avviate alla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto».
La ricorrente afferma che il legislatore
statale riconosce che sia l’affidamento del servizio pubblico ad imprese terze,
sia l’affidamento in house sono conformi
all’ordinamento europeo e in particolare alla disciplina della concorrenza, ma
con la norma di cui si tratta giunge sino ad individuare come forma
preferenziale ordinaria l’affidamento del servizio ad imprese terze, mentre
relega la possibilità dell’affidamento in house
ai soli casi ivi espressi in via d’eccezione, superando la stessa disciplina
comunitaria in materia di concorrenza.
5.1.1. – Ad avviso della Regione, i
commi 2, 3 e 4 del menzionato art. 23-bis violano l’evocato art. 117,
terzo comma, Cost., «in quanto limitano la potestà
legislativa regionale di disciplinare il normale svolgimento del servizio
pubblico da parte dell’ente e di gestire in proprio i servizi pubblici». Dette
disposizioni – prosegue
Si tratterebbe, peraltro, di innovazioni
non imposte dal diritto comunitario, sia sotto il profilo
dell’esternalizzazione dei servizi pubblici locali con rilevanza economica, sia
sotto quello della riattribuzione con la messa in
gara delle attuali concessioni prima della scadenza originariamente prevista.
Ad avviso della Regione Puglia, tale
limitazione della capacità delle amministrazioni regionali e locali di gestire
in proprio i servizi pubblici risulta costituzionalmente illegittima e lesiva
della potestà legislativa regionale in materia, poiché nega illegittimamente
l’autonomia costituzionale di tali enti (art. 114 Cost.),
riconosciuta anche dall’Unione europea, nel suo nucleo imprescindibile della
capacità di darsi un’organizzazione idonea a soddisfare i bisogni sociali nel
suo territorio, cioè della popolazione residente che ne è l’elemento
costitutivo. L’invasione della sfera di competenza regionale e degli enti
territoriali minori sarebbe, poi, enfatizzata dalla precisazione che le
indicate disposizioni – i commi 2, 3, 4 dell’art. 23-bis, modificato
dall’art. 15 cit. – «prevalgono su tutte le discipline di settore con esse
incompatibili», ivi comprese le discipline di settore regionali.
In conclusione, le disposizioni
denunciate, non si limiterebbero a stabilire principi fondamentali della
materia, ma detterebbero «una disciplina articolata e specifica, invasiva delle
competenze regionali anche in materia di regolazione del servizio idrico
integrato». Tali competenze legislative sarebbero ascrivibili – sempre secondo
Sotto questo profilo – prosegue la
difesa regionale – il servizio idrico integrato è da considerare «servizio
pubblico locale privo di rilevanza economica, la cui disciplina non è
riconducibile al titolo di legittimazione trasversale "tutela della
concorrenza”». E ciò perché, «con riferimento alla funzione di tutela della
salute e di alimentazione propria dell’acqua, non esiste un mercato
concorrenziale ed il ruolo riservato dal titolo V della Costituzione al
legislatore regionale si riespande in tutte le sue
potenzialità». In altri termini, il servizio deve essere realizzato secondo
forme e modalità di gestione «che garantiscano un governo pubblico partecipato
e un finanziamento attraverso meccanismi perequativi e di equità sociale: senza
finalità lucrativa e nel rispetto dei diritti delle generazioni future e degli
equilibri ecologici».
5.1.2. – È del pari censurato, con riferimento
allo stesso parametro costituzionale dell’art. 117, terzo comma, il comma 8
dell’art. 23-bis, il quale stabilisce – come visto – che cessano al 31
dicembre 2010 gli affidamenti rilasciati con procedure diverse dall’evidenza
pubblica, salvo quelli conformi ai vincoli ulteriori di istruttoria e
motivazione previsti dalla nuova disciplina.
5.2. – Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate.
La difesa dello Stato rileva che: a) «
5.3. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito
quanto affermato nell’atto di costituzione, in particolare sostenendo che: a)
il ricorso è inammissibile, perché
6. – Con ricorso notificato il 22
gennaio 2010 e depositato il 27 gennaio successivo (r. ric. n. 10 del 2010),
6.1. –
6.1.1. – Sono censurati, in primo luogo,
i commi 2, 3 e 4 del novellato art. 23-bis del d.l.
n. 112 del 2008, i quali stabiliscono che di regola la gestione dei servizi
pubblici locali debba essere affidata ad una società privata o mista tramite
gara e ammettono la modalità di affidamento del servizio in house solo in via eccezionale.
La ricorrente osserva che tali
disposizioni esprimono con evidenza il disfavore manifestato dal legislatore
statale per la modalità di gestione del servizio pubblico attraverso una
società a totale partecipazione pubblica, ancorché sussistano i requisiti
indicati dall’ordinamento comunitario, ossia l’esercizio da parte dell’ente
pubblico di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e la
prevalenza dell’attività della società in house
a favore dell’ente controllante.
Tale regime – prosegue
In particolare, poiché l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto
all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi
propri dell’amministrazione stessa, tutta l’organizzazione in house è sottratta alla disciplina della concorrenza
nella scelta del gestore, in quanto questi è parte dell’organizzazione della
controllante, per la quale svolge attività in via prevalente: non può pertanto
essere considerata un’impresa di terzi, né incide sul mercato.
Conseguentemente, non potrebbe invocarsi il principio di concorrenza – che
invece deve necessariamente conformare l’operato delle amministrazioni una
volta che le stesse abbiano deciso di rivolgersi al mercato delle imprese –
nella ipotesi della scelta dell’in house, che involge piuttosto profili di
auto-organizzazione dell’ente pubblico.
Per la difesa regionale, tale
ricostruzione trova conferma nella giurisprudenza costituzionale, secondo cui
l’intervento legislativo statale a tutela della concorrenza con riferimento ai
servizi pubblici locali di rilevanza economica viene in considerazione solo per
quei profili di disciplina strettamente collegati e funzionali all’esigenza di
definire condizioni concorrenziali uniformi nei vari settori economici. Invece,
quando le Amministrazioni, nell’esercizio delle valutazioni discrezionali di
competenza, decidono di gestire il servizio attraverso una propria longa manus (la società in house)
non ricorrono le esigenze di tutela della concorrenza e quindi, per tale
profilo, non esiste un titolo legittimante la competenza statale. In altri
termini, la scelta in ordine alle modalità di gestione del servizio pubblico
locale è da considerare una tipica scelta di organizzazione, «che in quanto
organizzazione locale e non nazionale dei servizi non rientra nella competenza
statale, ma in quella regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.».
6.1.1.1. – Ne deriva, per la ricorrente,
l’illegittimità costituzionale dei commi censurati, in riferimento all’art.
117, secondo e quarto comma, Cost., perché detti
commi esprimono una prevalenza della gestione esternalizzata dei servizi
pubblici locali, in quanto intervengono nella materia dell’organizzazione della
gestione di detti servizi, con una normativa di dettaglio, che non lascia
margini all’autonomia del legislatore regionale, pur perseguendo finalità che
esulano da profili strettamente connessi alla tutela della concorrenza.
6.1.1.2. – Sempre per la ricorrente, i
commi impugnati si pongono in contrasto anche con il diritto comunitario, in
violazione dell’art. 117, primo, secondo e quarto comma, Cost.
Infatti, nessuna disposizione
comunitaria vigente limita il ricorso all’in house
a casi eccezionali, in presenza di rigorose condizioni previste dalla legge e
previo assolvimento di puntuali regole procedimentali, cosí
come invece previsto dalle disposizioni censurate. Al contrario – sostiene la
ricorrente – l’ordinamento comunitario ammette espressamente la possibilità di
fornire i servizi pubblici con un’organizzazione propria, in alternativa
all’affidamento ad imprese terze, con la conseguenza che le disposizioni
censurate non trovano fondamento né nella riserva costituzionale alla
legislazione statale esclusiva della materia tutela della concorrenza (art.
117, secondo comma, lettera e, Cost.), né
nella disciplina comunitaria.
A tali conclusioni non potrebbe opporsi
che le disposizioni impugnate rientrano nella materia dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo
comma, lett. m, Cost.),
in quanto hanno ad oggetto unicamente le forme di gestione dei servizi pubblici
a rilevanza economica e non le prestazioni che dette gestioni debbono
assicurare agli utenti. Né del pari potrebbe opporsi che esse rientrano nella
materia delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane,
ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.,
in quanto «la gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi
esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell’ente locale».
6.1.2. – È censurato, in secondo luogo –
sempre in riferimento all’art. 117, primo, secondo e quarto comma Cost. – il comma 8 del novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale introduce un nuovo regime
transitorio, valido per tutti i servizi, compreso quello idrico, con
riferimento alle gestioni in essere.
In conclusione, ad avviso della Regione,
il comma censurato si pone in contrasto con gli evocati parametri, perché: a)
il legislatore statale, con la disciplina in esame, non ha limitato il proprio
intervento agli aspetti piú strettamente connessi
alla tutela della concorrenza ed alla regolazione del mercato, ma è
intervenuto, con una norma di dettaglio, sottraendo alle Regioni la libera
determinazione se ricorrere o meno al mercato ai fini della gestione del
servizio pubblico; determinazione che rientra nell’àmbito del buon andamento
dell’organizzazione dei servizi pubblici, che spetta alle Regioni ai sensi
dell’art. 117, quarto comma, Cost.; b) la
disposizione, nella parte in cui impone al 31 dicembre 2011 la cessazione di
tutte le gestioni in house, víola l’art. 117 primo comma, Cost.;
per il tramite del diritto comunitario, che invece consente la prosecuzione di
tali gestioni; c) neppure con riferimento alla disciplina del periodo
transitorio possono venire in rilievo le competenze legislative statali in
materia di livelli essenziali delle prestazioni o di funzioni fondamentali di
Comuni, Province e Città metropolitane, per le stesse ragioni già esposte in
relazione alla questione avente ad oggetto i commi 2, 3 e 4 del menzionato art.
23-bis.
6.2. – Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni analoghe a
quelle svolte in relazione al ricorso n. 6 del 2010 (supra:
punto 5.2.).
6.3. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito
quanto affermato nell’atto di costituzione, in particolare sostenendo che: a)
il ricorso è inammissibile, perché
7. – Con ricorso notificato il 22
gennaio 2010 e depositato il 27 gennaio successivo (r. ric. n. 12 del 2010),
7.1. –
Premette altresí
che l’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, che ha
introdotto le disposizioni censurate, pur essendo intitolato «Adeguamento alla
disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza
economica», non cita mai atti comunitari, perché non è, in realtà, imposto da
esigenze di adeguamento alla normativa comunitaria, ma è frutto di una scelta
«meramente statale volta ad imporre la procedura competitiva di affidamento del
servizio come procedura ordinaria e l’affidamento in house
come procedura eccezionale». Al contrario, – prosegue la ricorrente – il
diritto comunitario, pur incentrato sulla tutela della concorrenza come metodo
per garantire la pari opportunità di accesso al mercato delle commesse
pubbliche per tutti gli operatori europei, ammette pienamente il diritto di
ogni amministrazione di erogare direttamente i servizi pubblici autoproducendoli
corrispondentemente alla propria missione.
Premette, infine, che l’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009 è impugnabile anche nelle parti in cui
è confermativo dell’art. 23-bis del d.l. n.
112 del
7.1.1. – Sono censurati, in primo luogo,
i commi 2, 3 e 4 del novellato art. 23-bis del d.l.
n. 112 del 2008, i quali stabiliscono che di regola la gestione dei servizi
pubblici locali debba essere affidata ad una società privata o mista tramite
gara e ammettono la modalità di affidamento del servizio in house solo in via eccezionale.
7.1.1.1. – La ricorrente osserva che
tali disposizioni esprimono il disfavore del legislatore statale per la
modalità di gestione del servizio pubblico attraverso una società a totale
partecipazione pubblica, ponendo pesanti limiti sostanziali e procedurali. Esse
operano una drastica compressione dell’autonomia legislativa regionale in
materia di servizi pubblici locali ed organizzazione degli enti locali (art.
117, quarto comma, Cost.), dato che le possibili
scelte della Regione sulla forma di gestione del servizio vengono limitate a
due possibilità, mentre la gestione diretta viene esclusa e quella tramite
società in house limitata a casi eccezionali.
Ad avviso della difesa regionale, le
disposizioni censurate non rientrano nella competenza legislativa statale in
materia di tutela della concorrenza, ma si limitano a negare «il diritto
dell’ente territoriale responsabile di erogare in proprio il servizio pubblico
a favore della propria comunità»; diritto espressamente riconosciuto dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia UE, la quale afferma che un’autorità
pubblica, che sia un’amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di
adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri
strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a
far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi.
Ad avviso della Regione Liguria, le
limitazioni poste dalle disposizioni censurate alla capacità delle amministrazioni
regionali e locali di gestire in proprio i servizi pubblici risultano
costituzionalmente illegittime e lesive della potestà legislativa regionale
nella materia. E ciò, perché «un problema di tutela della concorrenza può
iniziare solo dopo che è stata presa la decisione di gestire il servizio
attraverso il mercato, anziché in proprio. Al contrario, la decisione di
mantenere il servizio nell’ambito della propria organizzazione diretta, o della
propria organizzazione in house, non restringe
e non altera in alcun modo la concorrenza».
In relazione ad altri eventuali titoli
di competenza statale, la ricorrente osserva, innanzitutto, che «la disciplina
in esame non appare riferibile alla competenza legislativa statale in tema di
"determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali” perché riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica
e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali». Rileva, poi,
che, in base alla giurisprudenza costituzionale, l’art. 117, secondo comma,
lettera p), Cost. non può essere invocato in
relazione alle modalità di affidamento dei servizi locali. In particolare, il
fatto che nella sentenza
della Corte costituzionale n. 307 del 2009, si legga che «le competenze
comunali in ordine al servizio idrico sia per ragioni storico-normative sia per
l’evidente essenzialità di questo alla vita associata delle comunità stabilite
nei territori comunali devono essere considerate quali funzioni fondamentali
degli enti locali» confermerebbe che, data l’importanza del servizio idrico, lo
Stato non può vietare all’ente di svolgerlo direttamente, costringendolo ad
affidarlo a terzi.
Con riferimento al censurato comma 4, la
ricorrente aggiunge che la sua illegittimità costituzionale consegue
logicamente a quella dei precedenti commi 2 e 3. Detto comma, infatti, richiede
uno speciale parere per l’adozione della gestione diretta del servizio mediante
la propria organizzazione o in house; parere
che «si può giustificare soltanto come forma di garanzia della "eccezionalità”
della gestione in house e della fondatezza
delle specifiche ragioni della scelta, ma che […] non ha piú
senso nè ragionevolezza una volta che si riconosca il
diritto dell’amministrazione di gestire in proprio il Servizio».
In conclusione, le disposizioni dei
commi 2, 3 e 4 impugnati sono, per la ricorrente, illegittime, perché, in
violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost.,
limitano la potestà legislativa regionale di disciplinare il normale
svolgimento del servizio pubblico da parte dell’ente, sottoponendo tale scelta
a vincoli sia sostanziali (le «peculiari caratteristiche economiche, sociali,
ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento») che
procedurali (l’onere di trasmettere una relazione contenente gli esiti della
predetta verifica all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle
autorità di regolazione del settore).
7.1.1.2. – La ricorrente lamenta anche
che le stesse disposizioni violano l’art. 118, primo e secondo comma, Cost., perché – vietando lo svolgimento diretto del
servizio idrico – vanificano «la norma che assegna, preferibilmente, le
funzioni amministrative ai comuni (il servizio idrico virtualmente rimane di
spettanza dei comuni ma in concreto viene assegnato ad altri soggetti; inoltre,
la norma impugnata toglie ai comuni una parte essenziale della funzione, cioè
la possibilità di scegliere la forma di gestione piú
adeguata)». Inoltre, svuotano il principio di sussidiarietà, perché si pongono
in contrasto con il principio secondo cui «i comuni "sono titolari di funzioni
amministrative proprie” (il servizio idrico, essendo una funzione fondamentale,
rientra tra le funzioni "proprie” di cui all’art. 118, comma 2)».
La ricorrente sostiene di essere
legittimata a far valere la lesione delle competenze amministrative degli enti
locali anche indipendentemente dalla prospettazione della violazione della
competenza legislativa regionale, perché le competenze comunali sono
strettamente connesse con la competenza legislativa regionale in materia di
servizi pubblici e di organizzazione degli enti locali.
7.1.1.3. – La difesa regionale lamenta,
poi, che i censurati commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis violano l’art. 117,
primo comma, Cost., in quanto contrastano con
Sarebbero, in particolare, violate le
seguenti disposizioni della Carta: a) l’art. 3, comma 1, secondo cui «per
autonomia locale, s’intende il diritto e la capacità effettiva, per le
collettività locali, di regolamentare ed amministrare nell’ambito della legge,
sotto la loro responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte
importante di affari pubblici»; b) l’art. 4, comma 2, secondo cui «le
collettività locali hanno, nell’ambito della legge, ogni piú
ampia facoltà di prendere iniziative proprie per qualsiasi questione che non
esuli dalla loro competenza o sia assegnata ad un’altra autorità»; c) l’art. 4,
comma 4, secondo cui «le competenze affidate alle collettività locali devono di
regola essere complete ed integrali».
Ad avviso della ricorrente, una volta
che si riconosca che il servizio idrico è parte delle funzioni fondamentali dei
Comuni, «sembra evidente che solo ad essi spetta la decisione sul migliore modo
di organizzarlo. La loro autonomia potrà essere limitata sul versante del
dimensionamento del servizio per assicurare una distribuzione efficiente, e
dunque sulla eventuale necessità di una gestione associativa della risorsa
idrica, ma non si vede come possa risultare legittimo privarli o comunque
configurare come eccezionale e soggetta a specifici aggravi procedimentali la
scelta di assumere essi stessi la responsabilità della gestione diretta del
servizio».
Né a tale assunto potrebbe opporsi – per
la stessa ricorrente – che le norme impugnate non incidono sulla spettanza delle
funzioni ma solo sulle forme di gestione. Infatti, «quando la disciplina delle
forme di gestione arriva ad impedire la gestione diretta del servizio idrico,
non si può negare un’incidenza sulla spettanza concreta della funzione».
La ricorrente sostiene di essere
legittimata a far valere la violazione della Carta europea dell’autonomia
locale, «perché la lesione delle competenze comunali è strettamente connessa
alla violazione della competenza legislativa regionale in materia di servizi
pubblici e di organizzazione degli enti locali».
7.1.1.4. – In subordine, per il caso in
cui «fosse ritenuta legittima l’imposizione di un regime "ordinario” di
affidamento del servizio all’esterno e la limitazione a casi eccezionali di
forme di gestione non concorrenziali»,
Lamenta la ricorrente che tale
disposizione víola il criterio di proporzionalità che
deve guidare la tutela della concorrenza, invadendo il campo riservato alla
potestà legislativa regionale in materia di servizi pubblici. E ciò, perché
detta disposizione pone ulteriori vincoli alla potestà legislativa regionale,
senza che essi risultino funzionali ad una maggiore promozione della
concorrenza, della quale potrebbero persino risultare limitativi. Infatti –
prosegue la difesa regionale – «sono gli stessi privati che potrebbero non
avere interesse ad acquistare, un pacchetto di azioni significativo (almeno il
40%) e presumibilmente di notevole impegno economico (e che tuttavia non
garantisce affatto il controllo sulla società), per avere in cambio […] solo
singoli e specifici compiti operativi e non l’intera gestione (a volte, unica
condizione per poter rientrare degli investimenti fatti per "comprare” la
qualifica di socio). E per altro verso, in senso contrario, in alcuni casi la
situazione gestionale concretamente esistente potrebbe rendere preferibile in
termini di efficienza una privatizzazione attraverso la selezione di un socio
privato mero finanziatore, al quale non affidare alcun compito operativo».
7.1.1.5. – Sempre in via subordinata,
«qualora fosse ritenuta legittima l’imposizione di un regime "ordinario” di
affidamento del servizio all’esterno e la limitazione a casi eccezionali di
forme di gestione non concorrenziali»,
7.1.2. – È censurato, in secondo luogo –
in riferimento agli artt. 117, primo e quarto comma, Cost.
– il comma 8 del novellato art. 23-bis del d.l.
n. 112 del 2008, il quale regola il «regime transitorio degli affidamenti non
conformi a quanto stabilito ai commi 2 e 3, prevedendo, in particolare: nella
lettera a), le modalità di cessazione delle gestioni in house in essere; nelle lettere b) e c),
il regime transitorio delle gestioni affidate direttamente a società miste;
nella lettera d), le modalità di cessazione degli affidamenti diretti a
società a partecipazione pubblica.
7.1.2.1. –
Aggiunge la ricorrente che la
privatizzazione prevista dalla norma censurata non è riconducibile alla materia
della tutela della concorrenza e «non ricade in specifiche competenze né della
Comunità europea, né dello Stato: né, d’altronde, è una vera materia,
trattandosi invece di una modalità di gestione di un bene, servizio o attività.
Inoltre, trattandosi di un trasferimento ai privati di risorse costituite a
spese della collettività, è un processo che va attentamente valutato in termini
di benefici di ritorno alla collettività stessa. Essa, dunque, si giustifica
soltanto là dove l’ingresso del privato sia una garanzia di maggiore efficienza
della gestione del bene privatizzato». Infatti – sempre secondo la difesa
regionale – lo Stato può legiferare solo: «a) per assicurare la concorrenza là
dove l’ente competente decida di aprire il servizio ai privati; b) per
assicurare i livelli essenziali delle prestazioni; c) ponendo norme di
principio sul coordinamento finanziario, là dove si tratti di limitare il costo
dei servizi rispetto al bilancio pubblico».
A fronte di ciò, le norme sul
superamento della gestione pubblica dei servizi sarebbero, in chiave meramente
ideologica, «orientate a favorire un ingiustificabile processo di "svendita”
(trattandosi di vendita obbligatoria e quindi fuori dalle condizioni di
mercato) del patrimonio pubblico capitalizzato nel valore delle società
pubbliche che hanno avuto in affidamento i servizi, senza alcuna valutazione
delle conseguenze che questo processo avrebbe sulla qualità dei servizi».
7.1.2.2. – La ricorrente lamenta,
infine, che il censurato comma 8 dell’art. 23-bis víola,
per le ragioni già esposte in relazione ai precedenti commi 2, 3 e 4: a)
l’art. 117, primo comma, Cost., «per contrasto con
7.2. – Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni analoghe a
quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6 e n. 10 del 2010 (supra: punti 5.2. e 6.2.).
7.3. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza,
7.4. – Con memoria depositata in prossimità
dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito quanto
affermato nell’atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazioni
analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso n. 10 del 2010 (supra: punto 6.3.).
8. – Con ricorso notificato il 21
gennaio 2010 e depositato il 28 gennaio successivo (r. ric. n. 13 del 2010),
8.1. – La ricorrente premette che la
privatizzazione prevista dalle disposizioni censurate non è riconducibile alla
materia della tutela della concorrenza e «non ricade in specifiche competenze
né della Comunità europea, né dello Stato». Si tratta invece di una modalità di
gestione di un bene, servizio o attività, attraverso un trasferimento ai
privati di risorse costituite a spese della collettività, da valutarsi in
termini di benefici di ritorno alla collettività stessa. Essa, dunque, si
giustifica soltanto là dove l’ingresso del privato sia una garanzia di maggiore
efficienza della gestione del bene privatizzato. Infatti – sempre secondo la
difesa regionale – lo Stato può legiferare solo: «a) per assicurare la
concorrenza là dove l’ente competente decida di aprire il servizio ai privati;
b) per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni; c) ponendo norme di
principio sul coordinamento finanziario, là dove si tratti di limitare il costo
dei servizi rispetto al bilancio pubblico». A fronte di ciò, le norme sul superamento
della gestione pubblica dei servizi sarebbero meramente ideologiche, in quanto
«orientate a favorire un ingiustificabile processo di "svendita” (trattandosi
di vendita obbligatoria e quindi fuori dalle condizioni di mercato) del
patrimonio pubblico capitalizzato nel valore delle società pubbliche che hanno
avuto in affidamento i servizi, senza alcuna valutazione delle conseguenze che
questo processo avrebbe sulla qualità dei servizi».
