SENTENZA N. 45
ANNO 2010
Commento alla decisione di
Roberto Bin
Lavori
pubblici: quanto «intangibili» sono le materie enumerate negli Statuti
speciali?
(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita
SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo
Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale della legge della
Provincia autonoma di Trento 24 luglio 2008, n. 10 (Modificazioni della legge
provinciale 10 settembre 1993, n.
Visti gli atti di costituzione della Provincia
autonoma di Trento;
udito nell’udienza pubblica del 12 gennaio
2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi l’avvocato dello Stato Danilo del Gaizo
per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giandomenico Falcon,
Andrea Manzi e Franco Mastragostino per la Provincia autonoma di Trento.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato il 9 ottobre
2008 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 14 ottobre
(reg. ric. n. 62 del 2008), il Presidente del Consiglio dei ministri ha
impugnato la legge della Provincia autonoma di Trento 24 luglio 2008, n. 10
(Modificazioni della legge provinciale 10 settembre 1993, n.
2.— Il ricorrente ha prospettato la
violazione degli articoli 11, 117, primo e secondo comma, lettere e), l), ed
m), della Costituzione, nonché degli artt. 4 e 8, primo comma, del decreto del
Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo
unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige).
3.— Espone la difesa dello Stato che la
legge provinciale sospettata di illegittimità costituzionale si interseca con
la disciplina dettata dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione
delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), il quale all’art. 4, comma 5,
stabilisce che «le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento
e Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute
negli statuti e nelle relative norme di attuazione».
Secondo il ricorrente, come la Corte
costituzionale ha avuto modo di affermare con la sentenza n. 401 del
2007, per la Provincia autonoma di Trento opera, a tale riguardo, il meccanismo
sancito dal decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra
atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà
statale di indirizzo e coordinamento), il quale all’art. 2, tra l’altro,
prevede che «la legislazione regionale e provinciale deve essere adeguata ai
principi e norme costituenti limiti indicati dagli articoli 4 e 5 dello statuto
speciale e recati da atto legislativo dello Stato». Lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige/Südtirol, a sua volta, attribuisce alle Province autonome
la potestà legislativa in diverse materie tra le quali, assumono rilievo le
seguenti: «tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare»
(art. 8, primo comma, n. 3, dello statuto di autonomia); «urbanistica e piani
regolatori» (art. 8, primo comma, n. 5, dello statuto di autonomia); «opere di
prevenzione e di pronto soccorso per calamità pubbliche» (art. 8, primo comma,
n. 13, dello statuto di autonomia); «viabilità, acquedotti e lavori pubblici di
interesse provinciale» (art. 8, primo comma, n. 17, dello statuto di
autonomia).
Lo statuto, nel citato art. 8, precisa
che detta potestà deve essere esercitata «entro i limiti indicati dall’art. 4»
e, pertanto, «in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento
giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e
degli interessi nazionali – tra i quali è compreso quello della tutela delle
minoranze linguistiche locali – nonché delle norme fondamentali delle riforme
economico-sociali della Repubblica» (art. 4, primo comma, dello statuto di
autonomia).
La giurisprudenza della Corte
costituzionale, con la sentenza n. 269 del
2007, ha ritenuto che tra i suddetti limiti rientra anche quello di
prestare puntuale osservanza al diritto comunitario, precisando che «le
direttive comunitarie, infatti, fungono da norme interposte atte ad integrare
il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale (nel
caso di specie, della normativa della Provincia autonoma di Trento)
all’ordinamento comunitario, in base agli artt. 117, primo comma, e 11 Cost.,
quest’ultimo inteso quale principio fondamentale».
Il Presidente del Consiglio dei ministri
rileva, quindi, in ragione dei richiamati limiti, che le disposizioni censurate
appaiono in contrasto con le direttive comunitarie sui pubblici appalti, in
quanto non rispettano l’obbligo di dare puntuale esecuzione al diritto
comunitario.
Inoltre, deduce l’Avvocatura dello
Stato, anche dopo la riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, la
Corte costituzionale, ha ritenuto, con le sentenze n. 51
e n. 447 del
2006, che «il legislatore statale conserva quindi il potere di vincolare la
potestà legislativa primaria della Regione speciale attraverso l’emanazione di
leggi qualificabili come "riforme economico-sociali”» (citata sentenza n. 51 del
2006).
Al riguardo è innegabile, secondo il
ricorrente, che le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 163 del 2006 rechino,
oltre a principi generali dell’ordinamento giuridico, norme fondamentali di
riforma economico-sociale. In tal senso viene in rilievo la scelta del
legislatore statale di dare alla concorrenza una tutela rafforzata e maggiore
rispetto a quella apprestata dal diritto comunitario. In proposito sono
richiamate: la previsione di un numero minore di ipotesi nelle quali si può
ricorrere alla procedura negoziata; «il divieto di procedura negoziata per
l’affidamento delle concessioni di lavori»; l’estensione «dei principi del
Trattato CE ai contratti di sponsorizzazione»; la tassatività dei casi di
utilizzo dell’accordo quadro per gli appalti di lavori; una maggiore apertura
alla concorrenza nelle procedure ristrette.
Tali opzioni, afferma l’Avvocatura dello
Stato, sono «sconfessate» dalla Provincia autonoma di Trento, che, invece, con
le norme impugnate ha: «esteso l’utilizzo della procedura negoziata; consentito
la procedura negoziata per l’affidamento delle concessioni; regolato con gara
solo le sponsorizzazioni relative a beni culturali; ristretto la concorrenza
nelle procedure ristrette».
Secondo il ricorrente, inoltre, limiti
alla potestà legislativa provinciale sussistono, altresì, in ragione delle
competenze legislative statali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, Cost.,
in ordine alla tutela della concorrenza, all’ordinamento civile, alla
giurisdizione, alle norme processuali e alla giustizia amministrativa, così
come definite dalla citata sentenza della Corte
costituzionale n. 401 del 2007, in relazione ai contratti pubblici relativi
a lavori, servizi e forniture.
4.— Tanto premesso, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha specificato le censure come di seguito, in sintesi,
riportato, salvo quella relativa alla sostituzione, nella legge prov. n. 26 del
1993, dell’art. 1 comma 1, che è priva totalmente di considerazioni, pur
essendo stata indicata nell’epigrafe del ricorso.
L’art. 1 della legge prov. n. 10 del
2008, nel sostituire l’art. 1, della legge prov. n. 26 del 1993, al comma 2 di
quest’ultimo, stabilisce che la legge in questione «si applica per la
realizzazione di lavori pubblici d’importo inferiore alla soglia comunitaria
nonché di lavori d’importo superiore alla soglia medesima», «dimenticando» che
le direttive comunitarie in materia si applicano anche a quelli di importo pari
alla soglia comunitaria.
Pertanto, ad avviso del ricorrente, la
suddetta norma eccederebbe le competenze statutarie e lederebbe il vincolo del
diritto comunitario.
Il comma 4, dell’art. 1 della legge
prov. n. 26 del 1993, come sostituito, poiché attiene ai contratti misti,
ambito che rientra nella materia ordinamento civile, violerebbe la potestà
legislativa esclusiva dello Stato.
A sua volta, il comma 6 dell’art. 1
della legge prov. n. 26 del 1993, come novellato, reca una disciplina delle
opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione in contrasto con i principi
affermati dal Trattato CE a tutela della concorrenza. Da un lato, per gli
appalti sopra soglia si prevede un regime di affidamento diverso da quello
fissato dall’art. 32 del d.lgs. n. 163 del 2006;
dall’altro si consente l’affidamento diretto delle opere a scomputo sotto
soglia. Il Presidente del Consiglio dei ministri, a sostegno delle proprie
censure, ricorda, altresì, che il suddetto affidamento diretto ha formato
oggetto di procedura di infrazione promossa dalla commissione europea nei
confronti della Repubblica italiana, che è stata superata novellando l’art. 122
del Codice degli appalti. Il suddetto comma 6, pertanto, sarebbe
incostituzionale in relazione all’art. 4, dello statuto, perché violerebbe gli
obblighi internazionali dello Stato derivanti dall’ordinamento comunitario e
perché invaderebbe la materia tutela della concorrenza riservata alla potestà
legislativa dello Stato.
Analogamente è censurato l’art. 1, comma
7, della legge prov. n. 26 del 1993, come sostituito dall’art. 1 della legge
prov. n. 10 del 2008. Tale norma attiene ai contratti di sponsorizzazione,
disciplinati solo con riguardo ai lavori relativi a beni culturali, «con
l’effetto di legittimare la trattativa privata per le altre sponsorizzazioni»,
in contrasto con quanto previsto dall’art. 26 del d.lgs. n. 163 del 2006.
L’art. 2 della legge prov. n. 10 del
2008 introduce l’art. 1-bis della legge prov. n.
26 del 1993, che detta i principi dell’attività contrattuale. La norma
lederebbe la competenza statale a dettare i principi generali della materia, in
particolare laddove si consideri che essa riproduce solo quelli enunciati
dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006 e non quelli contenuti nei
commi 2, 3 e 4 del suddetto art. 2, «laddove la legislazione provinciale non
può sottrarsi a tali principi».
L’art. 3 della legge prov. n. 10 del
2008 introduce l’art. 1-ter della legge prov. n.
26 del 1993 e reca «"le definizioni” dei tipi contrattuali, delle
procedure, dei soggetti, delle varianti». La norma introdotta sarebbe
incostituzionale, in tutti i suoi commi, perché tocca istituti rientranti nelle
materie tutela della concorrenza ed ordinamento civile.
Inoltre, in particolare, i commi 5, 6,
8, e 13 del suddetto art. 1-ter sarebbero illegittimi perché riguardano i
servizi o i concorsi di progettazione, e dunque un ambito che non rientra tra
quelli di cui all’art. 8 del citato statuto speciale.
L’art. 4 della legge prov. n. 10 del
2008, sarebbe incostituzionale nella parte in cui sostituisce l’art. 2 della
legge prov. n. 26 del 1993, il cui comma 2 fa riferimento ai soggetti privati
che affidano lavori pubblici di importo superiore a tre milioni di euro,
finanziati dalla Provincia in misura superiore al 50 per cento, assoggettandoli
agli obblighi delle stazioni appaltanti pubbliche. Il Codice degli appalti,
invece, fissa la diversa e inferiore soglia di un milione di euro, così
assicurando una maggiore concorrenzialità. La norma provinciale invaderebbe,
pertanto, la materia tutela della concorrenza.
L’art. 5 della legge prov. n. 10 del
2008, nel sostituire l’art. 3 della legge prov.
n. 26 del 1993, stabilisce i criteri di determinazione del valore degli
appalti, «ricalcando» la disciplina del d.lgs. n. 163 del 2006. Poiché la
soglia di valore attiene alla tutela della concorrenza, la norma sarebbe incostituzionale.
L’art. 6 della legge prov. n. 10 del
2008 introduce l’art. 3-bis della legge prov. n.
26 del 1993. Tale disposizione, poiché «reca una definizione sconosciuta
al diritto comunitario e nazionale» di «lavori sequenziali», invaderebbe la competenza
statale in materia tutela della concorrenza.
L’art. 10 della legge prov. n. 10 del
2008, nel sostituire l’art. 7-bis, della legge
prov. n. 26 del 1993, che disciplina il diritto di accesso e i divieti
di accesso agli atti in materia di lavori pubblici, sarebbe lesivo della
potestà legislativa statale nelle materie tutela della concorrenza, ordinamento
civile e livelli essenziali delle prestazioni.
L’art. 15 della legge prov. n. 10 del
2008, sostituisce l’art. 12 della legge prov. n.
26 del 1993 e disciplina le prescrizioni tecniche. Ad avviso del
ricorrente «si tratta delle specifiche tecniche che possono essere chieste ai
concorrenti in relazione alle prestazioni, e attengono alla tutela della
concorrenza. A riprova, esse ricevono una minuta disciplina da parte delle
direttive comunitarie sui pubblici appalti». L’intero articolo sarebbe
incostituzionale perché invaderebbe la competenza legislativa statale.
L’art. 16 della legge prov. n. 10 del
2008, modifica l’art. 13 della legge prov. n. 26
del
L’art. 17 della legge prov. n. 10 del
2008, introduce l’art. 13-bis della legge prov.
n. 26 del 1993 che elenca le materie demandate al regolamento
provinciale e al capitolato generale provinciale e disciplina i capitolati. La disposizione, nella parte in cui
disciplina i capitolati (art. 13-bis, comma 2, lettera c, e comma 3) sarebbe
incostituzionale. Poiché questi ultimi hanno natura contrattuale, gli stessi
rientrerebbero nella materia ordinamento civile riservata allo Stato.
Anche il comma l sarebbe
incostituzionale laddove rinvia al regolamento provinciale senza specificare
che quest’ultimo non può disciplinare le materie di competenza legislativa
statale esclusiva.
