SENTENZA N. 102
ANNO 2008
Commenti alla decisione di
I.
Elisabetta Di Stefano, Verso un patrimonio
costituzionale comune. Riflessioni a margine della sentenza n. 102 del 2008
nella Rubrica Studi
di
II.
Tommaso Giovannetti, L’ultimo passo del "cammino comunitario”
conduce la Corte a Lussemburgo, (per gentile concessione del sito dell’AIC – Associazione Italiana dei
Costituzionalisti)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai
signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE
"
- Ugo DE
SIERVO "
- Alfio FINOCCHIARO
"
- Alfonso QUARANTA
"
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA
"
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO
"
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 2, 3 e 4 della legge della Regione Sardegna 11
maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie
in materia di entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e di
sviluppo), nel loro testo originario, degli stessi articoli, nel testo sostituito,
rispettivamente, dai commi 1, 2 e 3 dell’art. 3 della legge della
Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2007), nonché dell’art. 5 di quest’ultima legge,
promossi con due ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri, notificati
il 10 luglio 2006 ed il 2 agosto 2007, depositati in cancelleria il 13 luglio
2006 ed il 7 agosto 2007 ed iscritti al n. 91 del registro ricorsi 2006 e al n.
36 del registro ricorsi 2007.
Visti gli atti di
costituzione della Regione Sardegna;
udito nell’udienza
pubblica del 12 febbraio 2008 il giudice relatore Franco Gallo;
uditi l’avvocato
dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli
avvocati Graziano Campus e Paolo Carrozza per
Ritenuto in fatto
1. – Con il ricorso n. 91 del
2006, notificato il 10 luglio 2006 e depositato il 13 luglio successivo, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale: a)
dell’art. 2 della legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di entrate,
riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), in riferimento
all’art. 8, lettera i), dello statuto della Regione
Sardegna (nel testo vigente all’epoca del deposito del ricorso), agli artt. 117
e 119 della Costituzione in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3, agli artt. 3 e 53 Cost., all’art. 117, primo comma, Cost.
per violazione dell’art. 12 del Trattato CE; b) dell’art. 3 della stessa legge
regionale, in riferimento all’art. 8,
lettera i), dello statuto della Regione Sardegna (nel testo vigente
all’epoca del deposito del ricorso), agli artt. 117 e 119 Cost. in relazione
all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, agli artt. 3 e 53 Cost.,
all’art. 117, primo comma, Cost. per violazione dell’art. 12 del Trattato CE;
c) dell’art. 4 della stessa legge regionale, in riferimento all’art. 8, lettera i), dello statuto
della Regione Sardegna (nel testo vigente all’epoca del deposito del ricorso),
agli artt. 117 e 119 Cost. in relazione all’art. 10 della legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3, agli artt. 3 e 53, secondo comma, Cost. (parametri non
espressamente indicati).
Il ricorrente premette che le
tre norme censurate – le quali istituiscono, rispettivamente, l’imposta
regionale sulle plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case, l’imposta
regionale sulle seconde case ad uso turistico e l’imposta regionale su
aeromobili ed unità da diporto – non possono trovare fondamento costituzionale
nell’art. 8, lettera i), dello
statuto di autonomia. Detta disposizione, infatti, comprende tra le entrate
regionali le «imposte e tasse sul turismo e gli altri tributi propri che la
regione ha facoltà di istituire con legge in armonia con i principi del sistema
tributario dello Stato».
Sostiene la difesa erariale
che «l’attribuzione, dunque, è duplice: diretta, per le imposte e tasse sul
turismo; indiretta per gli altri tributi, in quanto presuppone che la regione
abbia la facoltà di istituirli, facoltà che non viene attribuita direttamente
dalla norma statutaria, ma che deve trovare la sua fonte in norme apposite».
Dalla formulazione del citato art. 8, si ricaverebbe, cioè, che «il potere
impositivo della regione investe i servizi turistici, vale a dire quelle
prestazioni in favore del turista durante la sua permanenza nella regione», con
la conseguenza che esso non potrebbe «rappresentare la base costituzionale di
nessuna delle norme impugnate perché nessuna di esse […] è riconducibile al
turismo, secondo la nozione tradizionale in campo tributario».
L’Avvocatura generale procede,
poi, alla disamina delle singole norme denunciate e all’illustrazione delle
censure formulate per ciascuna di esse.
1.1. – In relazione al
denunciato art. 2, la difesa erariale osserva che esso istituisce e disciplina l’imposta regionale sulle plusvalenze dei
fabbricati adibiti a seconde case, applicabile – nei confronti dell’alienante
avente domicilio fiscale fuori dal territorio
regionale o avente domicilio fiscale in Sardegna da meno di ventiquattro mesi,
con l’esclusione dei soggetti nati in Sardegna e dei loro coniugi – alle
cessioni a titolo oneroso a) di fabbricati siti in
Sardegna entro tre chilometri dalla battigia marina, destinati ad uso
abitativo, escluse le unità immobiliari che per la maggior parte del periodo
intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad
abitazione principale del cedente o del coniuge, nonché b) di quote o azioni
non negoziate sui mercati regolamentati di società titolari della proprietà o
di altro diritto reale su detti fabbricati, per la parte ascrivibile ai
fabbricati medesimi.
Ad avviso della
difesa erariale, tale norma víola il citato art. 8, lettera i),
dello statuto della
Regione Sardegna, perché: a) l’oggetto dell’imposta non può essere ricondotto
alla materia del turismo; b) non è ammissibile, in materie diverse dal turismo,
una piena esplicazione di potestà tributarie regionali, in carenza della
fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale; c)
sono «violati i principi del sistema tributario dello Stato» in materie diverse
dal turismo.
La stessa norma violerebbe,
inoltre, gli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, perché non sarebbe ammissibile, in materia
tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali in carenza della
fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale.
In via subordinata, per il caso in cui «si potessero desumere i
principi fondamentali del coordinamento del sistema tributario dalla
legislazione tutt’ora in vigore», la difesa erariale formula tre ulteriori
censure.
Deduce,
in primo luogo, il contrasto della norma denunciata con gli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art.
10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, per violazione del principio
fondamentale espresso dall’art. 67, comma 1, lettera b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo
unico delle imposte sui redditi), per cui le plusvalenze immobiliari sono
tassabili a condizione che la cessione intervenga a non piú
di cinque anni dall’acquisto o dalla costruzione, esclusi gli immobili
acquistati per successione o donazione e gli altri casi che sono indicati dallo
stesso articolo.
In secondo luogo, deduce la
violazione degli artt. 3 e 53 Cost., per contrasto con il «principio generale»
secondo cui lo stesso indice di capacità contributiva non giustifica la
sovrapposizione di piú imposte, perché ogni imposta
deve avere un presupposto autonomo, dovendo colpire «materie tassabili diverse»,
mentre nella specie
In terzo luogo, deduce la
violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 12 del Trattato
CE, in quanto la norma censurata discrimina i cittadini comunitari adottando,
per l’applicazione dell’imposta, i seguenti criteri: «non essere nati in
Sardegna, che attiene direttamente alla cittadinanza; avere il domicilio
fiscale fuori del territorio nazionale, che attiene alla residenza». Argomenta,
sul punto, che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia delle
Comunità europee, «il criterio che ricollega alla residenza nel territorio
nazionale l’eventuale rimborso dell’imposta versata per eccesso, sebbene si
applichi indipendentemente dalla cittadinanza del contribuente interessato,
rischia di danneggiare in particolare i contribuenti cittadini di altri Stati
membri, giacché saranno spesso questi ultimi a lasciare il paese o a stabilirvisi
durante l’anno».
1.2. – In relazione al
denunciato art. 3, il ricorrente osserva che esso istituisce e disciplina
l’imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico, dovuta – secondo
classi di superficie – sui fabbricati siti nel
territorio regionale ad una distanza inferiore ai tre chilometri dalla linea di
battigia marina, non adibiti ad abitazione principale da parte del proprietario
o del titolare di altro diritto reale sugli stessi, applicabile nei confronti
del proprietario di detti fabbricati, ovvero del titolare di diritto di
usufrutto, uso, abitazione, con domicilio fiscale fuori dal territorio
regionale, con l’esclusione dei soggetti nati in Sardegna e dei loro coniugi e
figli.
Il ricorrente censura la norma in riferimento all’art. 8, lettera i), dello statuto
della Regione Sardegna, perché: a) l’imposta non può essere considerata sul
turismo, in quanto non ha alcun rapporto con questo; b) non è ammissibile, in materie
diverse dal turismo, una piena esplicazione di potestà tributarie regionali, in
carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento
nazionale; c) sono «violati i principi del sistema tributario dello Stato» in
materie diverse dal turismo. Lamenta, altresí, che il
tributo pregiudica «le possibilità di politica economica dello Stato, della
quale uno degli strumenti principali è quello tributario», perché colpisce la
stessa materia tassabile incisa da altri tributi e, in particolare, dall’ICI,
producendo una "disarmonia” con i princípi del
sistema tributario dello Stato. Lamenta, inoltre, che la norma censurata víola l’art. 53 Cost., inteso quale strumento attraverso il
quale «trova applicazione nel settore tributario il principio di uguaglianza
sancito dall’art. 3», e l’art. 12 del Trattato CE, per il tramite dell’art.
117, primo comma, Cost., in quanto discrimina i cittadini comunitari adottando,
per l’applicazione dell’imposta, i seguenti criteri: «non essere nati in Sardegna,
che attiene direttamente alla cittadinanza; avere il domicilio fiscale fuori
del territorio nazionale, che attiene alla residenza».
In via subordinata, per il caso in cui «si potessero desumere i
principi fondamentali del coordinamento del sistema tributario dalla
legislazione tutt’ora in vigore», la difesa erariale formula due ulteriori
censure.
Deduce,
in primo luogo, il contrasto della norma denunciata con gli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art.
10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, perché l’imposta è determinata in
base alla superficie del fabbricato, senza tenere conto del suo valore, mentre
«la tassazione in base ai valori catastali, come avviene per l’imposta statale
e per l’ICI, andrebbe comunque considerata come principio fondamentale in
quanto consente di colpire valori medi, determinati per zone omogenee in
rapporto analogo con i valori di mercato e, in ogni caso, variabili a secondo
del pregio degli immobili».
In secondo luogo, deduce la
violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 12 del
Trattato CE, per gli stessi motivi già esposti con riferimento al denunciato
art. 2.
1.3.
– In relazione al denunciato
art. 4, il ricorrente osserva che esso istituisce e disciplina l’imposta
regionale su aeromobili ed unità da diporto, la quale è applicabile, nel periodo dal 1° giugno al 30 settembre, al
soggetto avente domicilio fiscale fuori dal
territorio regionale che assume l’esercizio dell’aeromobile o dell’unità da
diporto (con l’esenzione dall’imposta delle navi adibite all’esercizio di
attività crocieristica, delle imbarcazioni che vengono in Sardegna per
partecipare a regate di carattere sportivo e delle unità da diporto che sostano
tutto l’anno nelle strutture portuali regionali), ed è dovuta: 1) per ogni scalo
negli aerodromi del territorio regionale degli aeromobili dell’aviazione
generale adibiti al trasporto privato, per classi determinate in relazione al
numero dei passeggeri che sono abilitati a trasportare; 2) annualmente, per lo
scalo nei porti, negli approdi e nei punti di ormeggio ubicati nel territorio
regionale delle unità da diporto, per classi di lunghezza, a partire da
Ad avviso della
difesa erariale, il suddetto art. 4 víola l’art. 8, lettera i),
dello statuto della
Regione Sardegna e gli artt. 117 e
119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001,
per gli stessi motivi già esposti con riferimento al denunciato art. 3.
In via subordinata, per il caso in cui «si potessero desumere i
principi fondamentali del coordinamento del sistema tributario dalla
legislazione tutt’ora in vigore», la difesa erariale formula due ulteriori
censure.
Deduce,
in primo luogo, il contrasto della norma denunciata con gli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art.
10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, perché, con riferimento alle unità
da diporto che effettuino lo scalo «in zona non attrezzata, in uno specchio di
mare ridossato, dove l’ormeggio sia effettuato a terra, utilizzando la
struttura naturale della spiaggia»,
In secondo luogo, deduce la
violazione dell’art. 53 Cost., perché, con
riferimento agli aeromobili, a) «si
è di fronte ad una duplicazione di imposta di tutta evidenza», in quanto «una imposta (o, meglio, tassa) di
questo genere dovrebbe essere in favore di chi ha a carico l’onere di
manutenzione e gestione degli impianti aeroportuali, che vengono utilizzati
nello scalo. Questi soggetti, peraltro, hanno già la possibilità di rifarsi su
chi esercita l’aeromobile attraverso il pagamento dei diritti aeroportuali, o
diritto per l’uso degli aeroporti (legge n. 324/1976)»; b) non costituisce
indice di capacità contributiva «lo svolgimento di un’operazione per la quale,
comunque lo si voglia definire, si paga un prezzo che copre il costo del
servizio reso, con margine di utile».
In terzo luogo, pur senza
evocare espressamente gli artt. 3 e 53 Cost., lamenta che, essendo l’imposta
dovuta annualmente con riferimento alle unità da diporto, «piú
si utilizzano le strutture portuali, minore, proporzionalmente è l’onere
dell’imposta che, in questo modo, viene ad avere carattere regressivo».
2. – Si è costituita
Ciò premesso, la resistente
osserva, in primo luogo, che i tributi disciplinati dalle norme censurate sono
tributi sul turismo nel senso fatto proprio dall’art. 3 del d.lgs. 16 marzo
1992, n. 268 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e
provinciale), e cioè «forme di imposizione che colpiscono attività
ovvero utilizzo di beni immobili riferiti alla pratica turistica, ovvero
attività economiche qualificate come turistiche o inerenti al turismo, in
quanto dallo stesso direttamente influenzate sotto il profilo economico, anche
in rapporto alla localizzazione dell’attività medesima».
In secondo luogo,
In tale prospettiva, l’imposta
sulle plusvalenze delle seconde case a uso turistico sarebbe una non
irragionevole e modesta trattenuta sul plusvalore derivato agli immobili
costieri «da una politica pubblica fatta di investimenti e pianificazioni volti
a rafforzare l’industria turistica e la salvaguardia dell’ambiente».
Sull’asserita violazione del
divieto di doppia imposizione, la resistente precisa che le imposte istituite
con le norme censurate hanno presupposti del tutto autonomi e peculiari
rispetto alle imposte statali ed afferma preliminarmente che non appaiono
chiari i parametri costituzionali che il ricorrente assume violati.
Rileva, poi, che
In relazione all’imposta sulle
seconde case ad uso turistico, istituita e disciplinata dall’art. 3 censurato,
Rileva, poi, che il
riferimento alla superficie dell’immobile per il computo della base imponibile
non si pone in disarmonia con il criterio del valore catastale, utilizzato
dalla legislazione statale sull’ICI, perché anche quest’ultima considera la
superficie come parametro utile a stabilire, sia pur presuntivamente, il valore
dell’immobile.
Afferma, inoltre, che non
sussiste la prospettata violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. e
dell’art. 12 del Trattato CE, sotto il profilo della non discriminazione in
base alla nazionalità, perché anche l’ordinamento statale distingue fra
residenti e non residenti ai fini dell’imposizione tributaria. A livello
regionale, la distinzione fra residenti e non residenti è addirittura imposta
dall’art. 8 dello statuto di autonomia, «il quale fonda la gran parte del
reddito della Regione […] sul reddito prodotto dai residenti» e rende perciò
necessaria la sottoposizione a tassazione di chi abbia con
La correttezza di tale
differenziazione fra il regime fiscale dei residenti in Sardegna e quello dei
non residenti emerge, a detta della resistente, anche da altri dati normativi.
In primo luogo, il decreto
legislativo del 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n.
421), consente ai Comuni di diversificare le aliquote dell’ICI in
relazione al fatto se l’immobile sia abitazione, seconda casa, o casa a
disposizione non locata e di ridurre l’entità dell’imposta per chi usa
l’immobile come abitazione principale.
In secondo luogo, il d.lgs. 30
aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), consente al sindaco o alla
giunta comunale: a) di individuare le zone a traffico limitato, nelle quali la
circolazione è riservata ai residenti; b) di subordinare l’ingresso o la circolazione
dei veicoli a motore dei non residenti al pagamento di una somma; c) di
stabilire che la sosta dei non residenti in tali zone avvenga a titolo oneroso.
In terzo luogo, la sentenza
della Corte
costituzionale n. 220 del 2004 ha confermato la legittimità costituzionale
dell’art. 98, comma 2, della legge della Regione Sardegna 29 luglio 1998, n. 23
(Norme per la protezione della fauna
selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna), la quale consente
ai residenti e preclude ai non residenti il rinnovo delle autorizzazioni
venatorie, richiamando il principio del collegamento del cacciatore residente
con il territorio, affermato dalla legislazione statale (art. 14, comma 5,
della legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo
venatorio»).
In conclusione, la resistente
evidenzia che la differenziazione, a fini fiscali, tra residenti e non
residenti è assai frequente nell’ordinamento statale, tanto che il censurato
art. 3 risulta in armonia con la legislazione tributaria e non tributaria vigente.
In relazione all’imposta
regionale su aeromobili e unità da diporto, istituita e disciplinata dall’art.
4 censurato,
Rispetto allo scalo delle unità
da diporto,
In secondo luogo, la
resistente contesta, «in quanto palesemente esclusa dal tenore letterale della
norma impugnata», l’interpretazione data dal ricorrente per cui la disposizione
censurata considererebbe imponibile lo scalo in zona non attrezzata del mare
territoriale.
3. – Con memoria depositata in
prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito
quanto sostenuto nel ricorso, precisando, in particolare, che: a) l’indagine
sulla riconducibilità dei tributi oggetto delle norme censurate alla nozione di
turismo non pare rilevante, perché la potestà legislativa della Regione
Sardegna in materia di tributi deve comunque essere esercitata in armonia con i
princípi del sistema tributario dello Stato, anche se
ha ad oggetto tributi sul turismo; b) la legittimità costituzionale delle
imposte istituite con le norme censurate deve essere valutata in base al
presupposto e non in base alla finalità dell’imposizione; c) nell’esercizio
della sua potestà legislativa in materia tributaria,
4. – Con il ricorso n. 36 del
2007, notificato il 2 agosto 2007 e depositato il 7 agosto successivo, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale: a)
dell’art 2 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3,
comma 1, della legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge
finanziaria 2007) – entrato in vigore il 31 maggio 2007, ai sensi dell’art. 37
della stessa legge –, in riferimento all’art.
8, lettera h), dello statuto della Regione Sardegna (nel testo sostituito
dal comma 834 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296), al principio
di ragionevolezza, agli artt. 3
e 53 Cost., all’art. 117, primo comma, Cost. per violazione dell’art. 12 del
Trattato CE e, in subordine, all’art.
119 Cost.; b) dell’art. 3 della stessa legge della Regione Sardegna n. 4 del
2006, nel testo sostituito dall’art.
3, comma 2, della citata legge della Regione Sardegna n. 2 del
Il ricorrente premette che, al
fine di individuare i parametri costituzionali applicabili, occorre verificare
se il nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione abbia ampliato
l’autonomia statutaria regionale e pone, perciò, a raffronto l’art. 8, lettera h), dello statuto
della Regione Sardegna (nel testo sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della
legge n. 296 del 2006) e l’art. 119 Cost.
Secondo il ricorrente, «tra le
due norme non c’è coincidenza di effetti», perché la prima prevede che la
potestà regionale in materia tributaria deve essere esercitata in armonia con i
princípi del sistema tributario dello Stato, mentre
la seconda pone come limite a detta potestà i princípi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
A detta del ricorrente, l’art. 119 richiamerebbe «le condizioni di
compatibilità tra sistemi tributari, la cui articolazione interna può non
restare condizionata», mentre l’art. 8, lettera h), dello statuto speciale richiamerebbe princípi
interni al sistema, «nel senso che possono incidere sulla struttura delle
singole imposte». In ogni caso, poiché
Sempre in via generale, il
ricorrente premette anche che, con la sola eccezione dell’imposta di soggiorno,
i tributi in oggetto, contrariamente alla formulazione letterale delle norme
censurate, non possono essere definiti imposte o tasse sul turismo, ma devono
essere invece considerati quali «altri tributi propri» ai sensi dell’art. 8,
lettera h), dello statuto speciale.
Premette, infine, di avere
proposto, in ragione del rilievo comunitario del mercato turistico sardo,
alcune censure basate su parametri di diritto comunitario – da ritenere
superate in caso di accoglimento delle censure basate su parametri di diritto
interno – in relazione alle quali chiede che sia effettuato il rinvio pregiudiziale
alla Corte di giustizia CE, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE.
L’Avvocatura generale procede,
poi, alla disamina delle singole norme denunciate e all’illustrazione delle
censure formulate per ciascuna di esse.
4.1. – In relazione all’art 2
della citata legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art.