Ad avviso della ricorrente, è evidente
il suo interesse ad impugnare tali disposizioni: «a) su un piano generale onde
opporre ad una visione ideologica, priva di qualsiasi riscontro oggettivo, una
diversa interpretazione degli interessi della propria comunità; b) sul piano piú direttamente giuridico, al fine di poter esplicare la
propria competenza legislativa in materia di servizi pubblici, che è lo
strumento con cui
La ricorrente procede poi ad analizzare
i precedenti giurisprudenziali costituzionali in tema di servizi pubblici
locali, traendone i seguenti principi: a) l’intervento legislativo statale in
una materia come quella dei servizi pubblici locali, non espressamente prevista
nell’art. 117 Cost., si giustifica solo alla luce
della competenza esclusiva che lo Stato ha in materia di «tutela della
concorrenza», la quale, stante la sua trasversalità, può abbracciare qualsiasi
attività economica (sentenza n. 272 del
2004); b) tuttavia, l’àmbito di operatività della competenza in materia di
«tutela della concorrenza» è definito anche attraverso il rispetto del
principio di proporzionalità e adeguatezza, nel senso che l’intervento
legislativo statale non può essere talmente dettagliato da escludere qualsiasi
possibilità di regolazione da parte della Regione (sentenza n. 272 del
2004); c) sono costituzionalmente illegittime sia le disposizioni statali
dirette a disciplinare i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica,
sia le disposizioni dirette a disciplinare aspetti dei servizi pubblici locali
di rilievo economico, ma con esasperato taglio applicativo e di dettaglio (sentenza n. 272 del
2004); d) la disciplina statale sulle modalità di affidamento dei servizi
pubblici a rilevanza economica è costituzionalmente legittima, in quanto
riconducibile alla materia della tutela della concorrenza (sentenza n. 307 del
2009); e) le competenze comunali in ordine al servizio idrico, sia per
ragioni storico-normative, sia per l’evidente essenzialità di questo per la
vita associata delle comunità stabilite nei territori comunali, devono essere
considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali, la cui disciplina è
stata affidata alla competenza esclusiva dello Stato dal novellato art. 117 Cost.; ciò non toglie, ovviamente, che la competenza in
materia di servizi pubblici locali resti una competenza regionale, la quale
risulta in un certo senso limitata dalla competenza statale suddetta, ma può
continuare ad essere esercitata negli altri settori, nonché in quello dei
servizi fondamentali, purché non sia in contrasto con quanto stabilito dalle
leggi statali (sentenza
n. 307 del 2009).
8.1.1. – È censurato, in primo luogo –
in riferimento agli artt. 114, 117, primo, secondo e quarto comma, e 118 Cost. – il comma 3 del novellato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il quale ammette la modalità di
affidamento del servizio direttamente a società in house
solo in via eccezionale.
La ricorrente prospetta questioni analoghe
a quelle prospettate dalla Regione Liguria nel ricorso n. 13 del
Con particolare riferimento al parametro
dell’art. 114 Cost., la ricorrente precisa che la
norma impugnata víola l’autonomia organizzativa degli
enti locali, quanto al miglior soddisfacimento dei servizi di propria
titolarità.
8.1.2. – È censurato, in secondo luogo –
in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost. – il
comma 4-bis del novellato art. 23-bis del d.l.
n. 112 del 2008, il quale affida al regolamento governativo di cui al
successivo comma 10 il compito di individuare una soglia oltre la quale
l’affidamento di un servizio pubblico locale in forma derogatoria (ossia a
società in house), per assenza in concreto di
un mercato di riferimento, deve essere assoggettato alla funzione consultiva e
di verifica svolta dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Osserva la stessa Regione che la soglia
in questione «è stata fissata, stando allo schema di regolamento approvato dal
Consiglio dei Ministri in data 17 dicembre 2009, nel valore economico del
servizio oggetto dell’affidamento superiore a 200.000,00 €, (mentre è comunque
richiesto il parere a prescindere dal valore economico del servizio qualora la
popolazione interessata sia superiore a 50.000 abitanti)». Si tratta – prosegue
la difesa regionale – di un limite che è espressione di un apprezzamento ex
ante del tutto forfettario che non è collegato ad alcun livello di
efficienza del servizio, «né appare uno strumento in grado di fissare la
appropriatezza, la qualità, il controllo e il rispetto dei parametri della
concorrenza e, quindi, il grado di concorrenzialità». Sempre secondo la
ricorrente, la conseguenza negativa di tale disciplina consiste nel fatto che
«gli enti locali, accertata in concreto l’assenza di un mercato di riferimento,
se riusciranno a contenere l’affidamento al di sotto della soglia
regolamentare, potranno tranquillamente evitare la gara e gestire in house il servizio, senza che nessuna autorità tecnica
possa valutare la sussistenza dei requisiti legittimanti la deroga».
8.1.3. – Sono censurati, in terzo luogo
– «per violazione degli artt. 114, 118, 117, commi 1, 2 e 4, e 119 Cost., nonché del principio di tutela dell’affidamento connesso
alla responsabilità regionale» – i commi 8 e 9 del novellato art. 23-bis
del d.l. n. 112 del 2008, i quali disciplinano il
regime transitorio per gli affidamenti in atto dei servizi pubblici locali di
rilievo economico.
8.1.3.1. – In particolare, la ricorrente
sostiene che il censurato comma 8 è solo apparentemente una norma a favore
della concorrenza, perché «in realtà essa introduce disposizioni piú rigide della normativa comunitaria di cui si afferma
l’attuazione», incidendo pregiudizialmente nell’àmbito degli investimenti,
rispetto al quale
Al di là della violazione del principio
di uguaglianza e di libertà di iniziativa economica – che riguarda piú propriamente gli operatori economici che hanno fatto
affidamento su una certa durata della gestione del servizio affidato – ciò che
rileva in questa sede per
Vi sarebbe, quindi, una lesione della
disciplina legislativa legittimamente stabilita dalla Regione in base ai suoi
livelli di competenza (violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost.) e della responsabilità della Regione nei confronti
del variegato panorama delle società pubbliche o semi pubbliche affidatarie dei
servizi pubblici, che a tale assetto si sono correttamente attenute.
8.1.3.2. – Per la ricorrente, la
disposizione víola inoltre l’art.117, primo comma, Cost., perché «nel diritto comunitario il modello
organizzativo dell’autoproduzione dei servizi attraverso affidamenti in house è stato ritenuto in linea con i principi del
Trattato, tra cui, come noto, vi è quello della tutela e promozione della
concorrenza».
8.1.3.3. –
Sarebbe perciò violato il principio
fondamentale di sussidiarietà, «che richiede […] una valutazione in concreto
della situazione locale (che può enormemente variare da un ambito ottimale
all’altro), anche per verificare le specifiche condizioni di mercato in cui si
svolge il servizio e in cui si "privatizza” il patrimonio pubblico».
8.1.3.4. – Si lamenta, ancora, che il
censurato comma 8 contrasta con l’art. 119, sesto comma, Cost.,
secondo cui «i Comuni, le Province le Regioni hanno un proprio patrimonio,
attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato».
Per la ricorrente, le ragioni del
dedotto contrasto stanno nel fatto che le disposizioni censurate impongono
«alle Amministrazioni pubbliche di liberarsi di una quota del proprio
patrimonio societario a prescindere dalla convenienza economica
dell’operazione, e quindi dalla considerazione in concreto del tempo, delle
modalità, della quantità, valutazioni indispensabili ad evitare che si produca
una svendita coatta di capitali pubblici». Per come è strutturata la norma –
prosegue la difesa regionale – «non c’è alcuna possibilità di realizzare un
ritorno economico che equilibri il depauperamento, obbligato per legge, del
patrimonio della collettività, e si determina un indebolimento finanziario
della governance pubblica senza adeguata
giustificazione e idonee contromisure, con evidente violazione della norma
costituzionale sull’autonomia finanziaria di Regioni e Comuni che, per tali
finalità costituzionalmente riconosciute, ha espressamente ad essi attribuito
un proprio patrimonio, il quale non può essere inciso per finalità contrastanti
con la sua stessa conservazione ed ottimale gestione».
8.1.3.5. – Quanto al comma 9 dell’art.
23-bis – il quale stabilisce che le società che, in Italia o all’estero,
gestiscono servizi pubblici locali in virtú di
affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi
del comma 2, lettera b), nonché i soggetti cui è affidata la gestione
delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti
locali, qualora separata dall’attività di erogazione dei servizi, non possono
acquisire la gestione di servizi ulteriori –
In particolare, quanto a quest’ultima
questione, la ricorrente lamenta che è irragionevole estendere le conseguenze
limitative degli affidamenti diretti anche alle società miste costituite ai
sensi del comma 2, lettera b), dell’art. 23-bis, considerato che,
per volontà dello stesso legislatore, tale modello di gestione è stato
equiparato a quello dell’esternalizzazione, nella comune categoria delle
formule ordinarie di organizzazione dei servizi pubblici locali di rilievo
economico. Non vi sarebbe, poi, ragionevole motivo «nella scelta legislativa di
escludere da tale regime limitativo, invece, le società quotate e di prevedere
una specie di moratoria con riferimento alla partecipazione alle cc.dd. prime
gare». Un ulteriore elemento di irragionevolezza starebbe nel fatto che la
disposizione non riguarda solo il gestore del servizio, «ma anche i soggetti societari
ad esso collegati e da esso controllati, i quali conservano in ogni caso una
loro autonomia soggettiva e ben potrebbero operare in altri mercati». Conclude
la ricorrente che «obiettivamente la portata della disposizione appare un po’
eccessiva e non proporzionata alla tutela della concorrenza: primo, perché, un
vincolo di azione ad una società non è di per se stesso elemento atto a
garantire la concorrenza; secondo, perché vale solo per le imprese pubbliche o
semi-pubbliche, ma non per quelle private, ben potendosi verificare in concreto
affidamenti di servizi a privati non preceduti da gara (come dimostra
l’esperienza, giustificabili per ragioni di emergenza, ad esempio, nel campo
dei servizi ambientali)».
8.1.4. –
8.2. – Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili e, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni analoghe a
quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10 e n. 12 del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2.).
8.3. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza,
8.4. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito
quanto affermato nell’atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazione
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 10 e n. 12 del 2010 (supra: punti 6.3. e 7.4.).
9. – Con ricorso notificato il 21
gennaio 2010 e depositato il 28 gennaio successivo (r. ric. n. 14 del 2010),
9.1. –
9.2. – Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili e, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni analoghe a
quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10, n. 12 e n. 13 del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2. e 8.2.).
9.3. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza,
9.4. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito
quanto affermato nell’atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazioni
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 10, n. 12 e n. 13 del 2010
(supra: punti 6.3., 7.4. e 8.4.).
10. – Con ricorso notificato il 22
gennaio 2010 e depositato il 29 gennaio successivo (r. ric. n. 15 del 2010),
10.1. –
Quanto alle prime, fa riferimento: a)
all’art. 23-bis, comma 10, lettera d), ai sensi del quale il
Governo era incaricato di adottare uno o piú
regolamenti di delegificazione al fine di «armonizzare la nuova disciplina e
quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando
le norme applicabili in via generale per l’affidamento di tutti i servizi
pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti,
energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua»; b) all’art. 23-bis,
comma 10, lett. e) − disposizione,
quest’ultima, non piú vigente − in forza del
quale, sempre mediante regolamento governativo, si doveva procedere a
«disciplinare, per i settori diversi da quello idrico, fermo restando il limite
massimo stabilito dall’ordinamento di ciascun settore per la cessazione degli
affidamenti effettuati con procedure diverse dall’evidenza pubblica o da quella
di cui al comma 3, la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento
delle gestioni in essere alle disposizioni di cui al presente articolo,
prevedendo tempi differenziati e che gli affidamenti diretti in essere debbano
cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo».
Quanto alle seconde, la ricorrente
richiama, in particolare, il censurato comma 1-ter dell’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, il quale prevede che «Tutte le forme
di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all’articolo
23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei princípi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di
piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo
spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla
qualità e prezzo del servizio, in conformità a quanto previsto dal decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalità ed
accessibilità del servizio».
10.1.1. – Sono censurati, in primo
luogo, i commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del d.l.
n. 112 del 2008 e l’art. 15, comma 1-ter, del d.l.
n. 135 del 2009, per violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost.,
il quale attribuisce agli enti locali territoriali la potestà regolamentare «in
ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni
loro attribuite».
La ricorrente – rilevato che, secondo la
disciplina impugnata, i servizi pubblici locali che abbiano rilevanza economica
possono essere affidati in house solo in
ipotesi eccezionali – lamenta che il comma 1-ter dell’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009 stabilisce obbligatoriamente che per
la gestione del servizio idrico integrato sia scelta una delle forme di
affidamento di cui al nuovo art. 23-bis del d.l.
n. 112 del 2008. Secondo la ricorrente, la legge statale non può imporre, in
via generale e astratta, ed in modo del tutto inderogabile, la configurazione
del servizio idrico integrato quale «servizio pubblico locale avente rilevanza
economica», con il conseguente obbligo per gli enti titolari della funzione di
conformare scopi, obiettivi e missioni del servizio in questione al
perseguimento della rimuneratività del capitale investito o comunque della
redditività per il soggetto gestore, escludendo la possibilità di qualificare
il servizio come «servizio pubblico locale non avente rilevanza economica».
La stessa ricorrente si sofferma, poi,
sul problema della qualificazione di un servizio pubblico locale come «avente
rilevanza economica», ovvero come «non avente rilevanza economica».
A tale proposito – sempre per
In conclusione, per la difesa regionale,
la qualificazione di un servizio pubblico come servizio dotato o non dotato di
rilevanza economica non deriva dai caratteri «naturali», intrinseci al singolo
servizio; si tratta, invece, di una mera conseguenza della valutazione
schiettamente politica che l’organo o ente titolare del servizio ha effettuato
sulle modalità con le quali esso debba essere organizzato e gestito.
Alla rilevanza economica del servizio –
prosegue
In tale quadro, il censurato comma 1-ter
dell’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009 rende
obbligatoria – come visto – la qualificazione del servizio idrico integrato
come servizio «avente rilevanza economica» e, conseguentemente, il suo
affidamento mediante le forme previste dal vigente testo dell’art. 23-bis
del d.l. n. 112 del 2008 e, cosí
facendo, víola l’evocato art. 117, sesto comma, Cost., in base al quale tale qualificazione dovrebbe
spettare alla potestà regolamentare degli enti locali e non al legislatore
statale. Il regime giuridico di tale potestà sarebbe stato chiarito dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 246 del 2006, secondo cui, «se il legislatore
regionale nell’ambito delle proprie materie legislative dispone
discrezionalmente delle attribuzioni di funzioni amministrative agli enti
locali, ulteriori rispetto alle loro funzioni fondamentali, anche in
considerazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza
di cui al primo comma dell’art. 118 della Costituzione», tuttavia «non può
contestualmente pretendere di affidare ad un organo della Regione −
neppure in via suppletiva − la potestà regolamentare propria dei Comuni o
delle Province in riferimento a quanto attribuito loro dalla legge regionale
medesima». Secondo la ricorrente, tale orientamento deve essere inteso nel
senso che il legislatore può, nell’esercizio della propria discrezionalità
legislativa, determinarsi circa l’attribuzione o meno agli enti locali di una
determinata funzione amministrativa; ma, una volta che si sia determinato nel
senso dell’affidamento ad uno di questi enti della funzione in considerazione,
sorge a beneficio della potestà regolamentare dell’ente locale un àmbito
intangibile e incomprimibile – concernente la disciplina degli aspetti
organizzativi e delle modalità di svolgimento della funzione – opponibile anche
alla stessa fonte legislativa. Nel caso di specie, la normativa vigente affida
la cura del servizio idrico integrato a quella particolare «struttura dotata di
personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale
delimitato dalla competente regione» che è l’Autorità d’àmbito, «alla quale gli
enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito
l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle
risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche»
(art. 148, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006). Ne consegue, per la difesa
regionale, che «quell’area incomprimibile di formazione regolamentare
concernente il servizio idrico integrato non possa che essere ricondotta alla
titolarità congiunta degli enti locali che obbligatoriamente fanno parte
dell’Autorità d’ambito e come la suddetta area incomprimibile di potestà
normativa ricomprenda precisamente la decisione circa la conformazione del
servizio quale dotato ovvero non dotato di rilevanza economica».
Tale essendo il quadro complessivo delle
competenze, la materia dei servizi pubblici locali rientrerebbe nell’àmbito
della potestà legislativa residuale affidata alle Regioni dall’art. 117, quarto
comma, Cost., con due limiti: il primo, rappresentato
dalla potestà legislativa statale nell’àmbito della materia di competenza
esclusiva della tutela della concorrenza; il secondo, rappresentato
dall’impossibilità di violare la riserva che questa disposizione pone a
beneficio della potestà regolamentare degli enti locali, cui è congiuntamente
affidato il servizio per il tramite dell’Autorità d’àmbito, in riferimento al
suo svolgimento e alla sua organizzazione.
Ad avviso della ricorrente, si deve,
inoltre, escludere la possibilità che le disposizioni legislative impugnate
siano riconducibili alla competenza statale concernente le «funzioni
fondamentali» di Comuni, Province e Città metropolitane, ai sensi dell’art.
117, secondo comma, lettera p), Cost. E ciò, per
le seguenti ragioni: a) le funzioni fondamentali non sono quelle
amministrativo-gestionali in senso proprio, consistenti nella concreta cura di
interessi, ma solo quelle in cui si esprimono la potestà statutaria, la potestà
regolamentare e la potestà amministrativa a carattere ordinamentale,
concernente le funzioni essenziali che attengono alla vita stessa e al governo
dell’ente; b) secondo il principio di differenziazione, di cui all’art. 118 Cost., la valutazione di adeguatezza rispetto allo
svolgimento della funzione che sorregge il principio di sussidiarietà deve
tener conto delle differenze concrete che sussistono tra enti della medesima
categoria, con la conseguenza che, nella allocazione delle funzioni
amministrative, «la legge regionale o statale, competente per materia, dovrebbe
compiere una valutazione di adeguatezza-inadeguatezza differente per enti con
caratteristiche differenti pur se del medesimo tipo, ad esempio, ritenendo
adeguati allo svolgimento della funzione i Comuni con piú
di x abitanti, ed inadeguati i Comuni con x o meno di x abitanti»; c) il
principio di differenziazione altro non è che una particolare declinazione del
principio di uguaglianza; d) lo Stato è comunque dotato della competenza ad
individuare i «livelli essenziali delle prestazioni», e inoltre avrebbe a
disposizione, in ogni caso, lo strumento del potere sostitutivo straordinario ex
art. 120, secondo comma, Cost., per garantire
l’effettività di questi ultimi; e) la sentenza della
Corte costituzionale n. 307 del 2009 – nella quale si legge che «le
competenze comunali in ordine al servizio idrico […] devono essere considerate
quali funzioni fondamentali degli enti locali» – precisa che l’evocazione del
parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., deve essere ritenuta «inconferente» rispetto a norme
concernenti «le modalità di affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza
economica», le quali trovano il loro fondamento, invece, nell’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost., e ciò in quanto «la
regolamentazione di tali modalità non riguarda un dato strutturale del servizio
né profili funzionali degli enti locali ad esso interessati (come, invece, la
precedente questione relativa alla separabilità tra gestione della rete ed
erogazione del servizio idrico), bensí concerne
l’assetto competitivo da dare al mercato di riferimento».
La ricorrente prosegue osservando che
gli aspetti del servizio idrico integrato rilevanti ai fini del riparto di
competenze normative sono almeno tre: a) quello – di competenza dello Stato ex
art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. –
connesso all’«assetto competitivo da dare al mercato di riferimento», ove il
servizio idrico sia strutturato in modo tale da avere rilevanza economica; b)
quello – nel sistema accolto dalla sentenza n. 307 del
2009, di competenza dello Stato, in forza dell’art. 117, secondo comma,
lettera p), Cost. – inerente ai «profili
funzionali degli enti locali ad esso interessati», tra i quali la «separabilità
tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico»; c) quello –
assegnato dall’art. 117, sesto comma, Cost., alla
potestà regolamentare locale – concernente la strutturazione del servizio come
avente o non avente rilevanza economica.
La ricorrente propone, poi,
un’interpretazione adeguatrice delle
disposizioni censurate, nel senso che, ove il comma 1-ter dell’art. 15
del d.l. n. 135 del 2009 si riferisce a «tutte le
forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui
all’articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008», norma che
a sua volta si riferisce ai servizi dotati di rilevanza economica, esso non
impone affatto che il servizio idrico integrato debba per definizione
intendersi dotato di rilevanza economica. Il comma 1-ter potrebbe cioè
interpretarsi nel senso che il servizio idrico integrato è sottoposto alla
disciplina dell’art. 23-bis solo nei casi in cui «gli enti competenti
abbiano scelto di organizzarlo in modo da conferirvi rilevanza economica».
A sostegno della percorribilità di una
simile opzione interpretativa,
La ricorrente conclude l’illustrazione
del primo motivo di ricorso rilevando, sul piano processuale, che: a) nel
giudizio in via principale, sono ammissibili «questioni interpretative del tipo
di quella qui proposta»; b) sono ammissibili censure «avverso una legge
statale, che invochino quale parametro norme costituzionali poste a presidio di
competenze degli enti locali», per la strettissima connessione tra competenze
regionali e locali, che sussiste nel caso di specie, perché «il riconoscimento
agli enti locali della competenza, ex art. 117, sesto comma, Cost., a decidere circa la conformazione del servizio
idrico integrato come servizio avente o non avente rilevanza economica
determina rispettivamente il contrarsi o il riespandersi
dell’ambito di applicazione delle norme regionali adottate in materia di servizi
pubblici locali».
10.1.2. – Per il caso in cui
La ricorrente richiama la giurisprudenza
costituzionale che riconduce la disciplina dei servizi pubblici locali alla
competenza legislativa esclusiva regionale e sottolinea che – come già
osservato – «la qualificazione di un servizio come avente o non avente
rilevanza economica dipende dalle caratteristiche che si intendano conferire al
modo in cui esso è organizzato e gestito», con la conseguenza di escludere
titoli di competenza dello Stato in materia. In particolare, dalla citata sentenza della
Corte costituzionale n. 307 del 2009, si desumerebbe che il «dato
strutturale del servizio» ricade nella competenza legislativa regionale.
10.1.3. – La ricorrente censura, in
terzo luogo, le stesse disposizioni, per violazione dell’art. 117, quarto
comma, Cost., il quale attribuisce alle Regioni la
potestà legislativa residuale nella materia dei servizi pubblici locali.
Sostiene
Secondo la difesa regionale, per
valutare se la normativa statale rispetti il principio di proporzionalità, è
necessario accertare se esista la possibilità di una regolazione diversa e meno
invasiva per l’autonomia regionale, la quale raggiunga i medesimi scopi di
tutela della concorrenza perseguiti con la disciplina oggetto del giudizio.
Nel caso di specie – prosegue la
ricorrente – è agevole rendersi conto che il parametro della proporzionalità
della disciplina non è rispettato, perché lo standard di tutela garantito dalla
normativa censurata sarebbe ugualmente assicurato da una disciplina meno
invasiva delle competenze regionali, che non contenga una specifica indicazione
delle condizioni che giustificano l’affidamento in house.
