SENTENZA N.160
ANNO 2009
Commento alla decisione di
Paolo Falzea
Il codice dei contratti pubblici ed i limiti dell’autonomia regionale
(per gentile concessione del Forum dei Quaderni costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1, lettere l), p), e t), punti 1 e 5, della legge della Regione Campania 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria 2008) e degli articoli 6; 7, comma 3; 14, commi 2, 3 e 4; 18; 20, comma 2; 33; 36, commi 7 e 8; 53, comma 2; 58, comma 4; 59, comma 5; 60, comma 4, della legge della Regione Campania 27 febbraio 2007, n. 3 (Disciplina dei lavori pubblici, dei servizi e delle forniture in Campania), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 3 aprile 2008, depositato in cancelleria il 10 aprile 2008 ed iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2008.
Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;
udito nell’udienza pubblica del 31 marzo 2009 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi l’avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Vincenzo Cocozza per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato il 3 aprile 2008 e depositato il successivo giorno 10 il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 27, comma 1, lettere l), p), t), punti 1 e 5, della legge della Regione Campania 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria 2008), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l) della Costituzione. Il ricorrente ha dedotto, inoltre, la violazione del principio di leale collaborazione, «per omesso adeguamento» a quanto concordato con lo Stato, degli articoli 6, 7, comma 3, 14, commi 2, 3 e 4, 18, 20, comma 2, 33, 36, commi 7 e 8, 53, comma 2, 58, comma 4, 59, comma 5, 60, comma 4, della legge della Regione Campania 27 febbraio 2007, n. 3 (Disciplina dei lavori pubblici, dei servizi e delle forniture in Campania).
1.1.— In particolare, con un primo gruppo di censure il ricorrente ha dedotto la illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni della legge regionale campana n. 1 del 2008.
A) Innanzitutto, viene denunciato l’art. 27, comma 1, lettera l), della predetta legge, che ha modificato l’art. 30, comma 5, della legge regionale n. 3 del 2007. Quest’ultima norma, nella sua versione originaria, prevedeva che «se un concorrente intende avvalersi dei requisiti di altro soggetto, si applicano gli articoli 49 e 50 del Codice e successive modifiche». La norma impugnata ha aggiunto le seguenti parole: «in caso di appalti di lavori, servizi, forniture di importo uguale o superiore alle relative soglie comunitarie». Tali modifiche, consentendo il ricorso all’istituto dell’avvalimento soltanto in relazione agli appalti sopra la soglia comunitaria, si porrebbero in contrasto con l’art. 121, comma 1, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), secondo il quale devono essere applicate le norme contenute nel decreto stesso anche per i contratti di rilevanza non comunitaria, salvo che non sia diversamente disposto dalla stessa normativa statale. Si tratta, precisa il ricorrente, di un istituto inerente le procedure di aggiudicazione ed i criteri di qualificazione che l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale, in quanto rientranti nella nozione di ordinamento civile, così come statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 401 del 2007.
B) In secondo luogo, si assume la illegittimità dell’art. 27, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 1 del 2008, che, modificando l’art. 38, comma 5, lettera b), della precedente legge regionale n. 3 del 2007, prevede la possibilità di ricorrere alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando nell’anno successivo alla stipulazione del contratto iniziale nel caso di nuovi servizi consistenti nella ripetizione dei servizi analoghi, già affidati all’operatore economico aggiudicatario, a condizione, tra l’altro, che tale possibilità sia indicata nel bando originario. Tale disposizione regionale contrasterebbe con l’art. 57, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 163 del 2006, che stabilisce il più ampio termine di tre anni dalla stipulazione del contratto originario. Sul punto si rileva come l’individuazione della procedura di affidamento afferisca all’ambito materiale della tutela della concorrenza, che l’art. 4, comma 3, del Codice degli appalti assegna alla competenza esclusiva statale, così come stabilito dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 401 del 2007.
C) Il ricorrente ritiene costituzionalmente illegittimo anche l’art. 27, comma 1, lettera t), punto 1, della citata legge regionale n. 1 del 2008, che, apportando modifiche all’art. 46, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2007, sancisce l’obbligatorietà dell’esclusione automatica delle offerte anomale da parte delle stazioni appaltanti, nei contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso. Tale previsione contrasterebbe con quanto stabilito dall’art. 122, comma 9, del d.lgs. n. 163 del 2006, che prevede la facoltà e non l’obbligatorietà dell’esclusione e violerebbe, pertanto, la competenza esclusiva statale in materia di “qualificazione e selezione dei concorrenti” di cui all’art. 4, comma 3, del suddetto decreto. Si tratterebbe, infatti, di ambiti rientranti nella nozione di tutela della concorrenza, così come definita da questa Corte con la richiamata sentenza n. 401 del 2007.