3, comma 1, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, la difesa
erariale osserva che esso disciplina l’imposta
regionale sulle plusvalenze delle seconde case ad uso turistico, applicabile –
nei confronti dell’alienante a titolo oneroso avente domicilio fiscale fuori dal territorio regionale o avente domicilio fiscale
in Sardegna da meno di ventiquattro mesi – alle cessioni a titolo
oneroso: 1) delle unità immobiliari acquisite o
costruite da piú di cinque anni, site in Sardegna entro tre chilometri dalla battigia marina,
adibite ad uso abitativo e diverse dall’abitazione principale (come definita
dall’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992), da parte del proprietario o
del titolare di altro diritto reale sulle stesse; 2) di quote o azioni non
negoziate sui mercati regolamentati di società titolari della proprietà o di
altro diritto reale su detti fabbricati, per la parte ascrivibile ai fabbricati
medesimi.
Ad avviso della
difesa erariale, tale norma víola il citato art. 8, lettera h),
dello statuto della
Regione Sardegna (secondo cui le entrate della Regione sono costituite «da
imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facoltà
di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello
Stato»), perché «la legge regionale non è in armonia con i principi del sistema
tributario dello Stato contenuti nell’art. 81 [recte: art. 67], comma 1, lettera b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917», per cui, «nei confronti
di una persona fisica, perché una plusvalenza possa costituire reddito
"diverso” […], è necessario l’intento speculativo», il quale «non può avere
un’articolazione diversa Regione per Regione» e «va escluso quando tra
l’acquisto e la vendita sia intercorso un tempo tale da farlo ritenere quanto
meno improbabile».
La stessa norma sarebbe, poi,
irragionevole, perché, applicandosi
a tutte le unità immobiliari site entro tre
chilometri dalla battigia marina, fisserebbe ingiustificatamente una distanza dalla battigia uguale per tutte le
spiagge della Regione, senza tenere conto della conformazione dei luoghi e,
quindi, delle diverse possibilità di accesso al mare.
Il denunciato art. 2
violerebbe, inoltre, il principio di capacità contributiva, perché «nella norma
impugnata non si trova alcun elemento per il quale la capacità contributiva,
espressa dalla realizzazione di plusvalenze con la cessione di immobili situati
nella Regione, sia diversa a seconda che il soggetto risieda in Sardegna o
fuori».
Sussisterebbe anche la
violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con l’art. 12 del
Trattato CE, perché la norma censurata discriminerebbe i cittadini comunitari,
assoggettando all’imposta tutti i soggetti non residenti.
In via subordinata, per il caso in cui «si potessero desumere i
principi fondamentali del coordinamento del sistema tributario dalla
legislazione tutt’ora in vigore», la difesa erariale deduce la violazione dell’art.
119 Cost., per contrasto con i princípi fondamentali
del coordinamento del sistema tributario, che corrispondono, almeno in via
transitoria e «fino a che non interverranno le norme statali di attuazione
dell’art. 119», ai princípi del sistema tributario
dello Stato.
4.2. – In relazione all’art. 3
della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006 (la cui rubrica recita:
«Imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico»), nel testo sostituito dall’art. 3, comma 2,
della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, il ricorrente osserva che
esso: a) disciplina l’imposta regionale sulle unità immobiliari destinate ad
uso abitativo, dovuta – per metro quadro ed in misura differenziata secondo
scaglioni di superficie – sulle unità immobiliari ubicate nel territorio regionale ad una distanza inferiore ai tre
chilometri dalla linea di battigia marina, non adibite ad abitazione principale
da parte del proprietario o del titolare di altro diritto reale sugli stessi,
ed applicabile nei confronti del proprietario di dette unità immobiliari, ovvero
del titolare di diritto di usufrutto, uso, abitazione, superficie o del
locatario dell’immobile in locazione finanziaria, aventi domicilio fiscale
fuori dal territorio regionale; b) prevede che «Per l’anno 2006
l’imposta è dovuta nella misura piú favorevole al
contribuente mediante comparazione tra le misure previste dal presente articolo
e quelle previgenti» (comma 9).
Per la difesa erariale, il
denunciato art. 3 víola l’art. 8, lettera h), dello statuto della Regione
Sardegna (nel testo sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del
2006) e gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della
legge costituzionale n. 3 del 2001, perché:
a) l’oggetto dell’imposta non può essere ricondotto alla materia del turismo,
in quanto «il fine turistico non può essere ritenuto implicito nel fatto che
l’unità immobiliare non sia adibita ad abitazione principale», come, ad
esempio, nel caso dell’immobile utilizzato per esigenze di lavoro; b) anche
qualora ricondotta alla categoria degli «altri tributi propri» della Regione,
l’imposta non sarebbe «in armonia con i principi del sistema tributario dello
Stato», essendo essa determinata in base alla superficie del fabbricato, senza
tenere conto del valore di questo, mentre la tassazione in base ai valori
catastali, come avviene per l’ICI, andrebbe comunque considerata come principio
fondamentale, in quanto consente di colpire valori medi, determinati per zone
omogenee in rapporto con i valori di mercato e, in ogni caso, variabili a
seconda del pregio degli immobili; c) la norma non ha obiettivi di
coordinamento del sistema tributario, ma si limita a istituire una singola
imposta, e perciò non è riconducibile alla materia del coordinamento del sistema
tributario, di competenza legislativa concorrente.
La norma denunciata violerebbe
anche l’art. 53 Cost., perché
«l’imposta è commisurata alla visibilità del mare, quindi su valori
panoramici», i quali non sono materia tassabile, in quanto non integrano la
capacità contributiva – che è, invece, legata al valore economico del bene –,
e, in subordine, gli artt. 3 e 53 Cost., per irragionevolezza, perché l’imposta
è dovuta anche per gli immobili privi di vista sul mare. Violerebbe, inoltre,
gli artt. 3 e 53 Cost., sempre per irragionevolezza, in considerazione del
contrasto con i princípi del sistema tributario dello
Stato, risultante anche dal fatto che l’imposta è «progressiva con l’aumentare
delle superfici disponibili da 60 mq. a 150» mq., ma «diventa fortemente
regressiva da 150 mq. a 200 per diminuire ancora per le superfici maggiori».
Infine, sempre secondo
l’Avvocatura generale dello Stato, il denunciato art. 3, quanto
all’individuazione dei soggetti passivi dell’imposta, si porrebbe in contrasto
con il menzionato principio di ragionevolezza, salvo che detta disposizione sia
interpretata (interpretazione che si richiede alla Corte di adottare) nel senso
che «se il proprietario, o i titolari degli altri diritti reali, non sono nel
possesso dell’immobile, l’imposta non è dovuta, né da loro (per mancanza del
possesso) né dai possessori non titolari di quei diritti, perché non indicati
tra i soggetti passivi».
4.3.
– In relazione all’art. 4
della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art.
3, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, il ricorrente
osserva che esso disciplina l’imposta regionale su aeromobili ed unità da
diporto, applicabile, nel periodo dal 1° giugno al 30
settembre, al soggetto avente domicilio
fiscale fuori dal territorio regionale che assume l’esercizio dell’aeromobile o
dell’unità da diporto (con l’esenzione dall’imposta: delle imbarcazioni
che fanno scalo per partecipare a regate di carattere sportivo, a raduni di
barche d’epoca, di barche monotipo ed a manifestazioni veliche, anche non
agonistiche, il cui evento sia stato preventivamente comunicato all’Autorità
marittima da parte degli organizzatori; delle unità da diporto che sostano
tutto l’anno nelle strutture portuali regionali; della sosta tecnica,
limitatamente al tempo necessario per l’effettuazione della stessa), e dovuta: 1) per ogni scalo negli aerodromi del
territorio regionale degli aeromobili dell’aviazione generale adibiti al
trasporto privato, per classi determinate in relazione al numero dei passeggeri
che sono abilitati a trasportare; 2) annualmente, per lo scalo nei porti, negli
approdi e nei punti di ormeggio ubicati nel territorio regionale e nei campi di
ormeggio attrezzati ubicati nel mare territoriale delle unità da diporto, per
classi di lunghezza, a partire da
Ad avviso
dell’Avvocatura generale, la norma víola i parametri già
evocati in relazione ai denunciati artt. 3 e 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, quali sostituiti dall’art. 3, commi
1 e 2, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, per i motivi già
esposti nelle censure a tali norme.
Sempre
per la difesa erariale, la disposizione denunciata si pone, relativamente ai
soggetti che svolgono attività d’impresa, in contrasto con l’art. 117, primo
comma, Cost., perché: a) víola l’art. 49 del Trattato
CE, «introducendo una restrizione alla libera prestazione dei servizi nel
mercato sardo dei servizi nautici e aerei, che costituisce una parte rilevante
del mercato europeo»; b) víola l’art. 81 del Trattato
CE, «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10», perché ha l’effetto di falsare
il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune; c) víola l’art. 87 del Trattato CE, perché istituisce un aiuto
alle imprese con sede in Sardegna.
La
stessa difesa erariale lamenta, inoltre, la violazione degli artt. 117, secondo
comma, lettera e), e 120 Cost.,
perché la norma censurata investe la materia della concorrenza, riservata alla
competenza legislativa statale, incidendo, di conseguenza sull’unità economica
della Repubblica. Deduce altresí il contrasto con
«l’art. 3 [di un non meglio precisato testo normativo], la cui tutela nella
iniziativa economica è affidata alla normativa sulla concorrenza».
Quanto
ai parametri costituiti dagli artt. 3 e 53 Cost., espressivi del principio di
ragionevolezza, il ricorrente sostiene che essi sono violati, perché: a) «una
attività esercitata nella stessa forma non può essere considerata espressione
di capacità contributiva diversa a seconda del periodo in cui viene svolta»; b)
l’imposta denunciata ha carattere regressivo, perché la sua misura diminuisce
proporzionalmente all’aumentare del numero dei passeggeri che l’aeromobile è
abilitato a trasportare e della lunghezza delle unità da diporto e perché, con
riferimento a queste ultime, è pagata una sola volta per tutto l’anno, cosí che «piú scali si fanno,
meno sarà in proporzione l’onere tributario»; c) con riferimento allo scalo
degli aeromobili, il tributo costituisce una duplicazione dei diritti
aeroportuali previsti dalla legge n. 324 del 1976, dovuti, per l’utilizzazione
degli impianti aeroportuali, al gestore dell’aeroporto; d) sempre con
riferimento allo scalo degli aeromobili, il tributo «non può essere definito imposta, perché colpisce i singoli atti
di esercizio di un’impresa e non il risultato utile complessivo», né tassa, «perché riscossa da chi non ha
nessun coinvolgimento nel servizio utilizzato».
La
difesa erariale evoca, infine, gli artt. 1, 3, 8, lettera h), dello statuto
della Regione Sardegna, perché, con
riferimento alle unità da diporto, l’imposta si applica anche se lo scalo
avviene nei campi di ormeggio attrezzati, ubicati nel mare territoriale, che
non fa parte del territorio della Regione. Infatti, l’art. 1 dello statuto
identifica il territorio regionale nella «Sardegna con le sue isole», mentre i
presupposti per imposte della Regione non possono «essere individuati fuori del
suo territorio».
4.4.
– Il ricorrente censura, infine, l’art. 5 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, che istituisce e disciplina
l’imposta regionale di soggiorno, «da destinare ad interventi nel settore del turismo sostenibile», che i Comuni
hanno la facoltà di applicare nell’àmbito del proprio territorio, a decorrere
dall’anno 2008. Soggetti passivi del tributo sono coloro che non risultano
iscritti nell’anagrafe della popolazione residente nei Comuni della Sardegna e
l’imposta è dovuta per il soggiorno, nel periodo dal
15 giugno al 15 settembre, nelle aziende ricettive di cui alla legge regionale 14 maggio 1984, n. 22
(Norme per la classificazione delle aziende ricettive), nelle strutture
ricettive extra-alberghiere di cui alla legge
regionale 12 agosto 1998, n. 27 (Disciplina delle strutture ricettive
extra-alberghiere), nelle strutture ricettive di cui alla legge regionale 23 giugno 1998, n. 18
(Nuove norme per l’esercizio dell’agriturismo), nelle unità immobiliari adibite
ad abitazioni principali, cosí come definite dall’articolo 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del
1992, concesse in comodato o in locazione, e nelle unità immobiliari non
adibite ad abitazioni principali (con l’esclusione, per queste ultime, del
proprietario, del coniuge, degli affini e dei parenti in linea retta, dei
collaterali fino al terzo grado, e degli ospiti che soggiornano unitamente ad
almeno uno dei componenti la famiglia del proprietario). Sono esenti
dall’imposta i lavoratori dipendenti che soggiornano per ragioni di servizio
attestate dal datore di lavoro, gli studenti che soggiornano per ragioni di
studio o per periodi di formazione professionale attestati dalle rispettive
università, scuole od enti di formazione, i minori di diciotto anni, nonché i
lavoratori autonomi che soggiornano per ragioni di lavoro documentabili.
Secondo l’Avvocatura generale
dello Stato, il denunciato art. 5 víola: a) l’art. 8, lettera h), dello statuto della Regione Sardegna, perché
5. – Si è costituita
5.1. – Ad avviso della
resistente, l’autonomia legislativa garantita dallo statuto speciale
giustifica, nel quadro di un federalismo "competitivo”, una differenza di
trattamento fra cittadini di Regioni diverse, in funzione delle diverse
politiche economiche e fiscali perseguite, con il solo vincolo della
ragionevolezza.
Per la stessa resistente,
poiché le risorse finanziarie delle Regioni a statuto speciale sono costituite
da una quota dei principali tributi statali versati dai cittadini residenti nel
territorio regionale «a fronte del reddito prodotto e dei servizi scambiati sul
quel territorio», è evidente che i cittadini residenti e i non residenti
possono essere trattati, dalle leggi tributarie regionali, in modo
ragionevolmente diverso. Ciò trova giustificazione nel differente apporto degli
uni e degli altri cittadini alle entrate fiscali statali spettanti alla
Regione. La differenziazione fra residenti e non residenti non è, allora, posta
arbitrariamente dal legislatore regionale, ma trova fondamento nella
circostanza che i non residenti non versano alla Regione alcunché, tranne una
quota minima e del tutto eventuale di risorse che «dallo Stato arrivasse […]
mediante fondi perequativi e risorse aggiuntive». In conclusione sul punto, il
fatto che i non residenti utilizzino, mediante le case ad uso turistico situate
sulla costa, il territorio e l’ambiente della Sardegna rende ragionevole, e
quindi compatibile con l’art. 3 Cost., l’esercizio del potere impositivo
regionale allo scopo di realizzare risorse aggiuntive destinate a sviluppare,
anche sotto il profilo turistico, «le zone interne e i centri storici
dell’Isola».
Sempre ad avviso della
Regione, l’esercizio della potestà impositiva prevista dallo statuto risponde
anche all’interesse dello Stato, perché alleggerisce la pressione sui fondi
perequativi di cui all’art. 119, terzo comma, Cost. e sulle risorse aggiuntive
di solidarietà di cui allo stesso art. 119, quinto comma, Cost. Anzi, il fatto
che
La resistente si sofferma,
poi, su alcuni esempi di norme regionali che prevedono discipline differenziate
tra residenti e non residenti nella Regione, quali: a) l’art. 16, lettera p), della legge della Regione
Friuli-Venezia Giulia 25 agosto 2006, n. 17 (Interventi in materia di risorse
agricole, naturali, forestali e montagna e in materia di ambiente,
pianificazione territoriale, caccia e pesca), il quale dispone che «
5.2. – Al fine di contestare
l’affermazione del ricorrente per cui le imposte oggetto delle norme denunciate
non sarebbero coerenti con l’art. 8, lettera h), dello statuto di autonomia,
Piú in generale, in relazione all’ampiezza
dell’autonomia impositiva regionale, la resistente afferma, contestando quanto
sostenuto dal ricorrente, che: a) i tributi oggetto delle norme censurate
«costituiscono estrinsecazione di un potere impositivo autonomo, che trova
giustificazione nello statuto speciale»; b) «i tributi propri sono una figura
distinta da quelli appartenenti al sistema tributario dello Stato»; c)
5.3. – In riferimento alla
censura della parte ricorrente per cui i tributi oggetto delle disposizioni
denunciate violerebbero il principio di progressività,
5.4. – Riguardo alla
violazione del diritto comunitario, per il tramite dell’art. 117, primo comma,
Cost., da parte delle norme censurate, la resistente osserva in primo luogo che
Non sussiste, ad avviso della
Regione, alcuna violazione dell’art. 12 del Trattato CE perché i tributi introdotti
dalle disposizioni censurate si inquadrano «in una piú
ampia politica regionale di tutela e salvaguardia del […] patrimonio
paesaggistico in funzione del turismo» e non recano indebite restrizioni alla
libertà di circolazione di beni, persone e capitali ovvero alla libertà di
stabilimento.
5.5. – Ciò premesso,
5.5.1. – In riferimento
all’imposta sulle plusvalenze, la resistente osserva preliminarmente che,
mentre nel ricorso si affermano violati l’art. 8, lettera h), dello statuto regionale e gli artt. 3, 53, 117, primo comma, in
riferimento all’art. 12 del Trattato CE, nella deliberazione governativa di
impugnazione del 27 luglio 2007 si indica unicamente la violazione dell’art. 8,
lettera h), dello statuto e degli
artt. 3, 53 Cost., mentre v’è un generico riferimento all’art. 117, primo
comma, Cost. e all’art. 12 del Trattato CE solo nella proposizione finale di
detta deliberazione. Pertanto, l’evocazione del parametro di cui all’art. 117,
primo comma, Cost., in riferimento all’art. 12 del Trattato, sarebbe
inammissibile.
Ad avviso della Regione, la
censura proposta dal Governo nel ricorso n. 36 del 2007 nei confronti della
nuova formulazione della norma (per cui essa non sarebbe in armonia con i princípi del sistema tributario dello Stato in quanto
colpirebbe, in violazione del principio espresso dal citato art. 67, comma 1,
lettera b), una plusvalenza
ultraquinquennale e quindi priva del carattere speculativo richiesto dalla
legislazione statale per la sua sottoposizione a tassazione) si porrebbe in
contraddizione con la censura proposta nel ricorso n. 91 del 2006 nei confronti
della precedente formulazione della norma (per cui essa costituirebbe una
parziale duplicazione dell’imposizione statale sulle plusvalenze immobiliari infraquinquennali, in quanto riferita, senza distinzioni, a
plusvalenze immobiliari maturate in ogni tempo). Da un lato, infatti, il
ricorrente lamenterebbe la violazione del divieto di duplicazione
dell’imposizione sullo stesso presupposto (la plusvalenza immobiliare infraquinquennale), dall’altro censurerebbe la disarmonia
tra la scelta del legislatore regionale di sottoporre a tassazione plusvalenze
immobiliari prive del carattere speculativo e la politica fiscale statale di
sottoporre a tassazione le sole plusvalenze immobiliari dotate di tale
carattere. In ogni caso, le censure governative non terrebbero conto del fatto
che l’imposta regionale sulle plusvalenze, proprio per il suo carattere di
residualità, intende colpire il maggior valore che consegue oggettivamente alla
realizzazione di un immobile sulla costa, a prescindere dalla capacità
contributiva o dall’intento speculativo del proprietario. Rinunciando
all’imposta per il periodo dei primi cinque anni del godimento dell’immobile,
mediante la modifica apportata al tributo con la legge finanziaria regionale n.
2 del 2007,
Quanto al rilievo della difesa
erariale – per cui la legge regionale avrebbe illegittimamente fissato la
distanza di tre chilometri dalla linea di battigia marina quale condizione per
l’imposizione, senza tenere conto della conformazione dei luoghi e delle
diverse possibilità di accesso al mare –, la resistente osserva che il
riferimento alla fascia costiera nel suo complesso trova giustificazione nella
generale azione di salvaguardia dell’ambiente costiero, minacciato e in parte
già deturpato da una forte speculazione edilizia. Il riferimento ad un limite
fisico di distanza dalla costa quantitativamente determinato sarebbe, pertanto,
coerente con la tutela apprestata ad ampie porzioni del territorio dall’art.
142, comma 1, lettere a) e d), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della
legge 6 luglio 2002, n. 137). La ragionevolezza dell’imposta sarebbe, del
resto, confermata dalla previsione per cui il suo gettito è destinato per il 75
per cento al fondo perequativo per lo sviluppo e la coesione territoriale delle
aree interne e per il restante 25 per cento al Comune nel quale il gettito è
generato.
Quanto alla disparità di
trattamento fra soggetti residenti e non residenti prospettata dal ricorso,
In riferimento alla pretesa
violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 12 del Trattato
CE, la resistente ribadisce i rilievi di inammissibilità e le considerazioni in
punto di merito già svolti in via generale.