In particolare,
Sempre secondo la ricorrente, i
parametri di «generalità» e «proporzionalità» sopra illustrati sono anche
direttamente violati dal censurato comma 8 dell’art. 23-bis del d.lgs.
n. 112 del 2008, per l’estremo dettaglio «nella indicazione dei tempi e delle
modalità di cessazione delle presenti gestioni pure conformi alla disciplina in
house posta dal diritto comunitario» e perché,
per raggiungere il fine di garantire effettività e tempestività all’entrata a
regime della nuova normativa introdotta non era affatto necessario comprimere i
poteri decisionali delle Regioni e degli enti locali. Ad avviso della
ricorrente, «sarebbe risultata piú che sufficiente,
infatti, una normativa che prevedesse uno spettro di date entro il quale le
singole Regioni potessero compiere le proprie scelte, ovvero un meccanismo di
adeguamento progressivo ai nuovi standard».
Tali considerazioni – ribadisce
10.1.4. – La ricorrente censura, in
terzo luogo, il comma 1-ter dell’art. 15 del d.l.
n. 135 del 2009, per violazione dell’art. 119, sesto comma, Cost.,
il quale prevede che «i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le
Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali
determinati dalla legge dello Stato».
Quanto all’evocato parametro,
In tale quadro si inscrive il regime
proprietario delle risorse e delle infrastrutture idriche, disciplinato dagli
artt. 143, 144 del d.lgs. n. 152 del 2006. Secondo tali disposizioni, le
risorse idriche debbono considerarsi di proprietà dello Stato e facenti parte
del demanio statale necessario di cui al primo comma dell’art. 822 cod. civ.,
mentre le infrastrutture idriche possono essere di proprietà pubblica di tutti
gli enti territoriali e, qualora lo siano in concreto, appartengono al demanio
eventuale dello Stato, delle Regioni o degli enti locali, ai sensi degli artt.
822, secondo comma, e 824, primo comma, cod. civ., risultando perciò
assoggettati al regime giuridico stabilito dall’art. 823 anche per quanto
concerne la loro tutela.
Lamenta la ricorrente che la norma
censurata si limita a prevedere il «rispetto» del «principio» «di piena ed
esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche», senza assicurare in alcun
modo la salvaguardia, né sotto il profilo formale, né sotto il profilo
sostanziale, della proprietà pubblica delle «infrastrutture idriche», le quali
ben possono essere di proprietà delle Regioni e degli enti locali ed essere,
per ciò stesso, assoggettate al regime del demanio regionale o locale. Formula,
perciò, «due distinte ed autonome questioni di legittimità costituzionale».
10.1.4.1. − Da un primo punto di
vista – sostiene
10.1.4.2. –
10.1.5. – Sono censurati, in quarto
luogo – in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.
– i commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del d.l.
n. 112 del 2008 e l’art. 15, comma 1-ter, del d.l.
n. 135 del 2009, nella parte in cui si riferiscono al servizio idrico
integrato, perché determinano «la violazione di quelle peculiari norme poste
dal diritto comunitario in relazione ai servizi di interesse generale».
La ricorrente evoca, quali parametri
interposti, gli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea (già artt. 16 e 86 del Trattato CE). Secondo la prima di queste due
disposizioni, «fatti salvi l’articolo 4 del trattato sull’Unione europea e gli
articoli 93, 106 e 107 del presente trattato, in considerazione dell’importanza
dei servizi di interesse economico generale nell’ambito dei valori comuni
dell’Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e
territoriale, l’Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e
nell’ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinché tali
servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e
finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti». La seconda
disposizione, al paragrafo 2, prevede che: «Le imprese incaricate della
gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di
monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare
alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non
osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione
loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura
contraria agli interessi dell’Unione».
Ad avviso della Regione, da tali norme
comunitarie risulterebbe che, «per perseguire gli obiettivi di coesione e
solidarietà sociali, fatti propri anche dall’Unione europea, il diritto di
questo ordinamento esclude che ai servizi di interesse generale debbano
senz’altro applicarsi le norme del mercato interno». E, anzi, nella materia
considerata avrebbero predominanza gli obiettivi di coesione sociale
sottostanti ai servizi di interesse generale: quali che siano le cause che
impediscono al sistema concorrenziale di mercato di raggiungere in modo
soddisfacente e generalizzato questi obiettivi, siano esse di diritto o di
fatto, non devono essere applicate le norme del mercato interno a questi
servizi. L’eccezionalità del trattamento giuridico dei servizi di interesse
generale è confermata – per la ricorrente – dalla Comunicazione della
Commissione al Parlamento europeo al Consiglio, al Comitato economico e sociale
europeo e al Comitato delle Regioni – Libro bianco sui servizi di interesse
generale – COM (2004)
Tra i servizi di interesse generale –
prosegue
Le ragioni del dedotto contrasto delle
norme censurate con l’evocato parametro risiederebbero, dunque, nel fatto che
esse, «conformando il servizio idrico come servizio necessariamente a rilevanza
economica, abbiano imposto la applicazione delle regole del mercato interno in
via generale per tutto il territorio nazionale, prescindendo del tutto dalle
diverse condizioni e circostanze che nelle diverse realtà possono ravvisarsi».
Ciò che risulta precluso dal diritto comunitario, in definitiva, non è la
scelta di un determinato modello per la conformazione dei servizi di interesse
generale, ma l’adozione di decisioni generalizzate che non siano in grado di
tenere conto delle peculiarità in cui i servizi devono essere svolti. Tale
conclusione emergerebbe espressamente dal richiamato Libro bianco della
Commissione europea sui servizi di interesse generale, ove, al par. 4.3, si
afferma che «le autorità pubbliche competenti degli Stati membri sono sostanzialmente
libere di decidere se fornire in prima persona un servizio di interesse
generale o se affidare tale compito ad un altro ente (pubblico o privato)», e
dalla citata Risoluzione del Parlamento europeo del 15 marzo 2006, secondo cui
la gestione delle risorse idriche deve basarsi «su un’impostazione
partecipativa e integrata che coinvolga gli utenti e i responsabili decisionali
nella definizione delle politiche in materia di acqua a livello locale e in
modo democratico».
La ricorrente osserva poi che la tendenza
che matura nel contesto delle istituzioni comunitarie è esattamente opposta
rispetto all’indirizzo del legislatore italiano e richiama, a tale scopo,
La questione di legittimità
costituzionale – conclude la difesa regionale – risulterebbe svuotata del suo
significato ove questa Corte si risolvesse ad interpretare le disposizioni
impugnate nel senso di ritenerle applicabili soltanto nel caso in cui sia stata
compiuta l’opzione (affidata alla libera determinazione degli enti titolari
dell’erogazione del servizio idrico integrato) a favore della conformazione del
servizio come servizio a rilevanza economica, senza pregiudicare dunque tale
scelta.
10.2. – Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni analoghe a
quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10, n. 12, n. 13 e n. 14 del
2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2., 8.2. e
9.2.).
10.3. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza,
La ricorrente premette che la difesa
statale prende in considerazione, tra le censure proposte, soltanto quelle
concernenti la violazione della competenza legislativa regionale di cui al
quarto comma dell’art. 117 Cost., in materia di
servizi pubblici locali, nonché la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., delle quali si limita a sostenere l’inammissibilità,
rilevando che
Con riferimento alle singole
questioni prospettate, la difesa regionale precisa che: a) «solo ed esclusivamente
nei casi in cui l’attività di prestazione del servizio sia conformata dai
poteri pubblici competenti in modo tale da creare la possibilità di un utile –
intendendo questa espressione nel modo piú ampio
possibile – si è dinanzi ad un mercato concorrenziale», con la conseguenza che,
«senza la possibilità di una qualche remuneratività o
utilità per chi si accolla lo svolgimento del servizio non è possibile neanche
immaginare in astratto l’esistenza di un mercato concorrenziale»; b) in
relazione al servizio idrico, l’autorità competente può facilmente individuare
le motivazioni che giustifichino, nelle diverse situazioni di fatto, la
conformazione del servizio come servizio senza rilevanza economica, da un lato,
perché si tratta di garantire un diritto fondamentale dell’uomo quale il
diritto all’acqua e dunque di garantire a tutti la disponibilità di un bene che
non deve necessariamente essere assoggettato al regime di mercato, dall’altro,
perché va valutata, con riferimento alle specifiche situazioni territoriali e
locali, l’eventuale assenza di imprese disponibili a offrire i servizi o
comunque la necessità di garantire il servizio a prezzi non in grado di
remunerare un’attività svolta in forma imprenditoriale; c) deve essere escluso
che la conformazione del servizio idrico integrato quale servizio avente o non
avente rilevanza economica sia riconducibile alla competenza esclusiva della
legge statale in virtú dell’art. 117, secondo comma,
lettera p), Cost., perché l’art. 14 del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122, al comma 27, dispone che siano «considerate
funzioni fondamentali dei comuni le funzioni di cui all’articolo 21, comma 3,
della legge 5 maggio 2009, n. 42», il quale a sua volta, alla lettera e),
esclude da tali funzioni il servizio idrico integrato; d) nel diritto tedesco
spetta alle municipalità la scelta – tra numerosi modelli organizzativi
possibili – del modo in cui il servizio idrico deve essere gestito; e) anche
negli altri principali ordinamenti europei «la responsabilità del servizio
idrico – in particolar modo in relazione alla attività di distribuzione – è
affidata alle istituzioni esponenziali delle comunità locali (Francia,
Portogallo, Spagna, Svezia, Finlandia, Paesi Bassi, Belgio, Danimarca)», le
quali non sono tenute a conformare il servizio idrico come un servizio a
rilevanza economica.
10.4. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito
quanto affermato nell’atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazione
analoghe a quelle svolte in relazione ai ricorsi nn.
10, 12, 13 e 14 del 2010 (supra: punti 6.3.,
7.4., 8.4. e 9.4.).
11. – Con ricorso notificato il 29
gennaio 2010 e depositato lo stesso giorno (r. ric. n. 16 del 2010),
11.1. – La ricorrente, premessa una
sintetica ricostruzione del quadro normativo, formula diverse questioni.
11.1.1. – Sono censurati, in primo luogo
– in riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, primo, secondo, quarto e sesto
comma, e 118 Cost. – i commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis
del decreto-legge n. 112 del 2008, nonché il comma 1-ter dell’art. 15
del decreto-legge n. 135 del 2009.
11.1.1.1. – Quanto alla dedotta
violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.,
Il parametro evocato sarebbe, perciò,
violato, perché il diritto comunitario non consente che il legislatore
nazionale spinga la tutela della concorrenza fino comprimere il «principio di
libertà degli individui o di autonomia – del pari costituzionale – degli enti
territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.) di mantenere
la capacità di operare ogni qualvolta la scelta che ritengono piú opportuna: cioè se fruire dei vantaggi economici
offerti dal mercato dei produttori oppure se procedere a modellare una propria
struttura capace di diversamente configurare l’offerta delle prestazioni di
servizio pubblico». In tal senso si è espresso – prosegue la ricorrente –
l’ordinamento comunitario, laddove «ha ritenuto in contrasto con la disciplina
europea sulla concorrenza la legge nazionale sui lavori pubblici (allora legge
11 febbraio 1994, n. 109, art. 21) che aveva limitato la scelta tra i due
criteri europei d’aggiudicazione degli appalti». L’attuazione del diritto
comunitario non consentirebbe al legislatore interno di esprimere un autonomo
indirizzo politico, perché essa può comportare solo «l’adozione di norme
esecutive (secundum legem)»,
con l’impossibilità di spingersi sino a norme «integrative (praeter
legem), tali cioè da ampliare, senza derogarli, i
contenuti normativi espressi attraverso la legislazione». Nel caso di specie,
«nessuna delle disposizioni comunitarie vigenti infatti impone – come invece
pretende l’art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. ai suoi
commi secondo e terzo – agli Stati membri l’attribuzione ad imprese terze come
forma ordinaria o preferenziale di affidamento dei servizi pubblici locali».
11.1.1.2. – Quanto al parametro
dell’art. 117, quarto comma, Cost., esso sarebbe
violato, perché le norme impugnate recano una disciplina che non è
riconducibile alla materia della tutela della concorrenza, ma alla potestà
legislativa residuale delle Regioni. Con tali disposizioni, infatti, il
legislatore statale «riconosce che entrambe le forme di gestione ed affidamento
dei servizi pubblici (soggetto scelto con gara, organizzazione in house providing) sono
conformi all’ordinamento europeo ed in particolare alla disciplina sulla
concorrenza, ma con la norma nazionale giunge sino ad individuare come forma
preferenziale "ordinaria” l’affidamento del servizio ad imprese terze, mentre
relega la possibilità dell’affidamento in house
ai soli casi ivi espressi in via d’eccezione».
Quanto ad altri eventuali titoli di
competenza legislativa statale,
In conclusione – sempre secondo la
ricorrente – l’opzione tra le diverse modalità di gestione del servizio
pubblico «è una tipica scelta d’organizzazione, in particolare di buon
andamento del servizio pubblico (art. 97, primo comma, Cost.),
che proprio in quanto organizzazione locale e non nazionale dei servizi oggetto
della disciplina dell’art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.,
non può riconoscersi alla legislazione statale, ma spetta alla legislazione
regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.
seppure nel rispetto di una eventuale specifica disciplina degli enti
territoriali minori (art. 117, sesto comma, Cost.)».
Alle Regioni spetta, inoltre «la legittimazione ad impugnare le leggi statali
in via diretta non solo a tutela della propria legislazione ma anche con il
riferimento alla prospettata lesione da parte della legge nazionale della
potestà normativa degli enti territoriali, con affermazione della regione come
ente di tutela avanti alla Corte costituzionale del "sistema regionale delle
autonomie territoriali” (art. 114, secondo comma, Cost.)».
11.1.2. – Sono censurati, in secondo
luogo – in riferimento agli artt. 3, 97, 117, primo, secondo, terzo e quarto
comma, e 118 Cost. – i commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis
del decreto-legge n. 112 del 2008.
11.1.2.1. – Quanto ai parametri degli
artt. 3 e 97 Cost., la ricorrente rileva che essi
sarebbero violati perché la disciplina dell’affidamento del servizio pubblico
locale contenuta nelle disposizioni censurate risulta lesiva della «competenza
delle regioni e degli enti locali ove le s’intenda come disciplina ulteriore
rispetto a quella generale sul procedimento amministrativo che da tempo prevede
il dovere di motivazione degli atti amministrativi (art. 3, legge 7 agosto
1990, n. 241), secondo molti posto in attuazione del principio costituzionale
di motivazione delle scelte della amministrazioni pubbliche quanto meno nella
cura di pubblici interessi». Tale ulteriore disciplina, da intendersi come
«deroga alla disciplina generale sul procedimento e la motivazione degli atti
amministrativi» si porrebbe in violazione del principio di ragionevolezza,
poiché non è ravvisabile nel caso in esame alcun interesse pubblico prevalente
capace di fondare sia l’esenzione dal generale dovere di motivazione per
l’affidamento ad imprese terze, sia la limitazione dei casi sui quali può
essere portata la motivazione a fondamento di altre soluzioni organizzative. La
denunciata invasione nella sfera di competenza regionale e degli enti
territoriali minori è addirittura enfatizzata – prosegue
La ricorrente non esclude, peraltro, che
dell’art. 23-bis, commi 1 e 4, si possa dare «un’interpretazione adeguatrice capace di sorreggere una sentenza
interpretativa di rigetto della questione di costituzionalità proposta ove
s’intenda che tali disposizioni non deroghino alla disciplina generale sul
procedimento amministrativo, dovendo l’amministrazione motivare qualunque
scelta della forma di gestione del servizio pubblico locale […] secondo
un’interpretazione che espunge dalle norme qualsiasi preferenza o prevalenza in
astratto di una forma di gestione sull’altra».
Anche seguendo tale percorso
interpretativo, permarrebbe comunque – ad avviso della Regione –
l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 23-bis, commi 3 e 4,
decreto-legge n. 112 del 2008, «per avere il legislatore statale invaso la
sfera di competenza normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali
piemontesi nella definizione dello svolgimento delle funzioni loro attribuite
(art. 117, commi quarto e sesto, Cost.) poiché una
parte della norma prevede una disciplina particolare del procedimento di
affidamento della gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato, tra
cui l’in house providing».
A tali considerazioni la difesa
regionale aggiunge che i commi censurati contengono «norme di dettaglio cosí puntuali che non sarebbero neppure compatibili con una
competenza esclusiva dello Stato […] e in violazione del principio di
ragionevolezza (ex art. 3, secondo comma, Cost.)
poiché della legge impugnata non si comprendono le ragioni di una disciplina
differenziata per l’ambito locale dei pubblici servizi».
11.1.2.2. – Quanto ai parametri
«dell’art. 117, commi primo, secondo, terzo, quarto, Cost.
con riferimento agli articoli 114, 117, sesto comma, e 118, commi primo e
secondo, Cost.», la ricorrente rileva che essi
sarebbero violati perché le disposizioni impugnate ledono «l’autonomia
costituzionale propria dell’intero sistema degli enti locali», limitando la
«capacità d’organizzazione e di autonoma definizione normativa dello
svolgimento delle funzioni di affidamento dei servizi pubblici locali». Secondo
11.1.2.3. – Quanto al parametro
«dell’art. 117, secondo comma, Cost. con riferimento
all’art. 3, Cost.», la ricorrente sostiene che la
disciplina contenuta nei censurati commi 2, 3 e 4, anche ove fosse ritenuta di
tutela della concorrenza, difetterebbe di proporzionalità e adeguatezza.
In particolare, la difesa regionale afferma
che solo le disposizioni di legge statale a «carattere generale che
disciplinano le modalità di gestione e l’affidamento dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica» trovano il proprio «titolo di legittimazione»
nell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
(«tutela della concorrenza») e «solo le predette disposizioni non possono
essere derogate da norme regionali». Tali considerazioni varrebbero, a maggior
ragione, per le disposizioni in esame, perché esse stabiliscono «una disciplina
immediatamente autoapplicativa ove senz’altro pongono
un criterio o principio di preferenza nell’attribuzione ad imprese terze dei
servizi pubblici locali».
11.1.3. – La ricorrente censura, in
terzo luogo, il comma 8 dell’art. 23-bis, il quale intacca, senza indennizzo
alcuno, il patrimonio che gli enti locali hanno legittimamente realizzato o
acquisito mediante l’affidamento in house della
gestione di servizi pubblici locali, in conformità sia all’ordinamento
comunitario sia a quello interno.
11.1.3.1. – Lamenta la stessa ricorrente
che la disposizione impugnata víola gli artt. 5, 114,
117, sesto comma, e 118, Cost., «in ragione di una
generalizzata cessazione anticipata al 31 dicembre 2011 disposta ex lege per tutti gli affidamenti in house providing, anche di
quelli effettuati dagli enti territoriali in conformità all’ordinamento
comunitario e italiano, con grave svalutazione dei valori di mercato dei
corrispettivi di cessione delle partecipazioni a causa della simultanea
attuazione su tutto il territorio nazionale dell’alienazione del 40% di un
numero rilevante di società in mano agli enti locali, che − unitamente
agli affidamenti illegittimi − per il solo servizio idrico integrato
ammontano a circa n. 60 complessi aziendali, di cui alcuni con valorizzazioni patrimoniali
di notevole consistenza (Torino, Milano, Bologna, le Regioni Puglia e Sardegna,
ecc.)». L’irragionevolezza della norma sarebbe anche nel fatto di trattare in
modo uguale fattispecie significativamente diverse e di non aver scaglionato
nel tempo il ricorso al mercato. Oltre a ciò, la disposizione irragionevolmente
realizza una sanatoria ex lege di affidamenti
illegittimi, «lesivi della concorrenza che la stessa legge qui impugnata
proclama di voler riaffermare, anche di quelli piú
eclatanti in difetto di ogni evidenza pubblica, ivi compresi quelli già oggetto
di una sentenza di annullamento non ancora passata in giudicato, persino ove
sia stata incidentalmente contornata da una pronuncia in tal senso della Corte
di Giustizia delle Comunità Europee». Si tratterebbe cioè di una norma che si
pone in contraddizione con i primi commi dello stesso art. 23-bis, i
quali realizzano un indirizzo politico ispirato alla "ultra concorrenzialità”.
11.1.3.2. – Per
11.2. – Con separata istanza,
11.3. – Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
inammissibili e, comunque, infondate, sulla base di argomentazioni analoghe a
quelle svolte in relazione ai ricorsi n. 6, n. 10, n. 12, n. 13, n. 14 e n. 15
del 2010 (supra: punti 5.2., 6.2., 7.2., 8.2.,
9.2. e 10.2.).
11.4. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza
11.5. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito
quanto affermato nell’atto di costituzione, svolgendo, inoltre, considerazione
analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso n. 77 del 2008 (supra: punto 3.4.).
12. – Con ricorso notificato il 20 marzo
2010 e depositato il 30 marzo successivo (r. ric. n. 51 del 2010), il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha impugnato, tra l’altro, l’art. 1, comma 1, della legge
della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria
anno 2010), il quale prevede che «La regione Campania disciplina il servizio
idrico integrato regionale come servizio privo di rilevanza economica. Nel
rispetto dei principi di sussidiarietà, ragionevolezza e leale collaborazione e
in assenza di intese con lo Stato in merito alle politiche relative alle
società di distribuzione dell’acqua potabile, le aziende operative nella
regione Campania devono avere la maggioranza assoluta dell’azionariato a
partecipazione pubblica. Tutte le forme attualmente in essere di gestione del
servizio idrico con società miste o interamente private decadono a far data
dalle scadenze dei contratti di servizio in essere. I proventi ricavati dalla
utilizzazione del demanio idrico sono destinati al finanziamento degli
interventi della risorsa idrica e dell’assetto idraulico ed idrogeologico sulla
base delle linee programmatiche di bacino. Tali proventi sono iscritti dal
corrente esercizio finanziario all’Unità previsionale di base (UPB) 11.81.80
della entrata e destinati al finanziamento delle spese iscritte alla UPB 1.1.1.
"Difesa Suolo” concernenti i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria
del reticolo idrografico regionale».
12.1. – Il ricorrente sostiene che il servizio idrico integrato, al quale la disposizione in questione fa riferimento, è disciplinato da norme statali, nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, Cost., in vari àmbiti, quali: funzioni fondamentali degli enti locali, concorrenza, tutela dell’ambiente, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni.
In particolare, l’Avvocatura generale dello Stato sottolinea che, nel disciplinare tale servizio, l’art. 141, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 afferma chiaramente la sua rilevanza economica, laddove dispone che lo stesso «deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità». Un ulteriore indice di tale rilevanza potrebbe essere individuato nell’art. 154, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, che, nel disciplinare la tariffa del servizio idrico integrato, la qualifica come «corrispettivo» in tutte le quote che la compongono e stabilisce che essa è determinata, tenendo conto, tra l’altro, «dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito». La rilevanza economica del servizio sarebbe, inoltre, confermata sia dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, che, nel disciplinare l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, precisa che detta disciplina si applica a tutti i servizi pubblici locali, sia dall’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, che vi faceva riferimento nel disciplinare proprio la «gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica».
12.1.1. – La
difesa dello Stato lamenta, in primo luogo, che la norma regionale censurata,
disponendo che
In particolare – per il ricorrente – al servizio idrico integrato deve comunque attribuirsi rilevanza economica, perché esso si sostanzia in attività suscettibili, in astratto o in potenza, di essere gestite in forma remunerativa, e perciò di produrre redditività, e per le quali esiste un mercato concorrenziale. Ne consegue che la disposizione censurata víola anche l’art. 117, primo comma, Cost., perché si pone in contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, come interpretato dalla Corte di giustizia UE.