D) Si assume poi la illegittimità dell’art. 27, comma 1, lettera t), punto 5, della legge regionale n. 1 del 2008. Tale norma disciplinerebbe, secondo il ricorrente, la qualificazione dei concorrenti in maniera differente rispetto a quanto disposto dall’art. 40 del Codice degli appalti. Si tratta di una materia, quella della qualificazione, di competenza esclusiva statale, ai sensi dell’art. 4, comma 3, del Codice degli appalti, con conseguente invasione dell’ambito materiale rappresentato dalla tutela della concorrenza, di pertinenza dello Stato.
1.2.— Esposto ciò, il ricorrente rileva come, in riferimento alla legge regionale n. 3 del 2007, si fosse tenuta, «in applicazione del principio di leale collaborazione», una riunione tecnica in data 14 maggio 2007, in cui «la Regione si era impegnata a modificare alcune disposizioni di tale provvedimento in modo da superare i profili di illegittimità costituzionale già rilevati dal Dipartimento affari regionali, nonché dal Ministero delle infrastrutture e dall’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture». In base a tale impegno, sottolinea l’Avvocatura generale dello Stato, la Regione avrebbe dovuto, in ossequio al principio di leale collaborazione, modificare le seguenti disposizioni:
– art. 6, che disciplina il responsabile unico del procedimento in maniera difforme dal Codice, in contrasto con quanto disposto dall’art. 10 dello stesso Codice;
– art. 7, comma 3, concernente la programmazione, perché in contrasto con l’art. 128, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006;
– l’art. 14, commi 2, 3, 4, che attribuisce alla Giunta regionale il compito di stabilire le modalità e le forme di verifica e validazione dei progetti, laddove l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede la competenza legislativa dello Stato nella disciplina delle attività di progettazione;
– l’art. 18, in materia di interventi di urgenza e somma urgenza, che, incidendo sulle procedure di aggiudicazione con previsioni restrittive della concorrenza che consentono anche il ricorso ad affidamenti diretti, contrasterebbe con l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006;
– l’art. 20, comma 2, concernente la qualificazione degli operatori economici, che, escludendo la possibilità del ricorso all’istituto dell’avvalimento per i contratti sotto-soglia, contrasterebbe con l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 «oltre che con le direttive comunitarie di riferimento per limitazione della concorrenza»;
– l’art. 33, che, demandando, senza alcuna riserva, al legislatore regionale le modalità relative alle proposte da presentare all’amministrazione aggiudicatrice, «presenta profili di illegittimità costituzionale» in quanto la disciplina delle procedure di aggiudicazione sarebbe di competenza dello Stato;
– l’art. 36, commi 7 e 8, che, rinviando al regolamento regionale per i «criteri organizzativi concernenti l’uso della procedura ristretta semplificata per i lavori non superiori a 750.000 euro», violerebbe la competenza esclusiva statale in materia di procedure di affidamento;
– l’art. 53, comma 2, che, demandando alla Giunta regionale la predisposizione di schemi di piani di sicurezza e coordinamento, nonché la modulistica, sarebbe costituzionalmente illegittimo perché la materia “piani di sicurezza” sarebbe di pertinenza statale alla luce di quanto prescritto dall’art. 4, comma 3, del Codice (si richiama la sentenza n. 401 del 2007 della Corte);
– l’art. 58, comma 4, che vietando di affidare i collaudi a magistrati ordinari, amministrativi e contabili, violerebbe la competenza esclusiva statale prevista dagli artt. 4, comma 3, e 141, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006;
– l’art. 59, comma 5, che, nella parte in cui stabilisce che l’incarico debba essere affidato nei modi previsti dalla legge regionale, «eccede dalla competenza regionale in quanto l’affidamento dell’incarico dovrebbe avvenire nel rispetto delle disposizioni del Codice»;
– l’art. 60, comma 4, che, «laddove prevede un obbligo di motivazione per i soggetti non iscritti all’albo, presenta profili di incompatibilità con il diritto comunitario con la conseguente limitazione della concorrenza».
Il ricorrente ha concluso sottolineando che «si ritiene opportuno sollecitare la Corte costituzionale affinché valuti la possibilità di pronunciarsi in via autonoma anche sulla legittimità costituzionale di tali disposizioni della legge regionale n. 3 del 2007 non modificate dall’art. 27 della legge regionale n. 1 del 2008, che risultano inscindibilmente connesse alle norme sopra censurate, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, in considerazione della violazione del parametro costituzionale del principio di leale collaborazione, oltre che del mancato rispetto del disposto dell’art. 117, comma 2, lettere e ) ed l)».
2.— Si è costituita la Regione Campania deducendo quanto segue.
In relazione all’impugnazione dell’art. 27, comma 1, lettera l), della legge regionale n. 1 del 2008, si eccepisce, innanzitutto, la inammissibilità del relativo motivo di ricorso, atteso che l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che la suddetta disposizione incida nella materia di competenza esclusiva statale dell’ordinamento civile, mentre «ci si trova di fronte ad una ipotesi di qualificazione dei concorrenti».