5.5.2. – Riguardo all’imposta
sulle seconde case ad uso turistico,
Quanto alla censura relativa
al fatto che l’imposta sarebbe irragionevole perché è dovuta anche per immobili
privi di vista sul mare e comunque non tiene conto della capacità contributiva,
Riguardo alla censura della
difesa erariale fondata sulla pretesa regressività dell’imposta per gli
immobili di superficie piú ampia, la resistente, da
un lato, ribadisce che le imposte turistico-ambientali «non si ispirano a
logiche impositive di ordine patrimoniale strettamente connesse alla capacità
contributiva e reddituale della persona e del bene»; dall’altro osserva che la
progressività dell’imposta va commisurata a un tetto massimo che il legislatore
ha inteso non superare per evitare un carico tributario eccessivo.
In relazione alla censura per
cui l’imposta non sarebbe in armonia con i princípi
del sistema tributario dello Stato, la resistente rileva che detta imposta è
comunque commisurata al valore dell’immobile, perché le abitazioni della fascia
costiera si collocano in una zona omogenea nella quale è assai rilevante
l’incremento di valore. Proprio tale maggiore valore è il fondamento della
nuova imposta, strettamente collegata alla politica tributaria della Regione,
perché destinata, per il 75 per cento al fondo di sviluppo delle aree interne e
per 25 per cento al Comune nel quale il gettito è originato. In conclusione, ad
avviso della Regione, le censure contenute nel ricorso devono essere rigettate,
perché «non vi sono interferenze e sovrapposizioni con tributi statali» e
perché «la progressività è salvaguardata, come pure la finalizzazione delle
nuove entrate alle peculiari esigenze di sviluppo della Regione».
5.5.3. – Con riguardo
all’imposta regionale sullo scalo turistico di aeromobili e unità da diporto,
disciplinata dall’art. 4 della legge reg. n. 4 del 2006, nel testo sostituito
dall’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007, la resistente afferma, in
primo luogo, che essa ha natura turistica, perché colpisce lo scalo effettuato nel
periodo estivo e gli esercenti che risiedono fuori dal territorio regionale;
cioè colpisce, con riferimento agli aeromobili, gli scali privati negli
aeroporti per ragioni turistiche. In secondo luogo,
In particolare, con riguardo
allo scalo degli aeromobili,
In relazione alla dedotta non
progressività del tributo sullo scalo delle unità da diporto, la resistente
ribadisce le considerazioni già svolte con riferimento allo scalo degli
aeromobili e piú in generale, in punto di
progressività, alle imposte disciplinate dai censurati artt. 2 e 3 della legge
reg. n. 4 del 2006. Contesta, poi, quanto sostenuto dal ricorrente, per il
quale non sarebbe consentito fissare l’imposta anche per gli scali di unità da
diporto nei campi di ormeggio situati nel mare territoriale perché il mare
territoriale non farebbe parte del territorio regionale. Tali rilievi sono, per
la resistente Regione, in primo luogo, inammissibili, perché non proposti dal
Governo nella deliberazione del Consiglio dei ministri del 27 luglio 2007; in
secondo luogo, infondati, perché il conferimento alle Regioni delle competenze
relative al rilascio di concessioni di beni del demanio marittimo e di zone del
mare territoriale ad opera dell’art. 105 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed
agli Enti locali in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59),
consente alla Regione di regolare anche sotto il profilo tributario la materia
trasferita.
5.5.4. – Con riguardo all’art.
5 della legge reg. n. 2 del 2007, che istituisce e disciplina l’imposta di
soggiorno,
La resistente contesta, in
primo luogo, le censure del ricorrente per cui l’imposta sarebbe un tributo
comunale e per questo non potrebbe essere stabilita dalla Regione in mancanza
dei princípi fondamentali del coordinamento del
sistema tributario. Sostiene la resistente di essere titolare, ai sensi
dell’art. 3, lettere b) e p), dello statuto di autonomia, di
potestà legislative esclusive in materia di finanza locale e turismo e di
essersi limitata, in ogni caso, a stabilire un tributo regionale «affidato,
nella gestione, ai Comuni», i quali hanno facoltà di istituirlo o no. Lo stesso
Governo, nella risoluzione n. 5 del Ministero dell’economia e delle finanze in
data 4 aprile del 2002, avrebbe ammesso che anche le Regioni possono istituire
nuovi tributi degli enti locali.
In secondo luogo, la
resistente contesta la fondatezza della censura proposta nel ricorso, per cui
la disciplina regionale violerebbe l’art. 119 Cost., perché non lascerebbe ai
Comuni alcun margine di autonomia sul tributo se non la facoltà di istituirlo o
no. Rileva al riguardo
6. – Nel procedimento
introdotto con il ricorso n. 36 del 2007, il Presidente del Consiglio dei
ministri, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, ha riproposto le
argomentazioni già esposte nel ricorso, precisando, in particolare, che: a) le
imposte oggetto delle norme censurate non possono essere considerate imposte
sul turismo, perché il turismo ne è lo scopo, ma non il presupposto; b) la
sottoposizione a tassazione sia dello scalo sia del soggiorno è incoerente con
la dichiarata finalità di promozione turistica dei tributi in questioni; c)
«non risulta evidente come la tutela dell’ambiente possa essere realizzata
attraverso una imposizione che è regressiva rispetto alle presenze, […] quindi
non collegata all’entità dell’inquinamento prodotto, per divenire addirittura
nulla, in caso dei natanti, se la presenza è continua nell’intero anno»; d)
l’art. 8, lettera h), dello statuto
non attribuisce alla Regione una generale potestà legislativa tributaria,
perché la facoltà di istituire i singoli tributi deve esserle attribuita da
norme diverse; e) in ogni caso, «una volta programmata un’imposta,
Considerato in diritto
1. – Con il primo dei due
ricorsi in epigrafe (n. 91 del 2006), il Presidente del Consiglio dei ministri
censura:
a) l’art. 2 della legge della
Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4 (Disposizioni
varie in materia di entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e
di sviluppo), in riferimento: all’art. 8, lettera i), dello statuto
della Regione Sardegna (nel testo vigente all’epoca del deposito del ricorso);
agli artt. 117 e 119 della Costituzione, in relazione all’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, anche per violazione del principio
fondamentale espresso dall’art. 67, comma 1, lettera b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo
unico delle imposte sui redditi); agli artt. 3 e 53 Cost.; all’art. 117, primo
comma, Cost., per violazione dell’art. 12 del Trattato CE;
b) l’art. 3 della stessa legge
regionale, in riferimento: all’art. 8,
lettera i), dello statuto della Regione Sardegna (nel testo vigente
all’epoca del deposito del ricorso); agli artt. 117 e 119 Cost., in relazione
all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001; agli artt. 3 e 53 Cost.;
all’art. 117, primo comma, Cost., per violazione dell’art. 12 del Trattato CE;
c) l’art. 4 della stessa legge
regionale, in riferimento: all’art. 8,
lettera i), dello statuto della Regione Sardegna (nel testo vigente
all’epoca del deposito del ricorso); agli
artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001; all’art. 53 Cost.; agli artt. 3 e 53, secondo comma,
Cost. (parametri non espressamente indicati).
Ciascuno degli articoli denunciati
istituisce e disciplina un particolare tributo regionale: a) l’«imposta
regionale sulle plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case» (rubrica
dell’art. 2); b) l’«imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico»
(rubrica dell’art. 3); c) l’«imposta regionale su aeromobili ed unità da
diporto» (rubrica dell’art. 4).
2. – Con il secondo dei due
ricorsi in epigrafe (n. 36 del 2007), il Presidente del Consiglio dei ministri
censura:
a) l’art. 2 della stessa legge
regionale n. 4 del 2006, quale
sostituito dall’art. 3, comma 1, della legge reg. 29 maggio 2007, n. 2
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della
Regione – Legge finanziaria 2007), in riferimento: all’art. 8, lettera h),
dello statuto della Regione Sardegna (nel testo sostituito dal comma
834 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296), anche per violazione
dell’art. 67, comma 1, lettera b),
del d.P.R. n. 917 del 1986; all’art.
3 Cost. (parametro non espressamente indicato); agli artt. 3 e 53 Cost.; all’art.
117, primo comma, Cost., per violazione dell’art. 12 del Trattato CE; all’art. 119 Cost.;
b) l’art. 3 della stessa legge
regionale n. 4 del 2006, quale
sostituito dall’art. 3, comma 2, della citata legge reg. n. 2 del
c) l’art. 4 della stessa legge
regionale n. 4 del 2006, quale
sostituito dall’art. 3, comma 3, della citata legge reg. n. 2 del
d) l’art. 5 della citata legge
regionale n. 2 del
Ciascuno dei denunciati
articoli disciplina un diverso tributo regionale: o quale risulta a séguito
delle modifiche apportate dalla legge reg. n. 2 del 2007 al corrispondente
tributo previsto dalla precedente legge reg. n. 4 del 2006, oppure quale
introdotto ex novo dalla medesima
legge reg. n. 2 del
3. – I giudizi relativi ai
suddetti ricorsi vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi, in
considerazione dell’evidente analogia delle questioni prospettate.
4. – Le questioni proposte nei
due ricorsi riguardano tutte tributi propri della Regione – in quanto istituiti
con legge regionale ai sensi dell’art. 8, lettera h) [già i)], dello
statuto speciale –, e possono essere suddivise in tre gruppi, secondo i
parametri richiamati in relazione a ciascun tributo: a) questioni relative al
riparto di competenze legislative tra Stato e Regione; b) questioni basate su
norme della Costituzione non attinenti al riparto delle competenze; c)
questioni basate su norme di diritto comunitario evocate attraverso l’art. 117,
primo comma, Cost.
Con il primo gruppo di
questioni, che hanno per oggetto il riparto delle competenze legislative tra
Stato e Regioni in materia tributaria, sono evocati: a) l’art. 8, lettera i) – poi divenuta lettera h),
in forza della sostituzione operata dal comma 834 dell’art. 1 della
legge n. 296 del 2006, dello statuto
della Regione Sardegna –, il quale prevede che le entrate della Regione sono
costituite «da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la
regione ha facoltà di istituire con legge in armonia con i principi del sistema
tributario dello Stato»; b) gli artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Con il secondo gruppo di
questioni, sono evocati gli artt. 3 e 53 Cost., nei quali il ricorrente
individua il fondamento dei princípi di
ragionevolezza, uguaglianza e capacità contributiva.
Con il terzo gruppo di
questioni, sono evocati, per il tramite
dell’art. 117, primo comma, Cost., gli artt. 12, 49, 81 – «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10» – e 87 del Trattato CE.
5. – Le questioni del primo
gruppo (sopra indicato con la lettera a) pongono il preliminare problema
dell’individuazione del parametro applicabile in tema di competenza legislativa
tributaria della Regione Sardegna: se, cioè, esse debbano essere esaminate alla
stregua dell’art. 8, lettera i) – ora
lettera h) –, dello statuto speciale o
alla stregua degli artt. 117 e 119 Cost.
Questa Corte ritiene corretta
la prima ipotesi.
Non può, infatti, essere presa
in considerazione, nella specie, la disciplina del Titolo V della Parte II
della Costituzione, non garantendo essa, rispetto allo statuto speciale, quelle
«forme di autonomia piú ampie» che, sole, ne
consentirebbero l’applicazione alle Regioni a statuto speciale ai sensi
dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. La maggiore autonomia
assicurata dallo statuto risulta dal fatto che la condizione cui deve
sottostare
5.1. – Per giungere a tale
conclusione, occorre muovere dalla premessa che il nuovo Titolo V della Parte
II della Costituzione prevede che: a) lo Stato ha competenza legislativa
esclusiva in materia di «sistema tributario […] dello Stato» (art. 117, secondo
comma, lettera e, Cost.); b) le
Regioni hanno potestà legislativa esclusiva nella materia tributaria non
espressamente riservata alla legislazione dello Stato, con riguardo, beninteso,
ai presupposti d’imposta collegati al territorio di ciascuna Regione e sempre
che l’esercizio di tale facoltà non si traduca in un dazio o in un ostacolo
alla libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni (artt. 117,
quarto comma, e 120, primo comma, Cost.); c) le Regioni e gli enti locali
«stabiliscono e applicano tributi e entrate propri in armonia con la
Costituzione e secondo i principî di coordinamento […] del sistema tributario»
(art. 119, secondo comma, Cost.); d) lo Stato e le Regioni hanno competenza
legislativa concorrente nella materia del «coordinamento […] del sistema
tributario», nella quale è riservata alla competenza legislativa dello Stato la
determinazione dei princípi fondamentali. Tale
riserva di competenza legislativa nella materia del coordinamento del sistema
tributario non può comportare, tuttavia, alcuna riduzione del potere impositivo
già spettante alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, perché,
ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la nuova
disciplina costituzionale si applica ad esse (fino all’adeguamento dei
rispettivi statuti) solo per la parte in cui prevede «forme di autonomia piú ampie rispetto a quelle già attribuite» e, pertanto,
non può mai avere l’effetto di restringere l’àmbito di autonomia garantito
dagli statuti speciali anteriormente alla riforma del Titolo V della Parte II
Cost. (ex multis,
sentenza n. 103
del 2003).
Il quadro normativo risultante
dalla riforma costituzionale è stato interpretato da questa Corte nel senso, da
una parte, che lo spazio riservato a detta potestà dipende prevalentemente
dalle scelte di fondo operate dallo Stato in sede di fissazione dei princípi fondamentali di coordinamento del sistema
tributario e, dall’altra, che l’esercizio del potere esclusivo delle Regioni di
autodeterminazione del prelievo è ristretto a quelle limitate ipotesi di
tributi, per la maggior parte "di scopo” o "corrispettivi”, aventi presupposti
diversi da quelli degli esistenti tributi statali. È indicativa di questo
indirizzo la sentenza
n. 37 del 2004, la quale ha espressamente affermato che, in forza del
combinato disposto del secondo comma, lettera e), del terzo comma e del quarto comma dell’art. 117 Cost., nonché
dell’art. 119 Cost., «non è ammissibile, in materia tributaria, una piena
esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale
legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale». In altri
termini, lo Stato – nell’esercizio della propria competenza legislativa nella
determinazione dei "princípi fondamentali di
coordinamento del sistema tributario” – ha il potere di fissare, con propria
legge, «non solo […] i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi,
ma anche determinare le grandi linee del sistema tributario, e definire gli
spazi e i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva,
rispettivamente, di Stato, regioni ed enti locali». Da tale affermazione la
stessa sentenza e le altre che le hanno fatto séguito hanno tratto l’ulteriore conseguenza
che, fino a quando l’indicata legge statale non sarà emanata, è vietato alle
Regioni di istituire e disciplinare tributi propri aventi gli stessi
presupposti dei tributi dello Stato o di legiferare sui tributi esistenti
istituiti e regolati da leggi statali (sentenze n. 451 del
2007; nn.
413, 412,
75 e 2 del 2006; nn. 455, 397 e 335 del 2005; n. 431 del 2004).
Solo per quanto riguarda le suddette limitate ipotesi di tributi propri aventi
presupposti diversi da quelli dei tributi statali,
5.2. – Al fine di individuare,
alla luce di quanto sopra, la disciplina costituzionale applicabile nel caso di
specie, occorre pertanto accertare se il suddetto duplice limite fissato al
legislatore tributario regionale dagli artt. 117 e 119 Cost., come interpretati
dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, sia o no piú stringente rispetto al limite fissato dallo statuto
speciale. Occorre, cioè, verificare se l’«armonia con i princípi
del sistema tributario dello Stato» – che, si è visto, è l’unica specifica
condizione richiesta dallo statuto per legittimamente istituire e disciplinare
i tributi propri della Regione Sardegna – si differenzi complessivamente, in
termini di maggiore autonomia, dall’osservanza dei "princípi
fondamentali di coordinamento del sistema tributario”.
Al riguardo, va
preliminarmente sottolineata la differenza che intercorre tra i princípi del sistema tributario dello Stato ed i princípi fondamentali di coordinamento del sistema
tributario nel suo complesso. I primi attengono specificamente alla tipologia e
alla struttura degli istituti tributari statali, nonché alle rationes
ispiratrici di detti istituti. L’armonia con tali princípi
dei tributi regionali va, perciò, intesa come rispetto, da parte del
legislatore regionale, dello "spirito” del sistema tributario dello Stato (ex multis, sentenza n. 304 del
2002) e, perciò, come coerenza e omogeneità con tale sistema nel suo
complesso e con i singoli istituti che lo compongono. I secondi attengono agli
elementi informatori delle regole che presiedono i rapporti e i collegamenti
tra il sistema tributario dello Stato, quello delle Regioni a statuto ordinario
e quello degli enti locali e presuppongono una legge statale che li fissi
espressamente.
Sia l’«armonia con i princípi del sistema tributario dello Stato» che
l’osservanza dei "princípi fondamentali di
coordinamento del sistema tributario” realizzano, dunque, una funzione di
coordinamento in senso lato tra i diversi sottosistemi del complessivo sistema
tributario. Con la differenza, però, che mentre l’armonia con i «princípi del sistema tributario dello Stato» richiede solo
che
5.3. – Ciò posto, va rilevato
che, mentre la normativa risultante dalla riforma del Titolo V della Parte II
della Costituzione – come interpretata dalle richiamate sentenze di questa
Corte – vieta alle Regioni a statuto ordinario, in difetto di una legislazione
statale sui princípi fondamentali di coordinamento,
di disciplinare tributi già istituiti da legge statale o di istituirne altri
aventi lo stesso presupposto dei preesistenti tributi statali; un simile
divieto non è, invece, desumibile dallo statuto speciale della Regione
Sardegna, il quale si limita ad esigere che i tributi propri regionali siano in
armonia con i princípi del sistema tributario dello
Stato. Né può ritenersi che il suddetto divieto costituisca uno dei princípi con i quali la legislazione della Regione Sardegna
deve armonizzarsi. In base a quanto si è appena osservato, infatti, esso
costituisce un principio di coordinamento in senso stretto – individuato in via
interpretativa dalla giurisprudenza di questa Corte e transitoriamente
applicabile fino all’emanazione di un’apposita legge statale in materia – che
attiene solo alla ripartizione tra i diversi livelli di governo dei presupposti
di imposta, secondo un criterio temporale di priorità nell’esercizio della
potestà legislativa tributaria.
Ne deriva che il Titolo V
della Parte II della Costituzione non prevede un’autonomia legislativa
tributaria piú ampia di quella complessivamente
attribuita alla Regione Sardegna dal suo statuto di autonomia. Quest’ultimo è
l’unico parametro applicabile nella specie e, pertanto, le censure del
ricorrente basate sulla violazione del Titolo V della Parte II della
Costituzione non possono essere prese in considerazione, con le conseguenze,
sul tipo di pronuncia da adottare, che saranno esaminate caso per caso, in
relazione al contenuto delle singole censure.
5.4. – Tale esito
interpretativo non esclude, beninteso, che lo Stato possa contenere o ampliare
la potestà normativa di autodeterminazione dei tributi propri attribuita alla
Regione dallo statuto speciale. Significa solo che tale possibilità passa non
già attraverso l’emanazione di una legge statale che fissi i princípi fondamentali previsti dall’art. 117 Cost., ma
attraverso la modificazione statutaria realizzata attivando lo speciale
procedimento di collaborazione previsto dall’art. 54 dello statuto di
autonomia, a tenore del quale le disposizioni statutarie in materia di
autonomia finanziaria «possono essere modificate con leggi ordinarie della
Repubblica su proposta del Governo o della Regione, in ogni caso sentita
5.5. – Non osta a tale
conclusione l’orientamento di questa Corte secondo cui sono applicabili alle
Regioni a statuto speciale, come alle Regioni a statuto ordinario, vincoli
complessivi e temporanei alla spesa corrente fissati dalla legislazione statale
(sentenze n. 169
e n. 82 del 2007).
Infatti, in base a detto orientamento, tali vincoli, riconducibili ai "princípi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica”, si impongono alle autonomie speciali solo in ragione
dell’imprescindibile esigenza di assicurare l’unitarietà delle politiche
complessive di spesa che lo Stato deve realizzare – sul versante sia interno
che comunitario e internazionale – attraverso la «partecipazione di tutte le
Regioni […] all’azione di risanamento della finanza pubblica» e al rispetto del
cosiddetto "patto di stabilità”. Una tale esigenza, in quanto relativa al
contenimento della spesa pubblica, non attiene al sistema tributario della
Regione Sardegna – la cui coerenza con il sistema statale è garantita dalla
menzionata «armonia con il sistema tributario dello Stato» – e rende, perciò,
non pertinente al caso di specie la richiamata giurisprudenza costituzionale.