Inoltre la previsione in esame sarebbe comunque inidonea a sottrarre la disciplina del servizio idrico integrato alla competenza esclusiva del legislatore statale, perché essa, «nel prevedere l’affidamento del servizio ad aziende con azionariato con partecipazione pubblica a maggioranza assoluta, postula, evidentemente, l’esercizio dell’attività in questione nella forma della società commerciale e, comunque, anche la presenza di capitali ed investitori privati, la cui partecipazione implica necessariamente che, in concreto, l’attività in questione sia svolta in forma remunerativa».
12.1.2. – In secondo luogo, la difesa dello Stato lamenta che il secondo periodo del comma denunciato – prevedendo che «in merito alle politiche relative alle società di distribuzione dell’acqua potabile, le aziende operative nella regione Campania devono avere la maggioranza assoluta dell’azionariato a partecipazione pubblica» – contrasta con l’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, perché disciplina in modo del tutto difforme le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio ed il termine di decadenza degli affidamenti in essere.
La norma censurata, infatti, porrebbe alle aziende che intendano «operare» nella Regione un vincolo di assetto proprietario definito, incidendo, in tal modo, sulle procedure di affidamento, poiché vieta alle società prive della maggioranza assoluta dell’azionariato pubblico di ottenere l’affidamento del servizio. L’art. 23-bis, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008 prevede, sul punto, che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria a società miste nelle quali al socio privato sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento, postulando, cosí, anche la possibilità «che la partecipazione privata si attesti su percentuali superiori, in coerenza con obiettivi di mercato pro concorrenziali, nonché con obiettivi di efficienza finalizzati anche alla salvaguardia dell’ambiente, che i vincoli posti dalla norma regionale pregiudicano non poco».
12.1.3. – In terzo luogo, il ricorrente lamenta che il terzo periodo del denunciato comma 1 dell’art. 1 – nel disporre che «tutte le forme attualmente in essere di gestione del servizio idrico con società miste o interamente private decadono a far data dalle scadenze dei contratti di servizio in essere» – si pone in contrasto con il comma 8 dell’art. 23-bis, che prevede una piú complessa, articolata e restrittiva disciplina del regime transitorio.
12.2. – Si è
costituita in giudizio
Ad avviso della resistente, la stessa normativa statale richiamata nel ricorso non esclude affatto che il legislatore regionale possa conformare il servizio idrico come privo di rilevanza economica: anzi, l’art. 150, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 e l’art. 23-bis, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008 consentono entrambi che, per esigenze sociali, ambientali o di altro tipo, si possa derogare al regime della concorrenza per la gestione del servizio. Sulla stessa linea si collocherebbe il diritto comunitario, il quale tende a considerare l’acqua come un bene comune e la sua gestione come un’attività che deve necessariamente tenere conto della particolare rilevanza pubblicistica di tale bene.
12.3. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito, nel merito, quanto già affermato nel ricorso e ha eccepito l’inammissibilità della costituzione in giudizio della Regione Campania. Sostiene il ricorrente che detta costituzione è stata deliberata da un organo privo della relativa competenza, essendo stata adottata con decreto dirigenziale dell’avvocato coordinatore, su proposta del dirigente del settore contenzioso amministrativo e tributario e non – come richiesto dall’art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e dall’art. 15 della legge regionale 28 maggio 2009, n. 6 (Statuto della Regione Campania), e ribadito dall’ordinanza della Corte costituzionale letta all’udienza del 25 maggio 2010 e relativa al giudizio deciso con la sentenza n. 225 del 2010 – dalla Giunta regionale.
12.4. – Con
memoria depositata in prossimità dell’udienza,
Considerato in diritto
1.
– Le questioni sottoposte all’esame della Corte con i ricorsi indicati in epigrafe
sono state promosse dalle Regioni Emilia-Romagna (registro ricorsi n. 69 del
2008 e n. 13 del 2010), Liguria (registro ricorsi n. 72 del 2008 e n. 12 del
2010), Piemonte (registro ricorsi n. 77 del 2008 e 16 del 2010), Puglia
(registro ricorsi n. 6 del 2010), Toscana (registro ricorsi n. 10 del 2010),
Umbria (registro ricorsi n. 14 del 2010), Marche (registro ricorsi n. 15 del
2010), nonché dal Presidente del Consiglio dei ministri (registro ricorsi n. 2
del 2009 e n. 51 del 2010).
1.1.
– Le disposizioni censurate dalle Regioni possono essere suddivise in tre
gruppi: a) un primo gruppo, relativo al testo originario (e non piú vigente) dell’art. 23-bis del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria) – articolo aggiunto dalla legge di conversione 6
agosto 2008, n. 133, ed entrato in vigore, in forza dell’art. 1, comma 4, di
detta legge, in data 22 agosto 2008 – comprende i commi 1, 2, 3, 4, 7, 8 e 10
di tale articolo (ricorso n. 69 del 2008, Emilia-Romagna; ricorso n. 72 del
2008, Liguria; ricorso n. 77 del 2008, Piemonte); b) un secondo gruppo,
relativo al testo vigente dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008 – articolo aggiunto dalla legge di conversione n. 133 del 2008, e
modificato del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti
per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della
corte di giustizia delle Comunità europee), convertito, con modificazioni,
dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, entrato in vigore il 26 settembre 2009 e,
per le parti modificate, il 25 novembre 2009 – comprende i commi 2, 3, 4, 4-bis,
8, 9 e 10, di tale articolo (ricorso n. 6 del 2010, Puglia; ricorso n. 10 del
2010, Toscana; ricorso n. 12 del 2010, Liguria; ricorso n. 13 del 2010,
Emilia-Romagna; ricorso n. 14 del 2010, Umbria; ricorso n. 15 del 2010, Marche;
ricorso n. 16 del 2010, Piemonte); c) un terzo gruppo comprende il solo comma
1-ter dell’art. 15 del citato decreto-legge n. 135 del 2009, comma
entrato in vigore in data 26 settembre
Tali gruppi di disposizioni introducono
novità normative rilevanti nella disciplina delle modalità di affidamento dei
servizi pubblici locali (SPL) e del diritto transitorio degli affidamenti già
in corso.
In particolare, si prevede che: a)
l’affidamento del SPL in via ordinaria, mediante procedure competitive ad
evidenza pubblica, riguarda non solo le società di capitali – come nella
previgente normativa – ma, piú in generale, gli
«imprenditori o […] società in qualunque forma costituite» (comma 2 del testo
originario e del testo vigente dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112
del 2008); b) l’affidamento diretto – cioè senza gara ad evidenza pubblica –
della gestione del SPL a società miste il cui socio privato sia scelto mediante
procedure competitive ad evidenza pubblica costituisce un caso di conferimento
della gestione «in via ordinaria», alla duplice condizione che la procedura di
gara riguardi non solo la qualità di socio, ma anche l’attribuzione di
«specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio» e che al
socio privato sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40% (comma 2
del testo attualmente vigente dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112
del 2008); c) l’affidamento diretto «in deroga» ai conferimenti effettuati in
via ordinaria richiede una previa «pubblicità adeguata» e una motivazione di
detta scelta da parte dell’ente in base ad un’«analisi di mercato», oltre alla
trasmissione di una «relazione» dall’ente affidante alle autorità di settore,
ove costituite (testo originario dell’art. 23-bis del decreto-legge n.
112 del 2008), ovvero all’Autorità garante della concorrenza e del mercato –
AGCM (testo vigente dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008),
per un parere obbligatorio ma non vincolante, che deve essere reso entro 60
giorni dalla ricezione; d) l’affidamento diretto deve – ai sensi dei commi 3 e
4 del testo originario dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008 – «avvenire nel rispetto dei princípi della
disciplina comunitaria», con l’ulteriore presupposto che sussistano «situazioni
che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e
geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un
efficace ed utile ricorso al mercato»; e) lo stesso affidamento deve, invece,
avvenire – ai sensi dei commi 3 e 4 del testo attualmente vigente del medesimo
art. 23-bis – con le forme della gestione in house,
nel rispetto delle condizioni richieste dal diritto comunitario, previo parere
della sola AGCM, con l’ulteriore presupposto della sussistenza di «situazioni
eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali,
ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non
permettono un efficace ed utile ricorso al mercato»; f) i bacini di gara per i
diversi servizi sono definiti, nel rispetto delle normative settoriali, dalle
Regioni e dagli enti locali d’intesa con
1.2. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri ha impugnato, a sua volta, due gruppi di disposizioni di leggi
regionali.
1.2.1. – Il primo gruppo di disposizioni
censurate (ricorso n. 2 del 2009) è costituito dai commi 1, 4, 5, 6 e 14
dell’art. 4 della legge della Regione Liguria 28 ottobre 2008, n. 39
(Istituzione della Autorità d’Ambito per l’esercizio delle funzioni degli enti
locali in materia di risorse idriche e gestione dei rifiuti ai sensi del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – Norme in materia ambientale). Detti
commi stabiliscono: a) la competenza della Giunta regionale ad approvare lo
schema-tipo di contratto di servizio e di convenzione per il servizio idrico integrato
(comma 1); b) la competenza dell’Autorità d’àmbito a provvedere all’affidamento
del servizio idrico integrato, «nel rispetto dei criteri di cui all’articolo
113, comma 7, del d.lgs. 267/2000 e delle modalità di cui agli articoli 150 e
172 del d.lgs.152/2006» (comma 4); c) la cessazione delle concessioni esistenti
e il relativo regime transitorio degli affidamenti del servizio idrico
integrato effettuati senza gara, attraverso il rinvio alle disposizioni di cui
all’art. 113, comma 15-bis, TUEL (commi 5 e 6); d) la competenza delle
Autorità d’àmbito territoriale ottimale a definire i contratti di servizio, gli
obiettivi qualitativi dei servizi erogati, il monitoraggio delle prestazioni,
gli aspetti tariffari, la partecipazione dei cittadini e delle associazioni dei
consumatori (comma 14).
1.2.2. – Il secondo gruppo di
disposizioni censurate dallo Stato (ricorso n. 51 del 2010) è costituito dal
comma 1 dell’art. 1 della legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della
Regione Campania – Legge finanziaria anno 2010), il quale stabilisce la
competenza della medesima Regione a disciplinare il servizio idrico integrato
regionale come servizio privo di rilevanza economica ed a stabilire
autonomamente sia le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio sia
il termine di decadenza degli affidamenti in essere.
2. – Le Regioni hanno promosso questioni
in riferimento agli artt. 3, 5, 41, 97, 114, 117, primo, secondo, terzo, quarto,
sesto comma, 118 e 119, sesto comma, e 120 della Costituzione. Ad integrazione
del parametro costituito dal primo comma dell’art. 117 Cost.,
alcune Regioni, hanno evocato quali norme interposte: a)
In base alle prospettazioni delle
ricorrenti, tali questioni possono essere distinte nei sette seguenti nuclei
tematici, per i primi quattro dei quali, in considerazione della loro incidenza
sull’intero tessuto normativo censurato, è opportuna una trattazione generale e
preliminare. Le conclusioni cui si perverrà all’esito di tale trattazione
costituiranno la base della decisione delle singole questioni, che saranno in
séguito esaminate analiticamente.
Il primo nucleo tematico attiene alla
ricostruzione del rapporto tra la disciplina dei SPL ricavabile
dall’ordinamento dell’Unione europea e dalla Carta europea dell’autonomia
locale e quella dettata con le disposizioni censurate. Tale ricostruzione è
necessaria al fine di valutare le opposte prospettazioni delle parti, secondo
le quali le particolari – e piú restrittive rispetto
alla legislazione italiana anteriore – condizioni fissate dal censurato comma 3
dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 (sia nella versione
originaria che in quella vigente) per l’affidamento in house
dei servizi pubblici locali, costituirebbero una obbligatoria applicazione
(secondo la difesa dello Stato) oppure una violazione (secondo le ricorrenti)
del diritto dell’Unione.
Il secondo nucleo tematico attiene
all’individuazione della sfera di competenza in cui, secondo
Il terzo nucleo tematico – nel caso in
cui si ritenesse sussistere la competenza esclusiva statale per la tutela della
concorrenza – attiene alla valutazione della censura secondo cui la normativa
denunciata violerebbe il principio di ragionevolezza, sotto il profilo della
proporzionalità ed adeguatezza, e, per l’effetto, lederebbe la sfera di
competenza legislativa o regolamentare riservata alle Regioni a statuto
ordinario.
Il quarto nucleo tematico attiene alla
individuazione della competenza regionale o statale nella determinazione della
rilevanza economica dei SPL, cioè del presupposto stesso per l’applicazione
della normativa relativa a tali servizi. Tale problema, nella prospettiva della
ricorrente Regione Marche, si pone anche nel caso in cui si ritenga che la
suddetta normativa sia riconducibile alla materia della tutela della
concorrenza e sia proporzionata ed adeguata.
Il quinto nucleo
tematico ha per oggetto la violazione degli artt. 3 e 97 Cost.,
sotto il profilo dell’obbligo di motivazione degli atti amministrativi, in
relazione a quanto stabilito dal censurato art. 23-bis del d.l n. 112 del 2008, interpretato nel senso che la scelta
dell’ente locale di procedere all’affidamento «in via ordinaria» dei SPL non è
onerata di obblighi motivazionali analoghi a quelli previsti per l’affidamento
«in deroga» (vale a dire, per l’affidamento in house).
Il sesto nucleo
tematico riguarda l’asserita irragionevole diversità di disciplina fra il
servizio idrico integrato e gli altri servizi pubblici locali.
Il settimo nucleo tematico attiene alla
lamentata violazione dell’autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti
locali.
3. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri ha promosso questioni in riferimento agli artt. 117, primo e secondo
comma, lettere e) ed s), Cost. e
alle seguenti norme interposte: a) per le questioni riguardanti la legge
della Regione Liguria n. 39 del 2008, l’art. 161, comma 4, lettera c),
del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nonché l’art.
23-bis, commi 2, 3, 8, 9 e 11, del decreto-legge n. 112 del 2008; b) per
le questioni riguardanti la legge della Regione Campania n. 2 del 2010, gli
artt. 141 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, l’art. 23-bis, commi 2, 3,
8, 9 e 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, il decreto-legge n. 135 del 2009,
nonché l’art. 113 del TUEL.
Tali questioni hanno per oggetto: a)
l’individuazione della sfera di competenza in cui, secondo
4. – Le predette questioni di legittimità
costituzionale, là dove promosse nell’àmbito di uno stesso ricorso unitamente
ad altre, devono essere trattate separatamente da queste ultime, essendo
opportuno procedere ad un esame distinto. I giudizi, cosí
separati e delimitati nell’oggetto, devono quindi tra loro riunirsi, per essere
congiuntamente trattati e decisi, in considerazione della parziale identità di
materia delle norme censurate e delle questioni prospettate.
5. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la difesa dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della costituzione della Regione Campania nel giudizio relativo al ricorso n. 51 del 2010. Sostiene il ricorrente che detta costituzione è stata deliberata da un organo privo della relativa competenza, essendo stata adottata con decreto dirigenziale dell’avvocato coordinatore, su proposta del dirigente del settore contenzioso amministrativo e tributario e non dalla Giunta regionale.
L’eccezione è stata accolta da questa Corte con ordinanza pronunciata all’udienza del 5 ottobre 2010, sul rilievo che, a norma dell’art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, «La questione di legittimità costituzionale, previa deliberazione della Giunta regionale […], è promossa dal Presidente della Giunta» e, in tale competenza ad autorizzare la promozione dei giudizi di costituzionalità, deve ritenersi compresa anche la deliberazione di costituirsi in tali giudizi, data la natura politica della valutazione che i due atti richiedono (nello stesso senso, l’ordinanza letta all’udienza del 25 maggio 2010 e relativa al giudizio deciso con la sentenza n. 225 del 2010).
6. – Il primo dei sopra indicati nuclei
tematici attiene – come si è visto – al rapporto tra le disposizioni censurate
e la disciplina dei SPL desumibile dall’ordinamento dell’Unione europea e dalla
Carta europea dell’autonomia locale. Secondo alcune ricorrenti, le suddette
disposizioni, ponendosi in contrasto con la normativa comunitaria ed
internazionale, violano il primo comma dell’art. 117 Cost.,
là dove questo vincola la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni al
rispetto dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Secondo
la difesa dello Stato, invece, la stessa formulazione del comma 1 dell’art. 23-bis
del decreto-legge n. 112 del 2008 («le disposizioni del presente articolo
disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria […]»)
evidenzia che le disposizioni oggetto di censura, in particolare quelle
relative all’affidamento in house dei servizi
pubblici locali, costituiscono un’obbligatoria applicazione del diritto dell’Unione
e non contrastano con la citata Carta europea dell’autonomia locale.
Nessuna di tali due opposte
prospettazioni è condivisibile, perché le disposizioni censurate dalle
ricorrenti non costituiscono né una violazione né un’applicazione necessitata
della richiamata normativa comunitaria ed internazionale, ma sono semplicemente
con questa compatibili, integrando una delle diverse discipline possibili della
materia che il legislatore avrebbe potuto legittimamente adottare senza violare
l’evocato primo comma dell’art. 117 Cost. Tale
conclusione va argomentata procedendo al raffronto delle disposizioni censurate
sia con la normativa comunitaria che con quella internazionale evocate a
parametro interposto.
6.1. – In àmbito comunitario non viene mai
utilizzata l’espressione «servizio pubblico locale di rilevanza economica», ma
solo quella di «servizio di interesse economico generale» (SIEG), rinvenibile,
in particolare, negli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea (TFUE). Detti articoli non fissano le condizioni di uso di tale ultima
espressione, ma, in base alle interpretazioni elaborate al riguardo dalla
giurisprudenza comunitaria (ex multis, Corte
di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia)
e dalla Commissione europea (in specie, nelle Comunicazioni in tema di servizi
di interesse generale in Europa del 26 settembre 1996 e del 19 gennaio 2001;
nonché nel Libro verde su tali servizi del 21 maggio 2003), emerge con
chiarezza che la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all’àmbito locale, e
quella interna di SPL di rilevanza economica hanno «contenuto omologo», come
riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 272 del
2004. Lo stesso denunciato comma 1 dell’art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008 – nel dichiarato intento di disciplinare i
«servizi pubblici locali di rilevanza economica» per favorire la piú ampia diffusione dei princípi
di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi
di tutti «gli operatori economici interessati alla gestione di servizi pubblici
di interesse generale in ambito locale» – conferma tale interpretazione,
attribuendo espressamente ai SPL di rilevanza economica un significato
corrispondente a quello di «servizi di interesse generale in àmbito locale» di
rilevanza economica, di evidente derivazione comunitaria.
Entrambe le suddette nozioni, interna e
comunitaria, fanno riferimento infatti ad un servizio che: a) è reso mediante
un’attività economica (in forma di impresa pubblica o privata), intesa in senso
ampio, come «qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi
su un determinato mercato» (come si esprimono sia la citata sentenza
della Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia,
sia le sentenze della stessa Corte
10 gennaio 2006, C-222/04, Ministero dell’economia e delle finanze,
e 16
marzo 2004, cause riunite C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband, nonché il Libro verde sui servizi di
interesse generale del 21 maggio 2003, al paragrafo 2.3, punto 44); b) fornisce
prestazioni considerate necessarie (dirette, cioè, a realizzare anche "fini
sociali”) nei confronti di una indifferenziata generalità di cittadini, a
prescindere dalle loro particolari condizioni (Corte
di giustizia UE, 21 settembre 1999, C-67/96, Albany International BV).
Le due nozioni, inoltre, assolvono l’identica funzione di identificare i
servizi la cui gestione deve avvenire di regola, al fine di tutelare la
concorrenza, mediante affidamento a terzi secondo procedure competitive ad
evidenza pubblica.
Per quanto qui interessa, la disciplina
comunitaria del SIEG e quella censurata del SPL divergono, invece, in ordine
all’individuazione delle eccezioni alla suddetta regola. Occorre pertanto
accertare se le differenze tra le due discipline siano tali da far venir meno,
come sostengono le Regioni ricorrenti, la loro compatibilità. Tale
accertamento, come si vedrà in seguito, avrà esito negativo.
Una prima differenza è rappresentata
dalla gestione diretta del SPL da parte dell’autorità pubblica. La normativa
comunitaria la ammette nel caso in cui lo Stato nazionale ritenga che
l’applicazione delle regole di concorrenza (e, quindi, anche della regola della
necessità dell’affidamento a terzi mediante una gara ad evidenza pubblica)
ostacoli, in diritto od in fatto, la «speciale missione» dell’ente pubblico
(art. 106 TFUE; ex plurimis, sentenze
della Corte di giustizia UEE 11
gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle,
punti 48 e 49, e 10
settembre 2009, C-573/07, Sea s.r.l.). In tale ipotesi l’ordinamento
comunitario, rispettoso dell’ampia sfera discrezionale attribuita in proposito
agli Stati membri, si riserva solo di sindacare se la decisione dello Stato sia
frutto di un "errore manifesto”. La censurata disciplina nazionale, invece,
rappresenta uno sviluppo del diverso principio generale costituito dal divieto
della gestione diretta del SPL da parte dell’ente locale; divieto introdotto
dai non censurati art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2002) e art. 14 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269
(Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge
24 novembre 2003, n. 326. Da quanto precede, è dunque evidente che: a) la
normativa comunitaria consente, ma non impone, agli Stati membri di prevedere,
in via di eccezione e per alcuni casi determinati, la gestione diretta del
servizio pubblico da parte dell’ente locale; b) lo Stato italiano, facendo uso
della sfera di discrezionalità attribuitagli dall’ordinamento comunitario al
riguardo, ha effettuato la sua scelta nel senso di vietare di regola la
gestione diretta dei SPL ed ha, perciò, emanato una normativa che pone tale divieto.
Una seconda differenza riguarda
l’affidamento della gestione del servizio alle società miste, cioè con capitale
in parte pubblico ed in parte privato (cosiddetto PPP, partenariato pubblico e
privato). La normativa comunitaria consente l’affidamento diretto del servizio
(cioè senza una gara ad evidenza pubblica per la scelta dell’affidatario) alle
società miste nelle quali si sia svolta una gara ad evidenza pubblica per la
scelta del socio privato e richiede sostanzialmente che tale socio sia un socio
«industriale» e non meramente «finanziario» (in tal senso, in particolare, il
Libro verde della Commissione del 30 aprile 2004), senza espressamente
richiedere alcun limite, minimo o massimo, della partecipazione del socio
privato. Il testo originario dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112
del 2008 non prevede una disciplina specifica per tale tipo di affidamento e dà
per scontato che la suddetta modalità di scelta del socio rientri nella regola
comunitaria dell’affidamento mediante gara ad evidenza pubblica, restando
irrilevante che tale gara abbia ad oggetto la scelta del socio privato invece
dell’affidatario. La disciplina interna e quella comunitaria sul punto sono,
dunque, identiche. Anche il testo vigente dello stesso art. 23-bis è
conforme alla normativa comunitaria, nella parte in cui consente l’affidamento
diretto della gestione del servizio, «in via ordinaria», ad una società mista,
alla doppia condizione che la scelta del socio privato «avvenga mediante
procedure competitive ad evidenza pubblica» e che a tale socio siano attribuiti
«specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio» (cosiddetta
gara ad evidenza pubblica a doppio oggetto: scelta del socio e attribuzione
degli specifici compiti operativi). La stessa nuova formulazione dell’art. 23-bis
si discosta, però, dal diritto comunitario nella parte in cui pone l’ulteriore
condizione, al fine del suddetto affidamento diretto, che al socio privato sia
attribuita «una partecipazione non inferiore al 40 per cento». Tale misura minima
della partecipazione (non richiesta dal diritto comunitario, come sopra
ricordato, ma neppure vietata) si risolve in una restrizione dei casi
eccezionali di affidamento diretto del servizio e, quindi, la sua previsione
perviene al risultato di far espandere i casi in cui deve essere applicata la
regola generale comunitaria di affidamento a terzi mediante gara ad evidenza
pubblica. Ne consegue, anche in questo caso, la piena compatibilità della
normativa interna con quella comunitaria.