Nel merito si rileva come l’intervento regionale sia finalizzato ad attuare una semplificazione delle procedure e non una limitazione dell’istituto. Infatti, il legislatore regionale ha inteso puntualizzare che nell’ipotesi di appalti sopra-soglia, si dovrà applicare il rigoroso procedimento previsto dalla legge statale. Nell’ipotesi, invece, di appalti sotto-soglia, caratterizzati da una maggiore flessibilità, rientrerebbe «nella discrezionalità dell’amministrazione committente individuare gli adempimenti necessari per avvalersi dei requisiti di un altro concorrente». Inoltre, nella specie, si assume che la difesa dello Stato erroneamente evochi l’applicazione dell’art. 121, del d.lgs. n. 163 del 2006, atteso che «l’applicazione delle regole sull’avvalimento non discendono dall’art. 121, bensì dai principi comunitari». Sul punto, viene richiamata anche la sentenza n. 435 del 14 febbraio 2005 del Consiglio di Stato in cui si è affermato che il sistema dell’avvalimento come ricostruito dalla giurisprudenza comunitaria: «a) ripudia automatismi ostativi all’ammissibilità del ricorso a soggetti terzi; b) di conseguenza non impone l’uso di mezzi tipici di prova della effettiva disponibilità di risorse aziendali altrui; c) tiene ferma l’esigenza di un rigoroso riscontro della effettiva disponibilità della capacità tecnico economica mutuata da imprese o complessi aziendali diversi». Tali principi sarebbero stati poi recepiti dall’art. 48 della direttiva 2004/18/CE «che si caratterizza per una struttura dispositiva ampia e tale da lasciare margini notevoli quanto alle forme utilizzabili per dimostrare i requisiti». In relazione a questo profilo, si sottolinea come l’art. 49 del Codice degli appalti irrigidisca lo schema con conseguente dubbio in ordine alla «coerenza di una tale norma con l’obiettivo perseguito in sede comunitaria»; mentre la legge regionale si sarebbe limitata a riconoscere in presenza di appalti sottosoglia «proprio quella elasticità che i principi comunitari impongono, rinviando, per il resto, alla disciplina statale». La difesa regionale ha concluso, pertanto, assumendo che «la legge regionale non potrebbe mai far venire meno un istituto governato e derivante da principi comunitari», con conseguente inammissibilità della censura.
Con riferimento all’impugnazione dell’art. 27, comma 1, lettera p), si deduce che la limitazione ad un anno del periodo entro il quale si può ricorrere alla procedura negoziata senza bando ha «reso più rigoroso il ricorso a un tipo di selezione che fornisce minori garanzie sul piano della trasparenza e della concorrenza». Il legislatore, pertanto, rispettando lo standard minimo posto dalla legge statale, ha approvato una disciplina più restrittiva «in ossequio all’obiettivo volto alla più ampia apertura del mercato». Del resto, si aggiunge, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 401 del 2007, non ha escluso qualsiasi intervento regionale, considerato la sussistenza di «limiti interni» alla competenza statale in materia di tutela della concorrenza, da verificare in relazione «all’obiettivo prefissato, costituto, nella specie, dalla più ampia apertura del mercato degli appalti alla concorrenza».
Con riguardo alla censura relativa all’art. 27, comma 1, lettera t), punto 1, si osserva come con tale norma sia stato modificato il comma 2 dell’art. 46 della legge regionale n. 3 del 2007, che prevedeva, per i contratti sotto-soglia, l’obbligo di provvedere «all’esclusione automatica delle offerte anomale». A seguito della modifica apportata dalla norma impugnata si è, pertanto, inteso affidare all’amministrazione il compito di inserire nel bando, ai fini di trasparenza, la clausola di esclusione automatica dalla gara. Trattandosi di appalti non di rilevanza comunitaria, varrebbero le considerazioni già svolte in tema di semplificazione delle procedure «pur nel rispetto dei principi di par condicio, imparzialità e trasparenza, a cui l’intervento regionale si è conformato». Si deduce, inoltre, come il legislatore regionale si sarebbe comunque uniformato a quanto previsto dall’art. 122, comma 9, del d.lgs. n. 163 del 2006, che prevede che «quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando l’esclusione automatica (…)». Si tratterebbe, dunque, «di una disposizione regionale, in qualche modo, ricognitiva di quanto già previsto dalla legge statale che, comunque, laddove affida alla p.a. la discrezionalità della scelta sulla esclusione automatica, conferma che non ci si trova di fronte ad un principio inderogabile che impedisce una disciplina in tale direzione».