5.6. – Deve ulteriormente
precisarsi che il testo dell’art. 8, lettera h) (già lettera i), dello
statuto speciale (secondo cui le entrate della Regione sono costituite «da
imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facoltà
di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello
Stato») va interpretato nel senso che non v’è alcuna distinzione tra tributi
«sul turismo» e «altri tributi propri», quanto alla necessità di rispettare
l’«armonia con i princípi del sistema tributario
dello Stato». Per tutti i «tributi propri» della Regione – riguardino o no la
materia turistica – vale, infatti, l’identica esigenza di non creare disarmonie
o incoerenze con il sistema tributario statale. Una diversa interpretazione,
quale quella sostenuta da entrambe le parti, non solo non è imposta dalla
lettera della suddetta disposizione statutaria (come chiarito dalla sentenza n. 62 del
1987, a proposito dell’analoga formulazione contenuta nello statuto
speciale per il Trentino Alto-Adige), ma creerebbe un’ingiustificata disparità
di trattamento tra i tributi sul turismo e gli altri tributi propri.
5.7. – Ciò premesso, l’esame
delle questioni sottoposte a questa Corte sarà condotto alla stregua sia degli
artt. 3, 53 e 117, primo comma, Cost., sia dell’evocato parametro statutario.
In particolare, esso deve essere diretto ad accertare se la normativa regionale
impugnata sia coerente con i princípi di uguaglianza
e di capacità contributiva, sia in armonia con lo "spirito” del sistema
tributario – piú specificamente, con le rationes cui sono
ispirati i tributi statali gravanti sulle stesse o analoghe materie imponibili
– e non contrasti con gli articoli del Trattato CE indicati dal ricorrente.
6. – Occorre ora passare
all’esame delle questioni relative all’art. 2 della legge reg. n. 4 del 2006,
sia nel testo originario sia in quello sostituito
dall’art. 3, comma 1, della legge reg. n. 2 del 2007, sollevate,
rispettivamente, con il primo e il secondo ricorso.
6.1. – Tale disposizione, nel
testo originario, istituisce e disciplina, con effetto dal 18 febbraio 2007,
data di pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione delle
deliberazioni della Giunta regionale previste ai commi 8 e 9, l’«imposta regionale
sulle plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case», siti in Sardegna entro tre chilometri dalla battigia marina e
destinati ad uso abitativo. L’imposta è applicabile – nei confronti
dell’alienante avente domicilio fiscale fuori dal
territorio regionale o avente domicilio fiscale in Sardegna da meno di
ventiquattro mesi, con l’esclusione dei soggetti nati in Sardegna e dei loro
coniugi – alle cessioni a titolo oneroso: 1) dei suddetti fabbricati, escluse le unità immobiliari che per la maggior parte del
periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state
adibite ad abitazione principale del cedente o del coniuge; 2) di quote o
azioni non negoziate sui mercati regolamentati di società titolari della
proprietà o di altro diritto reale su detti fabbricati, per la parte
ascrivibile ai fabbricati medesimi (commi da
Con il primo ricorso, il
Presidente del Consiglio dei ministri censura la
norma in riferimento all’art. 8,
lettera i), dello statuto della Regione Sardegna – nel testo vigente
all’epoca del deposito del ricorso –, perché: a) l’imposta non può essere
considerata sul turismo, in quanto non ha alcun rapporto con questo; b) non è
ammissibile, in materie diverse dal turismo, una piena esplicazione di potestà
tributarie regionali, in carenza della fondamentale legislazione di
coordinamento dettata dal Parlamento nazionale; c) sono «violati i principi del
sistema tributario dello Stato» in materie diverse dal turismo.
In
subordine, nel caso in cui «si potessero desumere i princípi fondamentali del coordinamento del sistema
tributario dalla legislazione tutt’ora in vigore», il ricorrente censura lo
stesso art. 2 per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., in riferimento al
«principio generale» secondo cui lo stesso indice di capacità contributiva non
giustifica la sovrapposizione di piú imposte, perché
ogni imposta ha un presupposto autonomo, dovendo colpire «materie tassabili
diverse», mentre nella specie
6.2. – L’art. 2 della legge
reg. n. 4 del 2006, nel testo
sostituito dall’art. 3, comma 1, della legge reg. n. 2 del 2007, disciplina,
con effetto dal 31 maggio 2007, l’«imposta regionale sulle plusvalenze
delle seconde case ad uso turistico», applicabile – nei confronti
dell’alienante a titolo oneroso avente domicilio fiscale, «ai sensi dell’articolo 58 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600», o in Sardegna da meno di
ventiquattro mesi o fuori dal territorio regionale – alle cessioni a
titolo oneroso: 1) delle unità immobiliari acquisite
o costruite da piú di cinque anni, site in Sardegna entro tre chilometri dalla battigia marina,
adibite ad uso abitativo e diverse dall’abitazione principale (cosí come definita dall’art. 8, comma 2, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504) da parte del proprietario o del titolare
di altro diritto reale sulle stesse; 2) di quote o azioni non negoziate sui
mercati regolamentati di società titolari della proprietà o di altro diritto
reale su detti fabbricati, per la parte ascrivibile ai fabbricati medesimi
(commi 1, 2 e 4). La norma precisa, al comma 3, che «L’imposta non si
applica alle cessioni a titolo oneroso di unità immobiliari adibite ad uso
abitativo, effettuate in regime di impresa nell’esercizio delle attività di
costruzione o compravendita di immobili, purché iscritte tra le rimanenze
dell’ultimo bilancio approvato».
Con il secondo ricorso, il
Presidente del Consiglio dei ministri censura tale norma, in riferimento all’art. 8, lettera h), dello statuto della Regione
Sardegna (nel testo sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del
2006), perché «la legge regionale non è in armonia con i principi del sistema
tributario dello Stato contenuti nell’art. 81 [recte: art. 67], comma 1, lettera b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo
unico delle imposte sui redditi)», per cui, «nei confronti di una persona
fisica, perché una plusvalenza possa costituire "reddito diverso” […], è
necessario l’intento speculativo», il quale «non può avere un’articolazione
diversa Regione per Regione» e «va escluso quando tra l’acquisto e la vendita
sia intercorso un tempo tale da farlo ritenere quanto meno improbabile». Lamenta anche la violazione degli artt.
3 e 53 Cost., in riferimento al principio di capacità contributiva, perché
«nella norma impugnata non si trova alcun elemento per il quale la capacità
contributiva, espressa dalla realizzazione di plusvalenze con la cessione di
immobili situati nella Regione, sia diversa a seconda che il soggetto risieda
in Sardegna o fuori».
6.3. – Deve
preliminarmente essere esaminata l’eccezione di inammissibilità proposta dalla
resistente con riferimento al secondo ricorso.
L’eccezione
va rigettata, perché la deliberazione governativa di impugnazione contiene –
anche se nella sola proposizione finale – l’indicazione di detti parametri, e
ciò è sufficiente ai fini dell’ammissibilità del ricorso. Infatti, come
affermato dalla sentenza
n. 533 del 2002, tale deliberazione può limitarsi a «indicare le specifiche disposizioni che si ritiene
[…] eccedano la competenza» della Regione, «potendo essere rimessa
all’autonomia tecnica della Avvocatura generale dello Stato anche
l’individuazione dei motivi di censura».
6.4. – In considerazione di
quanto osservato nel punto 4., il prelievo regionale censurato con i due
ricorsi può considerarsi un tributo proprio della Regione, istituito ai sensi
dell’art. 8, lettera h) [già i)], dello statuto speciale.
Per la precisione, nel primo
ricorso, il suddetto principio del sistema tributario statale è evocato,
dapprima, solo genericamente ("violazione dei princípi
tributari”) con riferimento all’art. 8, lettera i), dello statuto di autonomia e, poi, specificamente (con espresso
richiamo del citato art. 67 del d.P.R. n. 917 del 1986), con riferimento alla
denunciata violazione degli artt. 3 e 53 Cost. L’art. 8, lettera h), dello statuto di autonomia, con
riguardo al suddetto principio, è, invece, evocato espressamente nel secondo
ricorso. È tuttavia evidente che, anche nel primo ricorso, il ricorrente ha
inteso lamentare la divergenza della legge regionale da un principio del
sistema tributario dello Stato e, quindi, la violazione del richiamato
parametro statutario. È discutibile la tecnica di impugnazione usata dal
ricorrente, perché egli ha prima denunciato la violazione statutaria di non
specificati princípi del sistema tributario statale e
poi ha precisato nello stesso ricorso, sia pure denunciando anche la violazione
degli artt. 3 e 53 Cost., che il principio del sistema tributario statale non
rispettato dal legislatore regionale è quello di cui è espressione l’art. 67
del d.P.R. n. 917 del 1986. Tuttavia è chiaro che tale imprecisione non inficia
l’intenzione di denunciare la "disarmonia”, rilevante con riguardo allo statuto
di autonomia, con il suddetto principio del sistema tributario statale.
6.5. – Il richiamato art. 67,
comma 1, lettera b), del d.P.R. n.
917 del 1986 stabilisce che sono assoggettate a tassazione «le plusvalenze
realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o
costruiti da non piú di cinque anni, esclusi quelli
acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte
del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state
adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari». La
disposizione richiede, pertanto, ai fini dell’applicazione dell’imposta
erariale, la sussistenza di due condizioni: a) la condizione positiva della
prossimità temporale della vendita dell’immobile rispetto al suo acquisto o
alla sua costruzione; b) la condizione negativa che le plusvalenze non derivino
da cessioni di immobili utilizzati per primarie esigenze abitative o acquisiti
per successione. Il concorso di tali condizioni evidenzia che le plusvalenze
sono assoggettate a tassazione in forza di quella che un tempo si designava
come presunzione legale assoluta di speculatività
delle cessioni effettuate nel quinquennio (alla quale fa riferimento il
ricorrente) e che oggi potrebbe definirsi valutazione legale tipica di
un’oggettiva strumentalità del comportamento del contribuente alla produzione
di un reddito; relazione funzionale che costituisce, nella specie, l’effettiva ratio del tributo statale.
Le censure basate sulla
disarmonia con questa ratio impositiva
sono fondate.
6.5.1. – Va premesso che il
prelievo previsto dalla legislazione statale e quello previsto dall’art. 2
della legge reg. n. 4 del 2006 riguardano entrambi, per quanto qui interessa,
l’incremento di valore realizzato all’atto della cessione a titolo oneroso di
un immobile o dei titoli partecipativi delle società proprietarie o titolari di
diritti reali sull’immobile medesimo; incremento che va determinato in misura
pari alla differenza tra il corrispettivo di cessione e il prezzo di acquisto o
il costo di costruzione del bene ceduto (secondo gli analoghi criteri di
calcolo previsti, rispettivamente, dall’art. 68 del d.P.R. n. 917 del 1986 e dai
commi 5 e 6 del censurato art. 2 della legge reg. n. 4 del 2006). Con riguardo
all’originaria formulazione della norma denunciata, va peraltro rilevato che
l’imposizione da essa introdotta: a) realizza una sovrapposizione di imposte
per la parte in cui colpisce il medesimo presupposto del tributo erariale,
assoggettando a tassazione le plusvalenze realizzate attraverso cessioni di
«fabbricati adibiti a seconde case» acquistati o costruiti da non piú di cinque anni e già tassate, ai sensi dell’art. 67 del
d.P.R. n. 917 del
L’imposta statale e quella
regionale, pur riguardando lo stesso tipo di reddito, sono dunque ispirate a
diverse rationes:
mentre la ratio posta a base
dell’art. 67 del d.P.R. n. 917 del 1986 risponde al principio generale di
tassare il "reddito diverso” costituito dalla plusvalenza in considerazione
delle caratteristiche oggettive dell’operazione di acquisto inter vivos e
di successiva cessione del bene (caratteristiche che si risolvono
essenzialmente nell’inizio e nella conclusione nel quinquennio dell’operazione
stessa); invece, la ratio su cui si
fonda la norma censurata astrae da tali caratteristiche e, perciò, comporta,
oltre all’indicata sovrapposizione, l’assoggettamento a tassazione, in
un’ottica di "reddito-entrata”, di tutte le plusvalenze, in qualsiasi tempo
realizzate, per il solo fatto dell’esistenza di una differenza positiva tra il
corrispettivo di cessione e il prezzo o costo iniziale. È evidente, al
riguardo, la disarmonia che si crea tra le due normative, derivante dalla
diversità ed incompatibilità delle rationes impositive e, in particolare, dalla coesistenza dei
due menzionati contraddittori indirizzi di politica fiscale: quello statale,
che limita la tassazione alle plusvalenze in ragione del verificarsi delle
condizioni previste dal citato art. 67, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 917 del 1986 e, pertanto, in funzione di un
concetto economico di "reddito-prodotto”; quello regionale, che non solo
aggrava l’imposizione sulle plusvalenze realizzate nel quinquennio, ma – nella
suddetta ottica di "reddito-entrata” – la estende per un tempo indeterminato ad
altre ipotesi, non collegate alle suddette condizioni.
L’imposizione delle
plusvalenze realizzate attraverso la cessione di partecipazioni di società
titolari di diritti reali sui fabbricati, «per la parte ascrivibile ai predetti
fabbricati», è ugualmente in contrasto con la ratio della disciplina erariale, perché, nell’intento del
legislatore regionale, si giustifica esclusivamente come rimedio antielusivo ed
è, quindi, riconducibile – al pari dell’imposizione riguardante direttamente i
fabbricati adibiti a seconde case – all’indicata divergente ratio della tassazione.
6.5.2. – Quanto alla vigente
formulazione della norma denunciata (introdotta dall’art. 3, comma 1, della
legge regionale n. 2 del 2007), la censura proposta con il secondo ricorso è
fondata, per analoghe ragioni. Tale norma, rubricata, diversamente dalla prima,
«Imposta regionale sulle plusvalenze delle seconde case ad uso turistico», si limita a modificare la disciplina
originaria del prelievo regionale, eliminando la tassazione delle
plusvalenze derivanti da cessioni effettuate nel quinquennio e confermando
quella delle plusvalenze ultraquinquennali.
Al pari di quanto dedotto nel
primo ricorso, il ricorrente assume che la norma censurata si pone in contrasto
con il principio sopra indicato desumibile dall’art. 67, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 917 del 1986. La fondatezza di tale censura deriva anche qui dal fatto
che la norma denunciata mantiene la rilevata differenza qualitativa fra
i due tipi di imposizione, disattendendo la scelta del legislatore statale
diretta a sottoporre a tassazione le sole plusvalenze derivanti da cessioni
effettuate nel quinquennio. In particolare, la nuova norma denunciata, pur
avendo eliminato la sovrapposizione delle imposte relativamente alle
plusvalenze realizzate nel quinquennio, non ha risolto l’evidente contraddizione
fra la ratio che l’ha ispirata e la
scelta di politica fiscale generale che il legislatore statale ha operato con
l’esclusione da tassazione delle plusvalenze ultraquinquennali derivanti sia da
cessioni di fabbricati (per le quali non si applica la piú
volte richiamata valutazione legale tipica) sia da cessioni di partecipazioni
in società aventi nel loro patrimonio detti fabbricati.
6.6. – L’evidenziata
contraddizione fra la ratio
ispiratrice del tributo regionale censurato e la scelta di politica fiscale del
legislatore statale di limitare la tassazione alle sole plusvalenze realizzate
nel quinquennio è accentuata dal rilievo che la norma denunciata, in entrambe
le sue formulazioni, realizza un’ingiustificata discriminazione tra i soggetti
aventi residenza anagrafica all’estero e i soggetti fiscalmente non domiciliati
in Sardegna aventi residenza anagrafica in Italia, violando cosí
gli artt. 3 e 53 Cost.
La norma censurata assume,
quale criterio per determinare il non assoggettamento al tributo, il domicilio
fiscale individuato ai sensi dell’art. 58 del d.P.R. n. 600 del 1973,
prevedendo che sia soggetto passivo dell’imposta chi è fiscalmente domiciliato
fuori dal territorio regionale o ha domicilio fiscale in Sardegna da meno di
ventiquattro mesi. In base al menzionato art. 58 del d.P.R. n. 600 del 1973: a)
le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno «il domicilio
fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte»; b) le persone fisiche non
residenti nel territorio dello Stato, hanno il domicilio fiscale «nel comune in
cui si è prodotto il reddito o, se il reddito si è prodotto in piú comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito piú elevato». Da tale previsione consegue che, in tutti i
casi in cui le persone fisiche residenti anagraficamente all’estero realizzano
il reddito-plusvalenza in Sardegna quale loro maggiore reddito prodotto in
Italia, esse devono considerarsi per ciò stesso soggetti fiscalmente
domiciliati in Sardegna e, quindi, non assoggettati a tassazione ai sensi della
norma censurata (se fiscalmente domiciliati in Sardegna da almeno ventiquattro
mesi); mentre le persone fisiche residenti anagraficamente in Italia, ma fuori
dalla Sardegna, anche se realizzano – al pari di quelle residenti all’estero –
le plusvalenze in territorio sardo, sono comunque non fiscalmente domiciliate
in Sardegna e, quindi, sono assoggettate a tassazione. E ciò, senza che
sussista alcuna ragionevole giustificazione di tale disparità di trattamento.
Considerazioni analoghe possono farsi per i soggetti diversi dalle persone
fisiche.
6.7. – La rilevata disarmonia
delle norme denunciate con i princípi del sistema
tributario dello Stato sussiste indipendentemente dalla considerazione
dell’ulteriore ingiustificata discriminazione – adombrata dal ricorrente con il
richiamo dell’art. 12 del Trattato CE per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost. – che la norma censurata crea
escludendo da tassazione i soggetti fiscalmente domiciliati in Sardegna e
sottoponendo a tassazione i soggetti residenti in Stati membri dell’Unione
europea e non fiscalmente domiciliati in Sardegna. Al riguardo, non può
sottacersi che detta norma contravviene al divieto di restrizioni ai movimenti
di capitali tra gli Stati membri previsto dall’art. 56 del Trattato CE, come
interpretato dalla Corte di giustizia comunitaria. Seppure con riferimento a un
prelievo statale, quest’ultima ha infatti precisato – in una fattispecie
analoga a quella regolata dalle norme censurate – che il legislatore nazionale
non può assoggettare «le plusvalenze risultanti dalla cessione di un bene
immobile situato in uno Stato membro […], quando la detta cessione è effettuata
da un soggetto residente in un altro Stato membro, ad un onere tributario
superiore a quello che sarebbe applicato per lo stesso tipo di operazione alle
plusvalenze realizzate da un soggetto residente nello Stato in cui è situato
detto bene immobile» (sentenza 11 ottobre 2007, C-443/2006, Hollmann).
6.8. – L’accoglimento delle
censure riferite alla violazione dell’art. 8, lettera h) [già lettera i)],
dello statuto speciale comporta l’assorbimento di tutte le altre censure di
illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. n. 4 del 2006, prospettate
da ciascun ricorso con riguardo, rispettivamente, al testo originario di tale
disposizione ed al testo sostituito
dall’art. 3, comma 1, della legge reg. n. 2 del 2007.
Nel dettaglio, tali ulteriori
censure sono state sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri con il
primo ricorso (n. 91 del 2006), con riferimento all’art. 2 della legge reg. n.
4 del 2006, prospettando la violazione degli artt. 117 e 119 Cost., in
relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
7. – Vanno
ora esaminate le questioni relative all’art. 3 della legge reg. n. 4 del 2006,
sia nel testo originario, sia in quello sostituito
dall’art. 3, comma 2, della legge reg. n. 2 del 2007, sollevate,
rispettivamente, con il primo e il secondo ricorso.
7.1. – Tale disposizione, nel
testo originario, istituisce e disciplina l’«imposta regionale sulle seconde
case ad uso turistico», dovuta – secondo classi di superficie – sui fabbricati siti nel territorio regionale ad una distanza
inferiore ai tre chilometri dalla linea di battigia marina, non adibiti ad
abitazione principale da parte del proprietario o del titolare di altro diritto
reale sugli stessi, applicabile nei confronti del proprietario di detti fabbricati,
ovvero del titolare di diritto di usufrutto, uso, abitazione, con domicilio
fiscale fuori dal territorio regionale, con l’esclusione dei soggetti nati in
Sardegna e dei loro coniugi e figli.
Con il primo ricorso (n. 91
del 2006), il Presidente del Consiglio dei ministri censura la norma in riferimento all’art. 8, lettera i), dello statuto della Regione
Sardegna – nel testo vigente all’epoca del deposito del ricorso, cioè
anteriormente all’entrata in vigore del comma 834 dell’art. 1 della legge n.
296 del 2006 –, perché: a) l’imposta non può essere considerata sul turismo, in
quanto non ha alcun rapporto con questo; b) non è ammissibile, in materie
diverse dal turismo, una piena esplicazione di potestà tributarie regionali, in
carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento
nazionale; c) sono «violati i principi del sistema tributario dello Stato» in
materie diverse dal turismo. Lamenta, altresí, che il
tributo pregiudica «le possibilità di politica economica dello Stato, della
quale uno degli strumenti principali è quello tributario», perché colpisce la
stessa materia tassabile colpita da altri tributi e, in particolare, dall’ICI,
producendo una "disarmonia” con i princípi del
sistema tributario dello Stato. Lamenta, inoltre, che la norma denunciata víola l’art. 53 Cost., inteso quale strumento attraverso il
quale «trova applicazione nel settore tributario il principio di uguaglianza
sancito dall’art. 3», e l’art. 12 del Trattato CE, per il tramite dell’art.