Nel dettaglio, poi, sono state demandate
al regolamento provinciale materie che rientrano nell’ordinamento civile e
nella tutela della concorrenza, come tali riservate allo Stato. Sotto tale
profilo, sarebbe incostituzionale il comma 2, lettere: b); e); f); i); j); k);
1); m); n); o); p); q); r); s). Tale disposizione, infatti, eccederebbe la
competenza statutaria, attribuendo alla Provincia la potestà regolamentare
nella seguenti materie: norme tecniche connesse con la progettazione dei
lavori; forme di pubblicità e di conoscibilità degli atti procedimentali;
requisiti soggettivi, certificazioni di qualità, qualificazione degli esecutori
e modalità di verifica, secondo i criteri stabiliti dalla presente legge;
procedure di affidamento dei contratti, compresi i servizi di ingegneria e
architettura e le prestazioni di consulenza e supporto tecnico-amministrativo
nonché forme di comunicazione, verbali, informazioni ai candidati e agli
offerenti, spese di pubblicità, inviti, comunicazioni; contenuti della progettazione
definitiva in caso di contratti d’appalto aventi a oggetto la progettazione
esecutiva e l’esecuzione dei lavori; modalità di stipulazione e contenuto del
contratto; direzione dei lavori e coordinamento della sicurezza in fase di
esecuzione, relative coperture assicurative e attività di supporto
tecnico-amministrativo; disciplina delle penali e dei premi e loro modalità
applicative; attività necessarie per l’avvio dell’esecuzione dei contratti e
per le sospensioni disposte dal direttore dell’esecuzione o dal responsabile
del procedimento; esecuzione dei lavori; forma e contenuto della contabilità
dei lavori; proroghe; contestazioni, controversie e riserve; formulazione di
nuovi prezzi; schemi-tipo di cauzioni e polizze assicurative; casi e procedure
per l’esecuzione d’ufficio dei lavori; modalità di collaudo e attività di
supporto tecnico-amministrativo, comprese le ipotesi di collaudo semplificato
sulla base di apposite certificazioni di qualità, i relativi compensi, i
requisiti professionali secondo le caratteristiche dei lavori.
L’art. 18, comma 1, lettera a), della
legge prov. n. 10 del 2008, modifica
l’art. 14 della legge prov. n. 26 del 1993,
introducendo i commi 01 e 02. Tali disposizioni, nell’indicare il contenuto del
documento preliminare di progettazione, lederebbero i livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale ai quali concorre la progettazione uniforme
delle opere pubbliche.
L’art. 20 della legge prov. n. 10 del
2008 introduce l’art. 17-bis nella legge prov.
n. 26 del 1993. Esso disciplina il «documento tecnico di cantiere», che
può essere chiesto dal direttore dei lavori nella fase esecutiva. La norma
interferirebbe con la progettazione e con l’esecuzione, che costituiscono
oggetto della potestà legislativa statale, ai sensi dell’art. 117, lettere l)
ed m), Cost.
L’art. 22, comma 1, lettera c), della
legge n. 10 del 2008, nel modificare l’art. 20, comma 5, della legge prov. n.
26 del 1993, disciplina l’affidamento esterno degli incarichi di progettazione
e «pertanto, la tutela della concorrenza (tra cui rientrano secondo la Corte
costituzionale le procedure di affidamento), e gli appalti di servizi, che non
sono compresi tra le materie di competenza legislativa provinciale» secondo
l’art. 11 (recte: art. 8) dello statuto di autonomia.
L’art. 22, comma 1, lettera d), nel
modificare l’art. 20, comma 8, della legge prov. n. 26 del 1993, indicando come
vanno utilizzate le tariffe professionali, lederebbe la potestà legislativa
statale nella materia tutela della concorrenza.
L’art. 22, comma 1, lettera e),
nell’introdurre nell’art. 20 della legge prov. n. 26 del 1993, il comma 12-bis,
detta limiti al subappalto per i servizi di progettazione. Esso ricadrebbe,
pertanto, nelle materie tutela della concorrenza ed ordinamento civile, ed
atterrebbe, altresì, alla fase di esecuzione del contratto, anch’essa da
ascrivere all’ordinamento civile.
L’art. 22, comma 1, lettera e),
nell’introdurre nell’art. 20 della legge prov. n. 26 del 1993, il comma 12-ter,
disciplina i requisiti soggettivi per l’affidamento e verrebbe ad incidere,
pertanto, sulla materia tutela della concorrenza.
L’art. 23, della legge n. 10 del 2008
sostituisce l’art. 21 della legge prov. n. 26 del
1993. La norma sarebbe incostituzionale, nel suo complesso, in quanto disciplina
i concorsi di progettazione, che esulano dalla materia lavori pubblici,
rientrando tra i servizi. Si tratterebbe, altresì, di un istituto riconducibile
alla materia tutela della concorrenza.
L’art. 24 della legge prov. n. 10 del
2008, è impugnato nella parte in cui
sostituisce l’art. 22, comma 3, della legge
prov. n. 26 del 1993. La norma sarebbe incostituzionale in quanto,
mediante il rinvio al precedente art. 20, disciplinerebbe anche l’affidamento
di incarichi esterni, «che rientra nelle procedure di affidamento e dunque
nella materia tutela della concorrenza, riservata allo Stato».
L’art. 25 sostituisce l’art. 23 della legge prov. n. 26 del 1993 e nel disciplinare l’istituto
della garanzia dell’offerta sarebbe interamente incostituzionale. La garanzia
infatti è un contratto civilistico, che rientra nella materia ordinamento
civile e pertanto non può essere disciplinato dalla legge provinciale.
L’art. 26 della legge prov. n. 10 del
2008, introduce l’art. 23-bis della legge prov.
n. 26 del 1993. Detta norma, nel disciplinare le garanzie che
l’esecutore dei lavori è tenuto a prestare, invaderebbe la materia ordinamento
civile.
L’art. 27 della legge prov. n. 10 del
2008, modifica l’art. 24, comma l, della legge
prov. n. 26 del 1993. Esso sarebbe lesivo delle competenze statali, laddove
disciplina gli incarichi esterni di collaudo e i requisiti soggettivi
richiesti, incidendo sulle materie ordinamento civile e tutela della concorrenza.
L’art. 28 della legge prov. n. 10 del
2008 sostituisce l’art. 27 della legge prov. n.
26 del 1993. La norma sarebbe incostituzionale in quanto disciplina, in
generale, le procedure di affidamento, la pubblicità e i termini – tutti
istituti regolati dalle direttive comunitarie sugli appalti – che rientrano
nella materia «tutela della concorrenza», riservata alla legge statale.
L’art. 29 della legge n. 10 del 2008
introduce l’art. 27-bis della legge prov. n. 26
del 1993, relativo alla pubblicità dei bandi di gara. La disposizione in
esame sarebbe incostituzionale perché invade la materia tutela della
concorrenza. Una pubblicità uniforme su tutto il territorio nazionale, infatti,
è condizione essenziale per la concorrenza.
L’art. 30 della legge prov. n. 10 del
2008 sostituisce l’art. 28 della legge prov. n.
26 del 1993, che disciplina gli avvisi di aggiudicazione, incidendo
sulla materia della tutela della concorrenza.
L’art. 31 introduce l’art. 28-bis della legge prov. n. 26 del 1993. Esso disciplina le
informazioni circa i mancati inviti, le esclusioni e le aggiudicazioni. Anche
in questo caso sarebbe lesa la potestà legislativa statale in materia di tutela
della concorrenza, oltre quella attinente alla giurisdizione e al processo.
Infatti, una pubblicità uniforme su tutto il territorio nazionale è condizione
essenziale per la concorrenza ed è inoltre prodromica alla tutela
giurisdizionale. A sostegno delle proprie argomentazioni, il ricorrente deduce
che «la disciplina delle informazioni circa mancati inviti, esclusioni e
aggiudicazioni forma oggetto di disciplina dettagliatissima da parte delle
direttive comunitarie sugli appalti, essendo strumentale alla tutela
giurisdizionale e ai meccanismi di standstill previsti dalla direttiva ricorsi
di imminente recepimento in Italia». Si imporrebbe «pertanto come
indispensabile una disciplina unitaria su tutto il territorio nazionale».
L’art. 32 della legge n. 10 del 2008
modifica l’art. 29, comma 2-bis, della legge
prov. n. 26 del 1993, e disciplina i contratti a corpo e a misura in
modo difforme dal d.lgs. n. 163 del 2006, come successivamente modificato. La
disposizione sarebbe incostituzionale perché interviene in un ambito materiale
che rientra nella tutela della concorrenza.
L’art. 33 della legge n. 10 del 2008
modifica l’art. 30 della legge prov. n. 26 del
1993. Il comma 1, lettera a), nell’inserire il comma 1-bis, nel citato
art. 30, sarebbe incostituzionale in
quanto disciplina il dialogo competitivo, incidendo così sulle procedure di
affidamento, che sono riservate allo Stato in quanto rientrano nella tutela
della concorrenza.
L’art. 34 della legge n. 10 del 2008
sostituisce l’art. 31 della legge prov. n. 26
del 1993 e disciplina la licitazione, «e dunque una procedura di
affidamento, che è riservata allo Stato, quale istituto rientrante nella tutela
della concorrenza». Espone la difesa dello Stato, in proposito, «che
l’espressione "licitazione” non appartiene più al linguaggio comunitario e
nazionale (essendo sostituita dalla denominazione "procedura ristretta”), e che
il diritto nazionale a maggior tutela della concorrenza impone che nella
procedura ristretta siano invitate tutte le imprese che ne fanno richiesta, e
non solo quelle scelte dalla stazione appaltante, come dispone, invece, la
legge provinciale, che dunque garantisce una minore soglia di tutela della
concorrenza».
L’art. 35 della legge n. 10 del 2008
sostituisce l’art. 33 della legge prov. n. 26
del 1993 e disciplina la procedura negoziata, consentendola in un
maggiore numero di casi rispetto alla legislazione statale. L’intera
disposizione, riguardando una procedura di affidamento, invaderebbe la materia
tutela della concorrenza, oltretutto dando a quest’ultima una minore tutela, e
sarebbe, perciò, incostituzionale.
L’art. 36 della legge n. 10 del 2008
introduce l’art. 33-bis, della legge prov. n. 26
del 1993. La norma sarebbe incostituzionale in quanto disciplina il
dialogo competitivo, che costituisce una procedura di affidamento, come tale
rientrante nella tutela della concorrenza riservata allo Stato.
L’art. 37 introduce l’art. 33-ter della legge prov. n. 26 del 1993 e disciplina
l’accordo quadro, che costituisce, anch’esso, una procedura di affidamento,
come tale rientrante nella tutela della concorrenza riservata allo Stato.
Inoltre, ad avviso del ricorrente, «la legge provinciale consente l’accordo
quadro in un numero indefinito di casi, lasciati, con norma in bianco, al
futuro regolamento provinciale, laddove l’art. 59 del d.lgs. n. 163 del 2006
limita l’accordo quadro, nel campo dei lavori, ai soli lavori di manutenzione,
a maggior tutela della concorrenza». L’intero articolo, pertanto, sarebbe
incostituzionale.
L’art. 38 introduce l’art. 33-quater della legge prov. n. 26 del 1993 e disciplina
l’asta elettronica, che costituisce una procedura di affidamento, come tale
rientrante nella materia tutela della concorrenza riservata alla potestà
legislativa dello Stato. L’intera disposizione sarebbe, quindi,
incostituzionale. Inoltre, deduce la difesa erariale, l’asta viene disciplinata
anche con riferimento ai servizi, oltre che ai lavori, laddove lo statuto non
attribuisce alla legge provinciale competenza in ordine agli appalti di
servizi.
Gli articoli da
Lo stesso, secondo il ricorrente,
dovrebbe valere in ordine all’art. 47 della legge prov. n. 10 del 2008, che modifica l’art. 41, commi 2,
3 e 5 della legge prov. n. 26 del 1993.
Detta norma sarebbe incostituzionale in
quanto disciplina i controlli sui soggetti ammessi alle gare e i requisiti di
partecipazione, istituti che, secondo la giurisprudenza costituzionale
rientrano nella materia tutela della concorrenza, riservata alla potestà
legislativa statale.
L’art. 45, nel modificare l’art. 39
della legge prov. n. 23 del 1993, disciplina i criteri di aggiudicazione, così
incidendo su profili rientranti nella tutela della concorrenza, in quanto tali
riservati alla potestà legislativa statale. In particolare, per le suddette
ragioni, sarebbe da ritenere illegittimo l’art. 45, comma 1, lettera a), della
legge prov. n. 10 del 2008, che sostituisce l’art. 39, comma 1, lettera b),
della legge prov. n. 26 del 1993, quanto
alle parole: «determinata in base a una pluralità di elementi, variabili
secondo la natura, le caratteristiche e l’oggetto del contratto, definiti dal
regolamento di attuazione; l’amministrazione committente indica nel bando di
gara o nell’invito gli elementi di valutazione e i rispettivi pesi oppure, se
questo è impossibile per ragioni debitamente motivate, l’ordine decrescente
d’importanza loro attribuita».
