Sentenza n. 371 del 2008

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SENTENZA N. 371

ANNO 2008

 

Commento alla decisione di

Cesare Mainardis

 

Qualche osservazione a Corte cost. n. 371/2008 (tra poteri sostitutivi statali ordinari e straordinari, interpretazione conforme e assetto dei rapporti Stato – Regioni)

 

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Giovanni Maria   FLICK                                     Presidente

-  Francesco          AMIRANTE                                Giudice

-  Ugo                   DE SIERVO                                   

-  Paolo                 MADDALENA                                

-  Alfio                  FINOCCHIARO                             

-  Alfonso              QUARANTA                                  

-  Franco               GALLO                                          

-  Luigi                  MAZZELLA                                   

-  Gaetano             SILVESTRI                                    

-  Sabino               CASSESE                                      

-  Maria Rita          SAULLE                                        

-  Giuseppe            TESAURO                                      

-  Paolo Maria       NAPOLITANO                               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 4, 5, 6, 7, primo e quarto periodo, 10 e 11, della legge 3 agosto 2007, n. 120 (Disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria), e dell’intero testo dell’art. 1 della medesima legge n. 120 del 2007, promossi, rispettivamente, dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Regione Lombardia, con ricorsi notificati il 5 ottobre 2007, depositati in cancelleria il 10 e 15 ottobre 2007 ed iscritti ai numeri 42 e 44 del registro ricorsi del 2007.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 21 ottobre 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi gli avvocati Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia, Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Anna Cenerini per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— La Provincia autonoma di Trento, con ricorso (reg. ric. n. 42 del 2007) del 5 ottobre 2007, depositato in cancelleria il successivo 10 ottobre, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 4, 5, 6, 7, primo e quarto periodo, 10 e 11, della legge 3 agosto 2007, n. 120 (Disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria).

La ricorrente assume che le impugnate disposizioni contrastino con gli artt. 8, numero 1), 9, numero 10), e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché con le relative norme di attuazione dello statuto di autonomia, ed in particolare, con il d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità), con il d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti integrazioni alle norme di attuazione in materia di igiene e sanità approvate con d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474), con l’art. 8 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige ed alle Province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), e con gli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), e che le stesse, inoltre, violino anche gli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione in connessione con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

1.1.— In via preliminare, la ricorrente reputa opportuno rammentare di essere «dotata di competenza legislativa concorrente in materia di "igiene e sanità, compresa l’assistenza sanitaria ed ospedaliera”», ai sensi dell’art. 9, numero 10), del d.P.R. n. 670 del 1972, nonché «di potestà legislativa primaria in materia di "ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto”», in forza di quanto previsto dall’art. 8, numero 1), del medesimo d.P.R., essendo, inoltre, titolare nelle medesime materie «delle correlative potestà amministrative», giusta la previsione dell’art. 16 sempre dello statuto di autonomia.

Deduce, poi, che le predette norme statutarie sono state attuate dal d.P.R. n. 474 del 1975, il cui art. 2, comma 2, attribuisce alle Province autonome «le potestà legislative ed amministrative attinenti al funzionamento ed alla gestione delle istituzioni ed enti sanitari» (stabilendo, altresì, che «nell’esercizio di tali potestà esse devono garantire l’erogazione di prestazioni di assistenza igienico-sanitaria ed ospedaliera non inferiori agli standards minimi previsti dalle normative nazionale e comunitaria»), mentre il successivo comma 3 prevede che le «competenze provinciali relative allo stato giuridico ed economico del personale addetto alle istituzioni ed enti di cui al secondo comma sono esercitate nei limiti previsti dallo statuto». Ai sensi, inoltre, dell’art. 3 del medesimo d.P.R. n. 474 del 1975, tra le funzioni per le quali detta norma tiene ferma la competenza statale «non rientrano» – osserva la ricorrente – «quelle di organizzazione della libera professione intramuraria».

Ciò premesso, la Provincia autonoma di Trento evidenzia di aver recepito la normativa statale, nella materia di cui si tratta, con l’art. 51 della legge provinciale 27 agosto 1999, n. 3 (Misure collegate con l’assestamento del bilancio per l’anno 1999), stabilendo che «per la disciplina dell’attività libero professionale dei dirigenti del ruolo sanitario trovano applicazione, con la decorrenza fissata dalla normativa statale, le disposizioni di cui all’articolo 72, commi da 4 a 8 nonché 11 e 12, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo)»; successivamente, però, la disciplina di fonte legislativa provinciale è stata abrogata ed integralmente sostituita dall’art. 32 della legge provinciale 10 febbraio 2005, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Provincia autonoma di Trento – legge finanziaria).

Rammenta, infine, che con diverse deliberazioni della Giunta provinciale – la n. 1662 del 27 febbraio 1998, la n. 3334 del 15 dicembre 2000, la n. 1758 del 1° settembre 2006 – sono state «assunte direttive per disciplinare l’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria da parte del personale della dirigenza del ruolo sanitario dipendente dall’Azienda provinciale per i servizi sanitari», nonché, in concreto, «disciplinate le modalità dell’attività libero professionale intramuraria».

La ricorrente evidenzia, pertanto, di disporre «di una propria compiuta disciplina delle attività di libera professione intramuraria svolta dai medici del servizio pubblico».

1.2.— Ciò premesso, la Provincia autonoma di Trento evidenzia che il legislatore statale è intervenuto in materia con la legge n. 120 del 2007, alcune delle cui disposizioni formano oggetto della proposta impugnazione.

1.3.— Ricostruito in termini generali il contenuto delle singole disposizioni censurate, la ricorrente illustra per ciascuna di esse gli argomenti a sostegno della dedotta illegittimità costituzionale.

1.3.1.— In relazione, in particolare, al comma 4 dell’art. 1, la Provincia autonoma di Trento evidenzia come esso, nel primo periodo, le riconosca la facoltà di acquisire spazi ambulatoriali esterni alle strutture sanitarie per l’esercizio di attività sia istituzionali sia in regime di libera professione intramuraria, ma subordinatamente al rispetto di limiti e condizioni procedurali definiti nella legge statale, atteso che «l’acquisto, la locazione, la stipula di convenzioni», destinate a tale scopo, avviene «previo parere vincolante da parte del Collegio di direzione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, o, qualora esso non sia costituito, di una commissione paritetica di sanitari che esercitano l’attività libero-professionale intramuraria, costituita a livello aziendale».

La disposizione in questione, dunque, si rivolge alle Province autonome ponendo «norme dettagliate sugli strumenti giuridici e sulla procedura con cui esse possono acquisire spazi ambulatoriali esterni per l’esercizio delle attività sia istituzionali sia di libera professione intramuraria», sicché, «sotto l’apparenza di una norma che autorizza», in realtà «comprime la facoltà di scelta della Provincia», assoggettandola addirittura ad un «parere vincolante».

Essa, pertanto, risulterebbe lesiva delle competenze della Provincia, e ciò assumendo «a punto di riferimento» tanto la materia – oggetto di potestà legislativa primaria – della organizzazione degli enti provinciali (tra i quali rientra l’azienda sanitaria), quanto quella della sanità.

Osserva, difatti, la ricorrente – con riferimento a questo secondo profilo – che la scelta, compiuta dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, di attribuire la materia della tutela della salute – «assai più ampia» di quella precedente, costituita dall’assistenza sanitaria (sono citate, in particolare, le sentenze della Corte costituzionale n. 134 del 2006 e n. 270 del 2005) – alla potestà legislativa concorrente ex art. 117, terzo comma, Cost., esprime «l’intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materia e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina» (sentenza n. 282 del 2002) e comporta anche, in virtù della previsione contenuta nell’art. 10, il riconoscimento, «in riferimento alle attribuzioni proprie delle Province autonome», di una «maggiore estensione "della tutela della salute” rispetto alle corrispondenti competenze statutarie in materia sanitaria» (sentenza n. 162 del 2007).

A maggior ragione, poi, l’incostituzionalità del primo periodo dell’impugnato comma 4 dovrebbe essere riconosciuta riconducendolo alla materia dell’organizzazione degli enti paraprovinciali, essendo la stessa oggetto di potestà legislativa primaria.