117, primo comma, Cost., in quanto discrimina i cittadini comunitari adottando,
per l’applicazione dell’imposta, i seguenti criteri: «non essere nati in
Sardegna, che attiene direttamente alla cittadinanza; avere il domicilio
fiscale fuori del territorio nazionale, che attiene alla residenza».
7.2.
– L’art 3 della legge reg. n.
4 del 2006, sostituito – con effetto
dal 31 maggio 2007 – dall’art. 3, comma 2, della legge reg. n. 2 del
2007, disciplina l’«Imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico»,
dovuta – per metro quadro ed in misura differenziata secondo scaglioni di
superficie – sulle unità immobiliari ubicate nel
territorio regionale ad una distanza inferiore ai tre chilometri dalla linea di
battigia marina, non adibite ad abitazione principale da parte del proprietario
o del titolare di altro diritto reale sulle stesse. Tale imposta è, in
particolare, applicabile nei confronti del proprietario di dette unità
immobiliari, ovvero del titolare di diritto di usufrutto, uso, abitazione,
superficie o del locatario dell’immobile in locazione finanziaria, con
domicilio fiscale fuori dal territorio regionale. Il comma 9 dello stesso art.
3 prevede, poi, che «Per l’anno 2006 l’imposta è dovuta nella misura piú favorevole al contribuente mediante comparazione tra le
misure previste dal presente articolo e quelle previgenti».
Il Presidente del Consiglio
dei ministri, con il secondo ricorso (n. 36 del 2007), censura tale norma, in riferimento all’art. 8, lettera h), dello statuto della Regione
Sardegna e agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in relazione all’art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001, perché: a) l’oggetto dell’imposta non
può essere ricondotto alla materia del turismo, in quanto «il fine turistico
non può essere ritenuto implicito nel fatto che l’unità immobiliare non sia
adibita ad abitazione principale», come, ad esempio, nel caso dell’immobile
utilizzato per esigenze di lavoro; b) anche qualora ricondotta alla categoria
degli «altri tributi propri» della Regione, l’imposta non sarebbe «in armonia
con i principi del sistema tributario dello Stato», essendo essa determinata in
base alla superficie del fabbricato, senza tenere conto del suo valore, mentre
la tassazione in base ai valori catastali, come avviene per l’ICI, andrebbe
comunque considerata come principio fondamentale, in quanto consente di colpire
valori medi, determinati per zone omogenee in rapporto con i valori di mercato
e, in ogni caso, variabili a seconda del pregio degli immobili; c) non ha
obiettivi di coordinamento del sistema tributario, ma si limita a istituire una
singola imposta e, perciò, non è riconducibile alla materia del coordinamento
del sistema tributario, di competenza legislativa concorrente. Denuncia, altresí, la violazione dell’art. 53 Cost., perché «l’imposta è commisurata alla visibilità del
mare, quindi su valori panoramici», i quali non sono materia tassabile, in
quanto non integrano la capacità contributiva che è, invece, legata al valore
economico del bene e, in subordine, la violazione degli artt. 3 e 53 Cost., per
irragionevolezza, perché l’imposta è dovuta anche per gli immobili privi di
vista sul mare. Lamenta, inoltre, la violazione degli artt. 3 e 53 Cost.,
sempre per irragionevolezza, per il contrasto con i princípi
del sistema tributario dello Stato, che emerge anche dal fatto che l’imposta è
«progressiva con l’aumentare delle superfici disponibili da 60 mq. a 150» mq.,
ma «diventa fortemente regressiva da 150 mq. a 200 per diminuire ancora per le
superfici maggiori».
7.3. – Con il primo ricorso
(n. 91 del 2006), il ricorrente denuncia, con una complessa e articolata
censura, la violazione dell’art. 8, lettera i),
dello statuto della Regione Sardegna. Diversamente dalle censure relative alle
altre imposte regionali, la difesa erariale non si limita ad affermare che
l’imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico non attiene alla
materia "turismo”, ma da tale asserzione fa derivare la conseguenza che il
tributo, gravando sulla stessa materia tassabile colpita dall’ICI, dimostra
l’incoerente perseguimento, da parte della Regione, della finalità di garantire
un turismo sostenibile e pregiudica «anche le possibilità di politica economica
dello Stato, della quale uno degli strumenti principali è quello tributario».
Secondo il ricorrente, il fatto che l’imposta regionale incida sulle «stesse
materie tassabili» colpite dal legislatore nazionale con l’ICI produce una
"disarmonia” con i princípi del sistema tributario
dello Stato e, soprattutto, numerose discriminazioni vietate dall’art. 53
Cost., inteso quale strumento attraverso il quale «trova applicazione nel
settore tributario il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3». Il
ricorrente indica, quale esempio di tali discriminazioni – deducendo anche la
corrispondente violazione dell’art. 12 del Trattato CE –, la disparità di
trattamento fra il soggetto nato fuori dal territorio regionale e non avente
domicilio fiscale nella Regione, il quale è assoggettato all’imposizione
regionale, e il soggetto anch’esso non domiciliato fiscalmente nella Regione, ma
nato in Sardegna, il quale invece non è assoggettato all’imposizione per il
solo fatto di essere nato in Sardegna (art. 3, comma 4).
La censura, formulata in modo
involuto, va interpretata nel senso che il ricorrente denuncia la violazione
dei princípi di ragionevolezza e di capacità
contributiva sotto il profilo della disparità di trattamento tra soggetti
fiscalmente domiciliati o nati nel territorio della Sardegna e soggetti che non
hanno tali requisiti.
7.4. – In questi termini, la
questione è fondata.
La norma censurata, smentendo
il dichiarato intento del legislatore regionale di introdurre un’imposta
sull’uso turistico delle seconde case di abitazione, istituisce un’imposta
patrimoniale sui fabbricati ubicati nella fascia costiera sarda e non adibiti
ad abitazione principale, che non si applica alla generalità dei "possessori”
di tali immobili e, pertanto, crea le ingiustificate disparità di trattamento
denunciate dal ricorrente.
7.5. –
Tale ricostruzione della
natura e della funzione del tributo non trova, però, sostegno nella complessiva
formulazione della disposizione denunciata.
Al riguardo, va premesso che,
in forza del comma 2 dell’art. 3 della menzionata legge reg. n. 4 del 2006, il
presupposto dell’imposta è costituito dal «possesso di fabbricati» (definiti
come «case» dal comma 1 dello stesso articolo) siti nella fascia costiera sarda
e «non adibiti ad abitazione principale da parte del proprietario o del
titolare di altro diritto reale su di essi». Tuttavia, il legislatore regionale
– adottando l’identica tecnica legislativa e le identiche formulazioni
letterali usate dal legislatore statale a proposito dell’ICI (artt. 1, comma 2,
e 3 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, recante «Riordino della
finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre
1992, n. 421») – impiega una nozione di «possesso di fabbricati» che va messa
in relazione con la successiva tassativa indicazione dei soggetti passivi di
imposta, individuati dalla norma denunciata, appunto, nei titolari di
determinate situazioni giuridiche soggettive sull’immobile oggetto di
tassazione (comma 3 del medesimo art. 3 della legge regionale). Ne consegue che
tale «possesso» non va inteso nel senso civilistico (art. 1140 del codice
civile), ma esclusivamente nel peculiare senso di titolarità, da parte del
soggetto passivo dell’imposta, delle suddette situazioni giuridiche soggettive
sul fabbricato. Questa precisazione (che vale a fugare le perplessità
esegetiche prospettate, sul punto, dalla difesa erariale, specie nel secondo
ricorso) rende evidente che la disciplina positiva del tributo prescinde
dall’«uso turistico» (effettivo o potenziale) dei «fabbricati» (intesi come
«case»). Infatti, il citato comma 2 del censurato art. 3 della legge regionale
– nello stabilire che la ristretta, imprecisa e atecnica
espressione «seconde case ad uso turistico», usata dal legislatore nel
precedente comma, deve essere intesa nella piú ampia,
precisa e tecnica accezione di «case» o «fabbricati non adibiti ad abitazione
principale» – elimina ogni riferimento sia alle «seconde case» sia alla
destinazione del fabbricato ad uso turistico. La precisa definizione
legislativa del presupposto d’imposta, desumibile dai commi 2 e 3 del censurato
art. 3, impone, cioè, di ritenere (in contrasto con la sopra ricordata piú ristretta denominazione del tributo, contenuta nella
rubrica e nel comma 1 dello stesso articolo) che l’imposta si applica in tutti
i casi in cui il soggetto passivo (e, quindi, anche il locatario di un immobile
concesso in locazione finanziaria, erroneamente non richiamato dal comma 2) non
abbia adibito a propria abitazione principale il fabbricato da lui "posseduto”
ed ubicato nella fascia costiera sarda.
Da questa interpretazione
della norma deriva che l’imposta si applica anche nei casi in cui il soggetto
passivo del tributo – cioè colui che manifesta una specifica capacità
contributiva attraverso il "possesso” del fabbricato – utilizza l’unità
immobiliare abitativa per finalità diverse dal turismo, come, ad esempio,
quelle di dimora per lavoro, di impresa (ove ciò sia compatibile con la
suddetta destinazione abitativa del bene) o di locazione. In particolare, nel
caso di locazione, il locatore "possessore”della "casa” è assoggettato a
tassazione per il solo fatto di non essere nato in Sardegna o di non avervi
domicilio fiscale, anche se utilizza il bene al solo fine di sfruttamento
commerciale, senza che abbia alcun rilievo il tipo di uso (non turistico o
turistico) che ne faccia il locatario e senza che la legge preveda mai, in
favore del locatore, alcuna rivalsa. In altri termini, il suddetto locatore è
ugualmente assoggettato a tributo, sia quando il locatario utilizza il bene per
finalità non turistiche (ad esempio, di abitazione principale propria); sia
quando lo utilizza per finalità turistiche, restando cosí
assoggettato – se non residente in Sardegna – all’imposta di soggiorno prevista
(con effetti a decorrere dal 15 giugno 2008) dal censurato art. 5 della legge
reg. n. 2 del 2007.
La tassazione del soggetto che
non sia fiscalmente domiciliato in Sardegna (o che non vi sia nato), prevista
dalla norma censurata nel caso in cui il "possessore” del fabbricato non
utilizzi l’immobile (neppure indirettamente) a fini turistici, si giustifica,
perciò, solo in termini oggettivi, per il mero fatto del "possesso” di un
immobile situato in una zona di particolare rilievo turistico. Ma, in tal caso,
l’imposta, ancorché colpisca case situate nelle indicate zone di particolare
rilievo turistico, è riconducibile ai tributi di tipo non già
turistico-ambientale, ma patrimoniale-immobiliare, come l’ICI. Occorre, dunque,
concludere che, nonostante la denominazione di «imposta regionale sulle seconde
case ad uso turistico», il tributo in esame non ha una effettiva ratio turistico-ambientale.
Tale conclusione comporta,
quale ulteriore corollario, l’infondatezza delle considerazioni che si riferiscono a detta ratio per giustificare le
esclusioni soggettive dall’imposta previste dalla norma censurata. In
particolare, si è sostenuto dalla Regione resistente che le menzionate
esclusioni sarebbero legittime perché previste in presenza di particolari
indici di collegamento del soggetto con la comunità e la cultura locali, data
anche la peculiare caratteristica geografica del territorio sardo. Proprio tale
collegamento con il territorio, unitamente all’intento del legislatore di non
ostacolare il turismo all’interno della Sardegna dei soggetti nati in Sardegna
(e dei loro coniugi e figli) o ivi fiscalmente domiciliati, renderebbe
ragionevole – secondo tale impostazione – escludere dall’imposta detti soggetti
ove siano possessori, nella fascia costiera sarda, di case adibite ad uso
turistico. Questa argomentazione, tuttavia, indipendentemente dalla sua
persuasività (soprattutto con riferimento alla congruità degli indici di collegamento
prescelti dal legislatore regionale), muove dall’erronea premessa che l’imposta
colpisce l’«uso turistico» della casa. La sopra riscontrata natura patrimoniale
dell’imposta fa venire meno tale premessa e rende, perciò, prive di fondamento
le indicate giustificazioni della limitazione del novero dei soggetti passivi
d’imposta.
7.6. – Da quanto precede
deriva che la censurata imposta regionale risponde, sul piano oggettivo, a una
logica di tassazione patrimoniale realizzata secondo lo schema dell’ICI. Al
pari dell’ICI, infatti, il presupposto di tale imposta regionale è costituito –
come già osservato – dalla titolarità del diritto di proprietà, di diritti
reali di godimento e dalla conduzione in locazione finanziaria di fabbricati,
indipendentemente dall’effettivo utilizzo del bene e dal fatto che esso sia
occupato da un soggetto fiscalmente domiciliato in Sardegna; con la sola
differenza che, mentre l’ICI riguarda i fabbricati, le aree fabbricabili ed i
terreni agricoli, a qualsiasi uso destinati (artt. 1 e 3 del d.lgs. n. 504 del
1992), la norma censurata circoscrive l’oggetto dell’imposta alle unità
immobiliari non adibite ad abitazione principale, ubicate nella fascia costiera
sarda. È sufficiente, cioè, il «possesso» di unità immobiliari che consentono
un insediamento abitativo solo potenziale e, comunque, non diretto a soddisfare
esigenze abitative primarie del "possessore”.
Senonché, la coerenza con lo
schema dell’imposta immobiliare avrebbe richiesto la tassazione, con carattere
di generalità, delle indicate unità immobiliari, senza le ampie esclusioni
soggettive introdotte dalla norma censurata ed imperniate sul criterio del
domicilio fiscale e della nascita in Sardegna del soggetto passivo (oltre a
quello del rapporto di coniugio o di filiazione con il soggetto nato in
Sardegna). La scelta del legislatore regionale di allontanarsi, con la
previsione di tali esclusioni, dallo schema dell’ICI contrasta, infatti, con il
carattere generale delle imposizioni sui patrimoni immobiliari e ne snatura l’essenza.
Crea, in particolare, ingiustificate discriminazioni soggettive
nell’applicazione dell’imposta, nonché una forte disarmonia con il principio
del sistema tributario statale, che – come già osservato – esige che i suddetti
tipi di imposte si applichino nei confronti di tutti i titolari delle
situazioni giuridiche soggettive sugli immobili situati nella sfera di
competenza territoriale dell’ente impositore (salvo, beninteso, limitate
esenzioni soggettive od oggettive che non ne mutino la natura), siano essi
fiscalmente domiciliati o non domiciliati nel territorio ove è ubicato
l’immobile e senza che rilevi il loro luogo di nascita.
Tale discriminazione appare
ancora piú stridente se si pone a raffronto il caso
dei soggetti aventi domicilio fiscale in Italia, ma non in Sardegna, con quello
dei soggetti aventi residenza anagrafica all’estero, ma domicilio fiscale in
Sardegna. Si è visto, infatti, al punto 6.6., che questi ultimi, qualora siano
titolari di diritti reali sugli immobili ubicati in Sardegna, hanno – ove non
godano di maggiori redditi prodotti in Italia fuori dal territorio sardo –
domicilio fiscale in Sardegna ai sensi dell’art. 58 del d.P.R. n. 600 del 1973.
Differentemente da chi ha domicilio fiscale in Italia, ma non in Sardegna, essi
non sono pertanto tenuti al pagamento della suddetta imposta regionale,
qualunque sia la consistenza delle unità immobiliari ubicate in Sardegna, pur
essendo residenti anagraficamente fuori dal territorio sardo.
7.6.1. – Né può opporsi – come
fa la resistente – che le suddette esclusioni dall’imposta sono giustificate
dal fatto che i soggetti esclusi già contribuiscono alle finanze regionali
pagando imposte sui redditi riscosse nel territorio della Regione, il cui
gettito è a questa attribuito per i sette decimi in base all’art. 8, lettera a), dello statuto speciale ed è
utilizzato anche a fini di tutela dell’ambiente e promozione del turismo
sostenibile.
Innanzitutto, va premesso che,
con riferimento a ciascun soggetto d’imposta, non c’è correlazione necessaria,
ma solo probabile, tra il domicilio fiscale nella Regione Sardegna e il
pagamento nella medesima Regione delle imposte sui redditi. Ad esempio, nel
caso dei titolari di redditi inferiori ai minimi imponibili o comunque esenti,
il soggetto, benché fiscalmente domiciliato in Sardegna, non è tenuto al
pagamento delle imposte sui redditi. Va poi osservato che, anche a voler
accedere alla tesi della resistente, si creerebbe un’irragionevole disparità di
trattamento fra il soggetto fiscalmente domiciliato in Sardegna che, pur
possedendo «seconde case» situate nella fascia costiera, è escluso dalla
tassazione, e il soggetto, sempre domiciliato fiscalmente in Sardegna, che, non
possedendo «seconde case», sopporterebbe, con il pagamento delle imposte sui
redditi, il carico economico della tutela dell’ambiente e della protezione del
turismo sostenibile, derivante anche dalle seconde case costiere appartenenti
al primo.
Inoltre, osta radicalmente
alla tesi della resistente la già rilevata natura patrimoniale e, quindi, reale
del tributo, la quale esclude che alla richiamata regola della generalità della
sua applicazione possano apportarsi eccezioni estranee alla logica impositiva
del tributo medesimo, come sono quelle basate sulla circostanza che il gettito
dei tributi pagati da chi ha domicilio fiscale in Sardegna è destinato a
finanziare la tutela ambientale e lo sviluppo sostenibile del turismo nella
Regione. Del resto, le suddette esclusioni soggettive, oltre a non
giustificarsi in base alla natura dell’imposta, non sono neppure idonee ad
eliminare le già sopra rilevate incongruenze dell’imposta medesima.
In ogni caso, l’obiezione
fondata sull’asserita equiparabilità tra le quote di gettito delle imposte sui
redditi attribuite alla Regione e il gettito del prelievo immobiliare regionale
non giustifica certamente l’esclusione delle persone nate in Sardegna e dei
loro coniugi e figli dal novero dei soggetti passivi dell’imposta regionale, non
avendo detti soggetti alcun obiettivo collegamento con il territorio regionale
e non essendo, quindi, assimilabili ai soggetti fiscalmente domiciliati in
Sardegna.
7.6.2. –
Neppure tali argomentazioni
valgono a eliminare la rilevata irragionevolezza dell’imposta oggetto della
disposizione censurata.
Quanto all’obiettivo di
disincentivare, a fini di tutela ambientale, la costruzione di «seconde case ad
uso turistico» nella fascia costiera, va rilevato che esso andrebbe perseguito
prevalentemente attraverso gli strumenti del governo del territorio. In ogni
caso, sia sotto questo profilo che sotto quello fiscale, la realizzazione del
medesimo obiettivo non potrebbe non riguardare anche le costruzioni realizzate
da soggetti domiciliati o nati in Sardegna, le quali hanno un’uguale
potenzialità inquinante e mettono perciò in pericolo un modello di turismo
sostenibile.
Quanto, poi, all’asserito
obiettivo di tassare l’incremento di valore delle unità immobiliari in
questione, va osservato che esso dovrebbe essere perseguito sottoponendo a
tributo anche il soggetto fiscalmente domiciliato in Sardegna e, comunque, non
potrebbe realizzarsi attraverso l’imposta censurata, la cui base imponibile,
essendo calcolata in relazione alla superficie, non è di per sé idonea a
misurare detto incremento.
7.6.3. – Deve, infine, essere
sottolineato che le rilevate discriminazioni sono particolarmente gravi nel
caso di imprese che svolgono attività di locazione di immobili, in quanto
l’esclusione dall’imposta per le sole imprese aventi domicilio fiscale in
Sardegna (o, addirittura, il cui titolare sia nato in Sardegna) si traduce in
un irragionevole beneficio fiscale, distorsivo della concorrenza.
7.6.4 – Per ciò che concerne
la vigente formulazione della norma denunciata (introdotta dall’art. 3, comma
2, della legge regionale n. 2 del 2007), può ritenersi parimenti fondata, per
analoghe ragioni, la censura proposta con il secondo ricorso. La norma mantiene, infatti, sostanzialmente immutata
la struttura originaria del prelievo regionale, limitandosi ad eliminare
l’esclusione dalla tassazione per i soggetti nati in Sardegna e i loro coniugi
e figli.
Come per il primo ricorso, la censura formulata va interpretata nel
senso che il ricorrente lamenta che la norma denunciata si pone in contrasto
con i princípi di ragionevolezza e di capacità
contributiva sotto il profilo della disparità di trattamento tra soggetti
fiscalmente domiciliati nel territorio della Sardegna e soggetti che non hanno
tali requisiti.