In relazione all’impugnazione dell’art. 27, comma 1, lettera t), punto 5, si sottolinea come la disposizione impugnata si sia limitata ad aggiungere un ulteriore strumento di conoscenza nel rispetto degli obblighi che la normativa statale stessa pone già come condizione di partecipazione agli appalti pubblici. Sul punto, la legge statale vieta la stipulazione di contratti pubblici con soggetti «che hanno commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro, risultati dai dati in possesso dell’osservatorio» (art. 38, comma 1, lettera e, del d.lgs. n. 163 del 2006). Ne consegue che il legislatore regionale si sarebbe limitato ad «integrare, sul piano meramente amministrativo-procedimentale, le informazioni che devono essere fornite alla stazione appaltante su un punto particolarmente sensibile».
In relazione, infine, al motivo con cui si lamenta il mancato rispetto dell’impegno assunto dalla Regione nella «riunione tecnica», si deduce la inammissibilità del motivo stesso, innanzitutto, perché mancherebbe la domanda: non sarebbe, infatti, chiaro «quale sia l’oggetto della impugnativa e se vi sia una richiesta di dichiarare la illegittimità delle norme indicate». Se così fosse «le norme di cui si denuncia la incostituzionalità sarebbero quelle di cui alla legge n. 3 del 2007, rispetto alla quale i termini di impugnativa sono (…) abbondantemente scaduti». Né, si aggiunge, «sarebbe ammissibile l’impugnativa di una omissione che non trova spazio nel presente giudizio in via principale, per di più tenendo conto della genericità ed ampiezza dell’intervento ipotizzato». Si sarebbe dunque in presenza, si conclude, di un tentativo di aggiramento dei termini di decadenza per l’impugnazione di leggi regionali ritenute costituzionalmente illegittime.
3.— Con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica la Regione Campania ha ribadito le argomentazioni difensive già contenute nell’atto di costituzione. Con particolare riferimento al censurato art. 27, comma 1, lettera l), della legge regionale n. 1 del 2008, si è ribadito come l’intento sia stato soltanto quello di introdurre una normativa più elastica per il ricorso all’avvalimento in caso di appalti di rilevanza non comunitaria.
Considerato in diritto
1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli articoli 27, comma 1, lettere l), p), t), punti 1 e 5, della legge della Regione Campania 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria 2008), prospettando la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l); nonché gli articoli 6, 7, comma 3, 14, commi 2, 3 e 4, 18, 20, comma 2, 33, 36, commi 7 e 8, 53, comma 2, 58, comma 4, 59, comma 5, 60, comma 4, della legge della Regione Campania 27 febbraio 2007, n. 3 (Disciplina dei lavori pubblici, dei servizi e delle forniture in Campania), adducendo la violazione del principio di leale collaborazione.
2.— In via preliminare, devono essere esaminate le censure formulate nei confronti delle disposizioni, da ultimo indicate, contenute nella citata legge regionale n. 3 del 2007.
Nella prospettiva del ricorrente, tali norme sarebbero costituzionalmente illegittime, in quanto la Regione avrebbe violato il principio di leale collaborazione che deve caratterizzare i rapporti tra i diversi livelli di governo. In particolare, si assume che in data 14 maggio 2007 si era tenuta una «riunione tecnica» in cui «la Regione si era impegnata a modificare alcune disposizioni» della legge in questione «in modo da superare i profili di illegittimità costituzionale già rilevati dal Dipartimento affari regionali, nonché dal Ministero delle infrastrutture e dall’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture».
Orbene, sul punto deve rilevarsi come, in mancanza di disposizioni che consentano di attribuire rilevanza sul piano costituzionale ad eventuali “accordi normativi” diretti a determinare il contenuto di testi legislativi (cfr., ex multis, sentenze nn. 371 e 222 del 2008; n. 401 del 2007), non può trovare ingresso nel giudizio di costituzionalità la censura che si fonda sulla violazione del principio di leale collaborazione.
Del pari, non può ritenersi ammissibile l’impugnazione diretta delle disposizioni della legge regionale n. 3 del 2007, con deduzione di vizi di costituzionalità che le inficerebbero, essendo ormai da tempo scaduto il termine perentorio per l’impugnazione diretta di tale legge ad opera del Governo.
Le censure rivolte nei confronti delle citate norme della legge regionale n. 3 del 2007 devono, pertanto, essere dichiarate inammissibili.
3.— Prima di esaminare i motivi di ricorso formulati con riferimento alla legge regionale n. 1 del 2008, è opportuno richiamare gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale relativi al riparto di competenze legislative statali e regionali in materia di contratti pubblici di appalto.
In particolare, la Corte, – pronunciandosi con la sentenza n. 401 del 2007 su alcune disposizioni contenute nel decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) – ha chiarito che l’attività contrattuale della pubblica amministrazione «non può identificarsi in una materia a sé, ma rappresenta, appunto, un’attività che inerisce alle singole materie sulle quali essa si esplica».
Sulla base di tale premessa si è proceduto ad individuare gli ambiti materiali di competenza statale e regionale in relazione sia alla fase procedimentale che precede la stipulazione del contratto di appalto sia alla fase successiva inerente all’attuazione del rapporto contrattuale.