Né, d’altra parte, l’interferenza statale in tale materia potrebbe giustificarsi richiamando la previsione contenuta nell’art. 17, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), a norma del quale spetta, tra l’altro, al Collegio di direzione costituito presso ogni azienda sanitaria di «concorrere» alla formulazione «delle soluzioni organizzative per l’attuazione dell’attività libero-professionale intramuraria»; nella specie, infatti, a tale organo, per effetto dello «strumento del parere vincolante», risulta demandato «l’esercizio sostanziale della funzione».

Anche il secondo periodo del predetto comma 4 sarebbe costituzionalmente illegittimo, in quanto stabilisce che, in «ogni caso», le Province autonome «devono» garantire che le strutture sanitarie «gestiscano, con integrale responsabilità propria, l’attività libero-professionale intramuraria, al fine di assicurarne il corretto esercizio», nel rispetto di talune specifiche modalità; con la previsione di tali modalità, dunque, il legislatore statale – osserva la ricorrente – «non si limita a fissare obbiettivi e disporre principi, ma introduce, sia pure rinviandone l’operatività a leggi regionali, disposizioni di dettaglio nella materia "tutela della salute”».

1.3.2.— Quanto, invece, alle doglianze che investono i commi 5 e 6 dell’art. 1, la ricorrente premette di non contestare il principio che impone alla strutture sanitarie sia di adottare un piano aziendale, «concernente, con riferimento alle singole unità operative, i volumi di attività istituzionale e di attività libero-professionale intramuraria», sia di assicurare ad esso «adeguata pubblicità ed informazione».

Reputa, invece, norme di dettaglio quelle, recate dal comma 5, che «riguardano le modalità di pubblicità del piano» (segnatamente nella parti in cui pongono il vincolo procedurale consistente nella necessità di acquisire, alternativamente, il parere dei già menzionati Collegio di direzione e commissione paritetica di sanitari, ovvero stabiliscono il contenuto delle informazioni alle quali è assoggettato il piano stesso).

Analogamente, anche il comma 6 conterrebbe «norme di estremo dettaglio in quanto regola minuziosamente le singole fasi di approvazione del piano», subordinandone, oltretutto, l’efficacia all’assenza di osservazioni da parte del Ministero della salute.

Inoltre, l’illegittimità del comma 6 deriverebbe anche dal fatto che le disposizioni da esso recate «pretendono nel loro insieme di essere immediatamente applicabili nel territorio provinciale», sebbene investano una materia di competenza provinciale, con conseguente violazione, pertanto, delle «regole in tema di rapporti tra fonti statali e fonti provinciali» poste dall’art. 2 del citato d.lgs. n. 266 del 1992.

1.3.3.— Oggetto del ricorso sono anche le previsioni del comma 7, primo e quarto periodo.

Il primo periodo stabilisce che, al fine di assicurare il rispetto delle previsioni di cui ai commi 1, 2, 4, 5 e 6 del medesimo articolo 1, Regioni e Province autonome possono provvedere all’esercizio di poteri sostitutivi e, soprattutto, alla «destituzione, nell’ipotesi di grave inadempienza, dei direttori generali delle aziende, policlinici ed istituti di cui al comma 5».

In particolare, quest’ultima previsione violerebbe la competenza legislativa provinciale nella materia della tutela della salute, presentandosi, inoltre, irragionevolmente lesiva dell’autonomia della Provincia.

Quanto, invece, alla previsione relativa all’esercizio dei poteri sostitutivi, essa sarebbe lesiva dell’autonomia della Provincia nella materia tutela della salute, quale risulta dall’art. 16 dello statuto e dagli artt. 1, 2 e 3 della legge n. 474 del 1975 e dall’art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987.

1.3.4.— L’impugnativa proposta dalla Provincia autonoma investe anche il comma 10 dell’art. 1, norma che stabilisce «il periodo massimo di efficacia delle convenzioni (autorizzate dalle Regioni e dalle Province autonome) di cui al primo periodo del comma 4» (vale a dire le convenzioni aventi ad oggetto «l’acquisizione di spazi ambulatoriali esterni, aziendali e pluridisciplinari, per l’esercizio di attività sia istituzionali sia in regime di libera professione intramuraria»). Tale disposizione, pertanto, parteciperebbe degli stessi vizi che inficiano il primo periodo del comma 4 del medesimo art. 1.

In particolare, poi, la scelta compiuta dal legislatore statale di delimitare l’efficacia nel tempo delle suddette convenzioni (le stesse sono, infatti, autorizzate «per il periodo necessario al completamento, da parte delle aziende, policlinici o istituti interessati, degli interventi strutturali necessari ad assicurare l’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria e comunque non oltre il termine di cui al comma 2, primo periodo», vale a dire quello di diciotto mesi a decorrere dalla data del 31 luglio 2007), costituirebbe una illegittima limitazione della facoltà «di ricorrere alle soluzioni organizzative più adatte», spettante alla Provincia autonoma «nell’ambito della sua autonomia legislativa ed amministrativa».

1.3.5.— Infine, anche il comma 11 dell’art. 1 sarebbe lesivo «dell’autonomia provinciale in materia di organizzazione degli enti paraprovinciali», ex art. 8, primo comma, dello statuto di autonomia, in quanto «non regola aspetti dello status dei dirigenti che attengono all’erogazione del servizio», bensì individua «l’organo competente, all’interno dell’apparato dell’ente a "dirimere le vertenze dei dirigenti sanitari in ordine all’attività libero-professionale intramuraria”».

Qualora, poi, si volesse individuare la materia interessata dall’intervento legislativo de quo in quella della tutela della salute, l’illegittimità della disposizione deriverebbe dal suo «carattere dettagliato ed autoapplicativo».

2.— Anche la Regione Lombardia, con ricorso (reg. ric. n. 44 del 2007) del 5 ottobre 2007, depositato in cancelleria il successivo 15 ottobre, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’intero articolo 1 della legge n. 120 del 2007.

In via preliminare, la ricorrente evidenzia che la «possibilità di ricorrere a prestazioni sanitarie intra moenia ma in regime di tipo libero-professionale risponde alla necessità di garantire il fondamentale diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione anche sotto il profilo della autodeterminazione dei singoli». In tale prospettiva, pertanto, già l’art. 10, comma 4, del d.lgs. n. 502 del 1992 aveva stabilito che «all’interno dei presìdi ospedalieri e delle aziende ospedaliere siano riservati spazi adeguati per consentire la libera professione intramuraria in regime di degenza con camere a pagamento».

Tuttavia, la legge impugnata recherebbe, all’art. 1, «una disciplina analitica e di dettaglio sull’attività libero-professionale intramuraria» che «infrange in modo palese il vigente riparto di competenze tra Stato e Regioni».

2.1.— Alla luce di tale premessa generale, la ricorrente ipotizza, in primo luogo, la violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost., nonché «dei principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.), buon andamento (art. 97 Cost.) e leale collaborazione (art. 120 Cost.)».

Essa assume, difatti, che le disciplina in contestazione inciderebbe «pesantemente all’interno di un settore, l’organizzazione sanitaria, tradizionalmente affidato alle Regioni», atteso che la giurisprudenza costituzionale, già con riferimento al sistema di riparto delle competenze legislative delineato dal testo originario del Titolo V della Parte II della Costituzione, avrebbe «manifestato chiaramente l’importanza e la necessità che la gestione e l’organizzazione della sanità venisse svolta in modo autonomo dalle Regioni».

2.1.1.— Richiamato, pertanto, quel tradizionale indirizzo secondo cui, a norma dell’art. 117 Cost., quella dell’assistenza sanitaria ed ospedaliera è materia di competenza delle Regioni, le quali possono quindi, secondo le previsioni costituzionali, regolarla variamente nel quadro dei principi delle leggi statali, la ricorrente evidenzia come – secondo la giurisprudenza costituzionale formatasi anteriormente alla riforma del titolo V della Costituzione – nella materia «assistenza sanitaria ed ospedaliera», nella quale alle Regioni risultava anche «riservata la generalità delle correlative funzioni amministrative» (sentenza n. 307 del 1983), fosse da includere pure la «disciplina dell’organizzazione sanitaria» (sentenza n. 214 del 1988).