Una terza differenza attiene alle
ipotesi di affidamento diretto del servizio «in deroga» alle ipotesi di
affidamento in via ordinaria (versione originaria dell’art. 23-bis), che
si identificano nella gestione denominata in house
(come chiarito dalla versione vigente dello stesso art. 23-bis). Secondo
la normativa comunitaria, le condizioni integranti tale tipo di gestione ed
alle quali è subordinata la possibilità del suo affidamento diretto (capitale
totalmente pubblico; controllo esercitato dall’aggiudicante sull’affidatario di
« contenuto analogo» a quello
esercitato dall’aggiudicante stesso sui propri uffici; svolgimento della parte piú importante dell’attività dell’affidatario in favore
dell’aggiudicante) debbono essere interpretate restrittivamente, costituendo l’in house providing un’eccezione rispetto alla regola generale
dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Tale eccezione
viene giustificata dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza
delle suddette condizioni esclude che l’in house contract configuri,
nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed
affidatario, perché quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo. Nondimeno, la giurisprudenza
comunitaria non pone ulteriori requisiti per procedere a tale tipo di
affidamento diretto, ma si limita a chiarire via via la concreta portata delle
suddette tre condizioni. Viceversa, il legislatore nazionale, nella versione
vigente dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, non soltanto
richiede espressamente, per l’affidamento diretto in house,
la sussistenza delle suddette tre condizioni poste dal diritto comunitario, ma
esige il concorso delle seguenti ulteriori condizioni: a) una previa
«pubblicità adeguata» e una motivazione della scelta di tale tipo di
affidamento da parte dell’ente in base ad un’«analisi di mercato», con
successiva trasmissione di una «relazione» dall’ente affidante alle autorità di
settore, ove costituite (testo originario dell’art. 23-bis), ovvero
all’AGCM (testo vigente dell’art. 23-bis), per un parere preventivo e
obbligatorio, ma non vincolante, che deve essere reso entro 60 giorni dalla
ricezione; b) la sussistenza di «situazioni che, a causa di peculiari
caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto
territoriale di riferimento» (commi 3 e 4 del testo originario dell’art. 23-bis),
ovvero di «situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche
economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di
riferimento» (commi 3 e 4 del testo vigente del medesimo art. 23-bis),
«non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato». Siffatte ulteriori
condizioni, sulle quali si appuntano particolarmente le censure delle
ricorrenti, si risolvono in una restrizione delle ipotesi in cui è consentito
il ricorso alla gestione in house del servizio
e, quindi, della possibilità di derogare alla regola comunitaria concorrenziale
dell’affidamento del servizio stesso mediante gara pubblica. Ciò comporta,
evidentemente, un’applicazione piú estesa di detta
regola comunitaria, quale conseguenza di una precisa scelta del legislatore
italiano. Tale scelta, proprio perché reca una disciplina pro concorrenziale piú rigorosa rispetto a quanto richiesto dal diritto
comunitario, non è da questo imposta – e, dunque, non è costituzionalmente
obbligata, ai sensi del primo comma dell’art. 117 Cost.,
come sostenuto dallo Stato –, ma neppure si pone in contrasto – come sostenuto,
all’opposto, dalle ricorrenti – con la citata normativa comunitaria, che, in
quanto diretta a favorire l’assetto concorrenziale del mercato, costituisce
solo un minimo inderogabile per gli Stati membri. È infatti innegabile
l’esistenza di un "margine di apprezzamento” del legislatore nazionale rispetto
a princípi di tutela, minimi ed indefettibili,
stabiliti dall’ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto
meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza "nel”
mercato e "per” il mercato. Ne deriva, in particolare, che al legislatore
italiano non è vietato adottare una disciplina che preveda regole
concorrenziali – come sono quelle in tema di gara ad evidenza pubblica per
l’affidamento di servizi pubblici – di applicazione piú
ampia rispetto a quella richiesta dal diritto comunitario. L’identità del
"verso” delle discipline interna e comunitaria esclude, pertanto, ogni
contrasto od incompatibilità anche per quanto riguarda la indicata terza
differenza.
6.2. – Per quanto attiene alla dedotta violazione
della Carta europea dell’autonomia locale di cui alla legge n. 439 del 1989,
alcune ricorrenti deducono che le disposizioni censurate si pongono in
contrasto con i seguenti articoli della Carta: a) art. 3, comma 1, secondo cui,
«per autonomia locale, s’intende il diritto e la capacità effettiva, per le
collettività locali, di regolamentare ed amministrare nell’ambito della legge,
sotto la loro responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte
importante di affari pubblici»; b) art. 4, comma 2, secondo cui «le
collettività locali hanno, nell’ambito della legge, ogni piú
ampia facoltà di prendere iniziative proprie per qualsiasi questione che non
esuli dalla loro competenza o sia assegnata ad un’altra autorità»; c) art. 4,
comma 4, secondo cui «le competenze affidate alle collettività locali devono di
regola essere complete ed integrali» e «possono essere messe in causa o
limitate da un’altra autorità, centrale o regionale, solamente nell’ambito
della legge». La violazione della suddetta convenzione internazionale
deriverebbe, secondo la prospettazione delle ricorrenti, dalla lesione
dell’autonomia dell’ente pubblico garantita dal parametro evocato. Lesione,
questa, che sarebbe determinata dall’introduzione di vincoli e specifici
aggravi procedimentali in ordine alla scelta, da parte degli enti pubblici, di
assumere essi stessi la gestione diretta del servizio idrico integrato, cioè di
una delle funzioni fondamentali dei Comuni.
Il denunciato contrasto con detta Carta
non sussiste per le seguenti ragioni.
Innanzitutto, va rilevato che −
secondo quanto esposto supra al punto
6.1. − già l’art. 35 della legge n. 448 del 2001, nel sostituire l’art.
113 TUEL, aveva escluso per i servizi pubblici locali «di rilevanza
industriale» (secondo la definizione dell’epoca; poi definiti «di rilevanza
economica» per effetto dell’art. 14 del decreto-legge n. 269 del 2003,
modificativo, appunto, dell’art. 113 TUEL) ogni gestione diretta, in economia
oppure tramite aziende speciali, da parte dell’ente pubblico. Lo stesso art.
35, al comma 8, aveva altresí imposto alle aziende
speciali esistenti di trasformarsi in società di capitali entro il 31 dicembre
2002. L’esclusione della gestione diretta non è dunque innovativamente
disposta, ma solo mantenuta, dall’art. 23-bis del decreto-legge n. 112
del 2008, con la conseguenza che il denunciato contrasto con
In secondo luogo, va osservato che le
ricorrenti prospettano la censura muovendo dal dichiarato presupposto che il
servizio idrico costituisca una delle funzioni fondamentali dell’ente pubblico
ed assumono che tali funzioni siano specificamente tutelate dalla Carta.
Tuttavia, proprio tale presupposto è privo di fondamento, perché, come questa
Corte ha piú volte affermato, detto servizio non
costituisce funzione fondamentale dell’ente locale (sentenze n. 307 del
2009 e n.
272 del 2004).
In terzo luogo, va evidenziato che gli
evocati articoli del
7. – Il secondo nucleo tematico delle
questioni proposte attiene all’individuazione della sfera di competenza in cui,
secondo
In proposito, va ribadito che – come
questa Corte ha piú volte affermato – la disciplina
concernente le modalità dell’affidamento della gestione dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica: a) non è riferibile alla competenza legislativa
statale in tema di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali» (art. 117, secondo comma, lettera m,
Cost.), perché riguarda, appunto, i servizi di
rilevanza economica e non attiene, comunque, alla determinazione di livelli
essenziali (sentenza
n. 272 del 2004); b) non può essere ascritta neppure all’àmbito delle
«funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e Città metropolitane» (art.
117, secondo comma, lettera p, Cost.), perché
«la gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di
una funzione propria ed indefettibile dell’ente locale» (sentenza n. 272 del
2004) e, quindi, «non riguarda […] profili funzionali degli enti locali» (sentenza n. 307 del
2009, al punto 6.1.); c) va ricondotta, invece, all’àmbito della materia,
di competenza legislativa esclusiva dello Stato, «tutela della concorrenza»,
prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,
tenuto conto degli aspetti strutturali e funzionali suoi propri e della sua
diretta incidenza sul mercato (ex plurimis,
sentenze n. 314,
n. 307, n. 304 e n. 160 del 2009;
n. 326 del 2008;
n. 401 del 2007;
n. 80 e n. 29 del 2006;
n. 272 del 2004).
Di conseguenza, con riguardo alla concreta disciplina censurata, la competenza
statale viene a prevalere sulle invocate competenze legislative regionali e
regolamentari degli enti locali e, in particolare, su quella in materia di
servizi pubblici locali, proprio perché l’oggetto e gli scopi che
caratterizzano detta disciplina attengono in via primaria alla tutela e alla
promozione della concorrenza (sentenze n. 142 del 2010,
n. 246 e n. 148 del 2009,
n. 411 e n. 322 del 2008).
Tali conclusioni risultano avvalorate
dalla «nozione comunitaria di concorrenza», che si riflette su quella di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., anche
per il tramite del primo comma dello stesso art. 117 e dell’art. 11 Cost.; nozione richiamata anche dall’art. 1, comma 4, della
legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del
mercato). Secondo tale nozione, la concorrenza presuppone «la piú ampia apertura al mercato a tutti gli operatori
economici del settore in ossequio ai principi comunitari della libera
circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera
prestazione dei servizi» (sentenza n. 401 del
2007). Essa pertanto – come affermato in numerose pronunce di questa Corte
(sentenze n. 270,
n. 232 e n. 45 del 2010;
n. 314 del 2009
e n. 148 del
2009; n. 63
del 2008; n.
430 e n. 401
del 2007; n.
272 del 2004) – può essere tutelata mediante tipi diversi di interventi
regolatori, quali: 1) «misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno
ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che influiscono
negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati» (misure antitrust);
2) misure legislative di promozione, «che mirano ad aprire un mercato o a
consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o
eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della
competizione tra imprese» (per lo piú dirette a
tutelare la concorrenza "nel” mercato); 3) misure legislative che perseguono il
fine di assicurare procedure concorsuali di garanzia mediante la strutturazione
di tali procedure in modo da realizzare «la piú ampia
apertura del mercato a tutti gli operatori economici» (dirette a tutelare la
concorrenza "per” il mercato).
Nell’àmbito di tali misure e, in
particolare, di quelle al punto 3), rientra espressamente la previsione
di procedure concorsuali competitive di evidenza pubblica volte – come quelle
di specie – a garantire il rispetto, per un verso, dei princípi
di parità di trattamento, di non discriminazione, di proporzionalità e di
trasparenza e, per l’altro, delle regole dell’efficacia e dell’efficienza
dell’attività dei pubblici poteri, al fine di assicurare la piena attuazione
degli interessi pubblici in relazione al bene o al servizio oggetto
dell’aggiudicazione.
Anche tali rilievi, basati sul diritto
comunitario, confermano pertanto che la disciplina delle modalità di
affidamento della gestione dei servizi pubblici locali rientra nella materia
«tutela della concorrenza» e che la concreta disciplina in esame prevale su
altre competenze (sentenze n. 270 del 2010;
n. 307 e n. 283 del 2009;
n. 320 e n. 51 del 2008;
n.430 e n. 401 del 2007;
n. 272 del 2004).
Con riferimento, poi, allo specifico
settore del servizio idrico integrato, questa Corte – in applicazione dei
suddetti princípi e scrutinando la disciplina della
determinazione della tariffa d’àmbito territoriale ottimale − ha
stabilito che la normativa riguardante l’individuazione di un’unica Autorità
d’àmbito e alla determinazione della tariffa del servizio secondo un meccanismo
di price cap
(art. 148 del d.lgs. n. 152 del 2006) attiene all’esercizio delle competenze
legislative esclusive statali nelle materie della tutela della concorrenza
(art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) e
dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.),
materie che hanno prevalenza su eventuali competenze regionali, che ne
risultano cosí corrispondentemente limitate. Ciò in
quanto tale disciplina, finalizzata al superamento della frammentazione della
gestione delle risorse idriche, consente la razionalizzazione del mercato ed è
quindi diretta a garantire la concorrenzialità e l’efficienza del mercato
stesso (sentenze n.
142 e n. 29
del 2010; n.
246 del 2009). Nella citata sentenza n. 246 del
2009 è stato ulteriormente precisato che la forma di gestione del servizio
idrico integrato e le procedure di affidamento dello stesso, disciplinate
dall’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, sono da ricondurre alla materia della
tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale,
trattandosi di regole «dirette ad assicurare la concorrenzialità nella gestione
del servizio idrico integrato, disciplinando le modalità del suo conferimento e
i requisiti soggettivi del gestore, al precipuo scopo di garantire la
trasparenza, l’efficienza, l’efficacia e l’economicità della gestione medesima».
In conclusione, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, le regole che concernono l’affidamento e la
gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica − ivi
compreso il servizio idrico – ineriscono essenzialmente alla materia «tutela
della concorrenza», di competenza esclusiva statale, ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost.
8. – Il terzo nucleo tematico, posto dalle questioni promosse dalle Regioni in ordine alle censurate discipline sia a regime che transitorie, attiene al principio di ragionevolezza. Al riguardo, le ricorrenti richiamano la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’esercizio della potestà normativa esclusiva dello Stato in tema di tutela della concorrenza è legittimo – in particolare, in caso di concorso con competenze regionali – alla condizione del rispetto, da parte del legislatore statale, del principio di ragionevolezza, sotto il profilo della proporzionalità e dell’adeguatezza (sentenza n. 272 del 2004, cui possono aggiungersi le sentenze n. 148 del 2009; n. 326 del 2008; n. 452 e n. 401 del 2007; n. 345, n. 272 del 2004).
8.1. − Per quanto riguarda
la disciplina a regime, alcune ricorrenti assumono che essa, anche se
ascrivibile alla materia «tutela della concorrenza», lede comunque la competenza
residuale innominata delle Regioni in materia di servizi pubblici locali. In
particolare, le ricorrenti deducono che la normativa censurata, nella parte in
cui limita i casi in cui è consentito l’affidamento diretto in house, non è ragionevole, proporzionale o adeguata,
perché: a) è normativa autoapplicativa e di
dettaglio; b) pone vincoli ulteriori – e perciò ingiustificati – rispetto a
quelli previsti dall’ordinamento comunitario per l’affidamento in house.
Nessuno di tali rilievi è condivisibile.
8.1.1. − Quanto al primo rilievo,
va qui ribadita la giurisprudenza costituzionale, per la quale l’emanazione,
nell’esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, di una norma autoapplicativa e di dettaglio non integra alcuna
violazione dei criteri di riparto costituzionale delle competenze legislative.
Al riguardo, questa Corte ha ripetutamente affermato (sentenze n. 232 del
2010 e n.
430 del 2007, in materia di tutela della concorrenza; analogamente, sentenza n. 255 del
2010, in materia di sistema tributario dello Stato) che: a) «l’attribuzione
delle misure [a tutela della concorrenza] alla competenza legislativa esclusiva
dello Stato comporta sia l’inderogabilità delle disposizioni nelle quali si
esprime, sia che queste legittimamente incidono, nei limiti della loro
specificità e dei contenuti normativi che di esse sono proprie, sulla totalità
degli àmbiti materiali entro i quali si applicano»;
b) una volta ricondotta una norma nell’àmbito della «tutela della concorrenza»,
«non si tratta […] di valutare se essa sia o meno di estremo dettaglio, utilizzando
princípi e regole riferibili alla disciplina della
competenza legislativa concorrente delle Regioni, ma occorre invece accertare
se, alla stregua del succitato scrutinio, la disposizione sia strumentale ad
eliminare limiti e barriere all’accesso al mercato ed alla libera esplicazione
della capacità imprenditoriale».
Neppure può affermarsi – come sostenuto
da alcune ricorrenti – che le norme sull’affidamento e le modalità di gestione
dei servizi pubblici locali sono di per sé irragionevoli, perché intervengono
in materia di tutela della concorrenza con discipline di dettaglio e autoapplicative. Infatti questa Corte ha piú volte rilevato che è ragionevole che norme in materia
di tutela della concorrenza, al fine di meglio tutelare le finalità pro concorrenziali
loro proprie, possano essere dettagliate ed autoapplicative
(sentenze n. 148
del 2009; n.
320 del 2008; n.
431 del 2007).
8.1.2. − Quanto al secondo
profilo, non può accogliersi l’assunto delle ricorrenti, secondo cui l’unica
disciplina della concorrenza che possa considerarsi proporzionale e adeguata è
quella che non pone limiti (che non siano quelli evidenziati dalla
giurisprudenza comunitaria) all’affidamento in house
di servizi pubblici locali di rilevanza economica.
Al riguardo, va innanzitutto osservato
che non appare irragionevole, anche se non costituzionalmente obbligata, una
disciplina, quale quella di specie, intesa a restringere ulteriormente –
rispetto al diritto comunitario – i casi di affidamento diretto in house (cioè i casi in cui l’affidatario costituisce la longa
manus di un ente pubblico che lo controlla
pienamente e totalmente). Come si è osservato al punto 6.1., tale normativa si
innesta coerentemente in un sistema normativo interno in cui già vige il
divieto della gestione diretta mediante azienda speciale o in economia (introdotto
dai non censurati artt. 35 della legge n. 448 del 2001 e 14 del decreto-legge
n. 269 del 2003) e nel quale, pertanto, i casi di affidamento in house, quale modello organizzativo succedaneo della
(vietata) gestione diretta da parte dell’ente pubblico, debbono essere
eccezionali e tassativamente previsti.
In secondo luogo, va rilevato che le
norme censurate dalle ricorrenti non possono essere considerate sproporzionate
od inadeguate solo perché, attraverso la riduzione delle ipotesi di eccezionale
affidamento diretto dei servizi pubblici locali, rafforzano la generale regola
pro concorrenziale, prescelta dal legislatore, che impone l’obbligo di
procedere all’affidamento solo mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica. La possibilità, secondo l’ordinamento comunitario, di affidamenti in
house anche in casi in cui detti
affidamenti sono vietati dalle denunciate disposizioni nazionali non rende
queste ultime irragionevoli in relazione agli indicati profili, perché – come
messo in evidenza sempre al punto 6.1. − l’ordinamento comunitario, in
tema di tutela della concorrenza e, in particolare, in tema di affidamento
della gestione dei servizi pubblici, costituisce solo un minimo inderogabile
per il legislatore degli Stati membri e, pertanto, non osta a che la
legislazione interna disciplini piú rigorosamente,
nel senso di favorire l’assetto concorrenziale di un mercato, le modalità di
tale affidamento. Pertanto, il legislatore nazionale ha piena libertà di scelta
tra una pluralità di discipline ugualmente legittime.
In terzo luogo, deve essere sottolineato
che la normativa censurata non impedisce del tutto all’ente pubblico la
gestione di un servizio locale di rilevanza economica, negandogli ogni
possibilità di svolgere la sua «speciale missione» pubblica (come si esprime il
diritto comunitario), ma trova, tra i molti possibili, un punto di equilibrio
rispetto ai diversi interessi operanti nella materia in esame. In proposito, va
ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la sfera di autonomia
privata e la concorrenza non ricevono «dall’ordinamento una protezione
assoluta» e possono, quindi, subire limitazioni ed essere sottoposte al
coordinamento necessario «a consentire il soddisfacimento contestuale di una
pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti» (sentenza n. 279 del
2006; analogamente, ordinanza n. 162
del 2009). La stessa giurisprudenza ha tuttavia evidenziato che «una
regolazione strumentale a garantire la tutela anche di interessi diversi
rispetto a quelli correlati all’assetto concorrenziale del mercato garantito»
ha carattere «derogatorio e per ciò stesso eccezionale» e deve costituire «la
sola misura in grado di garantire al giusto la tutela di quegli interessi» (sentenza n. 270 del
2010). Nella specie, intendendo contemperare la regola della massima tutela
della concorrenza con le eccezioni derivanti dal perseguimento della speciale
missione pubblica da parte dell’ente locale, il legislatore ha in effetti
ponderato due diversi interessi: da un lato, quello generale alla tutela della
concorrenza; dall’altro, quello specifico degli enti locali a gestire il SPL
(tramite l’affidamento in house) nell’ipotesi
in cui sia «efficace ed utile» il ricorso al mercato e non solo quando esso non
sia possibile. Il bilanciamento tra tali interessi è stato attuato, in
concreto, in modo non irragionevole, per un verso, consentendo alle società a
capitale (interamente o parzialmente) pubblico, quando non ricorrano le
condizioni per l’affidamento diretto, di partecipare alle gare ad evidenza
pubblica per l’affidamento della gestione del servizio, al pari di ogni altro
imprenditore o società (comma 1 dell’art. 23-bis); per altro verso,
limitando l’affidamento in house alle ipotesi
in cui, pur in presenza di un SPL di rilevanza economica, il ricorso al mercato
per la gestione del servizio non è «efficace e utile» (comma 2 dell’art. 23-bis).
Ciò è confermato dal comma 2 dell’art. 3 del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia
di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’articolo 23-bis, comma 10, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge
6 agosto 2008, n. 133), il quale stabilisce espressamente che le
«società a capitale interamente pubblico possono partecipare alle procedure
competitive ad evidenza pubblica di cui all’articolo 23-bis, comma 2, lettera a),
sempre che non vi siano specifici divieti previsti dalla legge».
8.2. – Tali conclusioni relative
alla disciplina a regime influiscono sulla soluzione della questione posta
dalle ricorrenti circa l’adeguatezza e la proporzionalità − dunque, la
ragionevolezza − del regime transitorio stabilito dalla normativa
denunciata.
La relativa censura non può essere
accolta, oltre che per le considerazioni generali svolte nel punto precedente,
anche per i seguenti ulteriori argomenti, concernenti specificamente la
disciplina transitoria.
Al riguardo, anche a non voler
considerare che, in caso di successione di leggi, il legislatore ha ampia
discrezionalità di modulare nel tempo la disciplina introdotta, con l’unico
limite della ragionevolezza (ex plurimis, sentenza n. 376 del
2008; ordinanze n. 40 del 2009
e n. 9 del 2006),
va comunque rilevato che, nel caso di specie, il margine temporale concesso
dalla normativa censurata per la cessazione degli affidamenti diretti esistenti
è congruo e proporzionato all’entità ed agli effetti delle modifiche normative
introdotte e, dunque, ragionevole. A tale conclusione si perviene agevolmente
considerando la seguente successione cronologica delle disposizioni di legge
oggetto di censura. Con riferimento al servizio idrico integrato, il comma 8
del testo originario dell’art. 23-bis (entrato in vigore il 22 agosto
2008) prevedeva la cessazione alla data del 31 dicembre 2010 delle concessioni
per le quali non sussistevano le peculiari caratteristiche di cui al comma 3.