La fondatezza di
tale censura deriva anche qui dal fatto che la norma non introduce un’imposta sull’uso
turistico delle seconde case di abitazione, ma un’imposta patrimoniale sui
fabbricati ubicati nella fascia costiera e non adibiti ad abitazione
principale, che non si applica alla generalità dei "possessori” di tali
immobili – come invece richiesto dai princípi
generali del sistema tributario statale per tale tipo di imposte – e, pertanto,
crea le ingiustificate disparità di trattamento denunciate nel primo ricorso e
ribadite nel secondo.
7.7. – L’accoglimento delle
censure riferite alla violazione dell’art. 8, lettera h) [già lettera i)],
dello statuto speciale comporta l’assorbimento di tutte le altre censure di
illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. n. 4 del 2006,
prospettate con ciascun ricorso con riguardo, rispettivamente, al testo
originario di tale disposizione ed al testo sostituito dall’art. 3, comma 2, della legge reg. n. 2 del 2007.
Nel dettaglio, tali ulteriori
censure sono state sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri con il
primo ricorso (n. 91 del 2006), con riferimento all’art. 3 della legge reg. n.
4 del 2006, prospettando la violazione degli
artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001: a) in via principale, perché non è ammissibile, in materia
tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali in carenza della
fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale; b)
in via subordinata, perché l’imposta è determinata in base alla superficie del
fabbricato, senza tenere conto del suo valore, mentre «la tassazione in base ai
valori catastali, come avviene per l’imposta statale e per l’ICI, andrebbe
comunque considerata come principio fondamentale in quanto consente di colpire
valori medi, determinati per zone omogenee in rapporto analogo con i valori di
mercato e, in ogni caso, variabili a secondo del pregio degli immobili». Le
altre censure, parimenti assorbite, concernenti l’art. 3 della legge reg. n. 4
del 2006, quale sostituito dall’art.
3, comma 2, della legge reg. n. 2 del 2007, sono state sollevate dal Presidente
del Consiglio dei ministri con il secondo ricorso (n. 36 del 2007),
prospettando la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in
relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, perché: a) l’oggetto dell’imposta non
può essere ricondotto alla materia del turismo, in quanto «il fine turistico
non può essere ritenuto implicito nel fatto che l’unità immobiliare non sia
adibita ad abitazione principale», come, ad esempio, nel caso dell’immobile
utilizzato per esigenze di lavoro; b) anche qualora ricondotta alla categoria
degli «altri tributi propri» della Regione, l’imposta non sarebbe «in armonia
con i principi del sistema tributario dello Stato», essendo determinata in base
alla superficie del fabbricato, senza tenere conto del suo valore, mentre la
tassazione in base ai valori catastali, come avviene per l’ICI, andrebbe
comunque considerata come principio fondamentale, in quanto consente di colpire
valori medi, determinati per zone omogenee in rapporto con i valori di mercato
e, in ogni caso, variabili a seconda del pregio degli immobili; c) non ha
obiettivi di coordinamento del sistema tributario, ma si limita a istituire una
singola imposta, e perciò non è riconducibile alla materia del coordinamento
del sistema tributario, di competenza legislativa concorrente. Con il medesimo
ricorso, la difesa erariale lamenta, altresí, la
violazione del principio di ragionevolezza,
salvo che la disposizione censurata sia interpretata nel senso che «se il
proprietario, o i titolari degli altri diritti reali, non sono nel possesso
dell’immobile, l’imposta non è dovuta, né da loro (per mancanza del possesso)
né dai possessori non titolari di quei diritti, perché non indicati tra i
soggetti passivi».
8. – Vanno ora esaminate le
questioni relative all’art. 4 della legge reg. n. 4 del 2006, sia nel testo
originario (che ha avuto effetto dal 13 maggio 2006 al 30 maggio 2007), sia in
quello sostituito dall’art. 3,
comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007 (con effetto dal 31 maggio 2007, ai
sensi dell’art. 37 di quest’ultima legge). La diversità dell’oggetto delle
censure rende opportuno l’esame distinto di ciascun ricorso.
8.1. – L’art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo originario, istituisce, a decorrere dall’anno 2006, l’«imposta regionale su aeromobili ed unità da diporto». L’imposta è applicabile, nel periodo dal 1° giugno al 30 settembre, alla persona o alla società aventi domicilio fiscale fuori dal territorio regionale che assumono l’esercizio dell’aeromobile o dell’unità da diporto (con l’esenzione dall’imposta delle navi adibite all’esercizio di attività crocieristica, delle imbarcazioni che vengono in Sardegna per partecipare a regate di carattere sportivo e delle unità da diporto che sostano tutto l’anno nelle strutture portuali regionali) ed è dovuta: 1) per ogni scalo negli aerodromi del territorio regionale degli aeromobili dell’aviazione generale adibiti al trasporto privato, per classi determinate in relazione al numero dei passeggeri che sono abilitati a trasportare; 2) annualmente, per lo scalo nei porti, negli approdi e nei punti di ormeggio ubicati nel territorio regionale delle unità da diporto di cui al codice della nautica da diporto (decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171), per classi di lunghezza, a partire da
8.1.1. – Con
il primo ricorso (n. 91 del 2006), il
ricorrente denuncia il contrasto della disposizione impugnata con tre
diversi gruppi di parametri costituzionali: a) con l’art. 8, lettera i), dello statuto
della Regione Sardegna, perché l’oggetto dell’imposta non potrebbe essere
ricondotto alla materia del turismo ed una piena esplicazione di potestà
tributarie regionali non sarebbe ammissibile, in materie diverse dal turismo,
in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal
Parlamento nazionale e, comunque, sarebbero «violati i principi del sistema
tributario dello Stato» in materie diverse dal turismo; ovvero,
alternativamente, con gli artt. 117 e
119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
2001, perché, come già affermato nello stesso ricorso, una piena esplicazione
di potestà tributarie regionali non sarebbe ammissibile, in materie diverse dal
turismo, in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata
dal Parlamento nazionale; ovvero, in ulteriore subordine, nel caso in cui «si potessero desumere i princípi fondamentali del coordinamento del sistema tributario
dalla legislazione tutt’ora in vigore», con
i medesimi artt. 117 e 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, perché, con riguardo alle unità da diporto che
effettuano lo scalo «in zona non attrezzata, in uno specchio di mare ridossato,
dove l’ormeggio sia effettuato a terra, utilizzando la struttura naturale della
spiaggia»,
8.1.2. –
Quanto alla censura sub a), va
preliminarmente rilevato che deve essere scrutinata esclusivamente la
denunciata violazione dello statuto regionale, perché – come già rilevato al
punto 5. – la normativa concernente il riparto delle competenze legislative tra
lo Stato e le Regioni introdotta dalla riforma del Titolo V della Parte II
della Costituzione non prevede forme di autonomia piú
ampie rispetto a quelle previste dallo statuto
della Regione Sardegna e pertanto, ai sensi dell’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, trova nella specie applicazione esclusivamente lo
statuto di autonomia.
Nel merito,
sotto tutti i profili prospettati, la suddetta censura non è fondata.
In primo
luogo, va ribadito (come già osservato al punto 5.6.) che è irrilevante se la
suddetta imposta regionale sia o no riconducibile alla materia del turismo,
perché il citato art. 8, lettera i), dello statuto della Sardegna
attribuisce alla Regione una specifica competenza legislativa esclusiva nella
materia non solo delle «imposte e tasse sul turismo», ma anche degli «altri
tributi propri». Pertanto, anche ove potesse ritenersi (sia pure implausibilmente) che il periodo in cui lo scalo degli
aeromobili e delle unità da diporto nel territorio regionale è sottoposto a
tributo (cioè il periodo compreso tra il 1° giugno ed il 30 settembre di
ciascun anno, corrispondente al maggior afflusso turistico), nonché il
domicilio fiscale dei soggetti passivi dell’imposta (fuori dal territorio
regionale sardo), non siano elementi sufficienti a caratterizzare come tributo
"sul turismo” la denunciata imposta, ciò non comporterebbe affatto la
violazione dello statuto regionale. Infatti, il tributo sarebbe pur sempre
qualificabile come «proprio» della Regione e, quindi, sarebbe da essa
legittimamente stabilito in forza della competenza legislativa statutaria,
purché fosse rispettata la condizione – richiesta dal medesimo art. 8, lettera i), dello statuto – dell’«armonia con i principi del sistema
tributario dello Stato».
In secondo
luogo – come già osservato al punto 5.3. e contrariamente a quanto sostenuto
dalla difesa erariale –, la potestà legislativa della Regione Sardegna in
materia di tributi propri non è condizionata dalla previa emanazione da parte
dello Stato di una legge che fissi i princípi
fondamentali di coordinamento del sistema tributario.
In terzo
luogo, il ricorrente non ha indicato i princípi del
sistema tributario dello Stato rispetto ai quali la norma denunciata non si
porrebbe «in armonia». La censura, pertanto, è prospettata in via del tutto
generica. Né può farsi riferimento, quale principio del sistema tributario
dello Stato che si asserisce violato, al "principio generale di coordinamento
del sistema tributario” indicato dal ricorrente in via subordinata. Infatti –
come già rilevato al punto 5.2. – i princípi del
sistema tributario statale hanno natura e finalità essenzialmente diverse
rispetto ai "princípi fondamentali di coordinamento
del sistema tributario”. In particolare, il ricorrente ha individuato, quale
"principio fondamentale di coordinamento” concernente le unità per la
navigazione da diporto, quello secondo cui il mare sarebbe «soggetto solo al
potere statale entro i limiti del mare territoriale»: tuttavia, tale principio,
per come è formulato dal ricorrente, non solo è estraneo al sistema tributario
statale, ma non trova neppure fondamento nell’ordinamento vigente. Il mare,
infatti, ben può essere oggetto della legislazione regionale; come avviene, ad
esempio, per le Regioni a statuto ordinario, nell’àmbito della competenza
concorrente in materia di porti o di grandi reti di navigazione; ovvero, per la
Regione Sardegna – in forza dell’art. 3, lettera i), dello statuto –, nell’àmbito della competenza esclusiva in
materia di pesca. Ove, poi, il ricorrente avesse solo inteso affermare che
Con
riferimento alle censure prospettate dal ricorrente in via subordinata evocando
gli artt. 117 e 119 Cost., in
relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, va ribadito che
esse sono inammissibili per le ragioni già esposte al punto 5.3.
8.1.3. – Con
la censura sub b), il ricorrente
afferma che la norma denunciata, con
riguardo agli aeromobili, si pone in contrasto con l’art. 53 Cost., sia perché
il tributo regionale costituisce una «duplicazione di imposta» rispetto a
quanto previsto dalla legge statale in materia di diritti aeroportuali o per
l’uso degli aeroporti, sia perché l’operazione di scalo non rappresenta un
indice di capacità contributiva, dovendo l’utente degli aerodromi già pagare un
prezzo per il servizio da lui goduto.
Anche tale
censura non è fondata.
La difesa
erariale muove da tre diverse premesse: che i suddetti diritti aeroportuali
previsti dalla vigente legislazione statale siano classificabili come tributi;
che l’imposta regionale sia dovuta in ragione dei servizi utilizzati nelle
operazioni di scalo negli aerodromi; che i tributi propri della Regione
Sardegna non possano prevedere presupposti identici o analoghi a quelli di
tributi statali.
Tali premesse
sono erronee.
Quanto alla
prima, va rilevato che, ai sensi della norma interpretativa posta dall’art. 39-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007,
n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e
l’equità sociale), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007,
n. 222, i diritti aeroportuali previsti dalla legge 5 maggio 1976, n. 324
(Nuove norme in materia di diritti per l’uso degli aeroporti aperti al traffico
civile) non costituiscono tributi, ma corrispettivi civilistici di alcuni
servizi aeroportuali (in tal senso, Corte di cassazione, sentenza n. 379 del
2008, nonché la sentenza di questa Corte n. 51 del
2008). A ciò deve aggiungersi che il soggetto tenuto al pagamento dei
diritti aeroportuali di approdo (oltre che di partenza, sosta o ricovero) non è
l’esercente dell’aeromobile adibito a trasporto privato (come nell’imposta
regionale in esame), ma il pilota dell’aeromobile, ove questo non svolga
attività commerciale (artt. 2, secondo comma, e 3, secondo comma, della citata
legge n. 324 del 1976).
Quanto alla
seconda premessa, va osservato che l’imposta regionale prescinde dall’obbligo a
carico del soggetto passivo di corrispondere i corrispettivi dovuti per i
servizi utilizzati nello scalo dell’aeromobile, in quanto il tributo è dovuto
dal soggetto passivo per il solo fatto che l’aeromobile da lui esercito ed
adibito a trasporto privato effettui uno scalo in un aerodromo ubicato nel
territorio sardo, indipendentemente dalla circostanza che l’aeromobile abbia in
concreto usufruito di servizi aeroportuali o che detto soggetto passivo sia
debitore di diritti aeroportuali (l’imposta è dovuta, ad esempio, anche se il
soggetto passivo sia lo stesso gestore autorizzato a fornire i servizi
aeroportuali).
Quanto alla terza
premessa, è qui sufficiente ricordare le conclusioni sopra raggiunte, esposte
al punto 5.3., circa l’inesistenza di un divieto per
Ne consegue
che: a) non sussistono due diverse imposte, una statale (i diritti
aeroportuali) ed una regionale (l’imposta sull’aeromobile), ma soltanto
l’imposta regionale; b) il presupposto dell’imposta regionale (lo scalo nel
territorio sardo) è diverso dal fatto costitutivo dell’obbligo di corrispondere
i diritti aeroportuali (godimento dei servizi aeroportuali); c) in ogni caso,
un tributo proprio stabilito dalla Regione Sardegna non sarebbe illegittimo per
il solo fatto di avere un presupposto identico o simile a quello di un tributo
statale. È appena il caso di sottolineare, infine, che – contrariamente a
quanto affermato dal ricorrente – non possono sussistere dubbi sul fatto che il
presupposto d’imposta (cioè l’effettuazione di uno scalo in un aerodromo sito
nel territorio sardo nel periodo compreso tra il 1° giugno ed il 30 settembre
di ciascun anno) costituisce idoneo indice di capacità contributiva
dell’esercente dell’aeromobile.
8.1.4. – Con
la censura sub c), il ricorrente
deduce, infine, che la norma denunciata,
con riguardo alle unità per la navigazione da diporto, víola
gli artt. 3 e 53, secondo comma, Cost., perché, essendo l’imposta regionale
dovuta annualmente in misura fissa con riferimento a ciascuna classe di
lunghezza delle unità da diporto, «l’effetto è che, piú
si utilizzano le strutture portuali, minore, proporzionalmente è l’onere
dell’imposta che, in questo modo, viene ad avere carattere regressivo».
La censura
non è fondata.
In base alla
norma denunciata, l’imposta non è dovuta per le unità per la navigazione da
diporto che sostano tutto l’anno nelle strutture portuali regionali (oltre che
per quelle adibite all’esercizio di attività crocieristica e per quelle che
vengono in Sardegna per partecipare a regate di carattere sportivo), mentre è dovuta
annualmente per le unità che effettuano scalo (nel periodo compreso tra il 1°
giugno ed il 30 settembre di ciascun anno) nei porti, approdi o punti
d’ormeggio ubicati nel territorio regionale, nella misura: a) di € 1.000,00 per
le imbarcazioni di lunghezza compresa tra 14 e
Quanto alla
dedotta violazione dell’art. 53, secondo comma, Cost., è sufficiente ricordare
che questa Corte ha costantemente affermato che «i criteri di progressività»
debbono informare il «sistema tributario» nel suo complesso e non i singoli
tributi (ex plurimis,
sentenza n. 128
del 1966). Ne deriva che, contrariamente alla tesi sostenuta dal
ricorrente, la denunciata imposta regionale sulle unità da diporto non víola il citato parametro costituzionale per il solo fatto
che l’ammontare del tributo è «regressivo», nel senso che non aumenta né
proporzionalmente né piú che proporzionalmente
all’utilizzazione degli scali nautici sardi.
8.2. – L’art.
4 della legge reg. n. 4 del 2006, quale
sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007 (con
effetto dal 31 maggio 2007, ai sensi dell’art. 37 di quest’ultima legge), istituisce, a decorrere dall’anno 2006, l’«imposta
regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto»,
riproducendo sostanzialmente l’originaria formulazione della disposizione
(punto 8.1.) ed apportando, per quanto qui interessa, le seguenti modifiche: a)
il soggetto passivo dell’imposta (cioè l’esercente dell’aeromobile o dell’unità
da diporto, avente domicilio fiscale fuori dal territorio regionale) non è piú indicato come una «persona o […] società», ma come una
«persona fisica o giuridica»; b) l’esenzione
dall’imposta è prevista anche per le imbarcazioni che fanno scalo per
partecipare a raduni di barche d’epoca, di barche monotipo ed a manifestazioni
veliche, anche non agonistiche, il cui evento sia stato preventivamente
comunicato all’Autorità marittima da parte degli organizzatori; nonché per la
sosta tecnica degli aeromobili e delle imbarcazioni, limitatamente al tempo
necessario per l’effettuazione della stessa; c) l’esenzione non è piú prevista per le navi adibite all’esercizio di attività
crocieristica; d) l’imposta è dovuta non per le sole
unità da diporto, ma anche per le «unità utilizzate a scopo di diporto»; e)
l’imposta è dovuta anche per lo scalo nei «campi d’ormeggio attrezzati ubicati
nel mare territoriale lungo le coste della Sardegna».
8.2.1. – Con
il secondo ricorso (n. 36 del 2007), il
ricorrente denuncia il contrasto della disposizione impugnata con
diversi gruppi di parametri costituzionali: a) con i parametri da esso già evocati in relazione ai denunciati artt. 2
e 3 della legge reg. n. 4 del 2006, quali sostituiti dall’art. 3, commi 1 e 2, della legge reg. n. 2
del 2007, per «quanto si già è visto trattando dei commi precedenti» (cioè dei
commi 1 e 2 dell’art. 3 della citata legge reg. n. 2 del 2007); b) con gli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 120 Cost., perché l’imposta
investirebbe la materia della concorrenza, riservata alla competenza
legislativa statale, incidendo, di conseguenza, sull’unità economica della
Repubblica; c) con «l’art. 3, la cui tutela nella iniziativa economica è
affidata alla normativa sulla concorrenza»; d) con gli artt. 1, 3, 8, lettera h),
dello statuto della Regione Sardegna, perché l’imposta regionale, applicandosi anche nel caso di scalo delle unità da
diporto nei campi di ormeggio attrezzati ubicati nel mare territoriale,
violerebbe il principio secondo cui i presupposti delle imposte regionali non
possono «essere individuati fuori del […] territorio» della Regione (limitato
dall’art. 1 dello statuto alla «Sardegna con le sue isole»); e) con gli artt. 3
e 53 Cost., espressivi del principio di ragionevolezza, perché: e.1.) «una
attività esercitata nella stessa forma non può essere considerata espressione
di capacità contributiva diversa a seconda del periodo in cui viene svolta»;
e.2.) l’imposta avrebbe carattere regressivo, in quanto il suo ammontare
diminuisce proporzionalmente all’aumentare del numero dei passeggeri che
l’aeromobile è abilitato a trasportare e della lunghezza delle unità da diporto
ed in quanto, con riferimento a queste ultime, è pagata una sola volta per
tutto l’anno, cosí che «piú
scali si fanno, meno sarà in proporzione l’onere tributario»; e.3.) il tributo,
con riferimento allo scalo degli aeromobili, costituirebbe una duplicazione dei
diritti aeroportuali previsti dalla legge n. 324 del 1976, dovuti, per
l’utilizzazione degli impianti aeroportuali, al gestore dell’aeroporto; e.4.)
il medesimo tributo, sempre con riferimento allo scalo degli aeromobili, «non
può essere definito imposta, perché
colpisce i singoli atti di esercizio di un’impresa e non il risultato utile
complessivo», né tassa, «perché
riscossa da chi non ha nessun coinvolgimento nel servizio utilizzato»; f) con
l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione sia all’art. 49 del Trattato CE,
perché introdurrebbe «una restrizione alla libera prestazione dei servizi nel
mercato sardo dei servizi nautici e aerei, che costituisce una parte rilevante
del mercato europeo», sia all’art. 81 del Trattato CE, «coordinato con gli art.
3, lett. g) e 10», perché avrebbe l’effetto di falsare il gioco della
concorrenza all’interno del mercato comune, sia all’art. 87 del Trattato CE,
perché istituirebbe un aiuto alle imprese con sede in Sardegna. Afferma,
inoltre, che «delle questioni comunitarie dovrebbe essere investita
Gli indicati
motivi di illegittimità costituzionale vanno esaminati separatamente, lasciando per ultimo, secondo un ordine di
priorità logica, lo scrutinio della dedotta violazione di norme
dell’ordinamento comunitario.
8.2.2. – Prima
di passare all’esame delle singole censure, deve essere esaminata l’eccezione
di inammissibilità proposta dalla resistente.
L’eccezione va
rigettata, perché la deliberazione governativa di impugnazione contiene il
riferimento a tutti i parametri evocati nel ricorso e ciò è sufficiente – come
già osservato al punto 6.3. – ai fini dell’ammissibilità di quest’ultimo (sentenza n. 533 del
2002).