L’art. 46 inserisce l’art. 40-bis nella legge prov. n. 26 del 1993 e «disciplina
le fasi dell’aggiudicazione e stipulazione, e riguarda la sequenza "procedura
di evidenza pubblica” che rientra nella tutela della concorrenza».
Disciplinando la forma del contratto, lo stesso articolo invaderebbe anche la
materia dell’ordinamento civile.
L’art. 48 sostituisce l’art. 42 della legge prov. n. 26 del 1993, e disciplina
il subappalto. La diposizione sarebbe incostituzionale in quanto invaderebbe le
materie ordinamento civile e ordine pubblico, riservate allo Stato.
L’art. 53 sostituisce l’art. 46-ter della legge prov. n. 26 del 1993, e reca la
disciplina economica del rapporto contrattuale. Lo stesso, perciò, inerisce
alla fase di esecuzione del contratto e dunque sarebbe incostituzionale poiché
invade la materia ordinamento civile.
L’art. 55 sostituisce l’art. 49 della legge prov. n. 26 del 1993, e reca la
disciplina della concessione di lavori pubblici. Secondo il ricorrente «si
tratta della definizione e descrizione di uno dei tipi contrattuali in materia
di lavori pubblici, si ricade pertanto nella materia della tutela della concorrenza
riservata allo Stato». L’intera norma sarebbe, quindi, incostituzionale.
L’art. 56 sostituisce l’art. 50 della legge prov. n. 26 del 1993, e disciplina
la pubblicità delle procedure di affidamento delle concessioni. Si ricadrebbe
nell’istituto delle procedure di affidamento che rientra nella materia della
tutela della concorrenza, riservata allo Stato. Verrebbe inoltre «consentita
per l’affidamento delle concessioni la procedura negoziata, che invece il
legislatore nazionale non ammette, a maggior tutela della concorrenza. Sicché
la legge provinciale si traduce in una diminuzione della concorrenza effettiva
nel delicato settore delle concessioni di lavori pubblici». Per le suddette
argomentazioni, l’intero articolo sarebbe incostituzionale.
L’art. 57 introduce l’art. 50-bis nella legge prov. n. 26 del 1993, e disciplina
l’affidamento diretto al concessionario dei lavori complementari che attiene
alla materia tutela della concorrenza, riservata allo Stato.
L’art. 58 introduce l’art. 50-ter nella legge prov. n. 26 del 1993, e disciplina
gli appalti del concessionario. La norma, in quanto attiene all’istituto delle
procedure di affidamento e, segnatamente, alle condizioni di affidamento
esterno, sarebbe lesiva della potestà legislativa dello Stato nella materia
tutela della concorrenza.
L’art. 59 introduce il capo VII-bis e
l’art. 50-quater nella legge prov. n. 26 del
1993, «riscrivendo ex novo la finanza di progetto». Quest’ultima
«costituisce un tipo contrattuale per la realizzazione dei lavori pubblici, e
delle relative procedure di affidamento, con i connessi temi dei requisiti
soggettivi, della società di progetto, delle garanzie, della risoluzione e del
recesso. Tutti istituti che rientrano nella materia tutela della concorrenza».
La società di progetto, l’emissione di obbligazioni, le garanzie, la
risoluzione e il recesso rientrano anche nella materia ordinamento civile.
«L’intero capo VII-bis, e dunque gli artt. da
L’art. 73
della legge prov. n. 10 del 2008 sostituisce l’art. 51 della legge prov. n. 26 del 1993, relativo alle
varianti in corso di esecuzione del contratto.
L’art. 74 della legge prov. n. 10 del 2008, introduce l’art. 51-bis della legge prov. n. 26 del 1993, relativo alle
varianti migliorative.
Entrambe le disposizioni sarebbero
incostituzionali, in quanto attengono alla fase di esecuzione del contratto,
che rientra nella materia ordinamento civile, riservata allo Stato.
L’art. 79
della legge prov. n. 10 del 2008 introduce nella legge prov. n. 26 del 1993 il capo X-bis dedicato al contratto.
L’intero capo disciplina la fase di esecuzione del contratto relativo ai lavori
pubblici, che è un contratto di diritto privato, che ricade nella materia
ordinamento civile riservata al legislatore statale.
«L’intero capo X-bis, e pertanto gli
articoli da
In particolare, l’art. 86 della legge prov. n. 10 del 2008, che
introduce l’art. 58.8, nella legge prov. n. 26
del 1993, relativo alle procedure di affidamento in caso di fallimento
dell’esecutore o risoluzione del contratto per grave inadempimento
dell’esecutore, viola altresì la materia tutela della concorrenza, in quanto
disciplinando una procedura di affidamento, contrasta con l’art. 140 del Codice
degli appalti, come novellato.
A sua volta, l’art. 90 della legge prov. n. 10 del 2008, che
introduce l’art. 58.12 nella legge prov. n. 26
del 1993, relativo alle riserve dell’appaltatore e alle contestazioni
tra quest’ultimo e l’amministrazione aggiudicatrice, nella misura in cui
disciplina l’accordo bonario e il ricorso amministrativo alla Giunta
provinciale, entrambi strumenti alternativi di risoluzione delle liti, invaderebbe
la materia «giustizia amministrativa» che rientra nella legislazione statale
esclusiva.
L’art. 91
della legge prov. n. 10 del 2008 introduce il capo X-ter e l’art. 58.13 nella legge prov. n. 26 del 1993, disciplinando
i lavori relativi a beni culturali e il relativo ambito. Il ricorrente sostiene
che «se è vero che rientra nella competenza legislativa esclusiva provinciale
la tutela dei beni culturali, ai sensi dell’art. 11» (recte: 8) «dello statuto,
tuttavia tale materia legislativa provinciale va definita tenendo conto della
competenza esclusiva statale nelle materie tutela della concorrenza,
ordinamento civile, giurisdizione, norme processuali, giustizia
amministrativa». Pertanto, deve ritenersi preclusa alla legge provinciale la
disciplina dei lavori su beni culturali, quanto ai tipi contrattuali, alle
procedure di affidamento, ai requisiti soggettivi, alle garanzie, alla fase di
esecuzione, con la conseguente illegittimità costituzionale delle norme in
esame.
L’art. 92
della legge prov. n. 10 del 2008 introduce l’art. 58.14 nella legge prov. n. 26 del 1993 relativo agli
appalti misti per i beni culturali: si tratta di disciplina del tipo
contrattuale riservata, in quanto tale, al legislatore statale.
L’art. 93
della legge prov. n. 10 del 2008 introduce l’art. 58.15 nella legge prov. n. 26 del 1993 relativo
all’affidamento separato o congiunto dei lavori su beni culturali. Pertanto, si
inciderebbe sulle procedure di affidamento.
L’art. 94 della legge prov. n. 10 del 2008, introduce l’art. 58.16 nella legge prov. n. 26 del 1993 «relativo ai
requisiti di qualificazione, istituto che rientra nella tutela della
concorrenza».
L’art. 95
della legge prov. n. 10 del 2008 introduce l’art. 58.17 nella legge prov. n. 26 del 1993 relativo alle
attività di progettazione, direzione e accessorie. Tale ambito, inerendo ad
appalti di servizi, esulerebbe dalla competenza legislativa provinciale.
L’art. 97 della legge prov. n. 10 del 2008 introduce l’art. 58.19 nella legge prov. n. 26 del 1993 relativo alla
progettazione, «materia preclusa alla legislazione provinciale».
L’art. 98 della legge prov. n. 10 del 2008 introduce l’art. 58.20 nella legge prov. n. 26 del 1993 relativo alle
varianti, ambito che rientra nella fase di esecuzione del contratto, e dunque
nella materia ordinamento civile riservata alla potestà legislativa dello
Stato.
L’art. 99
della legge prov. n. 10 del 2008 introduce il capo X-quater e l’art.
58.21 nella legge prov. n. 26 del 1993,
dettando una disciplina per i lavori di importo superiore alla soglia
comunitaria. Il riferimento all’importo superiore alla soglia comunitaria si
porrebbe in contrasto con gli obblighi internazionali. Ed infatti, le direttive
comunitarie sui pubblici appalti, e conseguentemente il diritto nazionale che
le recepisce, si applicano ai contratti di importo pari o superiore alla soglia
comunitaria, e non solo a quelli di importo superiore.
Gli articoli da
In particolare, l’art. 100,
nell’introdurre l’art. 58.22 nella legge prov.
n. 26 del 1993, relativo alle procedure di affidamento degli incarichi
di progettazione sopra soglia comunitaria, inciderebbe sulla materia tutela
della concorrenza riservata allo Stato. Inoltre, la Provincia autonoma di
Trento non avrebbe statutariamente la competenza a disciplinare gli appalti di
servizi, nel cui ambito rientrano gli incarichi di progettazione.
L’art. 101 introduce l’art. 58.23
relativo alle procedure aperte o ristrette: si verterebbe in materia tutela
della concorrenza, riservata allo Stato.
L’art. 102 introduce l’art. 58.24
relativo all’asta pubblica, che costituisce procedura di affidamento, come tale
rientrante nella tutela della concorrenza.
L’art. 103 introduce l’art. 58.25
relativo alla procedura ristretta, come tale rientrante, anch’esso, nella
tutela della concorrenza.
L’art. 104 introduce l’art. 58.26
relativo all’appalto-concorso, che rientra tra le procedure di affidamento e
dunque nella materia tutela della concorrenza.
L’art. 105 introduce l’art. 58.27
relativo all’avvalimento, istituto che attiene ai requisiti soggettivi di
partecipazione alle gare e, come tale, rientra nella tutela della concorrenza.
L’art. 106 introduce l’art. 58.28,
relativo agli avvisi di preinformazione, che attengono alle procedure di
affidamento e dunque alla tutela della concorrenza.
L’art. 107 introduce l’art. 58.29
relativo alle offerte anomale, che attengono ai criteri di selezione delle
offerte, istituto rientrante nella materia tutela della concorrenza.
L’art. 108 introduce l’art. 58.30 relativo
a progettazione e direzione dei lavori, istituti preclusi, per le ragioni sopra
esposte, alla legislazione provinciale.
L’art. 110 sostituisce l’art. 64 della
più volte citata legge provinciale, stabilendo che per quanto da essa non
disposto, si applica la normativa comunitaria in materia, che può essere
specificata con i regolamenti provinciali di attuazione della suddetta legge
provinciale.
La disposizione da ultimo richiamata
sarebbe incostituzionale nella parte in cui rinvia solo al diritto comunitario
e non anche al diritto statale; quest’ultimo, infatti, «si pone come necessaria
fonte interposta tra il diritto comunitario e il diritto regionale o
provinciale, nelle materie che sono di competenza legislativa esclusiva
statale».
L’art. 111, commi 1 e 2, sarebbe
incostituzionale nella misura in cui demanda ad un regolamento provinciale le
norme attuative in materie riservate alla competenza legislativa statale
esclusiva. In tali materie, infatti, la competenza regolamentare spetta allo
Stato, secondo quanto disposto dall’art. 5 del d.lgs.
n. 163 del 2006.
L’art. 112, comma 2, consentendo
un’ultrattività della disposizione abrogata dal precedente comma – art. 9 della
legge della Provincia autonoma di Trento 13
dicembre 1999, n. 6 (Interventi della Provincia autonoma di Trento per
il sostegno dell’economia e della nuova imprenditorialità. Disciplina dei patti
territoriali in modifica della legge provinciale 8 luglio 1996, n. 4 e
disposizioni in materia di commercio) che
disponeva una maggiorazione del 10 per cento dell’aiuto all’investimento
rispetto ai livelli di intensità previsti dalla normativa comunitaria,
limitatamente alle domande di agevolazione pendenti non ancora definite –
determinerebbe una violazione del rispetto del vincolo comunitario, di cui
all’art. 8, primo comma, dello statuto di autonomia, in combinato disposto con
l’art. 117, primo comma, Cost.
5.— In data 28 ottobre 2008, si è
costituita la Provincia autonoma di Trento che ha chiesto dichiararsi
inammissibili o non fondate le questioni di costituzionalità in esame.
6.— Con un ulteriore ricorso (reg. ric.
n. 92 del 2008), notificato il 21 novembre 2008 e depositato il successivo
giorno 25, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 29,
commi 2 e 3, della legge della Provincia autonoma di Trento 12 settembre 2008,
n. 16 (Disposizioni per la formazione dell’assestamento del bilancio annuale
2008 e pluriennale 2008-2010 e per la formazione del bilancio annuale 2009 e
pluriennale 2009-2011 della Provincia autonoma di Trento – legge finanziaria
provinciale 2009).
Con il citato comma 2 sono stati
inseriti nell’art. 111 della legge prov. n. 10 del 2008 i commi 1-bis e 1-ter.
Il citato comma 1-bis dispone: «in
deroga a quanto previsto dal comma 1, la disciplina del capo VII-bis della legge
provinciale n. 26 del 1993, ad eccezione dell’articolo 50 sexies,
ivi compresi gli articoli da essa richiamati, introdotta da questa legge, può
essere applicata dalle amministrazioni aggiudicatrici a decorrere dalla data di
entrata in vigore di questo comma, anche per gli interventi per i quali gli
strumenti di programmazione di tali amministrazioni già prevedono, a tale data,
il ricorso alla finanza di progetto. In tal caso le disposizioni attuative
eventualmente necessarie sono stabilite con gli atti di gara».