Con riferimento ai settori diversi dal servizio idrico integrato, lo stesso
comma demandava la fissazione di una disciplina transitoria ai regolamenti di
delegificazione da adottare ai sensi della lettera e) del comma 10, ma
che non sono stati mai emanati. Il vigente comma 8 dell’art. 23-bis
(entrato in vigore il 26 settembre 2009) disciplina ora il regime transitorio
degli affidamenti non conformi a quanto previsto dai commi 2 e 3 dello stesso
articolo, con una cadenza differenziata, a seconda delle varie ipotesi, a
partire dal 31 dicembre 2010 e sino al 31 dicembre 2012, termine, quest’ultimo,
successivamente modificato, a decorrere dal 25 novembre
9. – Il quarto tema generale posto dalle
questioni promosse, da trattare in via preliminare, attiene all’individuazione
della competenza legislativa regionale o statale nella determinazione della
rilevanza economica dei SPL. Infatti, una volta accertato che la disciplina
delle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica rientra nell’àmbito della competenza legislativa esclusiva
dello Stato, resta ancora da verificare se allo Stato competa, in via
esclusiva, anche il potere di indicare le condizioni per le quali debba
ritenersi sussistente detta «rilevanza economica» oppure se la decisione di
attribuire al servizio locale una siffatta qualificazione sia riservata, dal diritto
comunitario o comunque dalla Costituzione, alla Regione od all’ente locale.
A tal fine è necessario, innanzitutto,
valutare la portata della nozione di «rilevanza economica» nel sistema della
normativa statale sui SPL; successivamente, individuare il fondamento
costituzionale di tale nozione e, infine, trarre le conclusioni in ordine alla
competenza a determinare la sussistenza dell’indicata «rilevanza».
9.1. – Quanto al primo profilo, va
osservato che né il censurato art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
Dall’evidente omologia posta da tale
articolo tra «servizi pubblici locali di rilevanza economica» e «servizi
pubblici di interesse generale in ambito locale» si desume, innanzitutto, che
la nozione di «servizio pubblico locale di rilevanza economica» rimanda a
quella, piú ampia, di «servizio di interesse
economico generale» (SIEG), impiegata nell’ordinamento comunitario e già
esaminata al punto 6. Del resto, questa Corte, con la sentenza n. 272 del
2004, aveva già sottolineato l’omologia esistente anche tra la nozione di
«rilevanza economica», utilizzata nell’art. 113-bis TUEL (relativo ai
servizi pubblici locali «privi di rilevanza economica» e dichiarato
costituzionalmente illegittimo dalla stessa sentenza), e quella comunitaria di «interesse
economico generale», interpretata anche dalla Commissione europea nel Libro
verde sui servizi di interesse generale del 21 maggio
Se si ragiona sulla base di una siffatta
ampia nozione comunitaria di interesse economico, è agevole rilevare che gli
indici empirici di tale interesse – come lo scopo lucrativo, l’assunzione dei
rischi dell’attività, l’incidenza del finanziamento pubblico – talvolta
impiegati dalla Corte di giustizia UE (sentenza
22 maggio 2003, C-18/2001, Korhonen e.a.) e richiamati
anche da questa Corte (sentenza n. 272 del
2004) possono essere utili solo con riferimento ad un servizio già
esistente sul mercato, per accertare se l’attività svolta sia da considerare
economica. Ciò però non significa che l’economicità dell’interesse si debba
determinare ex post, esclusivamente in base a tali indici, e cioè a
séguito di una scelta discrezionale dell’ente locale competente circa le
modalità di gestione del servizio. Al contrario, nel diverso caso in cui si
debba immettere nel mercato un servizio pubblico – e, quindi, si debba accertare
se e come applicare le regole concorrenziali e concorsuali comunitarie per
l’affidamento della sua gestione – occorre necessariamente prendere in
considerazione la possibilità dell’apertura di un mercato, obiettivamente
valutata secondo un giudizio di concreta realizzabilità, a prescindere da ogni
soggettiva determinazione dell’ente al riguardo. È vero che il diritto
comunitario lascia qualche spazio in materia alla scelta degli Stati membri,
riservando loro, sia pure in via di eccezione, il potere di derogare alle
regole del Trattato relative alla concorrenza e agli aiuti di Stato, ove tali
regole – salvo errori manifesti da parte degli Stati stessi – siano ritenute
ostative al perseguimento della speciale missione e delle finalità sociali del
servizio. Tuttavia, il potere di deroga presuppone la sussistenza
dell’interesse economico del servizio stesso, esercitandosi tale potere proprio
nell’àmbito dei SIEG, e cioè di servizi che sono, per definizione ed
obiettivamente, di «interesse economico» perché idonei ad influenzare un
assetto concorrenziale in atto o in fieri.
Analogamente a quanto visto a proposito
del diritto comunitario, le disposizioni censurate non fanno esclusivo
riferimento ad un servizio locale operante in un mercato già esistente, ma riguardano
servizi dotati di mera «rilevanza» economica e, quindi, anche servizi ancora da
organizzare e da immettere sul mercato. Infatti, esse, in armonia con
l’indicata nozione comunitaria di interesse economico, evidenziano le due
seguenti fondamentali caratteristiche della nozione di «rilevanza» economica:
a) che l’immissione del servizio possa avvenire in un mercato anche solo
potenziale, nel senso che, per l’applicazione dell’art. 23-bis, è
condizione sufficiente che il gestore possa immettersi in un mercato ancora non
esistente, ma che abbia effettive possibilità di aprirsi e di accogliere,
perciò, operatori che agiscano secondo criteri di economicità; b) che
l’esercizio dell’attività avvenga con metodo economico, nel senso che essa,
considerata nella sua globalità, deve essere svolta in vista quantomeno della
copertura, in un determinato periodo di tempo, dei costi mediante i ricavi (di
qualsiasi natura questi siano, ivi compresi gli eventuali finanziamenti
pubblici).
Tale impostazione − consequenziale
alla scelta legislativa di promuovere la concorrenza "per” il mercato della
gestione dei servizi – emerge nettamente, in particolare, dai commi 3, 4 e 4-bis,
dell’art. 23-bis, i quali possono essere interpretati soltanto nel senso
che i servizi pubblici locali non cessano di avere «rilevanza economica» per il
solo fatto che sia formulabile una prognosi di inefficacia o inutilità del
semplice ricorso al mercato, con riferimento agli obiettivi pubblici perseguiti
dall’ente locale. Evidentemente, anche per il legislatore nazionale, come per
quello comunitario, la rilevanza economica sussiste pure quando, per superare
le particolari difficoltà del contesto territoriale di riferimento e garantire
prestazioni di qualità anche ad una platea di utenti in qualche modo
svantaggiati, non sia sufficiente l’automaticità del mercato, ma sia necessario
un pubblico intervento o finanziamento compensativo degli obblighi di servizio
pubblico posti a carico del gestore, sempre che sia concretamente possibile
creare un «mercato a monte», e cioè un mercato «in cui le imprese contrattano
con le autorità pubbliche la fornitura di questi servizi» agli utenti (cosí – si è visto al punto 6.1. – si esprime
Dall’evidenziata portata oggettiva delle
nozioni in esame e dalla indicata sufficienza di un mercato solo potenziale
consegue l’erroneità delle interpretazioni volte a dare alle medesime nozioni
un carattere meramente soggettivo e, in particolare, di quell’interpretazione –
fatta propria da alcune ricorrenti – secondo cui si avrebbe rilevanza economica
solo alla duplice condizione che un mercato del servizio sussista
effettivamente e che l’ente locale decida a sua discrezione di finanziare il
servizio con gli utili ricavati dall’esercizio di impresa in quel mercato.
9.2. – Quanto al secondo profilo da
esaminare, relativo al fondamento costituzionale della legge statale che fissa
il contenuto della suddetta nozione oggettiva di «rilevanza economica», va preso
atto che detta nozione, al pari di quella omologa di «interesse economico»
propria del diritto comunitario, va utilizzata, nell’àmbito della disciplina
del mercato dei servizi pubblici, quale criterio discretivo per l’applicazione
delle norme concorrenziali e concorsuali comunitarie in materia di affidamento
della gestione di tali servizi (come, del resto, esplicitamente affermato dal
comma 1 dell’art. 23-bis). Ne deriva che, proprio per tale suo àmbito di
utilizzazione, la determinazione delle condizioni di rilevanza economica è
riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di «tutela
della concorrenza», ai sensi del secondo comma, lettera e), dell’art.
117 Cost. Poiché l’ordinamento comunitario esclude
che gli Stati membri, ivi compresi gli enti infrastatuali,
possano soggettivamente e a loro discrezione decidere sulla sussistenza
dell’interesse economico del servizio, conseguentemente il legislatore statale
si è adeguato a tale principio dell’ordinamento comunitario nel promuovere
l’applicazione delle regole concorrenziali e ha escluso che gli enti infrastatuali possano soggettivamente e a loro discrezione
decidere sulla sussistenza della rilevanza economica del servizio (rilevanza
che, come piú volte sottolineato, corrisponde per il
diritto interno all’interesse economico considerato dal diritto comunitario).
10. – Alla luce dei nuclei tematici
evidenziati al punto 2., occorre ora esaminare le singole questioni proposte
dalle Regioni ricorrenti.
A tale proposito, va preliminarmente
rilevato che, quanto ai ricorsi delle Regioni aventi ad oggetto il testo
vigente dell’art. 23-bis, l’Avvocatura generale dello Stato ha formulato
due eccezioni di inammissibilità.
10.1. – In primo luogo si eccepisce, in
via generale, che «
L’eccezione deve essere rigettata per la
sua genericità, in quanto lo Stato non specifica a quali delle questioni
sollevate dalle Regioni si riferisca.
10.2. – La difesa dello Stato afferma,
in secondo luogo, che, «in riferimento alle questioni ex adverso
sollevate sulla mancata e/o inesatta applicazione dei principi comunitari in
materia di servizi pubblici locali, si ritiene che la doglianza sia mal posta
in termini di incostituzionalità», in quanto, «qualora codesta Corte dovesse
ravvisare l’esigenza di assicurare una uniforme interpretazione del diritto
comunitario, la questione, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, dovrebbe
essere preventivamente oggetto di un rinvio pregiudiziale alla Corte di
giustizia UE».
L’eccezione deve essere rigettata,
perché nei giudizi principali le Regioni possono sempre porre alla Corte
questioni di costituzionalità nelle quali siano evocate, quali parametri
interposti, norme di diritto comunitario. Spetterà semmai al
11. – Le questioni riconducibili al
primo dei sopra indicati nuclei tematici (trattato al punto 6.) – che attiene
al rapporto tra le disposizioni censurate e la disciplina dei SPL desumibile
dall’ordinamento dell’Unione europea e dalla Carta europea dell’autonomia
locale – sono poste dalle Regioni Liguria, Emilia-Romagna, Umbria, Piemonte,
Toscana.
11.1. –
La questione è inammissibile perché
generica
Infatti, la ricorrente, limitandosi a richiamare
il diritto comunitario nel suo complesso, non specifica le norme comunitarie da
utilizzare come parametri interposti. E ciò, a prescindere dal fatto che il
diritto comunitario consente in ogni caso al legislatore interno di prevedere
limitazioni dell’affidamento diretto piú estese di
quelle comunitarie (che consistono solamente nella totale partecipazione
pubblica, nel cosiddetto "controllo analogo”, nella preponderanza dell’attività
svolta in favore dell’ente controllante). Come si è visto al punto 6.1., esso
infatti, nel prevedere solo regole "minime” pro concorrenziali, lascia al
legislatore nazionale un ampio margine di apprezzamento, con la conseguenza che
nelle ipotesi – come quella di specie – in cui quest’ultimo prevede condizioni
ulteriori aventi lo stesso "verso” del diritto comunitario, deve escludersi il
prospettato contrasto.
11.2. – Le Regioni Toscana ed
Emilia-Romagna impugnano diversi commi dell’art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008 per violazione del diritto comunitario.
11.2.1. – In particolare,
La stessa Regione censura anche il comma
8 dell’art. 23-bis, nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del
decreto-legge n. 135 del 2009, il quale prevede che gli affidamenti diretti già
in essere al momento dell’entrata in vigore della nuova normativa cessano in
date successive, a partire dal 31 dicembre
Le questioni sono inammissibili per
genericità, in quanto le ricorrenti non specificano le norme comunitarie che
sarebbero state violate, e per perplessità, in quanto le stesse ricorrenti
affermano che l’ordinamento comunitario consente e non impone agli enti locali
di continuare a fornire i servizi pubblici attraverso le gestioni in house già in essere. E ciò, a prescindere dal fatto
che, per le ragioni esposte ai punti 6.1. e 11.1., il diritto comunitario
consente in ogni caso al legislatore interno di prevedere limitazioni
dell’affidamento diretto piú estese di quelle
comunitarie.
11.2.2. –
Afferma la ricorrente che il diritto
comunitario prevede che la società in house sia
tenuta a svolgere a favore degli enti di riferimento solo l’attività
prevalente, ben potendo destinare l’attività residua anche al mercato, mentre
«la norma in questione trasforma il concetto di "prevalenza” dell’attività in
"attività esclusiva”, costringendo il soggetto titolare dell’affidamento
diretto (non solo in house provider) a
svolgere la propria attività esclusivamente nei confronti degli enti
affidanti».
La questione è inammissibile per
genericità, in quanto la ricorrente non specifica le norme comunitarie che
sarebbero state violate. E ciò, a prescindere dal fatto che, per le ragioni
esposte ai punto 6.1. e 11.1., il diritto comunitario consente in ogni caso al
legislatore interno di prevedere limitazioni dell’affidamento diretto piú estese di quelle comunitarie.
11.3. – Lo stesso comma 8 dell’art. 23-bis,
nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009,
è impugnato anche dalle Regioni Liguria (ricorso n. 12 del 2010) e Umbria, in
riferimento all’art. 117, primo comma Cost., «per
contrasto con
La questione è inammissibile per genericità,
in quanto le ricorrenti non specificano quali disposizioni della Carta europea
dell’autonomia locale sarebbero state violate.
11.4. – Come sopra accennato,
In particolare,
Le disposizioni censurate – già
sinteticamente riportate al punto 1.1. – prevedono che: 1) «Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali
avviene, in via ordinaria: a) a favore di imprenditori o di società in qualunque
forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce
La ricorrente lamenta la violazione
dell’art. 117, primo comma, Cost., per il tramite
degli artt. 14 e 106 TFUE, i quali cosí dispongono:
«fatti salvi l’articolo 4 del trattato sull’Unione europea e gli articoli 93,
106 e 107 del presente trattato, in considerazione dell’importanza dei servizi
di interesse economico generale nell’ambito dei valori comuni dell’Unione,
nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale,
l’Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell’ambito del
campo di applicazione dei trattati, provvedono affinché tali servizi funzionino
in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che
consentano loro di assolvere i propri compiti.» (art. 14); «Le imprese
incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi
carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in
particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di
tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della
specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere
compromesso in misura contraria agli interessi dell’Unione.» (art. 106).
Per
La questione non è fondata.
I parametri evocati non fissano le
condizioni di uso dell’espressione, in essi utilizzata, di «interesse economico
generale» – espressione che la stessa ricorrente ammette essere un sinonimo di
«rilevanza economica» – e non specificano se la sussistenza di tale interesse
possa essere discrezionalmente stabilita dagli Stati membri o dagli enti infrastatuali. Tuttavia, come piú
diffusamente esposto ai punti 6.1. e 9., lo spazio interpretativo lasciato
aperto dai suddetti articoli del Trattato è stato colmato dalla giurisprudenza
comunitaria e dalla Commissione europea, secondo le quali «l’interesse
economico generale», in quanto funzionale ad una disciplina comunitaria diretta
a favorire l’assetto concorrenziale dei mercati, è riferito alla possibilità di
immettere una specifica attività nel mercato corrispondente (reale o
potenziale) ed ha, pertanto, natura essenzialmente oggettiva. Ne deriva che
(secondo quanto meglio osservato al punto 9.2.) l’ordinamento comunitario, in
considerazione della rilevata portata oggettiva della nozione di «interesse
economico», vieta che gli Stati membri e gli enti infrastatuali
possano soggettivamente e a loro discrezione decidere circa la sussistenza di
tale interesse. In particolare, la previsione, da parte delle disposizioni
censurate, di condizioni per l’affidamento diretto del servizio pubblico locale
piú restrittive di quelle previste dall’ordinamento
comunitario non integra alcuna violazione dei princípi
comunitari della concorrenza, perché tali princípi
costituiscono solo un minimo inderogabile per gli Stati membri, i quali hanno
la facoltà di dettare una disciplina piú
rigorosamente concorrenziale, come quella di specie, che, restringendo le
eccezioni all’applicazione della regola della gara ad evidenza pubblica – posta
a tutela della concorrenza –, rende piú estesa
l’applicazione di tale regola.
Con riferimento alla fattispecie in
esame, il legislatore statale, in coerenza con la menzionata normativa
comunitaria e sull’incontestabile presupposto che il servizio idrico integrato
si inserisce in uno specifico e peculiare mercato (come riconosciuto da questa
Corte con la sentenza
n. 246 del 2009), ha correttamente qualificato tale servizio come di
rilevanza economica, conseguentemente escludendo ogni potere degli enti infrastatuali di pervenire ad una diversa qualificazione.
11.5. – I commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis
del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall’art. 15, comma
1, del decreto-legge n. 135 del 2009, sono censurati, in riferimento all’art.
117, primo comma, Cost., dalle Regioni Liguria
(ricorso n. 12 del 2010) e Umbria, nonché, limitatamente al comma 3, dalla
Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 13 del 2010).
Le ricorrenti lamentano la violazione
dell’evocato parametro, per il tramite della Carta europea dell’autonomia
locale e, in particolare, delle seguenti disposizioni: a) l’art. 3, comma 1,
secondo cui «per autonomia locale, s’intende il diritto e la capacità
effettiva, per le collettività locali, di regolamentare ed amministrare
nell’ambito della legge, sotto la loro responsabilità, e a favore delle
popolazioni, una parte importante di affari pubblici»; b) l’art. 4, comma 2,
secondo cui «le collettività locali hanno, nell’ambito della legge, ogni piú ampia facoltà di prendere iniziative proprie per
qualsiasi questione che non esuli dalla loro competenza o sia assegnata ad
un’altra autorità»; c) l’art. 4, comma 4, secondo cui «le competenze affidate
alle collettività locali devono di regola essere complete ed integrali».
Sostengono le ricorrenti che, una volta
che si riconosca che il servizio idrico è parte delle funzioni fondamentali dei
Comuni, «sembra evidente che solo ad essi spetta la decisione sul migliore modo
di organizzarlo» e il legislatore non può «configurare come eccezionale e
soggetta a specifici aggravi procedimentali la scelta di assumere essi stessi
la responsabilità della gestione diretta del servizio».
Le questioni non sono fondate.
Infatti, come piú
diffusamente osservato al punto 6.2.: a) con riferimento alla gestione
diretta, il denunciato contrasto con
12. – Le questioni che attengono al
secondo dei sopra indicati nuclei tematici, relativo all’individuazione della
sfera di competenza in cui collocare la normativa denunciata e già esaminato al
punto 7, sono poste dalle Regioni Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Marche,
Emilia-Romagna e Puglia. Le ricorrenti contestano la riconducibilità di diverse
disposizioni dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 – sia
nella formulazione originaria sia in quella vigente – nonché del decreto-legge
n. 135 del 2009 alla competenza legislativa esclusiva statale in materia di
«tutela della concorrenza». La normativa denunciata si collocherebbe, per
12.1. – Occorre innanzitutto esaminare
le questioni che, in ragione della loro formulazione, non consentono un esame
nel merito.
12.1.1. – Le Regioni Liguria (ricorso n.
12 del 2010) e Umbria impugnano il comma 8 dell’art. 23-bis, nel testo
modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del
La questione è inammissibile per
genericità, perché le ricorrenti non specificano a quali tra le molteplici
competenze dello Stato disciplinate dall’art. 117, secondo comma, Cost. si debba far riferimento ai fini dello scrutinio di
costituzionalità.
12.1.2. – Le stesse Regioni Liguria e
Umbria impugnano il medesimo comma 8 dell’art. 23-bis, nel testo
modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009 anche in
riferimento all’art. 118, primo e secondo comma, Cost.,
«per violazione del principio di sussidiarietà e della titolarità comunale di
funzioni proprie».
Anche tale questione è inammissibile per
genericità, perché le ricorrenti non specificano in cosa consista la dedotta
violazione del principio di sussidiarietà, né quali siano le funzioni proprie
dei Comuni cui fanno riferimento.
12.1.3. – Il comma 8 dell’art. 23-bis,
nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009,
è censurato anche dalla Regione Emilia-Romagna, in quanto lesivo del «principio
di pluralismo paritario istituzionale, in violazione degli artt. 114 e 118 Cost.» e dell’art. 117, quarto comma, Cost.,
perché contiene una disciplina cosí rigida da
annullare qualsiasi autonomia esercitabile in materia e lede, perciò, il
principio di sussidiarietà.
La questione è inammissibile per
genericità, perché la ricorrente si limita ad affermare che la norma denunciata
annulla «qualsiasi autonomia esercitabile in materia», senza indicare quali
siano le competenze costituzionali che ritiene lese e senza spiegare le ragioni
della prospettata lesione.
12.2. – Le questioni attinenti allo
stesso nucleo tematico che, invece, debbono essere scrutinate nel merito vanno
distinte tra quelle che riguardano: a) la disciplina in generale del SPL, a
regime e transitoria (commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis, nel testo
originario e in quello vigente, nonché comma 8 dello stesso articolo, nel testo
vigente); b) la determinazione delle soglie minime per l’assoggettamento al
parere dell’AGCM (comma 4-bis dell’art. 23-bis, nel testo
vigente); c) la determinazione dei bacini di gara (comma 7 dell’art. 23-bis,
nel testo originario); d) l’assoggettamento al patto di stabilità e la gestione
associata dei servizi (comma 10, lettere a e b, nel testo
originario e vigente dell’art. 23-bis). Tali gruppi di questioni vanno
esaminati separatamente.
12.3. – Il primo gruppo di questioni –
attinente, come si è visto, alla competenza a disciplinare in generale i
servizi pubblici locali ed avente ad oggetto i commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis,
nel testo originario e in quello vigente, nonché il comma 8 dello stesso
articolo, nel testo vigente – è posto dalle Regioni Piemonte, Liguria, Toscana,
Umbria, Marche ed Emilia-Romagna.
12.3.1. –
Le
disposizioni censurate, già sinteticamente riportate al punto 1.1., prevedono
che: a) «Le disposizioni del presente articolo
disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di
favorire la piú ampia diffusione dei principi di
concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di
tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse
generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti
alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello
essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della
Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i
principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Le
disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi
pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse
incompatibili» (comma 1); b) «Il conferimento della gestione dei servizi
pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di
società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure
competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che
istituisce
La ricorrente sostiene che tali
disposizioni violano l’art. 117, quarto comma, Cost.,
il quale attribuisce alle Regioni la competenza legislativa residuale in
materia di pubblici servizi, perché, non permettendo alle Regioni di optare per
affidamenti dei servizi in house anche nelle
ipotesi diverse da quelle del comma 3, determinano, di fatto, una compressione
delle loro attribuzioni costituzionali in materia; compressione non
giustificabile sulla base dell’esercizio di competenze legislative esclusive
dello Stato, in particolare in materia di tutela della concorrenza.
12.3.2. –
Ad avviso della ricorrente, le
disposizioni impugnate violano l’art. 117, quarto comma, Cost.,
il quale attribuisce alle Regioni la competenza legislativa residuale in
materia di pubblici servizi, per motivi analoghi a quelli formulati dalla
Regione Piemonte al punto precedente.
12.3.3. –
12.3.4. –
12.3.5. – Le Regioni Liguria (ricorso n.
12 del 2010) e Umbria impugnano – in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost. – i commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, nel testo vigente, sul rilievo che essi
limitano la potestà legislativa regionale di disciplinare il normale
svolgimento del servizio pubblico da parte dell’ente, sottoponendo la scelta
dell’affidamento in house a vincoli sia
sostanziali (le «peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e
geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento») che procedurali
(l’onere di trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta
verifica all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle autorità
di regolazione del settore).