8.2.3. – Le
censure indicate sub a) si
sostanziano nel mero rinvio, privo di qualsiasi specificazione, a quelle
sollevate con il medesimo ricorso n. 36 del
Le censure
sono inammissibili, perché sono state prospettate in modo generico, senza
l’indicazione di alcun elemento idoneo a renderle pertinenti all’imposta
denunciata. La questione, infatti, pur riguardando l’«imposta regionale sullo
scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto», è sollevata con un
richiamo alle questioni riguardanti tributi radicalmente diversi (cioè
l’«imposta regionale sulle plusvalenze delle seconde case ad uso turistico» e
l’«imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico») ed in termini
talmente vaghi da lasciare inadempiuto l’onere del ricorrente di precisare i
motivi dell’affermata illegittimità costituzionale con specifiche
argomentazioni a sostegno delle proprie doglianze, come richiesto dalla
costante giurisprudenza di questa Corte (ex
plurimis: sentenze n. 38 del
2007; n. 233
e n. 139 del
2006; n. 360
e n. 336 del
2005).
8.2.4. – Con
la censura sub b), il ricorrente
deduce che la norma denunciata, in quanto investirebbe la materia della
concorrenza, si pone in contrasto con l’art.
117, secondo comma, lettera e),
Cost., introdotto con la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione
nell’àmbito della nuova disciplina del riparto di competenze legislative tra lo
Stato e le Regioni a statuto ordinario.
La censura è inammissibile, perché il ricorrente non fornisce alcuna
motivazione in ordine all’individuazione di tale parametro costituzionale. La
difesa erariale, infatti, non chiarisce per quale ragione la competenza
legislativa attribuita dallo statuto regionale alla Regione autonoma Sardegna
in materia di tributi propri dovrebbe essere limitata da una disposizione della
Costituzione dettata per disciplinare
il riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni a statuto
ordinario. Come è noto, il piú volte richiamato art.
10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 stabilisce che la disciplina
costituzionale riguardante tale riparto di competenze, introdotta con la riforma del Titolo V della Parte II
della Costituzione, è applicabile alle Regioni a statuto speciale solo nel caso
in cui preveda forme di autonomia piú ampie di
quelle previste dallo statuto, mentre, nella specie, lo stesso ricorrente
afferma che l’applicazione dell’art.
117, secondo comma, lettera e),
Cost., comporterebbe una limitazione dell’autonomia legislativa della
Regione Sardegna quale prevista dallo statuto. Inoltre il ricorrente, in
violazione del suo onere di specificare le proprie censure, non fornisce alcuna
motivazione di merito sul perché la denunciata normativa regionale, emanata in
forza della competenza legislativa esclusiva della Regione autonoma in materia
di tributi propri, investirebbe «la materia della concorrenza». L’evocazione
dell’art. 120 Cost. è parimenti generica. Tale censura, infatti, non ha alcuna
autonomia rispetto alla denunciata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., in quanto il ricorrente si limita ad affermare – senza ulteriori
precisazioni – che la norma censurata, investendo la «materia della
concorrenza», incide «di conseguenza sulla unità
economica della Repubblica».
8.2.5. – Deve
essere dichiarata inammissibile anche la censura sub c), perché il ricorrente, da un lato, non precisa il parametro
costituzionale evocato, indicando «l’art.
3» di un non meglio specificato testo normativo, e, dall’altro, prospetta i
motivi di illegittimità costituzionale in modo oscuro e generico,
limitandosi ad affermare la violazione del
suddetto art. 3, «la cui tutela nella iniziativa economica è affidata alla
normativa sulla concorrenza».
8.2.6. – Con
la censura sub d), il ricorrente
denuncia la violazione degli artt. 1,
3, 8, lettera h), dello statuto
della Regione Sardegna, affermando che l’imposta
regionale, applicandosi anche nel caso di scalo delle unità da diporto nei
campi di ormeggio attrezzati ubicati nel mare territoriale lungo le coste della
Sardegna, violerebbe il principio secondo cui i presupposti delle imposte
regionali non possono «essere individuati fuori del […] territorio» della
Regione (limitato dall’art. 1 dello statuto alla «Sardegna con le sue isole»).
Il ricorrente muove, pertanto, dalla premessa che i suddetti campi di ormeggio,
in quanto ubicati nel mare territoriale, rientrano nel demanio marittimo
statale e da tale premessa trae la conseguenza che
La censura non è fondata, perché, nonostante sia esatta la premessa da
cui muove il ricorrente, tuttavia non è corretta la conseguenza che ne viene
tratta.
È indubbio che i menzionati campi di ormeggio, ubicati nel mare
territoriale (come delimitato dall’art. 2 del codice della navigazione), devono
essere considerati, in forza degli artt. 28 e 29 cod. nav., pertinenze del
demanio marittimo, e cioè beni rientranti nel demanio statale. Il demanio
marittimo, infatti, non è stato trasferito alla Regione resistente, perché il
primo comma dell’art. 14 dello statuto di autonomia espressamente esclude, con
riferimento a tale demanio, che
Il mare territoriale, nel quale sono ubicati i suddetti campi di
ormeggio, viene pertanto in rilievo come mero àmbito spaziale in relazione al
quale la legge regionale è legittimata a prevedere fattispecie ed effetti
giuridici, nei limiti in cui ciò sia consentito dalle attribuzioni legislative
della Regione.
In generale, non v’è dubbio che
In particolare, non v’è parimenti dubbio che, con riferimento al mare
territoriale, lo statuto di autonomia e i princípi
del sistema tributario statale richiamati dall’art. 8, lettera h), dello statuto medesimo non pongono alcun
limite alla potestà impositiva della Regione. Invero, tra i princípi
del sistema tributario statale il ricorrente correttamente menziona quello
della "territorialità” dei tributi locali. La difesa erariale vuole tuttavia
accreditare, a tale fine, un’accezione ristretta del termine "territorio”
(comprensiva solo della "terraferma” e delle "acque interne”), senza fornire
alcuna adeguata giustificazione di tale sua opzione ermeneutica e limitandosi a
richiamare il testo dell’art. 1, primo comma, dello statuto, secondo cui «
La norma impugnata soddisfa pienamente tale condizione, perché individua
quale presupposto di imposta lo scalo in campi di ormeggio «ubicati nel mare
territoriale lungo le coste della Sardegna», e cioè in luoghi attrezzati che,
pur non essendo materialmente e stabilmente connessi con la terraferma,
tuttavia consentono di collegare il presupposto medesimo con la realtà
turistico-ambientale regionale. Nella specie, questo collegamento è dato dal
fatto che i menzionati campi di ormeggio, consentendo gli scali nel periodo di
maggiore afflusso turistico da parte di imbarcazioni aventi una spiccata
utilizzazione turistica (unità «da diporto» o comunque «utilizzate a scopo di
diporto»), non solo rendono possibile l’immediata fruizione di beni
turistico-ambientali, ma rappresentano anche la base per l’accesso di persone
fisiche nelle isole sarde, con la conseguenza che la norma censurata, in quanto
diretta a perseguire interessi tipicamente regionali e come tali espressamente
valorizzati dallo statuto di autonomia, non è in contrasto con l’evocato
parametro costituzionale.
8.2.7. – Con
la censura sub e), il ricorrente
denuncia, con riferimento agli artt. 3
e 53 Cost., la violazione, sotto
quattro profili, del principio
di ragionevolezza.
Nessuno dei suddetti rilievi è fondato.
8.2.7.1. – Quanto al primo rilievo – secondo cui «una attività esercitata
nella stessa forma non può essere considerata espressione di capacità
contributiva diversa a seconda del periodo in cui viene svolta» –, deve
rilevarsi (come già osservato al punto 8.1.3.) che l’effettuazione dello scalo
nel periodo di maggior afflusso turistico costituisce un indice adeguato della
capacità contributiva dei soggetti passivi dell’imposta, non arbitrariamente
prescelto dal legislatore. In particolare, l’applicazione dell’imposta a chi
effettua lo scalo in quel periodo evidenzia che la norma ha, tra le sue rationes, quella
di incentivare lo scalo negli altri periodi dell’anno, al fine di consentire
una sostenibile distribuzione degli afflussi turistici (o, comunque,
prevalentemente turistici) nel territorio sardo. Tale ratio si aggiunge a quella, primaria, di far partecipare i soggetti
fiscalmente non domiciliati in Sardegna – che, differentemente dai soggetti
fiscalmente domiciliati nella Regione, non pagano nella stessa Regione la
maggior parte delle imposte, tasse e contributi erariali, regionali e locali –
ai costi pubblici determinati dalla fruizione turistica del patrimonio ambientale-naturale e di quello
storico-artistico (in ciò presentando un tratto comune con l’imposta regionale
sul soggiorno, che sarà esaminata in séguito, in quanto oggetto di apposita
censura).
8.2.7.2. – Quanto al secondo rilievo, concernente l’asserita regressività
dell’imposta sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto,
va ribadito che tale caratteristica è di per sé irrilevante ai fini della
dedotta illegittimità costituzionale della norma denunciata. Come già osservato a proposito del primo
ricorso (punto 8.1.4.), deve essere
ricordato che, ai sensi dell’art. 53, secondo comma, Cost., «i criteri
di progressività» debbono informare il «sistema tributario» nel suo complesso e
non i singoli tributi.
In
particolare, in base alla norma censurata, l’imposta non è dovuta per le unità
da diporto che sostano tutto l’anno nelle strutture portuali regionali, mentre
è dovuta annualmente per lo scalo delle unità da diporto o comunque utilizzate
a scopo di diporto (nel periodo compreso tra il 1° giugno ed il 30 settembre di
ciascun anno), nella stessa misura fissata, per classi di lunghezza delle
unità, dalla originaria formulazione dell’articolo (nel nuovo testo della
disposizione si precisa che l’importo dovuto per i motorsailer è quello previsto per la particolare categoria delle
unità a vela con motore ausiliario).
Come sopra
sottolineato a proposito del primo ricorso (punto 8.1.4.), da tale disciplina emerge
che il legislatore regionale ha evidentemente perseguito l’intento di favorire
una piú intensa utilizzazione delle strutture
portuali da parte delle imbarcazioni, ritenendo preferibile, da un punto di
vista economico complessivo, incentivare fiscalmente uno stabile collegamento
dei soggetti passivi con il territorio. Una tale ratio posta a fondamento della commisurazione del tributo non
supera i limiti della non arbitrarietà e della ragionevolezza che
Analoghe
considerazioni valgono per l’imposta sullo scalo turistico degli aeromobili,
dovuta per gli aeromobili dell’aviazione generale adibiti al trasporto privato
di persone, per ogni scalo effettuato negli aerodromi del territorio regionale
nel periodo compreso tra il 1° giugno ed il 30 settembre di ciascun anno
(esclusi i casi di sosta tecnica, limitatamente al tempo necessario per
l’effettuazione della stessa), nella misura: a) di € 150,00 per gli aeromobili abilitati
fino al trasporto di quattro passeggeri; b) di € 400,00 per gli aeromobili
abilitati al trasporto da cinque a dodici passeggeri; c) di € 1.000,00 per gli
aeromobili abilitati al trasporto di oltre dodici passeggeri. Da tale
disciplina emerge che il legislatore regionale, nel prevedere l’imposta in
misura meno che proporzionale al numero dei passeggeri trasportabili, ha
tendenzialmente inteso favorire, dal punto di vista fiscale, un minor afflusso
di aeromobili a parità di passeggeri trasportati e, quindi, il
decongestionamento del traffico aereo nel periodo tra il 1° giugno ed il 30
settembre. Una siffatta ratio non
appare né arbitraria né irragionevole e, pertanto, la norma impugnata è esente
dalle censure prospettate.
8.2.7.3. – Quanto al terzo rilievo, secondo cui l’imposta sullo scalo
degli aeromobili costituirebbe una duplicazione dei diritti aeroportuali, data
l’identità della questione, valgono anche qui le conclusioni già raggiunte in
occasione dell’esame del primo ricorso (punto 8.1.4.) circa l’insussistenza
della dedotta "duplicazione d’imposta”.
8.2.7.4. – Il quarto rilievo viene riferito dal ricorrente esclusivamente
all’imposta sullo scalo degli aeromobili ed è basato sulla considerazione che
detto prelievo sarebbe irragionevole, perché non definibile né come imposta né
come tassa.
Neppure tale argomentazione è fondata. Il prelievo previsto dalla norma
censurata, infatti, ha natura non di tassa (in quanto, come sopra sottolineato,
non è collegato alla fruizione di servizi aeroportuali), ma di imposta, perché
costituisce un prelievo coattivo che è finalizzato al concorso alle pubbliche
spese ed è posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico
indice di capacità contributiva (cioè l’effettuazione di uno scalo in un
aerodromo, nell’àmbito di un «trasporto privato di persone»).
Né può obiettarsi, come fa il ricorrente, che il prelievo censurato non
costituirebbe un’imposta in quanto inciderebbe «sui singoli atti di esercizio
di un’impresa e non sul risultato utile complessivo». Il tributo in esame,
infatti, non costituisce
un’imposta sul reddito d’impresa, per la quale soltanto potrebbe porsi un
problema di valutazione del «risultato utile complessivo», come si esprime il
ricorrente.
Inoltre, il
tributo denunciato non
presuppone necessariamente – come erroneamente ritiene il ricorrente –
l’esercizio di un’attività di impresa di trasporti aerei. A tale ultima
conclusione si giunge attraverso la ricostruzione del complesso quadro
normativo in cui si inserisce la norma censurata, secondo la quale l’imposta si
applica con riferimento agli «aeromobili dell’aviazione generale di cui
all’articolo 743 e seguenti del codice della navigazione adibiti al trasporto
privato di persone». In realtà, detti articoli del codice della navigazione, nel
testo vigente al momento dell’entrata in vigore della disposizione denunciata,
non fanno menzione né dell’«aviazione generale» né della distinzione degli
«aeromobili privati» in tre categorie: a) «aeromobili da trasporto pubblico
destinati a trasportare persone o cose mediante compenso di qualsiasi natura,
ovvero anche senza compenso, se il trasporto è effettuato da una impresa di
trasporti aerei»; b) «aeromobili da lavoro aereo, destinati a scopi industriali
e commerciali o ad altra utilizzazione con compenso, che non siano di trasporto
di persone o cose»; c) «aeromobili da turismo, destinati a scopo diverso da
quelli indicati nei commi precedenti e senza compenso»; distinzione prevista
solo dal previgente testo dell’art. 747 cod. nav. – anteriore, cioè, alla sua
abrogazione ad opera dell’art. 5 del decreto legislativo 9 maggio 2005, n. 96 –
e ripetuta quasi letteralmente dall’art. 137 del Regolamento per la navigazione
aerea, approvato con regio decreto 11 gennaio 1925, n. 356, come modificato
dall’art. 8 degli emendamenti approvati con regio decreto 15 aprile 1938, n.
1350. Il terzo comma dell’art. 743 cod. nav. statuisce invece, nella
formulazione vigente, che «Le distinzioni degli aeromobili, secondo le loro
caratteristiche tecniche e secondo il loro impiego, sono stabilite dall’ENAC
con propri regolamenti e, comunque, dalla normativa speciale in materia». Al
corretto significato della norma censurata si perviene, perciò, solo attraverso
l’esame di tali regolamenti. In particolare, l’art. 1 del regolamento dell’Ente
Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC) del 30 giugno 2003 (denominato
«Operazioni Ogni Tempo nello Spazio Aereo Nazionale») definisce le seguenti
operazioni secondo l’impiego dell’aeromobile: a) «operazioni di trasporto aereo
commerciale»: quelle che «comportano il trasporto di passeggeri, merci e posta
dietro compenso» (art. 1.1.); b) «operazioni di lavoro aereo»: quelle
effettuate da un «aeromobile utilizzato per attività specialistiche quali ad
esempio aerofotografia, pubblicità aerea, sorveglianza ed osservazioni,
spargimento sostanze, trasporto carichi esterni, ecc.)» (art. 1.2.); c)
«operazioni dell’aviazione generale»: quelle «diverse dal trasporto aereo
commerciale e dal lavoro aereo» (art. 1.3.). Analogamente, il regolamento del
21 ottobre 2003 (denominato «Regolamento per la costruzione e l’esercizio degli
aeroporti») definisce: a) «trasporto aereo commerciale», il «traffico
effettuato per trasportare persone o cose dietro remunerazione. Esso comprende
quindi il trasporto aereo di linea, charter e aerotaxi»; b) «trasporto aereo
non commerciale o di aviazione generale», il «traffico diverso dal trasporto
aereo commerciale; esso comprende sostanzialmente l’attività degli aeroclub,
delle scuole di volo, dei piccoli aerei privati ed i servizi di lavoro aereo».
In base a
tale ricostruzione del quadro
normativo, il «trasporto aereo privato di persone», da parte di aeromobili
dell’aviazione generale, menzionato dalla norma censurata è solo quello
effettuato con un aeromobile mediante operazioni di «aviazione generale», cioè
mediante operazioni prestate senza compenso e diverse dal «lavoro aereo».
Costituisce, perciò, «trasporto aereo privato di persone», soggetto all’imposta
regionale, anche il trasporto effettuato senza compenso da un’impresa di
trasporti aerei, che (come sopra ricordato) l’abrogato testo dell’art. 747 cod.
nav. riconduceva, invece, al «trasporto pubblico». Ne deriva che,
contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’applicazione della
denunciata imposta regionale non presuppone mai l’esercizio dell’attività di
impresa di trasporti, salvo che nella sopra indicata eccezionale ipotesi di
trasporto effettuato senza compenso da parte di una impresa di trasporti aerei,
rientrante nel piú generale caso, previsto dalla normativa comunitaria,
di "aviazione generale di affari” (infra punto 8.2.8.4.).
8.2.8. – Infine, con la
censura sub f), il ricorrente prospetta,
con riferimento ai soggetti che esercitano attività d’impresa, la violazione
dell’art. 117, primo comma, Cost., in
relazione al Trattato CE, con riguardo agli artt. 49 (posto a tutela della
libera prestazione dei servizi), 81, «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10»
(posti a tutela della concorrenza), 87 (riguardante il divieto di aiuti di
Stato) e richiede, al riguardo, che sia effettuato il rinvio pregiudiziale di
cui all’art. 234 del Trattato CE. Tale prospettazione impone di affrontare preliminarmente
i seguenti problemi: 1) se sia ammissibile la censura con la quale si evocano,
per il tramite del primo comma dell’art. 117 Cost., norme comunitarie come
elementi integrativi del parametro di costituzionalità; 2) quali siano i limiti
entro cui le norme comunitarie possono essere prese in considerazione da questa
Corte come elemento integrativo del parametro in sede di giudizio di
costituzionalità promosso in via principale; 3) se sussistano le condizioni
perché questa Corte sollevi questione interpretativa pregiudiziale ai sensi
dell’art. 234 del Trattato CE. Solo dopo la risoluzione di tali problemi, potrà
procedersi allo scrutinio della non manifesta infondatezza e della rilevanza di
detta questione pregiudiziale.
8.2.8.1. – Come piú volte affermato da questa Corte, l’art. 11 Cost.,
prevedendo che l’Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati,
alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace
e la giustizia fra le Nazioni», ha permesso di riconoscere alle norme
comunitarie efficacia obbligatoria nel nostro ordinamento (ex plurimis, sentenze n. 349
e n. 284 del 2007;
n. 170 del 1984).
Il nuovo testo dell’art. 117, primo comma, Cost., introdotto dalla legge
costituzionale n. 3 del 2001 – nel disporre che «La potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché
dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario […]» –, ha ribadito che i
vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario si impongono al legislatore
nazionale (statale, regionale e delle Province autonome). Da tale quadro
normativo costituzionale consegue che, con la ratifica dei Trattati comunitari,
l’Italia è entrata a far parte di un ordinamento giuridico autonomo, integrato
e coordinato con quello interno, ed ha trasferito, in base all’art. 11 Cost.,
l’esercizio di poteri, anche normativi, nelle materie oggetto dei Trattati
medesimi. Le norme comunitarie vincolano in vario modo il legislatore interno,
con il solo limite dell’intangibilità dei princípi
fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inviolabili
dell’uomo garantiti dalla Costituzione (ex
multis, sentenze nn. 349, 348 e 284 del 2007, n. 170 del 1984).