2.1.2.— Inoltre, se per effetto della riforma del titolo V della parte II della Costituzione la materia della tutela della salute è divenuta oggetto di potestà legislativa concorrente, statale e regionale, nulla è stato, invece, disposto – osserva la ricorrente – «rispetto alla "vecchia” materia dell’"assistenza sanitaria e ospedaliera”».

La Regione Lombardia ritiene, pertanto, che la stessa, non essendo «più contemplata nell’elenco delle materie su cui insiste la competenza concorrente», vada «ricondotta alla competenza esclusiva delle Regioni».

La conclusione proposta sarebbe suffragata anche dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui – osserva la ricorrente – la tutela della salute dovrebbe ritenersi ripartita «fra la materia di competenza regionale concorrente della "tutela della salute” (terzo comma), la quale deve essere intesa come "assai più ampia rispetto alla precedente materia assistenza sanitaria e ospedaliera” (sentenze n. 181 del 2006 e n. 270 del 2005), e quella dell’organizzazione sanitaria, in cui le Regioni possono adottare "una propria disciplina anche sostitutiva di quella statale” (sentenza n. 510 del 2002)» (è citata la sentenza n. 328 del 2006).

2.1.3.— Tutto ciò premesso, la ricorrente evidenzia come le disposizioni censurate rivelino in modo inequivocabile «la volontà di comprimere gli spazi di autonomia regionale in materia di organizzazione sanitaria».

Se, infatti, lo Stato, in questa materia, ha unicamente titolo per intervenire – come avrebbe chiarito la sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 2003 – per la determinazione dei livelli essenziali di assistenza, ponendosi gli stessi come «un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto», deve riconoscersi che nella disciplina in contestazione «non vi è traccia di alcun elemento attinente alla garanzia dell’uniformità dei diritti e delle prestazioni».

Ed invero, l’art. 1 della legge n. 120 del 2007: «impone la ristrutturazione edilizia per garantire l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria»; «definisce le modalità di acquisizione degli spazi ambulatoriali esterni, aziendali e pluridisciplinari»; «impone la determinazione, in accordo con i professionisti, di tariffe idonee ad assicurare l’integrale copertura dei costi correlati alla gestione delle attività libero-professionali intramurarie».

In conclusione, essa incide in un ambito – quello dell’organizzazione sanitaria – sul quale le Regioni già «esercitavano precise funzioni normative ed amministrative», oggetto di «un sostanziale ampliamento e rinvigorimento» dopo la riforma operata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, essendo stata la stessa affidata «alla competenza residuale esclusiva delle Regioni».

2.2.— È solo, quindi, in via di subordine – per il caso in cui si ritenesse di identificare la materia oggetto delle disposizioni impugnate in quella non dell’organizzazione sanitaria ma della tutela della salute – che viene dedotta la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché «dei principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.), buon andamento (art. 97 Cost.) e leale collaborazione (art. 120 Cost.)».

2.2.1.— Difatti, secondo la ricorrente, la disciplina in contestazione risulta «estremamente dettagliata e minuziosa non lasciando alcun margine discrezionale all’ente regionale».

La ricorrente, difatti, deduce che – come avrebbe chiarito la giurisprudenza costituzionale, a partire dalla sentenza n. 510 del 2002 – nella materia della tutela della salute, venendo in rilievo un’ipotesi di competenza legislativa ripartita tra Stato e Regioni, «spetta al primo la fissazione dei principi fondamentali, mentre alle seconde compete dettare la disciplina attuativa di tali principi con l’autonomia e l’autodeterminazione che, nel disegno costituzionale, ad esse sono state riconosciute».

Inoltre, talune più recenti pronunce avrebbero non solo ribadito tale affermazione, ma anche precisato che «la materia della sanità, dopo la riforma del titolo V della parte II della Costituzione, ricomprende sia la tutela della salute, che assume oggi un significato più ampio rispetto alla precedente materia dell’assistenza sanitaria e ospedaliera, sia l’organizzazione sanitaria in senso stretto, nella quale le Regioni possono adottare una disciplina anche sostitutiva di quella statale» (così la sentenza n. 105 del 2007, ma nello stesso senso anche la successiva sentenza n. 162 del 2007).

Conforme sarebbe, inoltre, la stessa giurisprudenza amministrativa (è citata, in particolare, la decisione n. 398 del 2004 del Consiglio di Stato, Sezione IV).

Ciò premesso, la ricorrente sottolinea che nessuna delle disposizioni contenute nell’art. 1 della legge n. 120 del 2007 «è configurabile come "principio fondamentale”» della materia tutela della salute.

Difatti, dopo la riforma operata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, spetta allo Stato, nella materia suddetta, «predisporre un quadro normativo di base capace di assicurare un indirizzo generale alle diverse Regioni che, nell’ambito del relativo territorio, potranno disciplinare l’organizzazione e la fornitura dei servizi sanitari in autonomia e nel rispetto di tali principi fondamentali statali».

Sulla base, pertanto, di tali rilievi la ricorrente evidenzia che, nel caso di specie, le censurate disposizioni siano ben lontane, proprio in ragione del loro carattere dettagliato ed autoapplicativo, dal configurarsi come principi fondamentali, essendo per tale motivo costituzionalmente illegittime.

3.— Si è costituito in entrambi i giudizi – con atti depositati in cancelleria il 23 ottobre 2007 – il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che i ricorsi siano rigettati perché inammissibili e comunque non fondati.

3.1.— La difesa statale reputa opportuno evidenziare, in via preliminare, come la Corte costituzionale, con sentenza n. 50 del 2007, abbia avuto modo di pronunciarsi sul tema delle modalità di esercizio, da parte dei sanitari, dell’attività libero-professionale intramuraria.

Essa, infatti, nel pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 1, lettera i), della legge della Provincia autonoma di Bolzano 10 agosto 1995, n. 16 (Riforma dell’ordinamento del personale della Provincia), «pur riconoscendo all’istituto dell’esclusività del rapporto di lavoro del dirigente sanitario» l’idoneità ad «incidere contestualmente su una pluralità di materie», ha individuato nella tutela della salute – sottolinea l’Avvocatura generale dello Stato – «l’ambito materiale prevalente».

In particolare, la citata sentenza avrebbe chiarito «che le disposizioni regolanti la facoltà di scelta tra i due regimi di lavoro, esclusivo e non esclusivo, costituiscono espressione di un principio fondamentale, volto a garantire una tendenziale uniformità tra le diverse legislazioni e i sistemi sanitari delle Regioni e delle Province autonome in ordine ad un profilo qualificante del rapporto tra sanità ed utenti».

Tali rilievi, sottolinea la difesa statale, costituirebbero «un punto fondamentale a dimostrazione della perfetta coerenza con la Carta costituzionale delle disposizioni censurate».

Ed invero, l’impugnata legge n. 120 del 2007 non farebbe che reiterare «la possibilità di utilizzo degli studi privati in caso di carenze di strutture e spazi idonei alle necessità connesse allo svolgimento dell’attività libero professionale dei medici del servizio sanitario nazionale».

Difatti, la disciplina in contestazione si sarebbe resa necessaria in quanto è rimasta lungamente priva di attuazione la «predisposizione di spazi adeguati per consentire l’esercizio della libera professione in strutture aziendali», e ciò malgrado l’attivazione di tali strutture costituisse uno dei principi cardine fissati dall’art. 1, commi 8, 10 e 11, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica). Conseguentemente, lo Stato, «di fronte all’inerzia di quasi tutte le Regioni e le Province autonome, si è limitato a prorogare di anno in anno la possibilità di esercizio in intra moenia allargata» dell’attività libero-professionale dei sanitari.

Orbene, «di fronte all’inerzia di buona parte delle Regioni» il Parlamento ha deliberato di concedere un’ulteriore proroga, dettando al contempo norme stringenti finalizzate ad assicurare il conseguimento dell’obiettivo.