Con riferimento alla procedura di evidenza pubblica, la Corte, con la citata sentenza, ha affermato che, in relazione a tale momento procedimentale, il titolo di legittimazione prevalente che viene in rilievo è costituito dalla tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Più precisamente, in tale ambito si possono ricomprendere: a) «le misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione» (sentenza n. 430 del 2007): si tratta, in sintesi, di misure antitrust; b) le disposizioni legislative «di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese» (citata sentenza n. 430 del 2007): si tratta, in sintesi, di misure volte ad assicurare la concorrenza “nel mercato”; c) le disposizioni legislative che perseguono il fine di assicurare procedure concorsuali di garanzia mediante la strutturazione di tali procedure in modo da garantire «la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici» (sentenza n. 401 del 2007): si tratta, in sintesi, di interventi mirati ad assicurare la concorrenza “per il mercato”.
Nello specifico settore degli appalti possono certamente venire in rilievo disposizioni che perseguono fini riconducibili all’esigenza sia di evitare comportamenti delle imprese idonei ad alterare le regole concorrenziali, sia di garantire la progressiva liberalizzazione dei mercati in cui sono ancora presenti barriere all’entrata o altri impedimenti all’ingresso di nuovi operatori economici.
In questa sede assumono, però, rilevanza, in particolare, le norme che, disciplinando la fase procedimentale prodromica alla stipulazione del contratto, si qualificano per la finalità perseguita di assicurare la concorrenza “per il mercato”. Si tratta di disposizioni che, sul piano comunitario, tendono a tutelare essenzialmente i principi della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazioni di servizi; sul piano interno, le norme in esame sono funzionali, tra l’altro, a garantire il rispetto dei principi di buona amministrazione, di imparzialità, nonché il perseguimento dell’interesse pubblico sotteso alle specifiche procedure di gara (citata sentenza n. 401 del 2007).
Inoltre, con riferimento alla fase negoziale, che ha inizio con la stipulazione del contratto, questa Corte ha avuto modo di rilevare come l’amministrazione si ponga in una posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisca non nell’esercizio di poteri amministrativi, bensì nell’esercizio della propria autonomia negoziale. Ne consegue che la disciplina della predetta fase deve essere ascritta prevalentemente all’ambito materiale dell’ordinamento civile. Sussiste, infatti, l’esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità di trattamento, nell’intero territorio nazionale, della disciplina dei momenti di conclusione ed esecuzione dei contratti di appalto. Ciò non significa, però, si è puntualizzato con la sentenza richiamata, che, in relazione a peculiari esigenze di interesse pubblico, non possano residuare in capo alla autorità procedente poteri pubblici riferibili, tra l’altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase esecutiva.
Individuati gli ambiti di materie in cui, in prevalenza, si colloca la disciplina dell’attività contrattuale della amministrazione nel settore dei pubblici appalti, è necessario verificare, ai fini della risoluzione delle questioni poste all’esame della Corte, quali siano gli spazi riconosciuti alla competenza regionale, in particolare, in relazione alla disciplina della procedura di evidenza pubblica che di volta in volta viene in rilievo.
Sul punto, la Corte, con la citata sentenza n. 401 del 2007, ha posto in evidenza come nello specifico settore degli appalti la materia della tutela della concorrenza, nella parte in cui essa è volta ad assicurare procedure di garanzia, si connota per un particolare modo di operare della sua trasversalità: infatti, la interferenza con le competenze regionali «si atteggia in modo peculiare non realizzandosi normalmente un intreccio in senso stretto con ambiti materiali di pertinenza regionale, bensì la prevalenza della disciplina statale su ogni altra fonte normativa». Ne consegue che «la fase della procedura di evidenza pubblica, riconducibile alla tutela della concorrenza, potrà essere interamente disciplinata», nei limiti del rispetto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza, dal legislatore statale.
In questa prospettiva, le singole Regioni sono legittimate a regolare, da un lato, quelle fasi procedimentali che afferiscono a materie di propria competenza; dall’altro, i singoli settori oggetto della predetta procedura e rientranti anch’essi in ambiti materiali di pertinenza regionale.
Questa Corte ha poi affermato che, «al fine di evitare che siano vanificate le competenze delle Regioni», è consentito che norme regionali riconducibili a tali competenze possano produrre «effetti proconcorrenziali», purché tali effetti «siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza» (sentenza n. 431 del 2007; si veda anche sentenza n. 322 del 2008).
4.— Alla luce di quanto sopra, va osservato che lo Stato, con il ricorso in esame, ha, innanzitutto, impugnato l’art. 27, comma 1, lettera l), della legge della Regione Campania n. 1 del 2008, il quale, nel modificare l’art. 30, comma 5, della precedente legge n. 3 del 2007, consente il ricorso all’istituto dell’avvalimento soltanto in relazione agli appalti di importo uguale o superiore alla soglia comunitaria. Ciò contrariamente a quanto previsto dagli art. 49 e 121 del d.lgs. n. 163 del 2006, i quali legittimano invece il ricorso a tale istituto anche in relazione ai contratti aventi per oggetto lavori, servizi e forniture di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, con conseguente violazione della competenza statale in materia di ordinamento civile.