Il successivo comma 1-ter stabilisce:
«in deroga a quanto previsto dal comma 1 sono inoltre immediatamente
applicabili i commi
4 e 5 dell’articolo 46-ter della legge provinciale n. 26 del 1993,
come sostituito da questa legge».
A sua volta il comma 3 del suddetto art.
Ad avviso del ricorrente l’art. 29,
comma 2, sarebbe incostituzionale per illegittimità derivata dall’illegittimità
degli artt. 2, 4, 29, 36, 42, 53, 55 e da
Le disposizioni in questione, sarebbero
altresì viziate per «autonoma violazione delle suddette norme della
Costituzione e dello statuto di autonomia».
Il comma 1-bis, inserito dal suddetto
comma 2 dell’art.
Analoghe considerazioni sono svolte
rispetto al comma 1-ter, il quale dispone l’immediata applicabilità dei commi 4
e 5 dell’art. 46-ter della legge n. 26 del 1993, come sostituito dall’art. 53
della legge prov. n. 10 del 2008, già censurato in quanto lesivo della potestà
legislativa statale in materia di ordinamento civile, poiché detterebbe una
disciplina economica del rapporto contrattuale.
L’art. 29, comma 3, sarebbe
incostituzionale in ragione dell’illegittimità dell’art. 112 della legge prov.
n. 10 del 2008 (per violazione degli artt. 11, 117, primo e secondo comma,
lettere e, l, ed m, della Costituzione, nonché degli artt. 4 e 8 del d.P.R. n.
670 del 1972). Lo stesso sarebbe, altresì, lesivo, autonomamente «delle
suddette norme della Costituzione e dello statuto di autonomia».
In particolare, la modifica introdotta
dall’art. 29, comma 3, consentendo un’ultrattività dell’abrogato art. 9 della
legge prov. n. 6 del 1999, risulterebbe autonomamente lesiva della normativa
comunitaria di riferimento e, di conseguenza, violerebbe l’art. 8 dello
statuto, che impone al legislatore provinciale il rispetto del diritto
comunitario, in combinato disposto con l’art. 117, primo comma, della
Costituzione.
7.— In data 11 dicembre 2008, si è
costituita la Provincia autonoma di Trento che ha chiesto dichiararsi
inammissibili o non fondate le questioni in esame.
8.— In data 6 ottobre 2009 la Provincia
autonoma di Trento ha depositato memoria, in ordine al ric. n. 62 del 2008, con
la quale ha articolato una pluralità di tesi difensive.
In premessa, la Provincia ha esposto di
aver adottato la legge nella quale sono contenute le disposizioni impugnate
nell’esercizio della potestà legislativa di cui all’art. 8, primo comma, n. 17,
dello statuto di autonomia ed in adempimento dello specifico obbligo di
adeguamento dell’ordinamento provinciale ai principi di riforma e di rispetto
degli obblighi comunitari contenuti nel d.lgs. n. 163 del 2006, compito
riconosciuto come «incombente» dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 401 del 2007.
Tanto osservato la resistente ha
dedotto, in particolare, quanto segue.
8.1.— In primo luogo, è prospettato che
la competenza legislativa esercitata da essa Provincia nella fattispecie in
esame è stata affermata dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 401 del
2007.
Ed infatti, in detta sede veniva
dichiarata inammissibile per difetto di interesse l’impugnazione dell’art. 4,
comma 3, del decreto legislativo n. 163 del 2006.
Ad avviso della Provincia, la citata
sentenza ha stabilito che, in ragione dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992,
nonché della clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 4, comma 5, del
d.lgs. n. 163 del 2006, le norme del Codice degli appalti non hanno determinato
un’abrogazione di leggi provinciali preesistenti, ma solo un obbligo di
adeguamento.
8.2.— In secondo luogo, si rileva che
l’identificazione della materia lavori pubblici provinciali e dei suoi confini
va effettuata con riferimento alla situazione anteriore alla riforma
costituzionale del
All’entrata in vigore della novella
dettata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione) la competenza di cui all’art. 8, primo
comma, n. 17, dello statuto comprendeva, pacificamente, oltre alla
programmazione e al finanziamento dell’opera pubblica, anche la fase
amministrativa di scelta dell’altro contraente, nonché la disciplina del
contenuto della volontà della pubblica amministrazione, anche quando essa si
fosse manifestata con o negli strumenti di diritto privato.
A sostegno delle proprie argomentazioni,
la Provincia ha richiamato le disposizioni legislative che si sono succedute
nel tempo (art. 4, comma 4, della legge della Provincia autonoma di Trento 10
settembre 1973, n. 40, che reca "Interventi straordinari per opere pubbliche e
norme in materia di lavori pubblici”; legge della Provincia autonoma di Trento
29 luglio 1976, n. 20, che reca "Norme per l’acceleramento delle procedure in
materia di opere pubbliche”; artt. 9-11 della legge della Provincia autonoma di
Trento 27 gennaio 1978, n. 3, che reca "Integrazioni di programmi di opere
pubbliche e nuove procedure amministrative”). La resistente ha ricordato,
altresì, che con la legge provinciale 3 gennaio 1983, n. 2 (Norme per
l’esecuzione di lavori pubblici di interesse provinciale) è stata adottata una
disciplina organica sulla esecuzione dei lavori pubblici.
A detta legge si è aggiunta la legge
provinciale 19 luglio 1990, n. 23 (Disciplina dell’attività contrattuale e
dell’amministrazione dei beni della Provincia autonoma di Trento).
Quindi alla disciplina della citata
legge n. 2 del 1983 è subentrata quella dettata dalla legge prov. n. 26 del
1993, modificata dalle disposizioni impugnate.
Prima della legge impugnata ha osservato
la Provincia, l’esercizio di detta potestà legislativa, intesa come relativa
all’intero ciclo della esecuzione dell’opera pubblica, non aveva costituito
oggetto di contestazioni. Ciò sarebbe giustificato dalla circostanza che non
avrebbe senso l’attribuzione della suddetta competenza se la Provincia non
potesse disciplinare la realizzazione dell’opera pubblica dalla prima
progettazione alla finale esistenza.
A conferma di ciò è richiamato l’art.
19-bis del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381 (Norme
di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in
materia di urbanistica ed opere pubbliche), contenente le disposizioni di
attuazione delle previsioni statutarie (è citata la sentenza n. 230 del
2001).
Tale ricostruzione del contenuto della
materia lavori pubblici provinciali sarebbe, altresì, avallata dalla
giurisprudenza costituzionale.
La Provincia in proposito richiama le sentenze n. 86 del
1979, n. 214
del 1985 e n.
482 del 1995, ed afferma che dell’ampiezza e della complessità della suddetta
materia si ha ulteriore conferma con la sentenza n. 302 del
2003, secondo la quale le norme sulla qualificazione degli esecutori di
lavori pubblici ricadono nel settore delle opere pubbliche di interesse
provinciale, ma non necessariamente devono essere uniformi, ed è
incostituzionale un regolamento dello Stato che pretenda di dettarle.
8.3.— In terzo luogo, la Provincia
sottolinea come l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 tenda a far sì che le
Regioni ad autonomia speciale usufruiscano dell’incremento di autonomia
contenuto nella novella in quanto sia rispettata l’autonomia di cui godevano in
base allo statuto.
In tal senso è richiamata la sentenza n. 48 del
2003, con la quale si riconosce che la competenza sull’ordinamento degli
enti locali attribuita alle Regioni ad autonomia speciale non è intaccata dalla
riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, ma sopravvive, quanto
meno, negli stessi ambiti e negli stessi limiti definiti dagli statuti.
La persistenza della potestà legislativa
provinciale, con riguardo all’ambito in questione, emergerebbe, comunque, dalla
stessa sentenza
n. 401 del 2007, laddove quest’ultima ha ritenuto sussistente il difetto
d’interesse all’impugnazione del citato art. 4, comma 3, del Codice degli
appalti, anche in ragione della clausola di adeguamento di cui al successivo
comma 5 del medesimo art. 4.
La stessa prassi legislativa è in tal
senso, tenuto conto, ad esempio. che la statuizione normativa sulla rilevazione
in ambito provinciale dell’aumento dei costi dei materiali (art. 13, comma
6-ter, della legge n. 26 del 1999, ora sostituito dall’impugnato art. 16 della
legge prov. n. 10 del 2008) risultava già dall’art. 23 della legge provinciale
15 dicembre 2004, n. 10 (Disposizioni in materia di urbanistica, tutela
dell’ambiente, acque pubbliche, trasporti, servizio antincendi, lavori pubblici
e caccia) e dall’art. 47 della legge provinciale 29 dicembre 2005, n. 20
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2006 e pluriennale
2006-2008 della Provincia autonoma di Trento − legge finanziaria).
8.4.— In ragione di tali premesse,
nonché della circostanza che i lavori pubblici provinciali costituiscono una
vera materia, ad avviso della resistente lo scrutinio di costituzionalità va
condotto alla luce dei limiti stabiliti dallo statuto, come specificati, in particolare,
in quelli delle riforme economico-sociali e degli obblighi comunitari.
Le disposizioni statali dettate a tutela
della concorrenza, pertanto, non possono imporsi tout court alla Provincia, in
quanto adottate nell’esercizio di una potestà legislativa statale, ma solo nel
caso in cui le stesse corrispondano a principi di riforma economico-sociale e
agli obblighi internazionali della Repubblica (sono richiamate le sentenze n. 65 del
2005 e n.
230 del 2001).
Analoghe considerazioni valgono per la
resistente in ordine alle disposizioni espressione della potestà legislativa
statale in materia di ordinamento civile.
Diversamente, quest’ultimo si
estenderebbe fino a ricomprendere tutta la fase preliminare alla stipulazione,
di formazione della volontà della stazione appaltante e tutta la fase
successiva, in cui l’amministrazione si determina ad utilizzare questo o quello
strumento privatistico (sono richiamate le sentenze n. 159 del
2008 e n. 35
del 1992).
8.5.— La Provincia dà atto, tuttavia,
che la Corte costituzionale con la sentenza n. 411 del
2008 è sembrata discostarsi dalla clausola dell’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001, ed ammettere che le competenze enunciate dall’art. 117, secondo
comma, Cost. possono avere un effetto limitativo delle competenze statutarie.
Tuttavia, ciò rappresenta una
ingiustificata differenziazione rispetto alla costante linea giurisprudenziale
del Giudice delle leggi.
Né sarebbe giustificata l’applicazione
del criterio della prevalenza, utilizzato con riguardo alle Regioni a statuto
ordinario. Detto criterio, ad avviso della resistente, sarebbe stato utilizzato
dalla sentenza
n. 401 del 2007 per «riedificare (…) le materie "tutela della concorrenza”
e "ordinamento civile” che la giurisprudenza costituzionale precedente aveva
"smaterializzato” inquadrandole in materie "trasversali”, e che (…) nella sentenza n. 411 del
2008 essa ha assunto come perno della sua motivazione».
8.6.— Resta fermo, pertanto, ad avviso
della Provincia autonoma, che il vaglio di costituzionalità deve tener conto
delle disposizioni statutarie. In tal senso, sono richiamate le sentenze n. 1 del
2008 e n. 14
del 2004, le quali mettono in evidenza tale metodologia di giudizio.
8.7.— Poiché ad avviso della Provincia
il ricorso dello Stato muove dall’asserzione della incompetenza della Provincia
medesima a dettare le disposizioni censurate, le questioni sottoposte all’esame
della Corte sarebbero infondate.
Nel caso in cui, invece, si ritenesse
che lo Stato ha contestato il superamento dei limiti statutari, le questioni
sarebbero inammissibili per genericità delle censure, in quanto il ricorrente
deduce la contrarietà alle disposizioni del Codice degli appalti, ma non
argomenta sulla natura di norme di riforma economico-sociale delle stesse, dal
momento che tale qualifica non può attribuirsi ad un intero complesso normativo
statale. Né può affermarsi che la tutela della concorrenza, per sua stessa natura,
debba essere necessariamente uniforme.
Proprio l’esame dell’ordinamento
comunitario pone in luce come siano lasciati spazi di discrezionalità. Così, la
stessa Commissione europea esemplifica diverse forme di pubblicità che possono
essere seguite dalle amministrazioni per i contratti sotto soglia di interesse
trasfrontaliero certo (Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 15
maggio 2008, resa nelle cause C-147/06 e C-148/06, paragrafi 31 e 33).
8.8.— Infine, rileva la Provincia che
nell’affermare la propria potestà legislativa, essa non intende difendere
«normative opache, con le quali si innalzino barriere protezionistiche, a
tutela di interessi localistici».
Ad impedire ciò sussiste il limite del
rispetto della Costituzione (in particolare, gli artt. 3, 41 e 120 Cost.).
8.9.— Passando all’esame delle singole
censure la Provincia contesta le violazioni prospettate dallo Stato e mette in
evidenza la genericità delle censure stesse.