In forza, dunque, di tali considerazioni, l’Avvocatura generale dello Stato ha concluso affinché i ricorsi siano rigettati perché inammissibili o non fondati.

4.— In prossimità dell’udienza pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri, in data 7 ottobre 2008, ha depositato memorie in ordine ad entrambi i ricorsi, deducendo in particolare che l’attività libero-professionale intramuraria sarebbe riconducibile, per alcuni profili, alla fissazione dei livelli essenziali di assistenza, per altri, alla tutela della salute.

Le norme impugnate – secondo la difesa statale – tendono, inoltre, a salvaguardare le risorse pubbliche da un uso improprio, garantendo che i costi che lo Stato sostiene per lo svolgimento dell’attività intramoenia siano integralmente finanziati dalle tariffe poste a carico dei cittadini. Ciò, quale manifestazione specifica del generale principio di economicità della gestione, alla cui osservanza è tenuto il Servizio sanitario nazionale.

L’Avvocatura generale dello Stato ribadisce, altresì, richiamando lo specifico contenuto precettivo delle disposizioni impugnate, che le stesse sono dirette a fissare principi generali, al fine di garantire che: l’attività in questione si svolga in spazi adeguati e specifici; non diventi prevalente rispetto all’attività istituzionale e dunque potenzialmente sostitutiva di questa; prevenga situazioni di potenziale conflitto di interessi e di concorrenza sleale; sia esercitata in modo da non interferire negativamente con l’ordinario svolgimento dell’attività istituzionale; sia tariffata in modo da comportare l’integrale copertura dei relativi oneri diretti ed indiretti.

La fissazione dei suddetti principi, in particolare, costituisce diretta conseguenza del fatto che l’attività in esame concorre, a tutti gli effetti, alla formazione dell’offerta sanitaria pubblica, determinando, in termini quantitativi e qualitativi, il livello delle prestazioni fruibili dai cittadini.

Si sarebbe, quindi, in un contesto che, stabilendo limiti dimensionali entro i quali possono essere validamente erogate prestazioni in regime di intra moenia, tutela l’erogazione di prestazioni nell’ambito del regime istituzionale e rientra nella sfera della fissazione dei livelli essenziali di assistenza.

Infine, la difesa statale rileva come la previsione del potere sostitutivo tenda a garantire il rispetto del generale principio di economicità della gestione, che deve essere osservato dal Servizio sanitario nazionale.

5.— In data 8 ottobre 2008 entrambe le ricorrenti hanno depositato una memoria, insistendo nelle conclusioni già proposte e confutando la tesi difensive dell’Avvocatura generale dello Stato.

Considerato in diritto

1.— La Provincia autonoma di Trento ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 4, 5, 6, 7, primo e quarto periodo, 10 e 11, della legge 3 agosto 2007, n. 120 (Disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria).

Nel ricorso si deduce che le impugnate disposizioni contrastano con gli artt. 8, numero 1), 9, numero 10), e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché con le relative norme di attuazione dello statuto di autonomia ed, in particolare, con il d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità), con il d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti integrazioni alle norme di attuazione in materia di igiene e sanità approvate con d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474), con l’art. 8 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), con gli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento) e che le stesse, inoltre, violano anche gli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione in connessione con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

Sul presupposto di essere titolare, in forza dello statuto di autonomia (e delle norme che ad esso danno attuazione), di «competenza legislativa concorrente in materia "di igiene e sanità, compresa l’assistenza sanitaria ed ospedaliera”», nonché «di potestà legislativa primaria in materia di "ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto”», oltre che, nelle stesse materie, delle «correlative potestà amministrative», la ricorrente lamenta la violazione di tali norme ad opera della disciplina in contestazione.

2.— Anche la Regione Lombardia ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’intero articolo 1 della legge n. 120 del 2007, ipotizzando, in primo luogo, la violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost., nonché «dei principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.), buon andamento (art. 97 Cost.) e leale collaborazione (art. 120 Cost.)», sul presupposto che la disciplina in contestazione inciderebbe «pesantemente all’interno di un settore, l’organizzazione sanitaria, tradizionalmente affidato alle Regioni».

Soltanto in subordine – per il caso in cui si ritenesse di identificare la materia oggetto delle disposizioni impugnate in quella della tutela della salute – la ricorrente deduce la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché «dei principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.), buon andamento (art. 97 Cost.) e leale collaborazione (art. 120 Cost.)», assumendo che la disciplina in contestazione sarebbe «estremamente dettagliata e minuziosa non lasciando alcun margine discrezionale all’ente regionale».

3.— Preliminarmente, poiché i predetti ricorsi pongono questioni analoghe, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi ai fini di un’unica decisione.

4.— Ancora in via preliminare, per individuare quale sia l’ambito materiale interessato dalle disposizioni di cui all’art. 1 della legge n. 120 del 2007, è necessario specificare il loro contenuto.

I commi 1 e 2 del citato art. 1 fanno carico alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano di assumere, entro il termine di diciotto mesi decorrente dal 31 luglio 2007, allo scopo di garantire l’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria dei sanitari, «le più idonee iniziative volte ad assicurare gli interventi di ristrutturazione edilizia, presso le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliere universitarie, i policlinici universitari a gestione diretta e gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) di diritto pubblico».

In particolare, il comma 2 stabilisce che, limitatamente allo stesso periodo e agli ambiti in cui non siano ancora state adottate le iniziative sopra descritte, «in deroga a quanto disposto dal comma 2 dell’articolo 22-bis del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248» (che ha prorogato fino al 31 luglio 2007 la facoltà spettante ai dirigenti sanitari, «in caso di carenza di strutture e spazi idonei alle necessità connesse allo svolgimento delle attività libero-professionali in regime ambulatoriale», di avvalersi «del proprio studio professionale»), «continuano ad applicarsi i provvedimenti già adottati per assicurare l’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria»; nel medesimo periodo, inoltre, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano debbono procedere «all’individuazione e all’attuazione delle misure dirette ad assicurare, in accordo con le organizzazioni sindacali delle categorie interessate e nel rispetto delle vigenti disposizioni contrattuali, il definitivo passaggio al regime ordinario del sistema dell’attività libero-professionale intramuraria della dirigenza sanitaria, medica e veterinaria del Servizio sanitario nazionale e del personale universitario di cui all’articolo 102 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382».

Ai sensi del comma 3, poi, la «risoluzione degli accordi di programma di cui all’articolo 1, comma 310, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, si applica anche alla parte degli accordi di programma relativa agli interventi di ristrutturazione edilizia» sopra indicati, per i quali la Regione «non abbia conseguito il collaudo entro il termine stabilito dal comma 2, primo periodo».

A sua volta, il successivo comma 4, innanzitutto, individua – tra le misure che le Regioni e le Province autonome possono assumere allo scopo di garantire l’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria dei sanitari, sempre che «ne sia adeguatamente dimostrata la necessità e nell’ambito delle risorse disponibili» – «l’acquisizione di spazi ambulatoriali esterni, aziendali e pluridisciplinari, per l’esercizio di attività sia istituzionali sia in regime di libera professione intramuraria, i quali corrispondano ai criteri di congruità e idoneità per l’esercizio delle attività medesime, tramite l’acquisto, la locazione, la stipula di convenzioni, previo parere vincolante da parte del Collegio di direzione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, o, qualora esso non sia costituito, di una commissione paritetica di sanitari che esercitano l’attività libero-professionale intramuraria, costituita a livello aziendale».