La censura è fondata.
Innanzitutto, deve rilevarsi come questa Corte, con la sentenza n. 401 del 2007, abbia già avuto modo di affermare come, «pur in presenza di un appalto sotto-soglia, debbano essere comunque rispettati i principi fondamentali del Trattato idonei a consentire l’esercizio di un potere conforme, tra l’altro, ai canoni della parità di trattamento, della trasparenza e della pubblicità, al fine di garantire un assetto concorrenziale del mercato». Si è, inoltre, posto in evidenza che «la stessa direttiva comunitaria 2004/18, al considerando numero 2, ha previsto, in generale per tutti gli appalti, che l’aggiudicazione negli Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici territoriali e di altri organismi di diritto pubblico è subordinata al rispetto dei principi del Trattato ed in particolare ai principi della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonché ai principi che ne derivano, quali i principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento reciproco, di proporzionalità e di trasparenza». Ciò implica, si è puntualizzato con la medesima sentenza, «che la distinzione tra contratti sotto-soglia e sopra-soglia non può essere, di per sé, invocata quale utile criterio ai fini della individuazione dello stesso ambito materiale della tutela della concorrenza. Tale ambito ha, infatti, una portata che trascende ogni rigida e aprioristica applicazione di regole predeterminate dal solo riferimento, come nella specie, al valore economico dell’appalto. Anche un appalto che si pone al di sotto della rilevanza comunitaria può giustificare un intervento unitario da parte del legislatore statale». E se si riconosce, nello specifico, la sussistenza di tale esigenza, in relazione ovviamente a finalità di tutela della concorrenza, deve conseguentemente ammettersi la legittimazione statale a disciplinare l’istituto secondo le modalità proprie degli appalti di rilevanza comunitaria.
Chiarito, dunque, che la distinzione tra contratti sopra e sotto-soglia non può costituire, nei limiti anzidetti, un netto elemento di differenziazione ai fini della individuazione del livello di competenza statale o regionale, occorre stabilire in quale ambito materiale debba essere collocato l’istituto dell’avvalimento.
A tale proposito, il primo comma dell’art 49 del Codice degli appalti stabilisce che il concorrente, singolo o consorziato o raggruppato, in relazione ad una specifica gara per l’affidamento di lavori, servizi, forniture, «può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA, avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell’attestazione SOA di altro soggetto», in presenza delle condizioni puntualmente indicate nel secondo comma del medesimo articolo 49.
Dalla indicazione delle caratteristiche dell’istituto emerge come la finalità perseguita dal legislatore statale, in linea con le prescrizioni comunitarie, sia quella di consentire a soggetti, che non posseggono determinati requisiti di partecipazione, di concorrere egualmente mediante l’ausilio di un’altra impresa, che sia in possesso dei necessari requisiti, purché ricorrano le condizioni indicate dal citato art. 49. Si ottiene, pertanto, il risultato di ampliare potenzialmente la partecipazione delle imprese alle procedure concorsuali, assicurando così una maggiore tutela delle libertà comunitarie e degli stessi principî di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa. L’analisi del dato finalistico consente, dunque, di fare rientrare la normativa in esame nell’ambito della tutela della concorrenza.
Deve, però, precisarsi che alcuni aspetti della disciplina dell’avvalimento – relativi, in particolare, da un lato, agli obblighi assunti dall’impresa ausiliaria «verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente» (art. 49, comma 2, lettera d); dall’altro, al «contratto in virtù del quale l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto» (art. 49, comma 2, lettera f) – sono riconducibili alla materia dell’ordinamento civile, anch’essa di competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Si tratta, infatti, di profili di disciplina che afferiscono, a prescindere dalla loro esatta qualificazione giuridica, a vicende comunque di natura essenzialmente privatistica.
L’individuazione dei predetti titoli di legittimazione statali – che rilevano, per le considerazioni già esposte, anche in presenza di un appalto di rilevanza non comunitaria e che consentono di ritenere non fondata l’eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa regionale sulla base della circostanza che lo Stato avrebbe evocato soltanto la materia dell’ordinamento civile – esclude che la Regione possa adottare una disciplina diversa da quella prevista a livello nazionale.
Deve, pertanto, dichiararsi la illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1, lettera l), della legge regionale n. 1 del 2008 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l) Cost.
Tale declaratoria deve essere estesa, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, all’art. 20, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2007, il quale, con norma inscindibilmente connessa a quella dichiarata costituzionalmente illegittima, stabilisce che «le stazioni appaltanti, nella predisposizione degli atti di gara relativi a contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria, escludono la possibilità di ricorso all’istituto dell’avvalimento di cui agli artt. 49 e 50 del Codice e successive modificazioni».