9.— In data 7 ottobre 2009, la Provincia
ha depositato memoria anche in ordine al ricorso n. 92 del 2008.
9.1.— Innanzi tutto, nel dedurre
l’infondatezza e l’inammissibilità delle censure prospettate in ordine all’art.
29, comma 2, della legge prov. n. 16 del 2008, sono richiamate le difese
prospettate con la memoria relativa al ricorso n. 62 del 2008.
In ordine alle ragioni che hanno
determinato la disposta anticipazione del termine di entrata in vigore della
disciplina dell’istituto della finanza di progetto, si osserva che risponde
all’interesse pubblico mettere subito in campo la normativa in esame.
Ciò vale anche per l’immediata
applicazione dei commi 4 e 5 dell’art. 46-ter della legge n. 26 del 1996, come
sostituito dalla legge n. 10 del 2008, che riguardano alcuni meccanismi di
regolazione delle condizioni economiche del contratto.
Ad avviso della Provincia, pur venendo
enunciato, non sarebbe in effetti prospettato alcun vizio autonomo della norma
in questione, ragione per la quale la relativa censura sarebbe inammissibile
per genericità.
9.2.— Analoghe considerazioni sono
svolte con riguardo all’impugnazione dell’art. 29, comma 3, della legge prov.
n. 16 del 2008.
Mancano, infatti, le motivazioni che
facciano comprendere per quale ragione sarebbe costituzionalmente illegittima
la reviviscenza parziale, e limitata ad un periodo, con tutta evidenza
transitorio, della norma di cui è stata disposta l’abrogazione.
Sarebbe palese, quindi,
l’inammissibilità delle censure per genericità.
La questione, comunque, non sarebbe
fondata in quanto la norma impugnata, nel prevedere aiuti finanziari di
sostegno economico alle imprese, è estranea alla materia dei lavori pubblici di
interesse provinciale.
Tale ultrattività, inoltre, troverebbe
giustificazione nell’esigenza di garantire parità di trattamento e mantenere l’azione
amministrativa nei canoni di imparzialità e buon andamento.
Considerato in diritto
1.— Con un primo ricorso (n. 62 del
2008) il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato numerose
disposizioni della legge della Provincia autonoma di Trento 24 luglio 2008, n.
10 (Modificazioni della legge provinciale 10 settembre 1993, n.
Le disposizioni impugnate, secondo il
ricorrente, esorbiterebbero dalla competenza legislativa primaria che l’art. 8
dello statuto speciale attribuisce, nei limiti predeterminati dal precedente
art. 4, alla Provincia, in materia soprattutto di «lavori pubblici di interesse
provinciale» (art. 8, primo comma, n. 17).
Tali disposizioni, infatti,
inciderebbero su ambiti materiali di competenza legislativa statale esclusiva,
quali la tutela della concorrenza, l’ordinamento civile e i livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili che debbono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale; nell’esercizio di tali competenze lo Stato ha
emanato il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE).
Inoltre, le disposizioni impugnate,
sotto alcuni profili, lederebbero anche la potestà legislativa statale in
materia di giurisdizione, norme processuali, giustizia amministrativa e tutela
dell’ambiente.
1.1.— Con un ulteriore ricorso (n. 92
del 2008) il Presidente del Consiglio dei ministri ha anche impugnato l’art.
29, commi 2 e 3, della legge provinciale 12 settembre 2008, n. 16 (Disposizioni
per la formazione dell’assestamento del bilancio annuale 2008 e pluriennale
2008-2010 e per la formazione del bilancio annuale 2009 e pluriennale 2009-2011
della Provincia autonoma di Trento – legge finanziaria provinciale 2009).
Secondo il ricorrente, l’art. 29, comma
2, sarebbe viziato da illegittimità derivata dall’illegittimità degli artt. 2,
4, 29, 36, 42, 53, 55 e da
Le disposizioni in questione sarebbero,
altresì, lesive direttamente dei suddetti parametri costituzionali.
2.— I due giudizi, per la loro
connessione, devono essere riuniti ai fini di un’unica decisione.
3.— In via preliminare, deve essere
esaminata l’eccezione della Provincia autonoma di Trento, secondo cui le
questioni proposte dallo Stato sarebbero tutte inammissibili o comunque non
fondate, essendosi formato «un vero e proprio giudicato vincolante tanto per lo
Stato quanto per la Provincia» a seguito della sentenza di questa Corte n. 401 del 2007
(punto 6.1 del Considerato in diritto), là dove si è dichiarato il difetto di
interesse della Provincia ad impugnare il Codice degli appalti.
L’eccezione non è fondata.
Con la citata decisione è stata
dichiarata inammissibile per difetto di interesse la questione proposta
dall’odierna resistente nei confronti, tra l’altro, del comma 3 dell’art. 4 del
d.lgs. n. 163 del 2006. Tale norma disciplina le procedure di gara e la fase di
esecuzione del contratto in relazione alle quali le Regioni non possono
prevedere una disciplina diversa da quella stabilita nel medesimo Codice degli
appalti.
Per giungere a tale conclusione questa
Corte ha richiamato la clausola di salvaguardia contenuta nel comma 5 dell’art.
4 del suddetto Codice, secondo cui «le Regioni a statuto speciale e le Province
autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le
disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione». A
questo fine opera, pertanto, il meccanismo prefigurato dall’art. 2 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali
e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e
coordinamento), secondo il quale l’emanazione di nuove norme statali non
determina una diretta abrogazione di leggi provinciali preesistenti, ma solo
l’obbligo di adeguamento «ai principi e norme costituenti limiti indicati dagli
artt. 4 e 5 dello statuto speciale», che siano stati determinati dalla
legislazione dello Stato, entro i sei mesi successivi alla pubblicazione
dell’atto legislativo statale nella Gazzetta Ufficiale o nel più ampio termine
da esso stabilito. Nella sentenza citata si afferma, inoltre, come il mancato
adempimento di siffatto obbligo può essere fatto valere dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorso contro leggi provinciali che non si sono
«adeguate».
Da queste affermazioni non può,
pertanto, desumersi, come sostiene la difesa della Provincia, che la legge
impugnata, costituendo esecuzione del dovere di adeguamento, non possa essere
oggetto della impugnazione principale ora in esame.
Appare evidente che l’eccezione di
giudicato si basa su un equivoco. La resistente ritiene che l’impugnazione
proposta dallo Stato, involgente la quasi totalità delle norme contenute nella
legge provinciale, postuli la negazione della competenza della Provincia
autonoma relativa alla adozione della stessa legge. In realtà l’impugnazione è
rivolta nei confronti di specifiche disposizioni della legge stessa, senza però
che sia stata dedotta la negazione della competenza della Provincia ad adottare
una normativa in materia; normativa adottata in attuazione di quanto previsto
dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. Non viene, pertanto, in rilievo nella
specie alcun giudicato costituzionale comportante preclusione per lo Stato ad
impugnare le leggi provinciali de quibus.
4.— Prima di esaminare le singole
censure proposte con i due ricorsi dello Stato, occorre stabilire, avuto
riguardo ai rilievi contenuti nelle memorie della difesa provinciale, se
trovino applicazione, o comunque rilevino, le norme contenute nel Titolo V
della parte II della Costituzione ovvero debbano essere applicate soltanto
quelle contemplate nello statuto speciale.
In particolare, la resistente assume
che, avendole il predetto statuto attribuito la materia dei lavori pubblici di
interesse provinciale, troverebbero applicazione esclusivamente le disposizioni
statutarie perché più favorevoli rispetto al sistema di competenza delineato,
nel settore in esame, dal Titolo V della parte II della Costituzione. Pertanto,
a giudizio della difesa provinciale, «l’identificazione della materia e dei
suoi confini va svolta con riferimento alla situazione normativa anteriore alla
riforma costituzionale del
Come è noto, secondo l’art. 10 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte
seconda della Costituzione) «sino all’adeguamento dei rispettivi statuti», le
disposizioni della stessa legge costituzionale «si applicano anche alle Regioni
a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano per le
parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già
attribuite».
Questa Corte
ha chiarito che la funzione espletata dal citato art. 10 è quella «di garantire
alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome – attraverso un
procedimento di adeguamento automatico e all’esito di una valutazione
complessiva dei due sistemi in comparazione – quegli spazi di maggiore
autonomia previsti dalle norme contemplate dal nuovo Titolo V, in attesa della
revisione dei singoli statuti speciali attraverso il procedimento introdotto
dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti
l’elezione diretta dei presidenti delle Regioni a statuto speciale e delle
Province autonome di Trento e di Bolzano)» (sentenza n. 370 del
2006). Con la norma in esame, la legge costituzionale n. 3 del
Occorre, pertanto, accertare, in applicazione dei predetti principi, il rapporto che intercorre tra le disposizioni contenute nel novellato Titolo V e quelle contenute nello statuto speciale della Regione Trentino Alto-Adige/Südtirol.
Va premesso che, con riferimento al riparto di competenze legislative tra lo Stato e le Regioni a statuto ordinario, questa Corte ha più volte affermato che, in mancanza di espressa indicazione costituzionale, nel nuovo art. 117 Cost., i lavori pubblici «non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono» (sentenza n. 303 del 2003) e pertanto possono essere ascritti, di volta in volta, a potestà legislative statali o regionali. Ne deriva che non è «configurabile né una materia relativa ai lavori pubblici nazionali, né tantomeno un ambito materiale afferente al settore dei lavori pubblici di interesse regionale» (sentenza n. 401 del 2007, punto 3 del Considerato in diritto). Si è, inoltre, puntualizzato che «tali affermazioni non valgono soltanto per i contratti di appalti pubblici, ma sono estensibili all’intera attività contrattuale della pubblica amministrazione che non può identificarsi in una materia a sé, ma rappresenta, appunto, un’attività che inerisce alle singole materie sulle quali essa si esplica» (citata sentenza n. 401 del 2007). In questa prospettiva, avendo riguardo alle competenze delle singole Regioni, deve ritenersi che esse sono legittimate a regolare soltanto quelle fasi procedimentali che afferiscono a materie di propria competenza, nonché gli oggetti della procedura rientranti anch’essi in ambiti materiali di pertinenza regionale (sentenza n. 160 del 2009). Questa Corte ha poi affermato che, «al fine di evitare che siano vanificate le competenze delle Regioni» a statuto ordinario, è consentito che norme regionali riconducibili a tali competenze possano produrre «effetti proconcorrenziali», purché tali effetti «siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza» (citata sentenza n. 160 del 2009, che riprende, testualmente, le affermazioni della sentenza n. 431 del 2007).
L’art. 8, primo comma, n. 17), del d.P.R. n. 670 del 1972, recante lo statuto speciale, attribuisce, invece, alle Province autonome di Trento e di Bolzano competenza legislativa primaria in materie specificamente enumerate, tra le quali rientra anche quella dei «lavori pubblici di interesse provinciale». Tale espressa previsione di una competenza propria nella materia in questione e l’ampiezza della stessa sono tali da comportare una maggiore autonomia delle Province autonome così come delle Regioni a statuto speciale rispetto a quella assicurata alle Regioni a statuto ordinario dal novellato Titolo V, che, come già sottolineato, non contempla un ambito materiale, nel settore dei lavori pubblici, che possa considerarsi di competenza regionale.
Quanto sin qui esposto non significa, però, che – in relazione alla disciplina dei contratti di appalto che incidono nell’ambito territoriale della Provincia – la legislazione provinciale sia libera di esplicarsi senza alcun vincolo e che non possano trovare applicazione le disposizioni di principio contenute nel d.lgs. n. 163 del 2006.
Lo stesso art. 8, sopra citato, prevede che la potestà legislativa primaria della Provincia deve osservare i limiti previsti dall’art. 4 dello statuto, il quale stabilisce che la potestà legislativa regionale, ma anche quella provinciale, deve esplicarsi «in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali (…) nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica». Ne consegue che la potestà legislativa provinciale in questa specifica materia deve essere esercitata, come questa Corte ha già avuto modo di affermare con riguardo ad altri ambiti ex art. 8 dello statuto di autonomia, nel rispetto dei suddetti limiti (sentenze n. 226 del 2009, n. 378 del 2007).
4.1.— Orbene, deve rilevarsi come tra gli obblighi internazionali sia da annoverarsi il rispetto dei principi generali del diritto comunitario e delle disposizioni contenute nel Trattato del 25 marzo 1957 istitutivo della Comunità europea, ora ridenominato, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e, in particolare, per quanto interessa in questa sede, di quelle che tutelano la libera concorrenza.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare che la nozione di concorrenza di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 della Costituzione «non può che riflettere quella operante in ambito comunitario» (sentenza n. 401 del 2007).
Avendo riguardo al diritto europeo, devono, pertanto, essere ricomprese in tale nozione: a) «le misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione» (sentenza n. 430 del 2007): si tratta, in sintesi, di misure antitrust; b) le disposizioni legislative «di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese» (citata sentenza n. 430 del 2007): si tratta, in sintesi, di misure volte ad assicurare la concorrenza "nel mercato”; c) le disposizioni legislative che perseguono il fine di assicurare procedure concorsuali di garanzia mediante la strutturazione di tali procedure in modo da assicurare «la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici» (sentenza n. 401 del 2007): si tratta, in sintesi, di interventi mirati a garantire la concorrenza "per il mercato” (da ultimo, sentenza n. 160 del 2009).