Inoltre, il medesimo comma 4 fa comunque carico alle Regioni ed alle Province autonome di «garantire che le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliere universitarie, i policlinici universitari a gestione diretta e gli IRCCS di diritto pubblico gestiscano, con integrale responsabilità propria, l’attività libero-professionale intramuraria, al fine di assicurarne il corretto esercizio, in particolare nel rispetto delle seguenti modalità:

a) affidamento a personale aziendale, o comunque dall’azienda a ciò destinato, senza ulteriori oneri aggiuntivi, del servizio di prenotazione delle prestazioni, da eseguire in sede o tempi diversi rispetto a quelli istituzionali, al fine di permettere il controllo dei volumi delle medesime prestazioni, che non devono superare, globalmente considerati, quelli eseguiti nell’orario di lavoro;

b) garanzia della riscossione degli onorari relativi alle prestazioni erogate sotto la responsabilità delle aziende, policlinici e istituti di cui al comma 1. Agli eventuali oneri si provvede ai sensi della lettera c);

c) determinazione, in accordo con i professionisti, di un tariffario idoneo ad assicurare l’integrale copertura di tutti i costi direttamente e indirettamente correlati alla gestione dell’attività libero-professionale intramuraria, ivi compresi quelli connessi alle attività di prenotazione e di riscossione degli onorari;

d) monitoraggio aziendale dei tempi di attesa delle prestazioni erogate nell’ambito dell’attività istituzionale, al fine di assicurare il rispetto dei tempi medi fissati da specifici provvedimenti; attivazione di meccanismi di riduzione dei medesimi tempi medi; garanzia che, nell’ambito dell’attività istituzionale, le prestazioni aventi carattere di urgenza differibile vengano erogate entro 72 ore dalla richiesta;

e) prevenzione delle situazioni che determinano l’insorgenza di un conflitto di interessi o di forme di concorrenza sleale e fissazione delle sanzioni disciplinari e dei rimedi da applicare in caso di inosservanza delle relative disposizioni, anche con riferimento all’accertamento delle responsabilità dei direttori generali per omessa vigilanza;

f) adeguamento dei provvedimenti per assicurare che nell’attività libero-professionale intramuraria, ivi compresa quella esercitata in deroga alle disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo 22-bis del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, siano rispettate le prescrizioni di cui alle lettere a), b) e c) del presente comma, anche nel periodo di operatività transitoria delle convenzioni di cui all’alinea, primo periodo, del presente comma, e fermo restando il termine di cui al comma 2, primo periodo, e al comma 10;

g) progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell’ambito dell’attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, al fine di assicurare che il ricorso a quest’ultima sia conseguenza di libera scelta del cittadino e non di carenza nell’organizzazione dei servizi resi nell’ambito dell’attività istituzionale. A tal fine, il Ministro della salute presenta annualmente al Parlamento una relazione sull’esercizio della libera professione medica intramuraria, ai sensi dell’articolo 15-quaterdecies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, con particolare riferimento alle implicazioni sulle liste di attesa e alle disparità nell’accesso ai servizi sanitari pubblici».

Quanto al contenuto del comma 5, esso fa carico a ciascuna delle strutture sanitarie di cui ai commi precedenti di predisporre «un piano aziendale, concernente, con riferimento alle singole unità operative, i volumi di attività istituzionale e di attività libero-professionale intramuraria». Di tale piano deve essere assicurata «adeguata pubblicità ed informazione»; in particolare, ciascun ente sanitario deve provvedere alla esposizione del piano «nell’ambito delle proprie strutture ospedaliere ed all’informazione nei confronti delle associazioni degli utenti, sentito il parere del Collegio di direzione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, o, qualora esso non sia costituito, della commissione paritetica di sanitari» di cui al comma 4 del medesimo articolo 1. Lo stesso comma precisa, poi, che le informazioni suddette debbono riguardare, in particolare, «le condizioni di esercizio dell’attività istituzionale e di quella libero-professionale intramuraria, nonché i criteri che regolano l’erogazione delle prestazioni e le priorità di accesso».

La procedura di approvazione dei piani è disciplinata dal comma 6, il quale stabilisce che essi debbano essere presentati alla Regione o alla Provincia autonoma competente, «in fase di prima applicazione, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e, successivamente, entro un limite massimo di tre anni dall’approvazione del piano precedente». Ciascuna Regione o Provincia autonoma «approva il piano, o richiede variazioni o chiarimenti, entro sessanta giorni dalla presentazione»; in quest’ultimo caso le variazioni o i chiarimenti «sono presentati entro sessanta giorni dalla richiesta medesima» ed esaminati «entro i successivi sessanta giorni». Infine, subito dopo l’approvazione, la Regione o Provincia autonoma «trasmette il piano al Ministero della salute»; decorsi sessanta giorni dalla trasmissione, «in assenza di osservazioni da parte del Ministero della salute, i piani si intendono operativi».

In base al comma 7, inoltre, Regioni e Province autonome «assicurano il rispetto delle previsioni di cui ai commi 1, 2, 4, 5 e 6 anche mediante l’esercizio di poteri sostitutivi e la destituzione, nell’ipotesi di grave inadempienza, dei direttori generali delle aziende, policlinici ed istituti di cui al comma 5». È previsto anche che sia il Governo ad esercitare, a propria volta, i poteri sostitutivi «ai sensi e secondo la procedura di cui all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131», e ciò «in caso di inadempimento», pure «con riferimento alla destituzione di cui al primo periodo del presente comma», da parte delle Regioni e delle Province autonome, alle quali è, per l’effetto, anche «precluso l’accesso ai finanziamenti a carico dello Stato integrativi rispetto ai livelli di cui all’accordo sancito l’8 agosto 2001 dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 6 settembre 2001».

Il comma 8 fa carico alle Regioni e Province autonome di trasmettere al Ministro della salute «una relazione sull’attuazione dei commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7, con cadenza trimestrale fino al conseguimento effettivo, da parte della stessa, del definitivo passaggio al regime ordinario di cui al comma 2, e successivamente con cadenza annuale».

Limitatamente, poi, all’attività clinica e di diagnostica ambulatoriale, il comma 9 dispone che «gli spazi e le attrezzature dedicati all’attività istituzionale possono essere utilizzati anche per l’attività libero-professionale intramuraria, garantendo la separazione delle attività in termini di orari, prenotazioni e modalità di riscossione dei pagamenti».

In stretta connessione con la previsione di cui al comma 4, primo periodo, del medesimo art. 1, il comma 10 stabilisce che le convenzioni ivi menzionate vengano autorizzate dalle Regioni e dalle Province autonome «per il periodo necessario al completamento, da parte delle aziende, policlinici o istituti interessati, degli interventi strutturali necessari ad assicurare l’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria e comunque non oltre il termine di cui al comma 2, primo periodo» (e cioè, diciotto mesi a decorrere dalla data del 31 luglio 2007).

Il comma 11 affida, poi, al Collegio di direzione o, qualora esso non sia costituito, alla commissione paritetica di sanitari di cui al comma 4 del medesimo art. 1, «anche il compito di dirimere le vertenze dei dirigenti sanitari in ordine all’attività libero-professionale intramuraria».

Il comma 12, viceversa, pone a carico di Regioni e Province autonome il compito di «definire le modalità per garantire l’effettuazione, da parte dei dirigenti veterinari del Servizio sanitario nazionale, delle prestazioni libero-professionali che per la loro particolare tipologia e modalità di erogazione esigono una specifica regolamentazione».

Ai sensi del comma 13 è stabilita l’attivazione, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore legge n. 120 del 2007, di un «Osservatorio nazionale sullo stato di attuazione dei programmi di adeguamento degli ospedali e sul funzionamento dei meccanismi di controllo a livello regionale e aziendale, come previsto dall’articolo 15-quaterdecies del citato decreto legislativo n. 502 del 1992».

Infine, il comma 14 dispone che dalla «eventuale costituzione» e «dal funzionamento delle commissioni paritetiche di cui ai commi 4, 5 e 11, nonché dall’attuazione del medesimo comma 11, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».

5.— Così precisato il contenuto delle disposizioni impugnate, occorre preliminarmente procedere alla individuazione della materia entro la quale esse devono essere collocate, almeno in prevalenza.

Al riguardo, la ricorrente Provincia autonoma di Trento prospetta la tesi della loro riconducibilità alle materie dell’ordinamento del personale provinciale o dell’igiene e sanità, con particolare riferimento alla organizzazione della libera professione intramuraria, richiamando norme dello statuto speciale o di attuazione di questo e, in alternativa, le disposizioni degli artt. 117 e 118 Cost.