5.— Lo Stato ha, inoltre, censurato l’art. 27, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 1 del 2008, che, nel modificare l’art. 38, comma 5, lettera b), della legge regionale n. 3 del 2007, ha previsto la possibilità di ricorrere alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando nell’anno successivo alla stipulazione del contratto iniziale nel caso di nuovi servizi consistenti nella ripetizione dei servizi analoghi già affidati all’operatore economico aggiudicatario.
Nella prospettiva del ricorrente tale norma sarebbe illegittima perché in contrasto, da un lato, con quanto stabilito dall’art. 57, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale prevede il più ampio termine di tre anni dalla stipulazione del contratto originario per potere ricorrere a tale metodo di affidamento dei lavori, e, dall’altro, con l’art. 4, comma 3, dello stesso decreto, che attribuisce allo Stato il compito di individuare le procedure di affidamento. Da qui la violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza.
La censura è fondata.
La competenza statale in materia di tutela della concorrenza ricomprende anche la disciplina delle procedure negoziate. La indicazione, infatti, dei rigorosi presupposti che autorizzano il ricorso a tali procedure si inserisce in un ambito di disciplina unitario finalizzato ad assicurare un sistema di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, che consenta la deroga ai normali metodi di gara soltanto in presenza delle condizioni puntualmente individuate dal legislatore statale.
La norma in esame, intervenendo in un ambito di competenza esclusiva statale, ha un contenuto diverso rispetto a quanto stabilito a livello nazionale. Il Codice degli appalti autorizza, infatti, il ricorso al metodo di gara in esame nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale; il legislatore regionale, invece, consente l’applicazione di tale metodo «solo nell’anno successivo alla stipulazione del contratto iniziale così da permettere alla stazione appaltante di verificare il servizio reso e riavviare la procedura di gara».
Ne consegue che la norma impugnata deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., senza che possa assumere rilievo, in mancanza di un autonomo titolo di legittimazione regionale, la circostanza, addotta dalla parte resistente, secondo cui tale norma sarebbe legittima in ragione della sua idoneità a produrre effetti proconcorrenziali.
6.— Lo Stato ha, inoltre, censurato l’art. 27, comma 1, lettera t), punto 1, della legge regionale n. 1 del 2008, che ha stabilito che le stazioni appaltanti, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, «prevedono nel bando l’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia».
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, tale disposizione violerebbe la competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, tenuto conto che l’art. 122, comma 9, del d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce, ricorrendo le condizioni sopra indicate, che la stazione appaltante ha la facoltà e non l’obbligo di procedere all’esclusione automatica.
Anche tale censura è fondata.
Sul punto, questa Corte – in relazione al procedimento di verifica e di esclusione delle offerte «anormalmente basse» fondato, nel settore degli appalti di rilevanza comunitaria di cui agli articoli 86 e ss. del d.lgs. n. 163 del 2006, sul rispetto del principio del contraddittorio – ha già avuto modo di rilevare che tale principio «imposto dal diritto comunitario, è finalizzato, da un lato, a verificare se, in ipotesi, l’impresa non si trovi nelle condizioni di garantire in maniera efficace il risultato perseguito dall’amministrazione ad un prezzo più basso rispetto a quello che sono in grado di offrire le altre imprese; dall’altro, non consentendo provvedimenti di esclusione automatica (…), a perseguire l’obiettivo della più ampia partecipazione degli operatori economici alle procedure di gara» (sentenza n. 401 del 2007).
Si è, pertanto, concluso che nel predetto procedimento di verifica in contraddittorio delle offerte anomale «assume preminenza la finalità di informare il procedimento stesso alle regole della concorrenza nella fase di scelta del contraente», con conseguente competenza legislativa esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Sulla base di tale premessa, deve ritenersi che siffatta competenza sussista anche in relazione alla disciplina della procedura di verifica delle offerte anomale nell’ambito degli appalti sotto la soglia di rilevanza comunitaria, al fine di assicurare, tra l’altro, il rispetto dei principi generali di matrice comunitaria stabiliti nel Trattato e, in particolare, il principio di non discriminazione (in questo senso, da ultimo, nella materia in esame, Corte di giustizia 15 maggio 2008, C-147/06 e C-148/06).
Il legislatore statale, sul punto, ha previsto, all’art. 122, comma 9, del d.lgs. n. 163 del 2006, in capo alla stazione appaltante, il potere discrezionale di valutare l’opportunità di procedere all’esclusione automatica ovvero verificare in contraddittorio l’anomalia dell’offerta. A ciò va aggiunto che l’art. 1, comma 1, lettera bb), n. 2, del decreto legislativo 11 settembre 2008 n. 152 (Ulteriori disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, a norma dell'articolo 25, comma 3, della legge 18 aprile 2005, n. 62) ha modificato – proprio al fine di aumentare l’area di concorrenzialità – la norma statale, la quale ora prevede che la facoltà di esclusione automatica «non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci».