Nello specifico settore degli appalti vengono in rilievo tutte le disposizioni che perseguono fini riconducibili all’esigenza sia di evitare comportamenti delle imprese idonei ad alterare le regole concorrenziali sia di garantire la progressiva liberalizzazione dei mercati in cui sono ancora presenti barriere all’entrata o altri impedimenti all’ingresso di nuovi operatori economici.
In questa sede assumono, poi, rilevanza
particolare le norme che, disciplinando la fase procedimentale prodromica alla
stipulazione del contratto, si qualificano per la finalità perseguita di
assicurare la concorrenza "per” il mercato. Si tratta di disposizioni che, sul
piano comunitario, e dunque anche sul piano dell’ordinamento dello Stato,
tendono a tutelare essenzialmente i principi della libera circolazione delle
merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi
(artt. da
La previsione, infatti, di norme che si discostino, eventualmente, dal modello definito in ambito comunitario viola tanto i valori tutelati dal diritto europeo impedendo o restringendo l’esercizio delle fondamentali libertà comunitarie, quanto le corrispondenti normative statali adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.
In conclusione sul punto, la Provincia autonoma di Trento, nel dettare norme in materia di lavori pubblici di interesse provinciale, pur esercitando una competenza primaria specificamente attribuita dallo statuto di autonomia, deve non di meno rispettare, con riferimento soprattutto alla disciplina della fase del procedimento amministrativo di evidenza pubblica, i principi della tutela della concorrenza strumentali ad assicurare le libertà comunitarie e dunque le disposizioni contenute nel Codice degli appalti che costituiscono diretta attuazione delle prescrizioni poste a livello europeo.
4.2.— Altro limite alla suddetta competenza legislativa provinciale è rinvenibile nei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, tra i quali sono ricompresi anche quelli afferenti alla disciplina di istituti e rapporti privatistici, che non può che essere uniforme sull’intero territorio nazionale, in ragione della esigenza di assicurare il rispetto del principio di uguaglianza.
In relazione a questo aspetto viene in rilievo, in linea generale, la fase di conclusione ed esecuzione del contratto di appalto. Con riferimento a tale fase questa Corte, infatti, ha avuto modo di rilevare come l’amministrazione si ponga in una posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisca non nell’esercizio di poteri amministrativi, bensì nell’esercizio della propria autonomia negoziale (sentenza n. 401 del 2007).
A ciò è da aggiungere che nella suindicata fase di conclusione ed esecuzione del rapporto contrattuale si collocano anche istituti che rispondono ad interessi unitari e che, implicando valutazioni e riflessi finanziari, che non tollerano discipline differenziate nel territorio dello Stato, possono ritenersi espressione del limite rappresentato dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali (sia pure con riferimento ad un singolo istituto afferente alla fase esecutiva, si vedano la sentenza n. 447 del 2006 e, prima della riforma del Titolo V, la sentenza n. 482 del 1995).
In definitiva, la Provincia autonoma è tenuta, tra l’altro, a rispettare, con riguardo, in particolare, alla disciplina della suddetta fase, anche quelle norme statali, contenute nel d.lgs. n. 163 del 2006, che sono espressione dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e delle norme di riforma economico-sociale.
A questo ultimo proposito, va ricordato che con la citata sentenza n. 482 del 1995 questa Corte ha avuto modo di chiarire che la legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), poi sostanzialmente trasfusa nel Codice degli appalti pubblici, ha innovato profondamente il quadro legislativo dei lavori pubblici. Tale pronuncia, con riferimento alla legge citata, ha così osservato: «essa è diretta a riordinare complessivamente la materia, modificando tratti essenziali della precedente disciplina, considerata inadeguata per un’efficace amministrazione del settore, che richiede la programmazione e l’effettiva esecuzione delle opere pubbliche in tempi ed a costi certi e prefissati, secondo procedure trasparenti ed idonee a garantire la correttezza e la libera concorrenza, con una netta separazione, anche per gli aspetti tecnici che vanno dalla progettazione al collaudo, dei compiti propri dell’amministrazione committente rispetto all’attività di chi esegue le opere. La complessiva e profonda innovazione normativa tocca un settore che, negli aspetti disciplinati dalla riforma, assume importanza nazionale e richiede l’attuazione di principi uniformi su tutto il territorio del Paese. Tali principi comportano, tra l’altro, l’omogeneità e la trasparenza delle procedure, l’uniforme qualificazione dei soggetti, la libera concorrenza degli operatori in un mercato senza restrizioni regionali. Inoltre si afferma l’esigenza di costituire un organismo indipendente, al quale affidare la vigilanza e la garanzia del rispetto dei principi fissati dalla legge. Nel caso in esame ricorrono, dunque, gli elementi richiesti dalla Corte perché una disciplina legislativa veda riconosciuti i caratteri sostanziali delle norme fondamentali di riforma economico-sociale (sentenze numeri 406, 153, 29 del 1995, 356 del 1994, 359 e 355 del 1993)».
Alla luce delle considerazioni, già allora svolte da questa Corte, ancora oggi valide, deve essere riconosciuto ai principi desumibili dalle disposizioni del Codice degli appalti la natura di norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, come tali costituenti legittimamente limite alla potestà legislativa primaria della resistente Provincia autonoma di Trento; e ciò segnatamente per quelle norme del predetto Codice che attengono, da un lato, alla scelta del contraente (alle procedure di affidamento) e, dall’altro, al perfezionamento del vincolo negoziale e alla correlata sua esecuzione.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per quanto attiene alla materia del contenzioso giurisdizionale, rispetto alla quale operano i medesimi limiti derivanti dai principi dell’ordinamento giuridico, che riconducono tale materia alla esclusiva competenza legislativa dello Stato per evidenti motivi di unitarietà e uniformità sull’intero territorio nazionale delle relative disposizioni.
La disciplina statale in materia pone, nel suo complesso, i requisiti validi per garantire, su tutto il territorio nazionale, la tutela giurisdizionale; come tale, costituisce principio dell’ordinamento giuridico che funge, anch’esso, da limite alla potestà legislativa primaria della Provincia autonoma di Trento ex art. 8, primo comma, n. 17), dello statuto (sentenza n. 73 del 2008).
5.— In conclusione, dunque, nel settore degli appalti pubblici il riparto di competenze si atteggia in modo diverso a seconda che trovino applicazione il Titolo V della parte II della Costituzione ovvero norme statutarie speciali che prevedano, in via autonoma, la materia dei lavori pubblici, di interesse regionale o, come nel caso qui in esame, di interesse provinciale.
Nel primo caso, in mancanza della previsione di un ambito materiale nel quale ricondurre gli appalti pubblici, le Regioni a statuto autonomo possono, nell’esercizio di una loro specifica competenza, emanare norme che producano «effetti proconcorrenziali», nei limiti innanzi indicati.
In presenza, invece, di una previsione statutaria, quale quella in esame, che contempli, quale materia a sé, i lavori pubblici di interesse provinciale, l’ente ad autonomia speciale è legittimato a disciplinare il settore, ma, nell’esercizio di tale specifica competenza legislativa, deve rispettare i limiti fissati dallo statuto speciale (art. 4).
Ciò comporta, per quanto attiene in particolare alla tutela della concorrenza, che la disciplina provinciale non possa avere un contenuto difforme da quella assicurata in ambito europeo e nazionale e, quindi, non possa alterare negativamente il livello di tutela assicurato da quest’ultimo.
6.— Esaurita l’analisi delle questioni preliminari prospettate dalla resistente, prima di passare a valutare le singole censure proposte dallo Stato, è opportuno sottolineare come in una fattispecie per molti aspetti analoga, relativa all’impugnazione statale della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2007, n. 5 (Procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, in attuazione della direttiva comunitaria n. 2004/18/CE del 31 marzo 2004 e disposizioni per la disciplina delle fasi del ciclo dell’appalto), l’Avvocatura generale dello Stato, pure impugnando numerose disposizioni di tale legge per violazione della competenza statale in materia di tutela della concorrenza e di ordinamento civile, ha formulato specifiche ed argomentate censure nei confronti di ciascuna delle disposizioni della legge regionale impugnata. Tanto che, con la sentenza n. 411 del 2008, questa Corte si è pronunciata nel merito di queste impugnazioni.
Nella fattispecie ora in esame, invece, il ricorso proposto dallo Stato nei confronti della legge della Provincia autonoma di Trento è, in larghissima parte, apodittico e carente di motivazioni specifiche nei confronti delle singole norme della citata legge, dal momento che esso, in generale, si limita a dedurre che varie norme oggetto di gravame sono invasive della competenza esclusiva dello Stato in tema di tutela della concorrenza e di ordinamento civile. È mancato, pure in presenza del descritto quadro articolato delle competenze dello Stato e della Provincia autonoma e di un contenuto talora anche molto complesso delle norme impugnate, uno specifico riferimento alle ragioni che determinerebbero un insanabile contrasto con la disciplina comunitaria o con quella contenuta nel Codice degli appalti.
In particolare, dalle indicazioni sintetiche contenute nel ricorso dello Stato non è dato comprendere neppure se le norme impugnate vengano censurate per il solo fatto di invadere la competenza esclusiva dello Stato in tema di tutela della concorrenza o di ordinamento civile oppure vengano censurate per il loro asserito contrasto con i parametri interposti contenuti nella disciplina comunitaria o in quella nazionale di cui al citato Codice. A tale ultimo proposito, deve, inoltre, sottolinearsi come il ricorrente avrebbe dovuto indicare le disposizioni del predetto Codice, o almeno il loro contenuto, eventualmente recanti prescrizioni difformi rispetto a quelle oggetto di impugnazione (sentenze n. 411 del 2008 e n. 51 del 2008).
In tale situazione, non può che dichiararsi la inammissibilità delle censure formulate in modo generico ed indeterminato.
Le suindicate
carenze argomentative determinano, innanzitutto, la inammissibilità
dell’impugnazione dell’art. 1, nella parte in cui sostituisce il comma 1
dell’art. 1 della legge prov. n. 26 del
Deve essere,
poi, dichiarata la inammissibilità per genericità di un primo e ampio gruppo di
censure, che sono appena adombrate nel ricorso. Tale inammissibilità, in
particolare, concerne le doglianze proposte nei confronti dei seguenti articoli
della legge prov. n. 10 del 2008: 5 (in tema di determinazione del valore degli
affidamenti); 10 (in tema di divieti di divulgazione; in relazione a tale norma
è evocato, inoltre, un parametro costituzionale inconferente rappresentato
dalla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni); 15 (sulle
prescrizioni tecniche); 16, comma 1, lettera c), in tema di adeguamento prezzi;
17, che introduce l’art. 13-bis della legge prov. n. 26 del 1993 (nella parte
in cui il suddetto art. 13-bis, comma 2, lettera c, e comma 3, disciplina i
capitolati); 18, comma 1, lettera a), (in tema di progettazioni; anche in
questo caso è richiamato, ancora una volta in maniera inconferente, il
parametro costituzionale dei livelli essenziali delle prestazioni); 22, nella
parte in cui, nel modificare l’art. 20 della legge prov. n. 26 del 1993,
sostituisce i commi 5 e 8 ed introduce i commi 12-bis e 12-ter del medesimo
art. 20 (in tema di affidamento di incarichi di progettazione); 23 (sul
concorso di progettazione); 24, nella parte in cui sostituisce l’art. 22, comma
3, della legge prov. n. 26 del 1993 (sulle procedure di affidamento degli
incarichi di direzione dei lavori); 25 (sulle garanzie dell’offerta); 26 (sulle
coperture assicurative); 27 (in tema di affidamento di incarichi esterni ai
collaudatori); 28 (sui bandi di gara); 29 (sulla pubblicità dei bandi di gara);
30 (sulla pubblicità degli avvisi di aggiudicazione); 31 (sulle informazioni
circa i mancati inviti, le esclusioni e aggiudicazioni); 32 (sui contratti a
corpo e a misura; in relazione a tale disposizione, a fondamento
dell’impugnazione, il ricorrente aggiunge, ma sempre genericamente, la
diversità rispetto al «terzo correttivo», che, però, è un decreto successivo al
ricorso); 33, comma 1, lettera a), (sul dialogo competitivo); 34, che
sostituisce l’art. 31 della legge prov. n. 26 del 1993 (sulla licitazione),
limitatamente ai commi 2 e 3 del suddetto art. 31; 36 (sul dialogo
competitivo); 38 (sull’asta elettronica); da
7.— Un secondo gruppo di censure deve, invece, ritenersi ammissibile e fondato.