La Regione Lombardia, dal canto suo, fa riferimento alla materia dell’organizzazione sanitaria che sarebbe di esclusiva competenza regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Solo in via subordinata entrambe le ricorrenti, sul presupposto dell’appartenenza delle norme censurate alla materia della tutela della salute, lamentano la eccessiva specificità ed analiticità delle stesse, che non potrebbero essere considerate espressione di principi fondamentali di competenza statale ai sensi del terzo comma della citata disposizione costituzionale.

L’Avvocatura generale dello Stato nelle sue difese, a sua volta, ha insistito nella tesi secondo cui le disposizioni in questione rientrerebbero nella competenza esclusiva dello Stato a fissare i livelli essenziali di assistenza in materia sanitaria. In ogni caso, anche a volerle considerare rientranti nella materia della tutela della salute, esse conterrebbero principi fondamentali di detta materia, come tali di competenza concorrente statale.

Ciò premesso, deve innanzitutto chiarirsi che, per la Provincia autonoma di Trento, non vengono in rilievo norme dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Südtirol (o delle relative disposizioni di attuazione), bensì l’art. 117 Cost., pure invocato nel ricorso e nelle successive difese.

Questa Corte, infatti, nella sentenza n. 50 del 2007 – oltre ad aver escluso che l’art. 2 del d.lgs. n. 474 del 1975 abbia integrato la competenza legislativa delle Province autonome di Trento e Bolzano in materia sanitaria (negando, così, che con esso si sia inteso «assimilare, quanto alla natura primaria della potestà legislativa, le competenze provinciali ivi contemplate alla competenza della Regione Trentino-Alto Adige») – ha anche ribadito che «l’unica competenza legislativa della Provincia in materia sanitaria (quella appunto di cui all’art. 9, numero 10, dello Statuto regionale)» si configura «come una competenza di tipo concorrente». E nella stessa sentenza la Corte ha ulteriormente precisato che «nessuna norma di attuazione, pur notoriamente dotata di un potere interpretativo ed integrativo del dettato statutario (si vedano, fra le altre, le sentenze di questa Corte n. 51 del 2006, n. 249 del 2005 e n. 341 del 2001), potrebbe trasformare una competenza di tipo concorrente in una competenza di tipo esclusivo, così violando lo statuto regionale».

La giurisprudenza costituzionale ha, altresì, affermato che i poteri delle Province autonome in materia sanitaria si radicano direttamente nel terzo comma dell’art. 117 Cost., il quale prevede una loro competenza in tale materia, attraverso il riferimento alla tutela della salute, sicché – a norma dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 – è alla disposizione costituzionale di cui al citato art. 117 che occorre fare riferimento (sentenze n. 162 del 2007 e n. 134 del 2006).

Ciò chiarito, le tesi sostenute, in via principale, dalle parti contendenti, nella loro assolutezza, non sono condivisibili.

In particolare, non lo è quella che colloca le norme censurate nella materia dell’ordinamento degli uffici regionali o provinciali ovvero nell’ambito dell’organizzazione sanitaria locale. Tale ultimo ambito, peraltro, neppure può essere invocato come "materia” a sé stante, agli effetti del novellato art. 117 Cost., in quanto l’organizzazione sanitaria è parte integrante della "materia” costituita dalla "tutela della salute” di cui al terzo comma del citato art. 117 Cost.

Neppure può ritenersi fondata la tesi della difesa dello Stato che riconduce, in toto, le norme stesse ai livelli essenziali di assistenza (cosìdetti LEA), in quanto la determinazione di tali livelli presuppone la individuazione di prestazioni sanitarie essenziali da assicurare agli utenti del Servizio sanitario nazionale.

Occorre in proposito ricordare, infatti, che nella giurisprudenza di questa Corte la fissazione dei livelli essenziali di assistenza si identifica esclusivamente nella «determinazione degli standard strutturali e qualitativi delle prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale», non essendo «pertanto inquadrabili in tale categoria le norme volte ad altri fini, quali, ad esempio, l’individuazione del fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali (sentenze n. 383 e n. 285 del 2005) o la regolamentazione dell’assetto organizzativo e gestorio degli enti preposti all’erogazione delle prestazioni (sentenza n. 120 del 2005)» (così, da ultimo, la sentenza n. 237 del 2007).

In realtà, è indubbio che l’art. 1 della legge impugnata – anche in ragione dell’eterogeneità del suo contenuto – investa, nel complesso, una pluralità di ambiti materiali, ivi compresi quelli cui hanno fatto riferimento le parti del giudizio. Tuttavia, questa Corte ritiene che la materia sulla quale le disposizioni de quibus, in via prevalente, incidono sia quella della tutela della salute, di competenza ripartita tra lo Stato e le Regioni.

D’altronde, la Corte ha già sottolineato – nello scrutinare un intervento operato dal legislatore statale proprio sul rapporto di lavoro dei dirigenti sanitari, relativo anche ad aspetti attinenti all’attività libero-professionale da essi svolta – che il «nuovo quadro costituzionale», delineato dalla legge di riforma del titolo V della parte II della Costituzione, recepisce, come si è sopra precisato, una nozione della materia "tutela della salute” «assai più ampia rispetto alla precedente materia "assistenza sanitaria e ospedaliera”», con la conseguenza che le norme attinenti allo svolgimento dell’attività professionale intramuraria, «sebbene si prestino ad incidere contestualmente su una pluralità di materie (e segnatamente, tra le altre, su quella della organizzazione di enti "non statali e non nazionali”)», vanno «comunque ascritte, con prevalenza, a quella della "tutela della salute”». Rileva, in tale prospettiva, «la stretta inerenza che tutte le norme de quibus presentano con l’organizzazione del servizio sanitario regionale e, in definitiva, con le condizioni per la fruizione delle prestazioni rese all’utenza, essendo queste ultime condizionate, sotto molteplici aspetti, dalla capacità, dalla professionalità e dall’impegno di tutti i sanitari addetti ai servizi, e segnatamente di coloro che rivestono una posizione apicale» (sentenze n. 181 del 2006 e n. 50 del 2007).

6.— Ancora in via preliminare, devono essere dichiarate inammissibili le questioni proposte dalla Regione Lombardia con riferimento alla violazione dei principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di buon andamento (art. 97 Cost.).

Ed invero, quanto all’ipotizzato contrasto con i citati parametri costituzionali, deve ribadirsi il consolidato orientamento di questa Corte (ex multis, sentenze n. 216 del 2008 e 401 del 2007) secondo il quale «le Regioni sono legittimate a censurare, in via di impugnazione principale, leggi dello Stato esclusivamente per questioni attinenti al riparto delle rispettive competenze», essendosi «ammessa la deducibilità di altri parametri costituzionali soltanto ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite»; evenienza, questa, neppure ipotizzata nel caso di specie.

Non fondata è, invece, la dedotta violazione del principio di leale collaborazione, atteso che costituisce «giurisprudenza pacifica di questa Corte che l’esercizio dell’attività legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione» (così, da ultimo, sentenze n. 222 del 2008 e n. 401 del 2007).

7.— Nel merito, le questioni prospettate dalle ricorrenti sono in parte fondate, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione al riparto della competenza concorrente dello Stato e delle Regioni e Province autonome nella materia in questione.

Risulta, in particolare, costituzionalmente illegittimo l’intero testo dei commi 6 e 11 dell’impugnato art. 1, nonché, ma soltanto in parte qua, quello dei commi 4, 7 e 10 del medesimo articolo.

Si presentano, invece, esenti dai denunciati vizi di costituzionalità i restanti commi 1, 2, 3, 5, 8, 9, 12, 13 e 14.

8.— Non è fondata – come si è appena rilevato – la questione, proposta dalla sola Regione Lombardia, avente ad oggetto i commi 1, 2 e 3 dell’impugnato art. 1.