Le stesse ricorrenti censurano i
medesimi commi in riferimento l’art. 118, primo e secondo comma, Cost., sostenendo che essi, vietando lo svolgimento diretto
del servizio idrico, vanificano «la norma che assegna, preferibilmente, le
funzioni amministrative ai comuni (il servizio idrico virtualmente rimane di
spettanza dei comuni ma in concreto viene assegnato ad altri soggetti; inoltre,
la norma impugnata toglie ai comuni una parte essenziale della funzione, cioè
la possibilità di scegliere la forma di gestione piú
adeguata)» e svuotano il principio di sussidiarietà, perché si pongono in
contrasto con il principio secondo cui «i comuni "sono titolari di funzioni
amministrative proprie”».
12.3.6. –
12.3.7. –
12.3.8. –
La stessa Regione impugna il medesimo
comma in riferimento all’art. 118, primo e secondo comma, Cost.,
perché, vietando lo svolgimento diretto del servizio idrico, vanifica il
principio per cui le funzioni amministrative sono assegnate preferibilmente ai
comuni e svuota il principio di sussidiarietà, ponendosi in contrasto con il
principio secondo cui «i comuni "sono titolari di funzioni amministrative
proprie”».
12.3.9. –
12.3.10. –
12.3.11. – Le Regioni Liguria (ricorso
n. 12 del 2010) e Umbria censurano il comma 8 dell’art. 23-bis
citato, nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135
del
Le stesse Regioni censurano, in
subordine, il medesimo comma, per il caso in cui «fosse ritenuta legittima
l’imposizione di un regime "ordinario” di affidamento del servizio all’esterno
e la limitazione a casi eccezionali di forme di gestione non concorrenziali»,
in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost., lamentando che esso regola nel dettaglio le
quantità, le modalità e i tempi delle cessioni delle gestioni dei servizi.
12.3.12. –
12.3.13. –
12.3.14. – Le questioni indicate ai
punti da 12.3.1. a 12.3.13. non sono fondate, per le ragioni ampiamente esposte
al punto 7.
Si è visto, infatti, che la disciplina
delle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali
prevista dalle disposizioni censurate afferisce alla materia «tutela della
concorrenza», di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
12.3.15. –
La stessa ricorrente censura altresí, in riferimento allo stesso parametro, il comma 8
dell’art. 23-bis, nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del
decreto-legge n. 135 del 2009, perché, stabilendo che cessano al 31 dicembre
2010 gli affidamenti rilasciati con procedure diverse dall’evidenza pubblica
salvo quelli conformi ai vincoli ulteriori di istruttoria e motivazione
previsti dalla nuova disciplina, «parrebbe determinare per l’effetto la cessazione
di tutti gli affidamenti attribuiti secondo la disciplina previgente (d.lgs. n.
267 del 2000, art. 113, comma 5, lettera c), ponendo nell’incertezza
l’attuazione dei piani gestionali e di investimento, nonché i relativi piani
tariffari, travolgendo rapporti giuridici perfezionati ed in via di esecuzione
che le parti vogliono vedere procedere secondo la loro scadenza naturale».
Le questioni non sono fondate, per
erronea interpretazione del parametro.
Infatti,
12.3.16. –
La questione non è fondata.
Essa si basa sull’assunto della
ricorrente secondo cui il legislatore statale può legittimamente disciplinare
le forme di gestione di un servizio pubblico locale solo previa avocazione allo
Stato della competenza amministrativa sull’organizzazione della gestione del
servizio stesso. Tale assunto non può essere condiviso, perché la competenza
legislativa esclusiva statale nella materia «tutela della concorrenza»
comprende anche la disciplina amministrativa relativa all’organizzazione delle
modalità di gestione dei servizi pubblici locali, a prescindere dall’avocazione
allo Stato di competenze amministrative degli altri livelli territoriali di
governo.
12.4. – Il secondo gruppo di questioni
da esaminare nel merito – attinenti sempre al nucleo tematico relativo all’
individuazione della competenza legislativa a disciplinare i servizi pubblici
locali – concerne la determinazione delle soglie minime per l’assoggettamento
al parere dell’AGCM (comma 4-bis dell’art. 23-bis, nel testo
vigente). Detto gruppo si identifica nella questione promossa dalla Regione
Emilia Romagna con il ricorso n. 13 del 2010.
La ricorrente impugna il comma 4-bis
dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato
dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, il quale stabilisce
che «I regolamenti di cui al comma 10 definiscono le
soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono
rilevanza ai fini dell’espressione del parere di cui al comma 4».
La questione non è fondata, perché le
soglie cui fa riferimento la norma censurata attengono alle modalità di
affidamento dei servizi pubblici locali, le quali afferiscono – come visto al
punto 7 – alla materia «tutela della concorrenza», di competenza
legislativa esclusiva dello Stato e non alla materia dei pubblici servizi. Ne
deriva che lo Stato è titolare anche della competenza regolamentare, in base al
disposto dell’evocato art. 117, sesto comma, Cost.
12.5. –Il terzo gruppo di questioni da
esaminare nel merito e riguardanti il nucleo tematico attinente
all’individuazione della competenza legislativa a disciplinare i servizi
pubblici locali concerne la determinazione dei bacini di gara (comma 7
dell’art. 23-bis, nel testo originario).
Le Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 69
del 2008) e Liguria (ricorso n. 72 del 2008) impugnano il comma 7 dell’art. 23-bis
del decreto-legge n. 112 del 2008, nella formulazione originaria, per
violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.
La disposizione censurata prevede che «Le regioni e gli enti locali, nell’àmbito delle rispettive
competenze e d’intesa con
Le ricorrenti sostengono che la
disciplina della dimensione di esercizio dei servizi pubblici rientra nella
potestà legislativa «della regione e il condizionare l’esercizio di tale
potestà e delle scelte amministrative che essa esprime ad opera dello Stato víola sia la potestà legislativa in sé considerata […], sia
il principio di sussidiarietà, non potendosi vedere alcuna ragione di
centralizzazione di tali scelte».
Le questioni non sono fondate.
La norma censurata disciplina la
dimensione di esercizio dei servizi pubblici, attribuendo alle Regioni e agli
enti locali la competenza ad individuare i bacini di gara per i diversi servizi
nel rispetto della legge statale. Come già affermato da questa Corte con la sentenza n. 246 del
2009, con specifico riferimento al servizio idrico integrato, la disciplina
dei bacini di gestione del servizio pubblico (e, pertanto, anche dei bacini di
gara) rientra nella potestà legislativa statale, perché diretta a tutelare la
concorrenza, attraverso il superamento della frammentazione delle gestioni. Non
trovano perciò applicazione, nella specie, né l’art. 117, quarto comma, Cost., né l’art. 118 Cost.
12.6. – Il quarto gruppo di questioni da
esaminare nel merito – attinenti sempre al tema dell’individuazione della
competenza legislativa in ordine ai servizi pubblici locali – riguarda
l’assoggettamento al patto di stabilità e la gestione associata dei servizi
(comma 10, lettere a e b, nel testo originario e in quello
vigente dell’art. 23-bis).
Le Regioni Emilia-Romagna (ricorsi n. 69
del 2008 e n. 13 del 2010), Liguria (ricorso n. 72 del 2008) e Piemonte
(ricorso n. 77 del 2008) impugnano il comma 10 dell’art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008 – il cui alinea prevede che «il Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le
regioni ed entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto, sentita
Quanto alla formulazione originaria
della norma, le ricorrenti evocano quale parametro di costituzionalità l’art.
117, sesto comma, Cost., secondo cui la potestà
regolamentare spetta allo Stato nelle sole materie di potestà legislativa
esclusiva statale, salva delega alle Regioni. La sola Regione Piemonte evoca
anche l’art. 117, secondo e quarto comma, Cost.,
nonché «il principio di ragionevolezza e leale collaborazione» (artt. 3 e 120 Cost.).
Quanto alla formulazione vigente della
norma,
Tutte le disposizioni oggetto di censura
violerebbero gli evocati parametri: in via principale, perché lo Stato,
non avendo potestà legislativa in materia, non ha neanche potestà regolamentare
né in relazione alla lettera a), né in relazione alla lettera b)
dell’art. 10; in via subordinata, perché il solo modo di contemperare le
competenze rispettive dello Stato e delle Regioni consisterebbe nel sottoporre
il regolamento all’intesa della Conferenza Stato-Regioni o della Conferenza
unificata, in luogo del semplice parere previsto dalle disposizioni impugnate,
tenuto conto dell’inestricabile intreccio esistente al riguardo tra le materie
oggetto di potestà concorrente (come il coordinamento della finanza pubblica,
fondamento della lettera a) o esclusiva delle Regioni (come nel caso
della gestione associata dei servizi locali, oggetto della lettera b), e
la competenza dello Stato.
In riferimento alla prima parte della
lettera a) – in cui si prevede che la potestà regolamentare dello Stato
prescriva l’assoggettamento dei soggetti affidatari
diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno – la
questione è fondata.
Infatti, l’àmbito di applicazione del
patto di stabilità interno attiene alla materia del coordinamento della finanza
pubblica (sentenze n. 284 e n. 237 del 2009;
n. 267 del 2006),
di competenza legislativa concorrente, e non a materie di competenza
legislativa esclusiva statale, per le quali soltanto l’art. 117, sesto comma, Cost. attribuisce allo Stato la potestà regolamentare.
In riferimento alla seconda parte della
lettera a) – che stabilisce che la potestà regolamentare dello Stato
prescriva alle società in house
e alle società a partecipazione mista pubblica e privata di osservare «procedure ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e
servizi e l’assunzione di personale» – la
questione non è fondata.
Tale disposizione, infatti,
attiene, in primo luogo, alla materia della tutela della concorrenza, perché è
finalizzata ad evitare che, nel caso di affidamenti diretti, si possano
determinare distorsioni dell’assetto concorrenziale del mercato nella fase,
successiva all’affidamento del servizio, dell’acquisizione degli strumenti
necessari alla concreta gestione del servizio stesso. In secondo luogo, essa
attiene anche alla materia dell’ordinamento civile, anch’essa di competenza
esclusiva dello Stato, in quanto impone alla particolare categoria di società
cui è affidata in via diretta la gestione di servizi pubblici locali una
specifica modalità di conclusione dei contratti per l’acquisto di beni e
servizi e per l’assunzione di personale (sulla riconduzione delle modalità di
conclusione dei contratti alla materia dell’ordinamento civile, ex plurimis, sentenza n. 295 del
2009). Ne consegue che la
previsione del semplice parere della «Conferenza
unificata di cui all’articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni», anziché
dell’intesa, non lede alcuna competenza regionale.
In riferimento alla lettera b)
– che attribuisce allo Stato la potestà di prevedere con regolamento che «i comuni con un limitato
numero di residenti possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei
servizi pubblici locali in forma associata» –, la questione è, del pari, non
fondata.
Infatti, l’àmbito nel quale
il regolamento statale interviene attiene alla materia «tutela della
concorrenza», avendo per oggetto la determinazione della dimensione ottimale
della gestione del servizio (sentenza n. 246 del
2009, punti 12.2. e 12.5. del Considerato in diritto). Ne consegue,
anche in tal caso, che la previsione del semplice parere della «Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e
successive modificazioni», anziché dell’intesa, non lede alcuna competenza regionale.
13. – Al terzo dei sopra indicati nuclei
tematici (analizzato al punto 8.), relativo al principio di ragionevolezza,
sotto il profilo della proporzionalità ed adeguatezza, attengono alcune delle
questioni proposte dalle Regioni Piemonte, Liguria, Umbria, Toscana ed
Emilia-Romagna.
13.1. – Occorre innanzitutto esaminare
le questioni proposte dalle Regioni Piemonte ed Emilia-Romagna che, in ragione
della loro formulazione, non consentono un esame nel merito.
13.1.1. –
La questione è inammissibile, per
difetto di motivazione, in quanto la ricorrente non spiega perché gli evocati
parametri siano violati. E ciò, a prescindere dalla considerazione svolta al
punto 8.2., secondo cui il legislatore statale può legittimamente stabilire,
come nel caso in esame, una disciplina transitoria allo scopo di modulare nel
tempo gli effetti del divieto di utilizzazione in via ordinaria dello strumento
della gestione in house.
13.1.2. –
La questione è inammissibile, perché si
risolve in una valutazione critica in termini di convenienza economica in ordine
ai tempi di attuazione della riforma degli affidamenti; valutazione che rimane
riservata alla discrezionalità del legislatore.
13.1.3. –
La questione è inammissibile per
genericità, perché la ricorrente non chiarisce le ragioni per cui la disciplina
contenuta nella disposizione censurata sarebbe irragionevole e non
proporzionale alla tutela della concorrenza.
13.2. – Le questioni attinenti allo
stesso terzo nucleo tematico (concernente la ragionevolezza della disciplina
censurata) che devono essere scrutinate nel merito sono state proposte dalle
Regioni Piemonte, Liguria, Umbria e Toscana.
13.2.1. –
Le Regioni Liguria e Umbria censurano –
per il caso in cui «fosse ritenuta legittima l’imposizione di un regime
"ordinario” di affidamento del servizio all’esterno e la limitazione a casi
eccezionali di forme di gestione non concorrenziali» – i commi 2,
lettera b), e 3 dell’art. 23-bis, nel testo modificato
dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, nella parte in cui
regolano in dettaglio l’affidamento del servizio a società miste e le forme di
affidamento non competitive, per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera e), e quarto comma, Cost., lamentando
che dette disposizioni contrastano con il criterio di proporzionalità che deve
guidare la tutela della concorrenza, invadendo il campo riservato alla potestà
legislativa regionale in materia di servizi pubblici, in quanto pongono
ulteriori vincoli alla potestà legislativa regionale, senza che essi risultino
funzionali ad una maggiore promozione della concorrenza, della quale potrebbero
persino risultare limitativi.
Le ricorrenti lamentano che le norme
denunciate violano il principio di ragionevolezza sotto il profilo della proporzionalità
e adeguatezza nella materia della tutela della concorrenza attraverso
l’apposizione di limiti all’utilizzabilità della gestione in house, rappresentati dalle peculiari circostanze
richieste dal comma 3 per consentire il ricorso all’in house
providing; con ciò intendendo chiedere che sia
garantita agli enti territoriali la possibilità di scegliere discrezionalmente
se fare ricorso a tale forma di gestione, indipendentemente dalla sussistenza
di eccezionali situazioni che non permettono un efficace e utile ricorso al
mercato.
Le questioni non sono fondate.
Come già ampiamente evidenziato al punto
8., le norme censurate devono, invece, essere considerate proporzionate e
adeguate, perché: a) esse si innestano coerentemente in un sistema normativo interno
in cui già vige il divieto della gestione diretta mediante azienda speciale o
in economia, nel quale, pertanto, i casi di affidamento in house debbono essere eccezionali e tassativamente
previsti; b) l’ordinamento comunitario, in tema di affidamento della gestione
dei servizi pubblici, costituisce solo un minimo inderogabile per i legislatori
degli Stati membri e, pertanto, non osta a che la legislazione interna
disciplini piú rigorosamente, nel senso di favorire
l’assetto concorrenziale di un mercato, le modalità di tale affidamento; c)
quando non ricorrano le condizioni per l’affidamento diretto, l’ente pubblico
ha comunque la facoltà di partecipare alle gare ad evidenza pubblica per
l’affidamento della gestione del servizio.
13.2.2. –
La questione non è fondata.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla
ricorrente, la previsione di norme di dettaglio – come visto al punto 8.1.1. –
non víola di per sé il principio di ragionevolezza; e
ciò a prescindere dal fatto che nelle materie di competenza esclusiva statale,
come la tutela della concorrenza, non rileva la distinzione tra norme di
dettaglio e norme di principio. Deve aggiungersi, inoltre, che il tertium comparationis della
disciplina «generalmente prevista per l’Autorità garante della concorrenza e
del mercato ed in genere per le autorità di regolazione» è inconferente con la
fattispecie in esame, perché non si riferisce all’àmbito della disciplina dei
pubblici servizi, ma a quello, del tutto diverso, del funzionamento dell’AGCM e
delle autorità di regolazione. Tutto ciò a prescindere dalla soluzione del
problema se l’AGCM abbia o no natura di autorità di regolazione.
13.2.3. –
La ricorrente lamenta, in sostanza, che
le norme denunciate violano il principio di ragionevolezza sotto il profilo
della proporzionalità e adeguatezza nella materia «tutela della concorrenza»,
attraverso l’apposizione di limiti temporali agli affidamenti diretti già in
essere.
La questione non è fondata.
Come piú
analiticamente evidenziato al punto 8.2., tali limiti temporali per la
cessazione delle gestioni dirette in essere devono ritenersi congrui e
ragionevoli, perché sono sufficientemente ampi da consentire di attenuare le
conseguenze economiche negative della cessazione anticipata della gestione e,
pertanto, escludono che il gestore possa invocare quell’incolpevole affidamento
nella durata naturale del contratto di servizio che, solo, potrebbe determinare
l’irragionevolezza della norma; e ciò a prescindere dall’ampia discrezionalità
di cui gode il legislatore in materia di disciplina transitoria.
13.2.4. –
La ricorrente lamenta, in sostanza, che
la norma impugnata – in entrambe le sue formulazioni – opera una «sanatoria»,
in deroga al sistema creato dallo stesso legislatore, che vieta in via
ordinaria il ricorso all’in house providing, ammettendolo solo in casi particolari.
Le questioni non sono fondate.
Deve qui rilevarsi che la proroga della
durata delle «concessioni relative al servizio idrico
integrato rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica», di cui al
censurato comma 8, va intesa come riferita non agli affidamenti in house non rispettosi della normativa comunitaria – come
erroneamente ritiene la ricorrente –, ma solo a quelli che, benché in origine
rispettosi della normativa comunitaria e nazionale, risultano privi dei
requisiti oggi richiesti dal censurato art. 23-bis. Ne consegue che tale
previsione è ragionevole – e dunque legittima –, perché non opera alcuna
sanatoria, ma si limita a stabilire una disciplina transitoria per modulare nel
tempo gli effetti del divieto di utilizzazione in via ordinaria dello strumento
della gestione in house.
13.2.5. –
La questione non è fondata, perché –
contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – la disposizione censurata
diversifica adeguatamente, come rilevato in modo specifico al punto 8.2., la
cessazione degli affidamenti diretti in atto, sia in relazione alle diverse
categorie di affidatari sia in relazione al tempo.
14. – Al quarto dei nuclei tematici
sopra evidenziati (analizzato al punto 9.), relativo all’individuazione della
competenza legislativa regionale o statale nella determinazione della rilevanza
economica dei SPL, attiene, oltre alla questione proposta dalla Regione Marche
già trattata al punto 11.4. e dichiarata non fondata, una diversa
questione, proposta dalla stessa Regione – per il caso in cui il comma
1-ter dell’art. 15 del decreto-legge n. 135 del 2009 non possa
interpretarsi nel senso che il servizio idrico integrato è sottoposto alla
disciplina dell’art. 23-bis solo nei casi in cui «gli enti competenti
abbiano scelto di organizzarlo in modo da conferirvi rilevanza economica» – ed
avente ad oggetto i commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n.
112 del 2008 e l’art. 15, comma 1-ter, dello stesso decreto-legge n. 135
del 2009, nella parte in cui si riferiscono al servizio idrico integrato.
Ad avviso della ricorrente, dette
disposizioni violano l’art. 117, sesto comma, Cost.,
il quale attribuisce agli enti locali territoriali la potestà regolamentare «in
ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni
loro attribuite», perché la legge statale non può imporre, in via generale e
astratta, ed in modo del tutto inderogabile, la configurazione del servizio
idrico integrato quale «servizio pubblico locale avente rilevanza economica»,
spettando tale qualificazione alla potestà regolamentare degli enti locali.
La questione non è fondata.
Infatti, l’art. 117, sesto comma, Cost. non pone una riserva di regolamento degli enti locali
per la qualificazione come economica dell’attività dei servizi pubblici, perché
tale qualificazione attiene – come visto al punto 9. – alla materia
«tutela della concorrenza», di competenza legislativa esclusiva dello Stato, al
quale pertanto spetta la potestà regolamentare nella stessa materia, ai sensi
del primo periodo del sesto comma dell’art. 117 Cost.
15. – Il quinto dei nuclei tematici
menzionati si riferisce – come visto al punto 2. – alla dedotta violazione
degli artt. 3 e 97 Cost., sotto il profilo
dell’obbligo di motivazione degli atti amministrativi.
In particolare,
La ricorrente lamenta, in sostanza, che
le norme impugnate stabiliscono per l’ente affidante l’obbligo di motivare, in
base ad un’analisi di mercato, solo la scelta di procedere all’affidamento
in house del servizio pubblico (art. 23-bis,
comma 3) e non quella di procedere all’affidamento mediante procedure
competitive ad evidenza pubblica (art. 23-bis, comma 2); obbligo che
sarebbe in contrasto con gli evocati parametri, perché ulteriore rispetto al
generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi.
La questione è inammissibile.
Secondo la giurisprudenza di questa
Corte, le Regioni sono legittimate a censurare le leggi dello Stato, mediante
impugnazione in via principale, esclusivamente per questioni attinenti alla
lesione del sistema di riparto delle competenze legislative, ammettendosi la
deducibilità di altri parametri costituzionali soltanto ove la loro violazione
comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente
garantite (ex plurimis, sentenze n. 156 e n. 52 del 2010;
n. 289 e n. 216 del 2008).
Ne deriva – in relazione al caso di specie – l’inammissibilità della questione
proposta, perché la prospettata violazione dell’obbligo di motivazione di cui
agli artt. 3 e 97 Cost. non comporta una
compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, né
ridonda sul riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni. E ciò, a
prescindere dalla considerazione che i parametri evocati non vietano che il
legislatore stabilisca specifici obblighi di motivazione per le sole deroghe
fondate sulle peculiari situazioni di fatto di cui al comma 3 e non per le
situazioni ordinarie di cui al comma 2.
16. – Il sesto dei nuclei tematici
evidenziati al punto 2. riguarda l’asserita irragionevole diversità di disciplina
fra il servizio idrico integrato e gli altri servizi pubblici locali.
Anche tale questione è inammissibile, in
base a quanto già osservato al punto 15., perché la ricorrente non ha
dedotto alcuna lesione della propria sfera di competenza, ma si è limitata a
lamentare l’irragionevolezza della disposizione censurata.
17. – Al settimo dei nuclei tematici
elencati al punto 2., attinente alla lamentata violazione dell’autonomia
finanziaria delle Regioni e degli enti locali, sono riconducibili alcune
questioni poste dalle Regioni Marche, Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna.
17.1. – Vanno preliminarmente esaminate
le questioni proposte dalle Regioni Marche, Liguria ed Umbria, che non
consentono un esame nel merito.
17.1.1. –
La ricorrente lamenta che la
disposizione censurata si limita a prevedere il «rispetto» del «principio» «di
piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche», senza assicurare
in alcun modo la salvaguardia, né sotto il profilo formale, né sotto il profilo
sostanziale, della proprietà pubblica delle «infrastrutture idriche», in
particolare: a) determinando «il sostanziale "svuotamento” della proprietà pubblica
dei beni appartenenti al demanio idrico regionale e locale, beni che
risulteranno, per espresso disposto del richiamato art. 153, comma 1, del
d.lgs. n. 152 del 2006, necessariamente e ope
legis "affidati in concessione d’uso gratuita” al
gestore privato del servizio idrico integrato»; b) omettendo di prevedere una
specifica clausola di salvaguardia a favore della proprietà pubblica delle
infrastrutture idriche di cui le Regioni e gli enti locali siano in concreto
titolari.
La questione è inammissibile.