In particolare, esse sono dirette contro talune disposizioni afferenti, prevalentemente, alla fase della procedura di affidamento dell’appalto e contenenti norme, per molti aspetti, differenti rispetto a quelle dettate dal legislatore statale e da quello comunitario. Tale diversità altera il livello di tutela della concorrenza assicurato dallo Stato su tutto il territorio nazionale, incidendo negativamente anche sulle libertà comunitarie di circolazione delle persone e delle merci.
In particolare, sono fondate, in quanto sorrette da adeguate, sia pure sintetiche, argomentazioni, le censure relative alle disposizioni che vengono di seguito indicate.
7.1.— L’art. 1 della legge prov. n. 10 del 2008 sostituisce l’art. 1 della legge prov. n. 26 del 1993.
Il comma 6 del novellato art. 1 stabilisce che – per gli interventi eseguiti direttamente da privati a scomputo di contributi connessi ad atti abilitanti all’attività edilizia o conseguenti agli obblighi derivanti da convezioni di lottizzazione – non si applicano le norme di garanzia che disciplinano le procedure di gara.
Tale previsione è illegittima, in quanto viola i limiti statutari poiché reca una disciplina in contrasto con i principi contenuti nell’art. 32, comma 1, lettera g), del Codice degli appalti, dettati dal legislatore statale in attuazione della normativa comunitaria a tutela della concorrenza.
La disposizione statale, infatti, prevede che – ricorrendo l’ipotesi suddetta – l’avente diritto deve presentare all’amministrazione, in sede di richiesta del permesso di costruire, un progetto preliminare delle opere da eseguire, con l’indicazione del tempo massimo in cui devono essere completate, allegando lo schema del relativo contratto di appalto. L’amministrazione, sulla base del progetto preliminare, indice una gara con le modalità previste dall’articolo 55 del medesimo Codice degli appalti.
La necessità dell’espletamento di tale gara non è invece contemplata dall’impugnata disposizione provinciale, donde la sua illegittimità costituzionale, atteso che essa incide negativamente sul livello di tutela della concorrenza assicurata dalle disposizioni statali.
7.2.— Il comma 7 del novellato art. 1 della suddetta legge prov. n. 26 del 1993 prevede l’applicazione delle regole a tutela della concorrenza soltanto per i contratti di sponsorizzazione relativi ad opere o lavori pubblici di cui all’allegato I della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 (corrispondente all’allegato I del Codice degli Appalti), nonché per quelli aventi ad oggetto i beni culturali, non menzionando, invece, né i servizi di cui all’allegato II del Codice degli appalti, né le forniture disciplinate dal medesimo (gli uni come le altre, invece, espressamente menzionati dall’art. 26 del Codice).
La norma in esame è illegittima in quanto lede i principi affermati dal legislatore statale nel citato art. 26 del Codice degli appalti, il quale, da un lato, contiene una disposizione di portata applicativa più ampia, per dare effettività nel settore alla tutela della concorrenza, ricomprendendo tutte le tipologie di contratti di sponsorizzazione; dall’altro, puntualizza che si applicano soltanto i principi del Trattato quando «i lavori, i servizi, le forniture sono acquisiti o realizzati a cura e spese dello sponsor», con la conseguenza che trovano applicazione le norme del Codice qualora il contratto abbia natura onerosa per l’amministrazione.
7.3.— L’art. 4, nella parte in cui sostituisce l’art. 2, comma 2, della legge prov. n. 26 del 1993, estende l’applicazione del contenuto dell’intera legge provinciale anche ai lavori eseguiti da soggetti diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici, che ricevono finanziamenti dalla Provincia. La norma è illegittima, in quanto pone, quale condizione per la sua applicazione, l’esistenza di progetti di importo complessivo pari a tre milioni di euro, mentre l’art. 32 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede il diverso limite di un milione di euro, così assicurando una maggiore tutela della concorrenza.
7.4.— L’art. 34 disciplina la licitazione privata, stabilendo, al comma 1, che con tale procedura «si fa luogo a una gara pubblica esperita sulla base di un progetto esecutivo, o definitivo nei casi previsti dalla legge, fra più soggetti invitati a questo scopo e selezionati secondo quanto previsto dal regolamento di attuazione».
Ad avviso del ricorrente, detta disposizione sarebbe incostituzionale, in quanto «il diritto nazionale a maggior tutela della concorrenza impone che nella procedura ristretta siano invitate tutte le imprese che ne fanno richiesta, e non solo quelle scelte dalla stazione appaltante, come dispone, invece, la legge provinciale, che dunque garantisce una minore soglia di tutela della concorrenza».
La questione relativa al predetto comma è fondata.
L’art. 55 del Codice degli appalti prevede, in particolare al comma 6, che «nelle procedure ristrette gli operatori economici presentano la richiesta di invito nel rispetto delle modalità e dei termini fissati dal bando di gara e, successivamente, le proprie offerte nel rispetto delle modalità e dei termini fissati nella lettera invito. Alle procedure ristrette sono invitati tutti i soggetti che ne abbiano fatto richiesta e che siano in possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal bando».
È evidente, pertanto, che, nella prospettiva nazionale di attuazione dei principi di libera concorrenza, è consentita la partecipazione alla procedura ristretta di «tutti i soggetti che ne abbiano fatto richiesta» e non solo, come, invece, previsto dal legislatore provinciale, di quelli prescelti dalla stazione appaltante. Tale diversità di regolazione incide negativamente sul livello di concorrenzialità che deve essere assicurato, atteso che si riduce la platea degli operatori economici che possono partecipare alla procedura di scelta del contraente con consequenziale pregiudizio, tra l’altro, delle libertà comunitarie specificamente tutelate nel settore in esame.
Pertanto, deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale del dell’art. 34, comma 1, ferma restando la declaratoria di inammissibilità per genericità della censura riferita alle altre disposizioni del medesimo articolo (v. supra, il punto 6).
7.5.— L’art. 35 disciplina la procedura negoziata in maniera difforme rispetto ai principi enunciati negli artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 163 del 2006, che danno attuazione alle disposizioni contenute negli artt. 30 e 31 della direttiva comunitaria n. 18 del 2004.
Esso prevede, da un lato, la possibilità del ricorso alla procedura negoziata, previa pubblicazione del bando, per fattispecie non contemplate dal legislatore statale (e segnatamente – sia pure in casi eccezionali – nel caso di lavori la cui natura o imprevedibilità non consentono una fissazione preliminare e globale dei prezzi); dall’altro, subordina il ricorso alla procedura negoziata, senza previa pubblicazione del bando, a condizioni meno stringenti di quelle previste dal legislatore statale nel citato art. 57 del Codice.
La norma impugnata, infatti, stabilisce modalità procedimentali in vari punti differenti rispetto al modello prefigurato dal predetto decreto; né assume rilievo che alcuni casi di ammissione coincidano con quelli contemplati a livello nazionale e comunitario.
La disposizione, pertanto, è illegittima, in quanto le diversità, per alcune ipotesi, delle fattispecie per le quali è consentito il ricorso alla procedura negoziata, nonché relativamente ad alcuni profili di rilevanza procedimentale, sono comunque idonee ad incidere negativamente sulle libertà di circolazione delle persone e delle merci alterando le regole che presiedono al funzionamento del sistema di disciplina degli appalti.
7.6.— Con riferimento all’impugnazione dell’art. 37, che disciplina l’accordo quadro, il ricorrente, dopo avere rilevato che tale accordo, costituendo «una procedura di affidamento», invaderebbe l’ambito materiale della tutela della concorrenza, aggiunge che la legge provinciale consentirebbe la stipulazione di tale accordo «in un numero indefinito di casi, lasciati, con norma in bianco, al futuro regolamento provinciale, laddove l’art. 59 del d.lgs. n. 163 del 2006 limita l’accordo quadro, nel campo dei lavori, ai soli lavori di manutenzione, a maggior tutela della concorrenza».
La censura è fondata.
Nella prospettiva comunitaria e nazionale l’accordo quadro «è un accordo concluso tra una o più amministrazioni aggiudicatrici e uno o più operatori economici e il cui scopo è quello di stabilire le clausole relative agli appalti da aggiudicare durante un dato periodo, in particolare per quanto riguarda i prezzi e, se del caso, le quantità previste» (art. 1, paragrafo 5, della direttiva n. 18 del 2004; la definizione è stata recepita, sul piano nazionale, dall’art. 3, comma 13, del d.lgs. n. 163 del 2006).
Nella specie, il legislatore provinciale, demandando al regolamento provinciale la definizione dei casi in cui è possibile stipulare l’accordo quadro, ha introdotto una normativa differente da quella prevista dal citato art. 59 del Codice degli appalti, il quale, come sottolineato, limita la possibilità per le amministrazione aggiudicatrici di stipulare accordi quadro soltanto nel settore dei lavori pubblici di manutenzione.
Tale diversità di ambito di applicazione è idonea ad incidere negativamente sul livello di tutela dei mercati concorrenziali assicurata in ambito statale. Infatti, la legge provinciale attribuisce al regolamento il compito di individuare i casi in relazione ai quali le stazioni appaltanti possono limitarsi a determinare il contenuto quadro dell’accordo, rinviando ad un momento successivo la concreta stipulazione dei contratti di appalto attuativi del predetto accordo.
7.7.— L’art. 56, nel sostituire l’art. 50 della legge prov. n. 26 del 1993, sostituisce anche il comma 4 del medesimo art. 50 e prevede che, per affidare la concessione di lavori pubblici, «le amministrazioni aggiudicatrici sono libere di scegliere tra le procedure aperta, ristretta o negoziata, purché sia garantito un adeguato confronto concorrenziale, volto a individuare le offerte più vantaggiose dal punto di vista tecnico, economico e gestionale, anche secondo il profilo della redditività, previa definizione dei criteri di valutazione o della loro ponderazione, con le modalità stabilite dal regolamento di attuazione».
Sul piano nazionale, il legislatore statale ha previsto, invece, che le stazioni appaltanti «affidano le concessioni di lavori pubblici con procedura aperta o ristretta, utilizzando il criterio selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa» (art. 144 del d.lgs. n. 163 del 2006). Non viene consentito, pertanto, nell’ambito di questa tipologia di contratto di partenariato pubblico privato, di ricorrere alla procedura negoziata. È evidente come la disciplina provinciale si discosti dalla normativa statale, incidendo negativamente sul livello di tutela della concorrenza assicurato dal legislatore nazionale.
Deve conseguentemente essere dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 56, nella parte in cui sostituisce il comma 4 dell’art. 50 della legge prov. n. 26 del 1993.
7.8.— L’art. 86, disciplinando la procedura di affidamento in caso di fallimento dell’esecutore o di risoluzione del contratto per suo grave inadempimento, prevede che l’affidamento avviene alle condizioni fatte in sede di originaria offerta da parte dell’interpellata e non da parte dell’originario aggiudicatario, come invece previsto dall’art. 140 del d.lgs. n. 163 del 2006. Anche la suddetta disposizione, quindi, è illegittima, in quanto viola i limiti dettati dall’art. 4 dello statuto.
8.— Infine, un terzo gruppo di censure deve ritenersi non fondato.
8.1.— In particolare, non può trovare accoglimento la censura con la quale il ricorrente impugna l’art. 1 della legge prov. n. 10 del 2008, che sostituisce l’art. 1 della legge prov. n. 26 del 1993, lamentando come al comma 2 il legislatore provinciale abbia previsto che la legge impugnata si applichi soltanto ai contratti di importo "inferiore” o "superiore” alla soglia comunitaria e non anche, come stabilito in ambito europeo, a quelli di importo "pari” alla soglia medesima.
Al riguardo,
va innanzitutto osservato che l’art. 3 della legge censurata in esame,
introducendo l’art. 1-ter nella legge provinciale n. 26 del
Chiarito ciò, deve rilevarsi come la disposizione censurata si limiti a definire l’ambito di applicazione della normativa e in quanto tale abbia un contenuto non idoneo a recare alcun vulnus alle competenze costituzionali dello Stato.
8.2.— Per le medesime ragioni non è fondata l’analoga censura avente ad oggetto l’art. 99, relativo agli appalti di importo superiore alla soglia comunitaria.
8.3.— Non può trovare accoglimento neanche la doglianza relativa al comma 4 dell’art. 1 della legge prov. n. 26 del 1993, sostituito dall’art. 1 della legge prov. n. 10 del 2008, il quale prevede che nei contratti misti di lavori, forniture e servizi, e nei contratti di forniture e servizi quando comprendono lavori, si applica la legge provinciale n. 10 del 2008 «se i lavori assumono rilievo superiore al 50 per cento, salvo che, secondo le caratteristiche specifiche dell’appalto, i lavori abbiano carattere meramente accessorio rispetto ai servizi o alle forniture e purché queste costituiscano l’oggetto principale del contratto». Come emerge dalla lettura della riportata disposizione, essa, limitandosi a fornire una definizione di contratto misto, ai fini dell’applicazione della normativa provinciale sostanzialmente equivalente a quella contenuta nel comma 3 dell’art. 14 del Codice degli appalti, non è suscettibile di recare alcun vulnus alle competenze statali.