Le disposizioni ivi contenute lasciano alla più ampia discrezionalità delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano (salva l’enunciazione di alcuni criteri, quali quelli ricavabili dagli stessi commi 2 e 3, che hanno comunque carattere generale) l’assunzione delle iniziative che esse reputino più idonee ad assicurare l’effettuazione di quegli interventi di ristrutturazione edilizia, presso le strutture sanitarie pubbliche, occorrenti per la predisposizione dei locali da destinare allo svolgimento dell’attività libero-professionale intramuraria. Esse, pertanto, si pongono l’obbiettivo di garantire l’effettività del diritto, spettante ai sanitari che abbiano optato per l’esclusività del rapporto di lavoro, di svolgere la sola tipologia di attività libero-professionale loro consentita, cioè quella intramuraria.

Giova, in proposito, ricordare che, ai sensi dell’art. 15-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), se gli «incarichi di direzione di struttura, semplice o complessa, implicano il rapporto di lavoro esclusivo» del sanitario (comma 5), l’opzione per tale tipologia comporta «il diritto all’esercizio di attività libero-professionale individuale, al di fuori dell’impegno di servizio, nell’ambito delle strutture aziendali individuate dal direttore generale d’intesa con il collegio di direzione» (comma 2, lettera a).

Nella stessa prospettiva, del resto, deve osservarsi che la «facoltà di scelta tra i due regimi di lavoro dei dirigenti sanitari (esclusivo e non esclusivo)», è essa stessa «espressione di un principio fondamentale, volto a garantire una tendenziale uniformità tra le diverse legislazioni ed i sistemi sanitari delle Regioni e delle Province autonome in ordine ad un profilo qualificante del rapporto tra sanità ed utenti» (sentenza n. 50 del 2007).

Ne consegue, pertanto, che è destinata a partecipare di questo stesso carattere di normativa di principio anche quella volta ad assicurare che non resti priva di conseguenze, in termini di concrete possibilità di svolgimento dell’attività libero-professionale intramuraria, l’opzione compiuta dal sanitario in favore del rapporto di lavoro esclusivo.

In forza di tali rilievi deve, quindi, concludersi per la non fondatezza della censura che investe i primi tre commi dell’impugnato art. 1.

9.— Deve ritenersi parzialmente illegittimo, invece, il comma 4 dell’art. 1.

Sul punto è necessario esaminare partitamente – seguendo, del resto, la prospettazione contenuta nel ricorso della Provincia autonoma di Trento – il contenuto della norma, giacché esso forma oggetto di due censure.

Il comma in questione stabilisce, per un verso, che «può essere prevista» – tra le misure idonee a garantire il reperimento di locali destinati allo svolgimento dell’attività libero-professionale intra moeniaanche «l’acquisizione di spazi ambulatoriali esterni, aziendali e pluridisciplinari, per l’esercizio di attività sia istituzionali sia in regime di libera professione intramuraria, i quali corrispondano ai criteri di congruità e idoneità per l’esercizio delle attività medesime, tramite l’acquisto, la locazione, la stipula di convenzioni»; ciò «previo parere vincolante da parte del Collegio di direzione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, o, qualora esso non sia costituito, di una commissione paritetica di sanitari che esercitano l’attività libero-professionale intramuraria, costituita a livello aziendale».

Per altro verso, lo stesso comma dispone che Regioni e Province autonome devono garantire che tutte le strutture sanitarie, individuate nel comma stesso, «gestiscano, con integrale responsabilità propria, l’attività libero-professionale intramuraria, al fine di assicurarne il corretto esercizio», attenendosi, in particolare, ad una serie di specifiche prescrizioni, indicate nelle lettere da a) a g) del medesimo comma 4.

Orbene, la censura che investe la previsione da ultimo indicata, contenuta nella seconda parte del comma in esame, non è fondata, in quanto il legislatore statale ha inteso fissare soltanto alcuni criteri di carattere generale attinenti al corretto svolgimento dell’attività libero-professionale intramuraria dei sanitari, nell’ambito della disciplina, ad esso spettante per le motivazioni già in precedenza indicate, di questo peculiare aspetto del loro rapporto di lavoro.

Tali criteri attengono, nell’ordine: al «servizio di prenotazione delle prestazioni» ed al loro volume (lettera a); alla «riscossione degli onorari relativi alle prestazioni erogate» (lettera b); al «tariffario» (lettera c); al «monitoraggio aziendale dei tempi di attesa delle prestazioni erogate nell’ambito dell’attività istituzionale» (lettera d); alla «prevenzione delle situazioni che determinano l’insorgenza di un conflitto di interessi o di forme di concorrenza sleale» (lettera e); ai «provvedimenti per assicurare che nell’attività libero-professionale intramuraria» siano «rispettate le prescrizioni di cui alle lettere a), b) e c)» sopra indicate (lettera f); al «progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell’ambito dell’attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria » (lettera g).

Merita, viceversa, parziale accoglimento la censura che investe la prima parte del comma 4, giacché – nell’ambito di una disposizione che pur riconosce un’ampia facoltà a Regioni e Province autonome nella scelta degli strumenti più idonei ad assicurare il reperimento dei locali occorrenti per lo svolgimento della attività intra moenia – si prevede un parere «vincolante» (da esprimersi da parte del Collegio di direzione di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 502 del 1992, o, in mancanza, della commissione paritetica dei sanitari che esercitano l’attività libero-professionale intramuraria) ai fini dell’acquisto, della locazione o della stipula delle convenzioni finalizzate al reperimento di quegli spazi ambulatoriali esterni, aziendali e pluridisciplinari, da adibire anche allo svolgimento dell’attività libero-professionale intramuraria.

In tal modo è stata posta una prescrizione che, lungi dall’essere espressiva di un principio fondamentale, regola in modo dettagliato ed autoapplicativo l’attività di reperimento dei locali in questione. Così disponendo, però, la norma statale opera una eccessiva compressione della facoltà di scelta spettante alle Regioni e alle Province autonome. Essa è, quindi, lesiva della loro potestà di disciplinare aspetti relativi alle modalità di organizzazione dell’esercizio della libera professione intra moenia da parte dei sanitari che abbiano optato per il tempo pieno. Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007, limitatamente alla parola «vincolante».

10.— In relazione a quanto sopra, deve ritenersi fondata, e per le medesime ragioni, anche la questione di costituzionalità proposta dalle ricorrenti nei confronti del comma 10, che viene esaminato qui per la sua connessione con quanto previsto dal comma 4.

Il citato comma 10 stabilisce che le «convenzioni di cui al comma 4, primo periodo» debbano essere autorizzate dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano «per il periodo necessario al completamento, da parte delle aziende, policlinici o istituti interessati, degli interventi strutturali necessari ad assicurare l’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria e comunque non oltre il termine di cui al comma 2, primo periodo» (e cioè, diciotto mesi a decorrere dalla data del 31 luglio 2007).

Anche la fissazione di questo termine, che risulta eguale per tutte le realtà territoriali, senza che sia possibile tenere conto, se del caso, delle peculiarità di ciascuna di esse, costituisce un intervento di dettaglio, essendo tale termine riferito (diversamente da quello previsto dal comma 2, che presenta portata generale) ad un adempimento specifico, l’autorizzazione alla stipula delle convenzioni finalizzate all’acquisizione degli spazi ambulatoriali esterni, aziendali e pluridisciplinari, occorrenti per l’esercizio di attività sia istituzionali, sia in regime di libera professione intramuraria. Esso, pertanto, avrebbe dovuto essere lasciato alla potestà legislativa delle Regioni e delle Province autonome.

Il comma in esame deve, pertanto, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui così dispone: «e comunque non oltre il termine di cui al comma 2, primo periodo».

11.— Merita, inoltre, accoglimento, tra le questioni relative ai commi 5 e 6, esclusivamente quella concernente il secondo.

Ed invero, il comma 5 detta – come è riconosciuto, del resto, dalla stessa Provincia autonoma di Trento (che, coerentemente, omette di impugnarlo, sotto questo specifico profilo) – una norma di principio, facendo carico a ciascuna «azienda sanitaria locale, azienda ospedaliera, azienda ospedaliera universitaria, policlinico universitario a gestione diretta ed IRCCS di diritto pubblico», di predisporre un piano aziendale, concernente, con riferimento alle singole unità operative, i volumi di attività istituzionale e di attività libero-professionale intramuraria. Il successivo comma 6, invece, nel disciplinare minuziosamente le modalità di approvazione dello stesso, integra un non consentito intervento legislativo di dettaglio; ciò che invece non può ritenersi per le modalità di pubblicazione ed informazione del piano stesso previste dal già citato comma 5. D’altronde, la stessa eccessiva procedimentalizzazione indicata dal comma in esame si presenta incompatibile con la fissazione di un principio fondamentale della materia, appartenendo – per sua stessa natura – all’ambito della disciplina meramente attuativa, come tale rientrante nella sfera di competenza legislativa concorrente delle Regioni e delle Province autonome.