Il legislatore regionale ha dettato una disciplina diversa da quella statale, prevedendo che la stazione appaltante è obbligata a procedere sempre ed in ogni caso all’esclusione automatica delle offerte anomale in presenza di un contratto di appalto di rilevanza non comunitaria. Tale previsione, eliminando radicalmente qualunque potere di valutazione tecnica in capo all’amministrazione mediante l’attivazione di procedure di verifica in contraddittorio, viola i principi della concorrenza. La previsione, infatti, di un potere vincolato di esclusione automatica restringe aprioristicamente la possibilità di partecipazione di un numero più elevato di operatori economici, ledendo le regole concorrenziali sancite a livello comunitario e nazionale.
La norma impugnata deve, pertanto, essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
7.— Infine, lo Stato ha impugnato l’art. 27, comma 1, lettera t), punto 5, della legge regionale n. 1 del 2008, in quanto tale norma, disciplinando la qualificazione dei concorrenti, violerebbe la potestà normativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, tenuto conto che l’art. 40 del d.lgs. n. 163 del 2006 detta una regolamentazione diversa e che l’art. 4, comma 3, del medesimo decreto attribuisce allo Stato il compito di disciplinare la “qualificazione” dei concorrenti.
Anche tale censura è fondata.
La norma impugnata – inserita nel testo di una disposizione relativa ai «criteri di individuazione e di verifica delle offerte anormalmente basse» (art. 46 della legge regionale n. 3 del 2007) – prevede che, nell’ambito dei «requisiti per la qualificazione» degli esecutori, a qualsiasi titolo, di lavori pubblici di cui all’art. 22, comma 2, della medesima legge regionale, «devono essere considerate anche le informazioni fornite dallo stesso soggetto interessato relativamente all’avvenuto adempimento, all’interno della propria azienda, degli obblighi di sicurezza previsti dalla vigente normativa e quelle fornite dai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza se sono stati istituiti. Tale norma ha valore anche in corso d’opera».
Detta disposizione regionale riprende, nella prima parte, il contenuto del comma 4-bis dell’art. 87 del d.lgs. n. 163 del 2006, introdotto dall’art. 1, comma 909, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007). Rispetto alla norma statale viene aggiunto, da un lato, il riferimento alle informazioni «fornite dai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza se sono stati istituti»; dall’altro, l’affermazione dell’applicazione della norma «in corso d’opera».
Chiarito ciò, deve rilevarsi come sia la disciplina del procedimento di verifica delle offerte anomale, sia il sistema di qualificazione delle imprese partecipanti alle procedure di gara rientrino nella competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza (sentenza n. 401 del 2007). Spetta, dunque, esclusivamente allo Stato, sempre nei limiti del rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, individuare i “requisiti per la qualificazione” rilevanti nell’ambito della procedura di valutazione tecnica dell’anomalia delle offerte, al fine di garantire una disciplina unitaria a livello nazionale e di assicurare, tra l’altro, parità di trattamento agli operatori economici del settore.
8.— Infine, deve rilevarsi come la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle riportate norme contenute nella legge della Regione Campania n. 1 del 2008 non possa comportare – ad eccezione di quanto già affermato (punto 4) in relazione all’art. 20, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2007 – la declaratoria di illegittimità consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, degli articoli 6, 7, comma 3, 14, commi 2, 3 e 4, 18, 20, comma 2, 33, 36, commi 7 e 8, 53, comma 2, 58, comma 4, 59, comma 5, 60, comma 4, della citata legge regionale n. 3 del 2007, richiesta dalla difesa dello Stato.
Tale pronuncia è possibile unicamente nel caso in cui sussista tra le norme dichiarate illegittime e le altre non impugnate un rapporto di inscindibile connessione. Nel caso in esame detto rapporto non sussiste. Le disposizioni oggetto della legge n. 3 del 2007, sopra richiamate, presentano un contenuto che non si pone in stretta connessione con le norme ora dichiarate costituzionalmente illegittime; con la conseguenza che, come si è innanzi precistato, esse avrebbero dovuto formare oggetto di rituale impugnazione nel rispetto dei termini perentori prescritti dall’art. 31 della legge n. 87 del 1953.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 27, comma 1, lettere l), p), t), punti 1 e 5, della legge della Regione Campania 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria 2008);
b) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell’art. 20, comma 2, della legge della Regione Campania 27 febbraio 2007, n. 3 (Disciplina dei lavori pubblici, dei servizi e delle forniture in Campania);
c) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 6, 7, comma 3, 14, commi 2, 3 e 4, 18, 20, comma 2, 33, 36, commi 7 e 8, 53, comma 2, 58, comma 4, 59, comma 5, 60, comma 4, della legge regionale n. 3 del 2007, promosse, in riferimento al principio di leale collaborazione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il il 18 maggio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2009.