8.4.— Altresì non fondata, sempre per inidoneità della norma censurata ad incidere sulle competenze statali, è la doglianza avente ad oggetto l’art. 2, il quale si limita a stabilire l’obbligo di rispettare taluni principi generali nella fase di affidamento e esecuzione di opere e lavori pubblici, quali i principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità. È bene aggiungere che la circostanza che non siano richiamati altri principi contenuti nei commi 2, 3, e 4 dell’art. 4 del Codice degli appalti non implica, d’altro canto, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la loro inapplicabilità.
8.5.— Non è fondata neanche la censura relativa all’art. 3 della legge provinciale impugnata, atteso che la norma in questione si limita a fornire talune definizioni che, per la mancanza di un effettivo contenuto precettivo, non sono idonee ad invadere ambiti costituzionalmente riservati alla competenza legislativa statale.
8.6.— Non può essere accolta neanche la censura relativa all’art 6, che introduce l’art. 3-bis nella legge n. 26 del 1993. Tale articolo, la cui rubrica reca "lavori sequenziali”, prevede, al primo comma, che «i lavori possono essere motivatamente suddivisi dalle amministrazioni aggiudicatrici in più contratti d’appalto, fatto salvo quanto previsto dall’art. 3. La motivazione dà conto, in particolare, della convenienza della scelta dal punto di vista tecnico-organizzativo e finanziario. Il regolamento di attuazione definisce i criteri distintivi tra lotti funzionali e lavori sequenziali»; il secondo comma stabilisce che «per la predisposizione del documento preliminare di progettazione previsto dall’art. 14 e per il coordinamento dei lavori sequenziali è individuato un responsabile di progetto».
Il ricorrente assume che tale norma «reca una definizione sconosciuta al diritto comunitario e nazionale di "lavori sequenziali”, tenuti distinti dai lavori in lotti, e che costituisce la giustificazione per affidamenti a trattativa privata fuori dai casi previsti dal diritto comunitario» e dal d.lgs. n. 163 del 2006, con violazione della tutela della concorrenza.
La censura non è fondata.
In via preliminare, si deve chiarire che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non è sufficiente la mancata disciplina dell’istituto in ambito comunitario per inferirne la sua illegittimità costituzionale. Avendo la Provincia autonoma una competenza specifica in materia di lavori pubblici di interesse provinciale, essa può regolamentare il settore purché, come si è prima precisato, vengano osservati i limiti contemplati dallo statuto.
Nella specie tali limiti non risultano violati.
Il legislatore provinciale ha disciplinato, infatti, una modalità afferente alla individuazione dell’oggetto del contratto di appalto, stabilendo che i lavori possono essere suddivisi mediante la stipulazione di più contratti di appalto. Orbene, tale suddivisione in sé non è idonea a pregiudicare la tutela della concorrenza.
In primo luogo, perché la norma non prevede che l’amministrazione possa fare ricorso alla procedura negoziata. L’eventuale frazionamento dell’oggetto del contratto impone, comunque, che, in relazione a ciascun contratto, l’amministrazione rispetti sempre le regole di scelta del contraente poste a tutela della concorrenza. A tale proposito, non è senza rilievo che la stessa disposizione impugnata puntualizzi che debba essere comunque rispettato quanto statuito dall’art. 3 della legge provinciale n. 26 del 1993, come modificata dalla legge n. 10 del 2008, sulla determinazione del valore degli affidamenti ai fini della individuazione della disciplina applicabile. E ciò assicura che l’eventuale suddivisione dei lavori in più contratti non possa, appunto, rappresentare uno strumento per eludere le regole imperative di regolamentazione della procedura di evidenza pubblica.
In secondo luogo, la legge provinciale impone che l’amministrazione aggiudicatrice dia conto delle ragioni della scelta e della sua convenienza dal punto di vista tecnico-organizzativo e finanziario.
In altri termini, il legislatore provinciale ha posto condizioni e limiti all’esercizio del potere di valutazione dell’amministrazione aggiudicatrice, idonei ad evitare che si incida negativamente sul livello di tutela della concorrenza assicurato dalla legislazione statale.
La questione deve, pertanto, essere dichiarata non fondata.
8.7.— Non è fondata neanche la censura formulata nei confronti dell’art. 17, che introduce l’art. 13-bis della legge provinciale n. 26 del 1993, articolo ritenuto incostituzionale nella parte in cui, al comma 1, ed al comma 2, lettere b); e); f); i); j); k); 1); m); n); o); p); q); r); s), rinvia ad un regolamento provinciale la disciplina di materie che, a giudizio del ricorrente, rientrerebbero nell’ordinamento civile e nella tutela della concorrenza.
La norma
impugnata – fermo quanto affermato al punto
8.8.— Per le medesime ragioni da ultimo indicate, non è fondata la censura relativa all’art. 111, che demanda ad un regolamento provinciale l’adozione delle norme di attuazione della legge provinciale in esame.
8.9.— È oggetto di impugnazione anche l’art. 20 della legge provinciale n. 10 del 2008, il quale disciplina il documento tecnico di cantiere che può essere richiesto all’appaltatore dal direttore dei lavori per lavorazioni nelle quali l’organizzazione dell’appaltatore e le tecnologie operative di cui esso dispone richiedono di dettagliare le fasi esecutive.
Secondo il ricorrente tale norma, attenendo alla progettazione e alla esecuzione dei lavori, violerebbe le competenze statali in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e di ordinamento civile.
La questione non è fondata, in quanto la disposizione impugnata si limita a disciplinare fasi afferenti alla organizzazione del momento esecutivo del rapporto contrattuale senza incidere sui principi generali che impongono il rispetto di regole comuni finalizzate ad assicurare un pari trattamento tra gli operatori economici del settore. Questa Corte, sia pure con riferimento al riparto di competenza tra Stato e Regioni a statuto ordinario, dopo avere affermato che la fase di conclusione ed esecuzione del contratto rientra prevalentemente nella materia dell’ordinamento civile, ha aggiunto che ciò non significa che «in relazione a peculiari esigenze di interesse pubblico, non possano residuare in capo alla pubblica amministrazione poteri pubblici riferibili, tra l’altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase esecutiva» (sentenza n. 401 del 2007, punto 6.8. del Considerato in diritto).
8.10.— Destituita di fondamento è anche la doglianza relativa all’art. 90, il quale disciplina le riserve e le contestazioni tra l’amministrazione aggiudicatrice e l’appaltatore. Tale disposizione, infatti, contempla l’istituto dell’accordo bonario per la risoluzione delle riserve che non rientra, come ritenuto dal ricorrente, nella materia della giustizia amministrativa, attenendo alla fase dell’organizzazione amministrativa dell’ente provinciale.
8.11.— Infine, non è fondata la censura che ha investito l’art. 110, il quale stabilisce che «per gli istituti non previsti» dalla legge provinciale «trova applicazione la normativa comunitaria in materia, che può essere specificata mediante i regolamenti di attuazione». Secondo il ricorrente, tale norma sarebbe incostituzionale nella parte in cui opererebbe un rinvio soltanto al diritto comunitario e non anche a quello statale.
È agevole rilevare come le disposizioni di principio contenute nel Codice degli appalti, che, nella specie, costituiscono attuazione delle prescrizioni comunitarie, non necessitano di un richiamo da parte delle norme impugnate ai fini della loro applicabilità nel territorio provinciale. Ne consegue l’assenza di qualsiasi lesività di prerogative statali da parte della norma censurata.
9.— Con il secondo ricorso n. 92 del 2008 sono stati impugnati, come già sottolineato, i commi 2 e 3 dell’art. 29 della legge provinciale n. 16 del 2008.
9.1.— In particolare, il comma 2 rende immediatamente applicabili le disposizioni del capo VII-bis, la cui rubrica reca «Disposizioni in materia di finanza di progetto» della legge provinciale n. 26 del 1993, ad eccezione dell’art. 50-sexies, ivi compresi gli articoli da essa richiamati, nonché quelle contenute nell’art. 46-ter, commi 4 e 5 della predetta legge, relativo alle condizioni economiche del contratto. Tale norma sarebbe incostituzionale, secondo il ricorrente, da un lato, per illegittimità derivata da quella delle norme di cui si dispone la immediata applicazione, dall’altro, per vizi autonomi, avendo il legislatore provinciale leso la competenza statale in materia di tutela della concorrenza e di ordinamento civile.
La prima censura non è fondata.
La dichiarazione di inammissibilità delle censure riferite a tutte le disposizioni richiamate dalla norma in esame, rende la doglianza prospettata priva del "presupposto” su cui la stessa è stata proposta, con conseguente declaratoria di non fondatezza della questione prospettata.
La seconda censura, con cui si prospettano vizi autonomi è, invece, inammissibile per genericità, risultando persino incerta l’indicazione dei parametri costituzionali che sarebbero stati violati.
9.2.— Il comma 3 dello stesso art. 29 prevede che «al comma 2 dell’articolo 112 della legge provinciale n. 10 del 2008 le parole "alla data di entrata in vigore di questa legge” sono sostituite dalle seguenti "alla data del 20 dicembre 2008”». Tale norma sarebbe incostituzionale, secondo il ricorrente, per illegittimità derivata della norma di cui si dispone la protrazione di efficacia e per vizi autonomi, avendo il legislatore provinciale violato l’art. 8, comma 1, dello statuto che imporrebbe il rispetto del diritto comunitario «in combinato disposto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione».
La declaratoria di inammissibilità della censura relativa al richiamato art. 112 comporta la infondatezza della censura in esame. Inoltre, deve ritenersi inammissibile anche la autonoma doglianza prospettata, non essendo la stessa sorretta da alcuna idonea argomentazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara
l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, nella parte in cui sostituisce
l’art. 1, commi 6 e 7, della legge della Provincia autonoma di Trento 10
settembre 1993, n. 26 (Norme in materia di lavori pubblici di interesse
provinciale e per la trasparenza negli appalti); 4, nella parte in cui
sostituisce l’art. 2, comma 2, della legge provinciale n. 26 del 1993; 34,
nella parte in cui sostituisce l’art. 31, comma 1, della legge prov. n. 26 del
1993; 35; 37; 56, nella parte in cui sostituisce l’art. 50, comma 4, della
legge prov. n. 26 del 1993, e 86 della legge della Provincia autonoma di Trento
24 luglio 2008, n. 10 (Modificazioni della legge provinciale 10 settembre 1993,
n.
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1,
nella parte in cui sostituisce l’art. 1, comma 1, della legge prov. n. 26 del
1993; 5; 10; 15; 16, comma 1, lettera c); 17, nella parte in cui introduce
l’art. 13-bis, comma 2, lettera c), e comma 3, della legge prov. n. 26 del
1993; 18, comma 1, lettera a), ; 22, nella parte in cui nel modificare l’art.
20 della legge prov. n. 26 del 1993, sostituisce i commi 5 e 8 ed introduce i
commi 12-bis e 12-ter del medesimo art. 20; 23; 24, nella parte in cui
sostituisce l’art. 22, comma 3, della legge prov. n. 26 del 1993; 25; 26; 27;
28; 29; 30; 31; 32; 33, comma 1, lettera a); 34, nella parte in cui sostituisce
l’art. 31, commi 2 e 3 della legge prov. n. 26 del 1993, 36; 38; da
dichiara inammissibili, nella parte in cui si prospettano vizi autonomi, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2 e 3, della legge della Provincia autonoma di Trento 12 settembre 2008, n. 16 (Disposizioni per la formazione dell’assestamento del bilancio annuale 2008 e pluriennale 2008-2010 e per la formazione del bilancio annuale 2009 e pluriennale 2009-2011 della Provincia autonoma di Trento − legge finanziaria provinciale 2009), proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli articoli 11, 117, primo e secondo comma, lettere e), l) ed m), della Costituzione, nonché agli articoli 4 e 8, primo comma, del d.P.R. n. 670 del 1972, con il ricorso n. 92 del 2008 indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale degli articoli 1, che sostituisce l’art. 1, commi 2
e 4, della legge prov. n. 26 del 1993; 2; 3; 6; 17, nella parte in cui
introduce l’art. 13-bis, commi 1 e 2, lettere b); e); f); i); j); k); 1); m);
n); o); p); q); r); s), della legge prov. n. 26 del 1993; 20; 90; 99; 110 e 111
della suddetta legge prov. n. 10 del 2008, proposte dal Presidente del
Consiglio dei ministri, in riferimento agli articoli 11, 117, primo e secondo
comma, lettere e), l) ed m), della Costituzione, nonché agli articoli 4 e 8,
primo comma, del d.P.R. n. 670 del 1972, con il ricorso n. 62 del 2008 indicato
in epigrafe;
dichiara non fondate, nella parte in cui si prospettano vizi di illegittimità derivata, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2 e 3, della suddetta legge prov. n. 16 del 2008, proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli articoli 11, 117, primo e secondo comma, lettere e), l) ed m), della Costituzione, nonché agli articoli 4 e 8, primo comma, del d.P.R. n. 670 del 1972, con il ricorso n. 92 del 2008 indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta l'8 febbraio 2010.
F.to:
Francesco
AMIRANTE, Presidente
Alfonso
QUARANTA , Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 12 febbraio 2010.