12.― Costituzionalmente illegittimo, in parte qua, è anche il successivo comma 7.

Deve premettersi, innanzitutto, che può ritenersi esente dall’ipotizzato vizio di costituzionalità il primo periodo del comma in esame, nella parte in cui fa carico alle Regioni ed alle Province autonome di assicurare il rispetto delle previsioni di cui ai precedenti commi sia attraverso l’esercizio di poteri sostitutivi nei confronti delle strutture di sanità pubblica, sia attraverso l’irrogazione della sanzione della destituzione, per grave inadempienza, dei direttori generali delle aziende, policlinici ed istituti di cui al comma 5.

Ed invero, quanto alla censura che investe la seconda parte del comma 7, deve rilevarsi che si mantiene nell’ambito dell’enunciazione di un principio fondamentale la scelta del legislatore statale di ricollegare alla «grave inadempienza» dei direttori generali delle strutture sanitarie pubbliche la misura della destituzione. Resta invece ferma, ovviamente, la competenza di Regioni e Province autonome – nell’esercizio della potestà legislativa ad esse spettante – di stabilire i casi in cui sia ravvisabile una «grave inadempienza», di disciplinare il procedimento finalizzato all’applicazione della suddetta misura sanzionatoria, nonché di fissare le altre sanzioni irrogabili in presenza di inadempienze di minore rilievo.

Deve ritenersi, invece, costituzionalmente illegittima la previsione, contenuta nel medesimo comma 7, secondo cui, in «caso di mancato adempimento degli obblighi a carico delle Regioni e delle Province autonome di cui al presente comma, è precluso l’accesso ai finanziamenti a carico dello Stato integrativi rispetto ai livelli di cui all’accordo sancito l’8 agosto 2001 dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 6 settembre 2001».

Si tratta, infatti, di una disposizione che può essere qualificata come di dettaglio, giacché incide su profili che attengono direttamente all’organizzazione del servizio sanitario; profili che rientrano nella competenza organizzativa delle Regioni e delle Province autonome data la stretta inerenza tra l’organizzazione sanitaria regionale e provinciale e i flussi finanziari necessari per assicurare il regolare espletamento del servizio sanitario in sede locale.

È, infine, lesiva dell’art. 120 Cost. la previsione – contenuta nell’ultimo periodo del comma in esame – relativa all’esercizio dei poteri sostitutivi, da parte del Governo, nei confronti delle Regioni e delle Province autonome, giacché destinata ad operare al di fuori dei casi espressamente contemplati dalla norma costituzionale. Non vi è dubbio al riguardo che l’art. 120 Cost. trovi applicazione, nel caso di specie, anche nei confronti della Provincia autonoma di Trento, avendo affermato questa Corte che è «da respingere la tesi secondo la quale i principi dell’art. 120 Cost. non sarebbero in astratto applicabili alla Regioni speciali» (o alla Province autonome), dovendo invece «concludersi che un potere sostitutivo potrà trovare applicazione anche nei loro confronti», giacché la sua previsione è diretta a fare «sistema con le norme costituzionali di allocazione delle competenze» (sentenza n. 236 del 2004)

Resta, invece, salva la facoltà delle Regioni e delle due Province autonome, prevista nel medesimo comma 7, prima parte, di esercitare poteri sostitutivi nell’ipotesi in cui le singole strutture di sanità pubblica non assicurino il rispetto delle prescrizioni contenute nei commi precedenti.

13.― Merita accoglimento anche la censura proposta, nei confronti del comma 11, da entrambe le ricorrenti.

La norma impugnata, in primo luogo, investe profili che attengono strettamente all’organizzazione del servizio sanitario, incidendo, così, sull’autonomia delle scelte organizzative delle Regioni e delle Province autonome.

Essa, inoltre, anche in ragione delle incertezze che circondano la qualificazione giuridica da riservare all’attività affidata al Collegio di direzione o alla commissione paritetica di sanitari («dirimere le vertenze dei dirigenti sanitari in ordine all’attività libero-professionale intramuraria»), nonché alla natura di tali controversie e dei soggetti "contraddittori” dei dirigenti sanitari, si presenta troppo generica per poter essere ritenuta espressiva di un principio fondamentale della materia "tutela della salute”.

14.― Infine, non fondate devono ritenersi le questioni – promosse dalla sola Regione Lombardia – aventi ad oggetto le restanti disposizioni di cui ai commi 8, 9, 12, 13 e 14.

Viene nuovamente in rilievo, al riguardo, l’enunciazione di principi generali, attinenti ora alle informazioni che Regioni e Province autonome dovranno fornire al Ministro della salute in ordine alla piena attuazione del regime dell’intra moenia (comma 8), ora alla separazione che dovrà essere assicurata tra l’attività istituzionale espletata presso le strutture sanitarie pubbliche e quella libero-professionale destinata a svolgersi nei loro spazi (comma 9), ora, infine, alla necessità di prevedere un’attività di monitoraggio attraverso l’istituzione di un apposito Osservatorio nazionale (comma 13).

Infine, non assistiti da fondamento devono ritenersi i dubbi di costituzionalità prospettati con riferimento ai restanti commi 12 e 14, dal momento che il primo riconosce a Regioni e Province autonome un’amplissima facoltà di regolamentazione dell’attività libero-professionale dei dirigenti veterinari (senza, invero, dettare prescrizioni di sorta in grado di limitare l’autonomia delle ricorrenti), mentre il secondo si limita a stabilire che dalla costituzione e dal funzionamento delle più volte menzionate commissioni paritetiche di sanitari che esercitano l’attività libero-professionale intramuraria «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Trattandosi di norme che possono essere qualificate come espressive di principi fondamentali della materia, esse non sono suscettibili di apportare alcuna lesione alla potestà spettante alle ricorrenti di intervenire con legislazione di dettaglio nella materia della tutela della salute.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 4, della legge 3 agosto 2007, n. 120 (Disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria), limitatamente alla parola «vincolante»;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, della medesima legge n. 120 del 2007;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 7, della medesima legge n. 120 del 2007, limitatamente alle parole «In caso di mancato adempimento degli obblighi a carico delle regioni e delle province autonome di cui al presente comma, è precluso l’accesso ai finanziamenti a carico dello Stato integrativi rispetto ai livelli di cui all’accordo sancito l’8 agosto 2001 dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 6 settembre 2001. Il Governo esercita i poteri sostitutivi in caso di inadempimento da parte delle regioni o delle province autonome, ai sensi e secondo la procedura di cui all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, anche con riferimento alla destituzione di cui al primo periodo del presente comma»;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 10, della medesima legge n. 120 del 2007, limitatamente alle parole «e comunque non oltre il termine di cui al comma 2, primo periodo»;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 11, della medesima legge n. 120 del 2007;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della medesima legge n. 120 del 2007, promossa dalla Regione Lombardia – in riferimento ai principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e buon andamento (art. 97 Cost.) – con il ricorso di cui in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della medesima legge n. 120 del 2007, promossa dalla Regione Lombardia – in riferimento al principio di leale collaborazione (art. 120 Cost.) – con il ricorso di cui in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, della medesima legge n. 120 del 2007, promossa dalla Provincia autonoma di Trento in riferimento agli artt. 8, numero 1), 9, numero 10), e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché in riferimento al d.P.R. 218 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità), al d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti integrazioni alle norme di attuazione in materia di igiene e sanità approvate con d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474), all’art. 8 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), ed agli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), nonché agli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione in connessione con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, 2, 3, 5, 8, 9, 12, 13 e 14 della medesima legge n. 120 del 2007, promossa dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2008.