Essa, infatti, ha per oggetto non la
disciplina posta dalla disposizione denunciata, ma l’art. 153, comma 1, del
d.lgs. n. 152 del 2006, disposizione che effettivamente prevede l’affidamento
in concessione d’uso gratuita delle infrastrutture idriche di proprietà degli
enti locali e che non è stata impugnata. La ricorrente è quindi incorsa in una
evidente aberratio ictus. Quanto, poi,
al censurato art. 15, comma 1-ter, la ricorrente si limita a denunciare
che il legislatore ha omesso di prevedere una clausola di salvaguardia a favore
della proprietà pubblica delle infrastrutture idriche.
17.1.2. – Le Regioni Liguria (ricorso n.
12 del 2010) e Umbria impugnano il comma 8 dell’art. 23-bis, nel testo
modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del
La questione è inammissibile per
genericità, perché le ricorrenti non indicano le ragioni per cui alla cessione
delle quote delle società controllate dagli enti locali conseguirebbe l’effetto
della denunciata lesione della loro autonomia finanziaria.
17.2. – L’unica questione attinente al
settimo nucleo tematico che può essere esaminata nel merito è quella proposta
dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 13 del 2010.
La ricorrente impugna il comma 8
dell’art. 23-bis, nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del
decreto-legge n. 135 del 2009, sostenendo che esso víola
l’art. 119, sesto comma, Cost., perché impone «alle
Amministrazioni pubbliche di liberarsi di una quota del proprio patrimonio
societario a prescindere dalla convenienza economica dell’operazione, e quindi
dalla considerazione in concreto del tempo, delle modalità, della quantità,
valutazioni indispensabili ad evitare che si produca una svendita coatta di
capitali pubblici».
La questione non è fondata.
Il parametro costituzionale evocato,
infatti, garantisce alle Regioni e agli enti locali un patrimonio, precisando
però che esso è «attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge
dello Stato». L’autonomia patrimoniale delle Regioni e degli enti locali non è,
dunque incondizionata, ma si conforma ai princípi che
il legislatore statale fissa nelle materie di sua competenza legislativa, fra
cui va certamente ricompreso quella della tutela della concorrenza,
disciplinata, nel caso in esame, proprio dalle norme censurate.
18. – Devono essere ora trattate le
questioni poste dal Presidente del Consiglio dei ministri aventi ad oggetto i
commi 1, 4, 5, 6 e 14 dell’art. 4 della legge della Regione Liguria n. 39 del
2008.
18.1. – Il ricorrente impugna, in primo
luogo, i commi 1 e 14 di detto articolo in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., anche per il tramite
dell’art. 161, comma 4, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006. Tale
ultima disposizione prevede, tra l’altro, che sia il Comitato per la vigilanza
sull’uso delle risorse idriche e non
18.1.1. – Ad avviso della difesa dello
Stato, il censurato comma 1 – il quale affida alla Giunta regionale la
competenza ad approvare lo schema-tipo di contratto di servizio e di
convenzione di cui all’art. 151 del d.lgs. n. 152 del 2006 – si pone in
contrasto con il comma 4, lettera c), del nuovo testo dell’art. 161
dello stesso decreto legislativo, il quale ha «tacitamente abrogato» detto art.
151 ed ha attribuito al «Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse
idriche» – e non alla Giunta regionale – la competenza a redigere il contenuto
di una o piú delle suddette convenzioni-tipo;
convenzioni da adottare con decreto del Ministro per l’ambiente e per la tutela
del territorio e del mare, sentita
La resistente Regione Liguria eccepisce
l’improcedibilità della questione, sul rilievo che l’art. 9-bis, comma
6, del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39 (Interventi urgenti in favore delle
popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di
aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile), convertito,
con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n.
L’eccezione deve essere rigettata.
La questione non è improcedibile, perché
lo stesso art. 9-bis, comma 6, del decreto-legge n. 39 del 2009, citato
dalla resistente, stabilisce che il CONVIRI subentra nelle competenze già
attribuite al COVIRI. Esso, infatti, testualmente prevede che «
Nel merito, la questione è fondata.
Come si è ampiamente rilevato al punto
7, la disciplina del servizio idrico integrato va ascritta alla competenza
esclusiva dello Stato nelle materie «tutela della concorrenza» e «tutela
dell’ambiente» (sentenza
n. 246 del 2009) e, pertanto, è inibito alle Regioni derogare a detta
disciplina. Nella specie,
18.1.2. – La difesa dello Stato lamenta
che il censurato comma 14 dell’art. 4 della legge della Regione Liguria n. 39
del 2008 – il quale affida all’Autorità d’àmbito territoriale ottimale (AATO)
la competenza a definire «i contratti di servizio, gli obiettivi qualitativi
dei servizi erogati, il monitoraggio delle prestazioni, gli aspetti tariffari,
la partecipazione dei cittadini e delle associazioni dei consumatori di cui
alla legge regionale 2 luglio 2002, n. 26» – si pone «in contrasto con la
normativa statale», cioè con il sopra citato comma 4, lettera c), del
nuovo testo dell’art. 161 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale ha attribuito al
COVIRI la relativa competenza.
La resistente Regione Liguria eccepisce
l’inammissibilità della questione, in quanto generica, perché non sarebbero
specificati i profili che determinano il contrasto con la norma statale.
L’eccezione deve essere rigettata.
La questione non è generica, perché i
profili di contrasto sono sufficientemente precisati. Dalla lettura complessiva
della censura, infatti, è agevole rilevare che la norma statale evocata quale
parametro interposto è il comma 4, lettera c), del nuovo testo dell’art.
161 del d.lgs. n. 152 del 2006, evocato anche nella precedente questione al
punto 18.1.1. e che si denuncia l’attribuzione all’Autorità d’àmbito di
una serie di competenze amministrative spettanti, invece, al COVIRI.
Nel merito, la questione è fondata per
le stesse ragioni indicate al punto precedente. Anche in tal caso, infatti,
18.2. – Il ricorrente censura, altresí, il comma 4 del medesimo art. 4 della legge della
Regione Liguria n. 39 del 2008, il quale prevede la competenza dell’Autorità
d’àmbito a provvedere all’affidamento del servizio idrico integrato, «nel
rispetto dei criteri di cui all’articolo 113, comma 7, del d.lgs. 267/2000 e
delle modalità di cui agli articoli 150 e 172 del d.lgs.152/2006». La censura è
proposta in relazione alla violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera e), della Costituzione, per il tramite dell’art. 23-bis,
commi 2, 3 e 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo originario.
La difesa dello Stato evidenzia che il
comma denunciato, prevedendo che l’AATO provvede all’affidamento del servizio
idrico integrato, «nel rispetto dei criteri di cui all’articolo 113, comma 7,
del d.lgs. 267/2000 e delle modalità di cui agli articoli 150 e 172 del
d.lgs.152/2006», richiama l’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale
consente all’Autorità d’àmbito di scegliere la forma di gestione del servizio
tra quelle elencate nell’art. 113, comma 5, TUEL. Tale ultima disposizione
prevede, a sua volta, che «L’erogazione del servizio avviene secondo le
discipline di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione europea, con
conferimento della titolarità del servizio: a) a società di capitali
individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza
pubblica; b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio
privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad
evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie
in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità
competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche; c) a società a
capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici
titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a
quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte piú importante della propria attività con l’ente o gli enti
pubblici che la controllano».
Ad avviso della difesa dello Stato, la
norma censurata, richiamando le forme di gestione dei SPL di cui al citato art.
113, comma 5, TUEL, si pone in contrasto con l’art. 23-bis, del
decreto-legge n. 112 del 2008, il quale dispone, invece, che le parti del
citato art. 113 incompatibili con le prescrizioni dello stesso art. 23-bis
sono abrogate (comma 11), e prevede come regola per l’affidamento dei servizi
pubblici locali non piú quella fissata dagli artt.
150 del d.lgs. n. 152 del 2006 e 113 TUEL, bensí
quella della procedura competitiva ad evidenza pubblica (comma 2), ferma
restando la possibilità di ricorrere all’affidamento diretto solo in presenza
delle condizioni di cui al comma 3 del medesimo articolo.
L’eccezione deve essere rigettata.
La materia del contendere non è cessata,
perché il decreto-legge n. 135 del 2009 non ha soppresso le Autorità d’àmbito
con effetto immediato. V’è, dunque, la possibilità che tali Autorità vengano
ancora istituite ed operino fino al termine fissato dalla legge per la loro
soppressione e, cioè, fino al termine di un anno indicato dall’art. 2, comma
186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge –
finanziaria 2010). Tale norma dispone, infatti, che «Decorso un anno dalla data
di entrata in vigore della presente legge, sono soppresse le Autorità d’ambito
territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152, e successive modificazioni. Decorso lo stesso termine, ogni atto
compiuto dalle Autorità d’ambito territoriale è da considerarsi nullo. Entro un
anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni
attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità, nel rispetto
dei princípi di sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza. Le disposizioni di cui agli articoli 148 e 201 del citato decreto legislativo
n. 152 del 2006, sono efficaci in ciascuna regione fino alla data di entrata in
vigore della legge regionale di cui al periodo precedente. I medesimi articoli
sono comunque abrogati decorso un anno dalla data di entrata in vigore della
presente legge».
Nel merito, la questione è fondata.
La norma censurata impone,
infatti, l’applicazione del comma 5 dell’art. 113 TUEL, cioè di un comma
abrogato per incompatibilità dal citato art. 23-bis, con il quale,
pertanto, si pone in contrasto. L’art. 23-bis prevede infatti, come
sopra osservato, che «l’art. 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e
successive modificazioni, è abrogato nelle parti incompatibili con le
disposizioni di cui al presente articolo» (comma 11). In particolare, il citato
comma 5 dell’art. 113 è palesemente incompatibile con i commi 2, 3 e 4
dell’art. 23-bis, perché disciplina le modalità di affidamento del SPL
in modo difforme da quanto previsto da detti commi, evocati come norme
interposte.
18.3. – Il ricorrente censura, in terzo
luogo – per contrasto con l’art. 23-bis, commi 8 e 9, del decreto-legge
n. 112 del 2008, nel testo originario, e, di conseguenza, con l’art. 117,
secondo comma, lett. e), Cost.
– i commi 5 e 6 del medesimo art. 4 della legge della Regione Liguria n. 39 del
2008, i quali prevedono, rispettivamente, che: a) «Resta ferma la previsione di
cui all’articolo 113, comma 15-bis, del d.lgs. 267/2000; a tal fine
l’AATO determina la data di cessazione delle concessioni esistenti, avuto
riguardo alla durata media delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a
seguito di procedure ad evidenza pubblica, salva la possibilità di determinare
caso per caso la cessazione in una data successiva, qualora la medesima risulti
proporzionata ai tempi di recupero di particolari investimenti effettuati dal
gestore, fermi restando l’aggiornamento e la rinegoziazione delle convenzioni
in essere» (comma 5); b) «L’AATO individua forme e modalità dirette all’integrazione
del servizio di gestione dei rifiuti e del servizio idrico, avuto riguardo agli
affidamenti esistenti che non risultano cessati nei termini di cui all’articolo
113, comma 15-bis, del d.lgs. 267/2000, al fine di pervenire al
superamento della frammentazione del servizio nel territorio dell’ambito»
(comma 6).
A sua volta, il comma 15-bis dell’art.
113 TUEL – richiamato dalle suddette disposizioni censurate – prevede, con
un’articolata serie di eccezioni soggettive, che «nel caso in cui le disposizioni
previste per i singoli settori non stabiliscano un congruo periodo di
transizione […] le concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza
pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006,
relativamente al solo servizio idrico integrato al 31 dicembre 2007, senza
necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante».
Lo Stato lamenta che i commi censurati,
disciplinando la cessazione delle concessioni esistenti ed il relativo regime
transitorio degli affidamenti del servizio idrico integrato effettuati senza
gara, attraverso il rinvio alle disposizioni di cui all’art. 113, comma 15-bis,
TUEL, contrastano con l’art. 23-bis, commi 8 e 9, del decreto-legge n.
112 del 2008, che – come visto – ha abrogato l’art. 113 citato nelle parti
incompatibili con le sue disposizioni e che fissa al 31 dicembre 2010 la data
per la cessazione delle concessioni esistenti rilasciate con procedure diverse
dall’evidenza pubblica.
Anche in relazione a tale questione,
Tale eccezione deve essere parimenti
rigettata per le stesse ragioni indicate al medesimo punto 18.2.
Nel merito, la questione è fondata.
Come già osservato al punto 18.2.,
la norma censurata impone l’applicazione del comma 15-bis
dell’art. 113 TUEL, abrogato per incompatibilità dall’art. 23-bis, con
il quale, pertanto, si pone in contrasto. Il citato comma 15-bis
dell’art. 113 TUEL, infatti, è incompatibile con il suddetto art. 23-bis,
perché disciplina il regime transitorio degli affidamenti diretti del servizio
pubblico locale in modo difforme da quanto previsto dal parametro interposto.
Ne deriva la violazione dell’art. 117, secondo comma, lett.
e), Cost.
19. – Devono essere infine trattate le
questioni proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri in merito al comma
1 dell’art. 1 della legge della Regione Campania n. 2 del 2010, il quale
prevede la competenza della medesima Regione a disciplinare il servizio idrico
integrato regionale come servizio privo di rilevanza economica ed a stabilire
autonomamente sia le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio sia
il termine di decadenza degli affidamenti in essere.
La difesa dello Stato lamenta che la
disposizione víola l’art. 117, commi primo e secondo,
lettera e), Cost., nonché, quali norme
interposte, gli artt. 141 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, l’art. 23-bis
del decreto-legge n. 112 del 2008, il decreto-legge n. 135 del 2009 e l’art.
113 TUEL – i quali stabiliscono che il servizio idrico integrato ha rilevanza
economica – perché: a) prevede che
Entrambe le questioni sono fondate,
perché le disposizioni censurate sono in contrasto con la normativa statale
evocata quale parametro interposto ed emanata nell’esercizio della competenza
esclusiva dello Stato nella materia «tutela della concorrenza» (come piú diffusamente argomentato al punto 7.).
In particolare, la questione di cui al
punto a) è fondata, perché la disposizione censurata si pone in evidente
contrasto con le sopra indicate norme statali interposte, le quali
ricomprendono il servizio idrico integrato tra i servizi dotati di rilevanza
economica. Come visto al punto 9., infatti, la disciplina statale pone una
nozione generale e oggettiva di rilevanza economica, alla quale le Regioni non
possono sostituire una nozione meramente soggettiva, incentrata cioè su una
valutazione discrezionale da parte dei singoli enti territoriali.
La questione di cui al punto b) è del
pari fondata, perché la disposizione censurata, che individua le figure
soggettive cui conferire la gestione del servizio idrico e determina un regime
transitorio per la cessazione degli affidamenti diretti già in essere, si pone
in evidente contrasto con il regime transitorio disciplinato dall’art. 23-bis
del decreto-legge n. 112 del 2008, il quale – come visto al punto 7. – non può
essere oggetto di deroga da parte delle Regioni.
per questi motivi
riuniti i giudizi;
riservata a separate pronunce la
decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse dalle
Regioni Emilia-Romagna (ricorso n. 69 del 2008) e Liguria (ricorso n. 72 del
2008), nonché dal Presidente del Consiglio dei ministri (ricorso n. 51 del
2010);
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 23-bis,
comma 10, lettera a), prima parte, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria) – articolo aggiunto dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n.
133 – sia nel testo originario, sia in quello modificato dall’art. 15, comma 1,
del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per
l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte
di giustizia delle Comunità europee), convertito, con modificazioni, dalla
legge 20 novembre 2009, n. 166, limitatamente alle parole: «l’assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di
servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e»;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi
1, 4, 5, 6 e 14, della legge della Regione Liguria 28 ottobre 2008, n. 39
(Istituzione della Autorità d’Ambito per l’esercizio delle funzioni degli enti
locali in materia di risorse idriche e gestione dei rifiuti ai sensi del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – Norme in materia ambientale);
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma
1, della legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – Legge
finanziaria anno 2010);
dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 23-bis, nel testo
originario, nonché dei commi 2, 3 e 4 dello stesso art. 23-bis, nel
testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009,
promosse, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.,
dalla Regione Piemonte, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis, sia nel testo
originario (ricorso n. 77 del 2008) sia nel testo modificato dall’art. 15,
comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, nonché del comma 10 dello stesso articolo,
nel testo originario, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dalla Regione Piemonte, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis, nel testo modificato
dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, promossa, in
riferimento all’art. 117, primo, secondo e quarto comma, Cost.,
dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
del comma 8 dell’art. 23-bis, nel testo originario, promossa, in
riferimento agli artt. 5, 114, 117, sesto comma, e 118 Cost.,
dalla Regione Piemonte, con il ricorso n. 77 del 2008 indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale del comma 8 dell’art. 23-bis, nel testo modificato
dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, promosse, con i
ricorsi indicati in epigrafe: in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., dalle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna (ricorso n.
13 del 2010); in riferimento agli artt. 117, primo e secondo comma, 118, primo
e secondo comma, e 119 Cost., dalle Regioni Liguria
(ricorso n. 12 del 2010) e Umbria; in riferimento agli artt. 114, 117, quarto
comma, e 118 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna
(ricorso n. 13 del 2010); in riferimento agli artt. 3, 5, 42, 114, 117, sesto
comma, e 118, Cost., dalla Regione Piemonte (ricorso
n. 16 del 2010; questione riportata al punto 13.6. del Considerato in
diritto);
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale del comma 9 dell’art. 23-bis, nel testo modificato
dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, promossa, in
riferimento all’art. 117, primo e quarto comma, dalla Regione Emilia-Romagna,
con il ricorso n. 13 del 2010 indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 15, comma 1-ter, del decreto-legge n. 135 del
2009, nella parte in cui si riferisce al servizio idrico integrato, promossa,
in riferimento all’art. 119, sesto comma, Cost.,
dalla Regione Marche, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 23-bis del decreto-legge n.
112 del 2008, nel testo originario, promossa, in riferimento all’art. 117,
quarto comma, Cost., dalla Regione Piemonte, con il
ricorso n. 77 del 2008 indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dei commi 2, lettera b), e 3 dell’art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del
decreto-legge n. 135 del 2009, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera e), e quarto comma, Cost.,
dalle Regioni Liguria (ricorso n. 12 del 2010) e Umbria, con i ricorsi indicati
in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n.
112 del 2008, nel testo originario, promosse, con i ricorsi indicati in
epigrafe: in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost.,
dalla Regione Liguria (ricorso n. 72 del 2008); in riferimento agli artt. 3 e
117, secondo comma, Cost., dalla Regione Piemonte
(ricorso n. 77 del 2008);
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n.
112 del 2008, nel testo originario (ricorso n. 77 del 2008) e in quello
modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009 (ricorso n.
16 del 2010), promosse, in riferimento agli artt. 114, 117, primo, secondo,
terzo, quarto e sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.,
dalla Regione Piemonte, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n.
112 del 2008, nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n.
135 del 2009, promosse, con i ricorsi indicati in epigrafe: in riferimento
all’art. 117, primo comma, Cost. e agli artt. 3,
comma 1, 4, commi 2 e 4, della Carta europea dell’autonomia locale di cui alla
legge 30 dicembre 1989, n. 439 (Ratifica ed esecuzione della convenzione
europea relativa alla Carta europea dell’autonomia locale, firmata a Strasburgo
il 15 ottobre 1985), dalle Regioni Liguria (ricorso n. 12 del 2010) e Umbria;
in riferimento all’art. 117, secondo e quarto comma, Cost.,
dalla Regione Toscana; in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 118,
primo e secondo comma, Cost., dalle Regioni Liguria
(ricorso n. 12 del 2010) e Umbria; in riferimento all’art. 117, quarto
comma, Cost., dalla Regione Piemonte, (ricorso n. 16
del 2010);
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dei commi 2, 3, 4 e 8 dell’art. 23-bis del decreto-legge
n. 112 del 2008, nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge
n. 135 del 2009, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n.
112 del 2008 – nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n.
135 del 2009 – e dell’art. 15, comma 1-ter, del decreto-legge n.
135 del 2009, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, Cost., dalla Regione Piemonte, con il ricorso n. 16 del
2010 indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n.
112 del 2008 – nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n.
135 del 2009 – e dell’art. 15, comma 1-ter, del medesimo decreto-legge
n. 135 del 2009, nella parte in cui si riferiscono al servizio idrico
integrato, promosse, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. e agli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea, nonché all’art. 117, secondo comma, lettera e),
quarto e sesto comma, Cost., dalla Regione Marche,
con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
del comma 3 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel
testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009,
promossa, in riferimento agli artt. 117, primo comma, Cost.
e agli artt. 3, comma 1, 4, commi 2 e 4, della Carta europea dell’autonomia
locale, nonché agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost., dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso n. 13
del 2010 indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dei commi 3 e 4 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112
del 2008, sia nel testo originario (ricorso n. 77 del 2008) sia nel testo
modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009 (ricorso n.
16 del 2010), promosse, in riferimento agli artt. 3 e 117, quarto e sesto
comma, Cost., dalla Regione Piemonte, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale del comma 4-bis dell’art. 23-bis del decreto-legge
n. 112 del 2008, nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge
n. 135 del 2009, promossa, in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost., dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso n. 13
del 2010 indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
del comma 7 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel
testo originario, promossa, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 118,
primo e secondo comma, Cost., dalle Regioni
Emilia-Romagna (ricorso n. 69 del 2008) e Liguria (ricorso n. 72 del 2008), con
i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale del comma 8 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008, nel testo originario, promossa, in riferimento agli artt. 3, 41, 114, 117,
secondo comma, Cost., dalla Regione Piemonte, con il
ricorso n. 77 del 2008 indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale del comma 8 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008, nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del
2009, promosse, con i ricorsi indicati in epigrafe: in riferimento all’art.
117, primo comma, secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost., dalla Regione Toscana; in riferimento all’art. 117,
secondo comma, lettera e), e quarto comma, Cost.,
dalle Regioni Liguria (ricorso n. 12 del 2010) e Umbria; in riferimento agli
artt. 117, quarto comma, e 119, sesto comma, Cost.,
dalla Regione Emilia-Romagna, (ricorso n. 13 del 2010); in riferimento agli
artt. 3, 5, 42, 114, 117, secondo e sesto comma, e 118 Cost.,
dalla Regione Piemonte, con il ricorso n. 16 del 2010;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale del comma 8 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008 – nel testo modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del
2009 – questione riportata al punto 13.7. del Considerato in diritto,
promossa, in riferimento agli artt. 3, 5, 42, 114, 117, sesto comma, e 118 Cost., dalla Regione Piemonte, con il ricorso n. 16 del
2010 indicato in epigrafe.
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale del comma 10, lettere a), seconda parte, e b),
dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo
originario, promosse, con i ricorsi indicati in epigrafe: in riferimento
all’art. 117, sesto comma, Cost., dalle Regioni
Emilia-Romagna (ricorso n. 69 del 2008), Liguria (ricorso n. 72 del 2008) e
Piemonte (ricorso n. 77 del 2008); in riferimento agli artt. 3, 117, secondo e
quarto comma, e 120 Cost., dalla Regione Piemonte
(ricorso n. 77 del 2008);
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale del comma 10, lettere a), seconda parte, e b), dell’art.
23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall’art.
15, comma 1, del decreto-legge n. 135 del 2009, promossa, in riferimento
all’art. 117, secondo e quarto comma, Cost., dalla
Regione Emilia-Romagna, con il ricorso n. 13 del 2010 indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3
novembre 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 17 novembre
2010.
Allegato:
Ordinanza letta all’udienza del 5 ottobre 2010