Con specifico
riguardo al caso, che qui interessa, di leggi regionali della cui compatibilità
con il diritto comunitario (come interpretato e applicato dalle istituzioni e
dagli organi comunitari) si dubita, va rilevato che l’inserimento dell’Italia
nell’ordinamento comunitario comporta due diverse conseguenze, a seconda che il
giudizio in cui si fa valere tale dubbio penda davanti al giudice comune ovvero
davanti alla Corte costituzionale a séguito di ricorso proposto in via
principale. Nel primo caso, le norme comunitarie, se hanno efficacia diretta,
impongono al giudice di disapplicare le leggi nazionali (comprese quelle
regionali), ove le ritenga non compatibili. Nel secondo caso, le medesime norme
«fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione
di conformità della normativa regionale all’art. 117, primo comma, Cost.» (sentenze
n. 129 del 2006;
n. 406 del 2005;
n. 166 e n. 7 del 2004),
o, piú precisamente, rendono concretamente operativo
il parametro costituito dall’art. 117, primo comma, Cost. (come chiarito, in
generale, dalla sentenza
n. 348 del 2007), con conseguente declaratoria di illegittimità
costituzionale delle norme regionali che siano giudicate incompatibili con il
diritto comunitario.
Questi due
diversi modi di operare delle norme comunitarie corrispondono alle diverse
caratteristiche dei giudizi.
Davanti al giudice
comune la legge regionale deve essere applicata ad un caso concreto e la
valutazione della sua conformità all’ordinamento comunitario deve essere da
tale giudice preliminarmente effettuata al fine di procedere all’eventuale
disapplicazione della suddetta legge, previo rinvio pregiudiziale alla Corte di
giustizia CE – ove necessario – per l’interpretazione del diritto comunitario.
Una volta esclusa tale disapplicazione, il giudice potrà bensì adire la Corte
costituzionale, ma solo per motivi di non conformità del diritto interno
all’ordinamento costituzionale e non per motivi di non conformità
all’ordinamento comunitario. Ne consegue che, ove il giudice comune dubitasse
della conformità della legge nazionale al diritto comunitario, il mancato
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia CE renderebbe non rilevante e,
pertanto, inammissibile la questione di legittimità costituzionale da lui
sollevata.
Davanti alla
Corte costituzionale adíta in via principale, invece,
la valutazione della conformità della legge regionale alle norme comunitarie si
risolve, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., in un giudizio di
legittimità costituzionale; con la conseguenza che, in caso di riscontrata
difformità, la Corte non procede alla disapplicazione della legge, ma – come
già osservato – ne dichiara l’illegittimità costituzionale con efficacia erga omnes (ex multis, sentenza n.
94 del 1995).
In
conclusione, alla luce di quanto sopra rilevato, la censura in esame deve
ritenersi ammissibile, perché le norme comunitarie sono state correttamente
evocate dal ricorrente nel presente giudizio, per il tramite dell’art. 117,
primo comma, Cost., quale elemento integrante il parametro di costituzionalità.
8.2.8.2. – Quanto ai limiti entro cui dette norme possono essere prese in
considerazione come elemento integrativo del parametro in sede di giudizio di
costituzionalità promosso in via principale, va osservato che questa Corte non
può esaminare violazioni diverse da quelle denunciate dal ricorrente, riguardanti gli artt. 49, 81, «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10», e 87 del
Trattato CE.
Secondo l’interpretazione costantemente data da questa Corte al combinato
disposto degli artt. 23, 27 e 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (per cui,
anche nei giudizi in via principale, la Corte costituzionale dichiara quali
sono le disposizioni legislative illegittime, nei limiti dei parametri
costituzionali e dei motivi di censura indicati nell’atto introduttivo del
giudizio), il giudizio di legittimità costituzionale ha la peculiare caratteristica di essere vincolato al thema decidendum
posto dall’atto introduttivo, in ordine all’oggetto, al parametro e ai motivi
di censura. Questa Corte, in particolare, non ha il potere di dichiarare che la
norma censurata è illegittima per la violazione di parametri costituzionali
diversi da quelli indicati nell’atto introduttivo. Può, invece, prendere in
considerazione norme costituzionali non evocate a parametro solo ove in esse
rinvenga il fondamento giustificativo della norma censurata. Tale limitazione
del principio iura novit
curia (il quale è applicabile in misura ben piú
ampia nei giudizi comuni) opera anche per le disposizioni integrative del
parametro costituzionale evocate a sostegno dell’illegittimità della norma
denunciata e, quindi, anche nel caso di specie, in cui viene dedotta la
violazione dei suddetti articoli del Trattato CE, in relazione al primo comma
dell’art. 117 Cost.
8.2.8.3. – Poste tali
premesse, occorre ora verificare se sussistano le condizioni perché questa
Corte, al pari del giudice comune, possa sollevare davanti alla Corte di
giustizia CE – nel caso in cui la questione di conformità alla normativa
comunitaria non sia manifestamente infondata – questione pregiudiziale
sull’interpretazione del diritto comunitario ai sensi dell’art. 234 del
Trattato CE (secondo il quale, «La Corte di giustizia è competente a pronunciarsi,
in via pregiudiziale: a) sull’interpretazione del presente trattato […]. Quando
una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a una
giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso
giurisdizionale di diritto interno, tale giurisdizione è tenuta a rivolgersi
alla Corte di giustizia»).
La risposta,
al riguardo, è positiva, perché questa Corte, pur nella sua peculiare posizione
di organo di garanzia costituzionale, ha natura di giudice e, in particolare,
di giudice di unica istanza (in quanto contro le sue decisioni non è ammessa
alcuna impugnazione: art. 137, terzo comma, Cost.). Essa pertanto, nei giudizi
di legittimità costituzionale in via principale, è legittimata a proporre
rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234, terzo paragrafo, del Trattato CE.
Tale
conclusione è confermata dalle seguenti considerazioni.
In primo
luogo, la nozione di «giurisdizione nazionale» rilevante ai fini
dell’ammissibilità del rinvio pregiudiziale deve essere desunta
dall’ordinamento comunitario e non dalla qualificazione "interna” dell’organo
rimettente. Non v’è dubbio che la Corte costituzionale italiana possiede
requisiti individuati a tal fine dalla giurisprudenza della Corte di giustizia
CE per attribuire tale qualificazione.
In secondo
luogo, nell’àmbito dei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via
principale, questa Corte è l’unico giudice chiamato a pronunciarsi in ordine al
loro oggetto, in quanto – come già sopra osservato – manca un giudice a quo abilitato a definire la
controversia, e cioè ad applicare o a disapplicare direttamente la norma
interna non conforme al diritto comunitario. Pertanto, non ammettere in tali
giudizi il rinvio pregiudiziale di cui all’art. 234 del Trattato CE
comporterebbe un’inaccettabile lesione del generale interesse all’uniforme
applicazione del diritto comunitario, quale interpretato dalla Corte di
giustizia CE.
8.2.8.4. – Quanto alle violazioni del diritto comunitario
denunciate dal ricorrente, questa Corte ritiene opportuno sollevare questioni
pregiudiziali davanti alla Corte di giustizia CE, ai sensi dell’art. 234 del
Trattato CE, esclusivamente con riguardo alle violazioni degli artt. 49 e 87
del Trattato CE, riservando al prosieguo del giudizio ogni decisione sulla
violazione dell’art. 81 «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10», anche in
relazione alla pertinenza di tale combinato disposto con la norma censurata.
Venendo ora all’esame della non manifesta infondatezza delle suddette
questioni pregiudiziali di interpretazione delle norme comunitarie evocate,
riguardanti l’applicazione dell’imposta sullo scalo degli aeromobili e delle unità da diporto, va
premesso che, in base alla disposizione censurata, tale imposta si applica: a)
alle imprese esercenti unità da diporto
(o, comunque, utilizzate a scopo di diporto) non fiscalmente domiciliate in Sardegna, e, in particolare, alle
imprese la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere dette unità a
disposizione di terzi; b) alle imprese esercenti «aeromobili
dell’aviazione generale […] adibiti al trasporto privato di persone», cioè alle
imprese che effettuano operazioni di trasporto aereo (diverse dal «lavoro
aereo»), senza compenso, e, quindi, nell’àmbito della cosiddetta "aviazione generale di affari”, definita
dall’art. 2, lettera l), del
Regolamento (CEE) n. 95/93 del Consiglio, del 18 gennaio 1993 (Norme comuni per
l’assegnazione di bande orarie negli aeroporti della Comunità), come attività
di aviazione generale effettuata dall’esercente con trasporto senza
remunerazione per motivi attinenti alla propria attività di impresa (il quadro
normativo concernente gli aeromobili dell’aviazione generale è ricostruito supra, al punto
8.2.7.4.).
Riguardo a tali imprese, non può escludersi che il loro assoggettamento a
tassazione nel solo caso in cui non abbiano domicilio fiscale in Sardegna crei
una discriminazione e un conseguente aggravio di costi rispetto a quelle che,
pur svolgendo la stessa attività, non sono tenute al pagamento del tributo per
il solo fatto di avere domicilio fiscale in Sardegna. In entrambi i casi – e
cioè, con riferimento tanto all’ampio mercato dell’utilizzazione commerciale
delle unità da diporto, quanto al piú ristretto
mercato delle imprese che effettuano direttamente trasporti aerei aziendali di
persone senza remunerazione – può ipotizzarsi, infatti, che l’applicazione
della censurata imposta regionale di scalo dia luogo a un aggravio selettivo
del costo dei servizi resi dalle imprese "non residenti”, che assume rilevanza
per l’ordinamento comunitario sia come restrizione alla libera prestazione dei
servizi (art. 49 del Trattato CE), sia come aiuto di Stato alle imprese con
domicilio fiscale in Sardegna (art. 87 del Trattato CE), con effetti
discriminatori e distorsivi della concorrenza.
Avverso tale conclusione potrebbero invero addursi le stesse ragioni che,
secondo questa Corte (punto 8.2.7.1.), giustificano l’applicazione dell’imposta
sullo scalo solo ai soggetti non imprenditori non aventi domicilio fiscale in
Sardegna (ragioni che, come si vedrà in séguito al punto 9.1.2., valgono anche
per l’imposta di soggiorno). Potrebbe, cioè, opporsi che la tassazione delle
sole imprese "non residenti” è giustificata, sul piano della politica
economico-fiscale della Regione, dal fatto che dette imprese, nell’effettuare
lo scalo, fruiscono dei servizi pubblici regionali e locali, ma non concorrono
– a differenza delle imprese "residenti” – al loro finanziamento con il
pagamento dei già esistenti tributi. Questa giustificazione del prelievo
regionale sarebbe rafforzata, secondo la difesa della Regione, da quella
fondata sulla necessità di compensare, attraverso la tassazione delle imprese
fiscalmente non domiciliate in Sardegna, i maggiori costi sostenuti dalle
imprese ivi domiciliate, in ragione delle peculiarità geografiche ed economiche
legate al carattere insulare della Regione.
Le due suddette giustificazioni traggono peraltro il loro fondamento da
circostanze attinenti alla sostenibilità dello sviluppo turistico regionale e
dall’esigenza di riequilibrare la situazione economica dei soggetti "non
residenti” rispetto a quella dei soggetti "residenti”. Esse, quindi, non
tengono conto del fatto che l’insularità non appare, di per sé, un elemento
idoneo a incrementare i costi sostenuti dalle imprese con riferimento allo
scalo turistico e, soprattutto, del fatto che, nel caso in cui il soggetto
passivo del tributo sia un imprenditore, la circostanza di farlo partecipare –
in quanto non avente domicilio fiscale in Sardegna – ai costi aggiuntivi
determinati dal turismo potrebbe non essere sufficiente a rendere inoperante,
nella specie, il principio comunitario di non discriminazione e,
conseguentemente, inapplicabili le connesse disposizioni del Trattato CE sulla
libertà di prestazione di servizi e sul divieto di aiuti di Stato.
Tale principio è, infatti, di generale applicazione nell’ordinamento
interno e fornisce una tutela delle imprese "non residenti” – sotto il profilo
della concorrenza e delle libertà economiche fondamentali –, la cui
delimitazione è rimessa non a regole di diritto interno, ma al diritto comunitario,
quale interpretato dalla Corte di giustizia CE anche con riferimento ad "enti infrastatali” che, come la Regione resistente, sono dotati
di autonomia statutaria, normativa e finanziaria (Corte di
giustizia, sentenza 6 settembre 2006, C-88/03, Repubblica portoghese c.
Commissione).
In questa materia vi è un’incertezza interpretativa che richiede
l’intervento della Corte di giustizia CE, come risulta evidente dall’esame della giurisprudenza di tale Corte. Essa si è in piú
occasioni occupata di fattispecie analoghe alla denunciata imposta di scalo e
ha affermato che sussiste una restrizione alla libera prestazione dei servizi
nel caso in cui una determinata misura renda le prestazioni transfrontaliere piú onerose delle prestazioni nazionali comparabili (sentenze 11
gennaio 2007, C-269/05, Commissione
c. Repubblica ellenica; 6 febbraio
2003, C-92/01, Stylianakis; 26 giugno 2001, C-70/99, Commissione c. Portogallo). Quei casi avevano, però, ad oggetto tasse
che discriminavano tra voli nazionali e voli internazionali o tra voli aventi
percorrenza superiore e inferiore ad una determinata distanza o, ancora, tra
trasporti infranazionali e internazionali. Non veniva
dunque in rilievo una possibile discriminazione – pur astrattamente rilevante
per il diritto comunitario – tra imprese aventi o no domicilio fiscale in una
regione di uno Stato membro.
Per quanto attiene, poi, alla dedotta violazione dell’art. 87 del
Trattato CE, si pone anche il problema se il vantaggio economico concorrenziale
derivante alle suddette imprese "residenti” in Sardegna dal loro non
assoggettamento all’imposta regionale sullo scalo rientri nella nozione di
aiuto di Stato, considerato che detto vantaggio deriva non dalla concessione di
un’agevolazione fiscale, ma indirettamente dal minor costo da esse sopportato
rispetto alle imprese "non residenti” (analogamente alla fattispecie, per
alcuni versi simile, esaminata dalla Corte di
giustizia CE con la sentenza del 22 novembre 2001, C-53/00, Ferring SA). In proposito è
appena il caso di sottolineare che il suddetto problema interpretativo
prescinde, ovviamente, dalla valutazione della compatibilità della misura di
aiuto con il mercato comune, spettante alla competenza esclusiva della
Commissione CE, che agisce sotto il controllo dei giudici comunitari.
Sussiste, pertanto,
un dubbio circa la corretta interpretazione – tra quelle possibili – delle
evocate disposizioni comunitarie, tale da rendere necessario procedere al
rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 234 del
Trattato CE, perché questa accerti: a) se l’art. 49 del Trattato debba essere
interpretato nel senso che osti all’applicazione della norma censurata alle
sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione
Sardegna esercenti aeromobili da loro stesse utilizzati per il trasporto di
persone nello svolgimento di attività
di "aviazione generale d’affari” (cioè trasporto senza remunerazione per motivi
attinenti alla propria attività d’impresa); b) se la norma censurata,
nel prevedere che l’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili
grava sulle sole imprese che hanno domicilio
fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti aeromobili
da esse stesse utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento di attività di aviazione generale d’affari,
configuri – ai sensi dell’art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato alle imprese
che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel territorio della
Regione Sardegna; c) se l’art. 49 del Trattato debba essere interpretato
nel senso che osti all’applicazione della norma censurata alle sole imprese che
hanno domicilio fiscale fuori dal
territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività
imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi tali unità; d) se
la norma censurata, nel prevedere che l’imposta regionale sullo scalo turistico
delle unità da diporto grava
sulle sole imprese che hanno domicilio
fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto
la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi
tali unità, configuri – ai sensi dell’art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato
alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel
territorio della Regione Sardegna.
Il rinvio
pregiudiziale in ordine a tali questioni, ai sensi dell’art. 234 del Trattato
CE, appare altresí opportuno al fine di evitare il
pericolo di contrasti ermeneutici tra la giurisdizione comunitaria e quella
costituzionale nazionale, che non giovano alla certezza e all’uniforme
applicazione del diritto comunitario.
8.2.8.5. – Le
suddette questioni pregiudiziali sono, inoltre, rilevanti, perché: a)
l’interpretazione richiesta alla Corte di giustizia è necessaria per
pronunciare la sentenza di questa Corte, in quanto le questioni sono ricomprese
nell’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale proposto in via
principale; b) la fondatezza dei profili di illegittimità costituzionale
dedotti dal ricorrente con riguardo a questioni diverse da quelle oggetto del
rinvio pregiudiziale è stata già esclusa da questa Corte per le ragioni esposte
ai punti da 8.2.3. a 8.2.7. e, quindi, la legittimità costituzionale della
norma censurata non può essere scrutinata, in riferimento all’art. 117, primo
comma, Cost., senza che si proceda alla valutazione della sua conformità al
diritto comunitario. Come già disposto al punto 8.2.8.4., va riservata al prosieguo del giudizio ogni
decisione sulla violazione dell’art. 81 «coordinato con gli art. 3, lett. g) e
10».
8.2.8.6. – Al
fine dell’indicata rimessione pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 del Trattato
CE, è opportuno separare, nell’àmbito del giudizio introdotto con il ricorso n.
36 del 2007, il giudizio concernente la questione riguardante l’«imposta
regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto» –
disciplinata dall’art. 4 della legge reg. n. 4 del 2006, quale sostituito
dall’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007 – e relativa
all’assoggettamento a tassazione delle imprese esercenti aeromobili o unità da
diporto. Il giudizio avente ad oggetto la questione cosí
delimitata e separata va sospeso in forza dell’art. 3 della legge 13 marzo
1958, n. 204, sino alla definizione delle questioni interpretative
pregiudiziali rimesse, con la separata ordinanza n. 103
del 2008, alla Corte di giustizia CE.
9. – Occorre
ora procedere all’esame delle questioni concernenti l’art. 5 della legge reg.
n. 2 del 2007 sollevate con il secondo ricorso (n. 36 del 2007). La
disposizione censurata istituisce l’imposta regionale di soggiorno, da
destinare ad interventi nel settore del turismo sostenibile, che i Comuni hanno
la facoltà di applicare, nell’àmbito del proprio territorio a decorrere
dall’anno 2008 a coloro che non risultano iscritti nell’anagrafe della
popolazione residente nei Comuni della Sardegna, per il soggiorno nel periodo
dal 15 giugno al 15 settembre, nelle aziende ricettive di cui alla legge
regionale 14 maggio 1984, n. 22 (Norme per la classificazione delle aziende
ricettive), nelle strutture ricettive extra-alberghiere di cui alla legge
regionale 12 agosto 1998, n. 27 (Disciplina delle strutture ricettive
extra-alberghiere), nelle strutture ricettive di cui alla legge regionale 23
giugno 1998, n. 18 (Nuove norme per l’esercizio dell’agriturismo), nelle unità
immobiliari adibite ad abitazioni principali, cosí
come definite dall’articolo 8, comma 2, del decreto legislativo n. 504 del
1992, concesse in comodato o in locazione, nelle unità immobiliari non adibite
ad abitazioni principali (con l’esclusione, per queste ultime, del
proprietario, del coniuge, degli affini e dei parenti in linea retta, dei collaterali
fino al terzo grado, e degli ospiti che soggiornano unitamente ad almeno uno
dei componenti la famiglia del proprietario), con l’esenzione dall’imposta dei
lavoratori dipendenti che soggiornano per ragioni di servizio attestate dal
datore di lavoro, degli studenti che soggiornano per ragioni di studio o per
periodi di formazione professionale attestati dalle rispettive università,
scuole od enti di formazione, dei minori di diciotto anni, dei lavoratori
autonomi che soggiornano per ragioni di lavoro documentabili. L’imposta si
applica, per persona e per ogni giornata di soggiorno, nella modesta misura di
un euro o, per i soggiorni negli alberghi a quattro stelle e superiori, di due
euro.
9.1. – In
particolare, il ricorrente denuncia il contrasto della disposizione censurata
con tre diversi parametri costituzionali: a) con l’art. 8, lettera h), dello statuto
della Regione Sardegna, perché la Regione avrebbe violato il divieto per le
Regioni di istituire imposte comunali, costituente un principio del sistema
tributario dello Stato; ovvero, alternativamente, con l’art. 119 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale
n. 3 del 2001, perché la Regione
non può stabilire un’imposta comunale senza lasciare ai Comuni nessun margine
di autonomia se non la scelta se istituire o no l’imposta; b) con l’art. 3
Cost., perché sarebbe irragionevole non assoggettare ad imposta i residenti in
Sardegna, pur avendo, rispetto ai non residenti, una «posizione […] identica se
rapportata al presupposto dell’imposta»; c) con l’art. 117, primo comma, Cost.,
in relazione sia all’art. 12 del Trattato CE, perché i cittadini dell’Unione
europea subirebbero una discriminazione rispetto ai residenti nella Regione,
sia all’art. 49 dello stesso Trattato, perché «la libertà di prestazione dei
servizi all’interno della Comunità è violata anche quando vengono frapposti
ostacoli al godimento di servizi da parte di cittadini di Paesi membri». Tali
censure vanno esaminate separatamente.
9.1.1. – Quanto alla censura sub a), va in via preliminare rilevato
che deve essere scrutinata esclusivamente la denunciata violazione dello
statuto regionale, perché – come già chiarito al punto 5.3. – la normativa
risultante dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione non
prevede una forma di autonomia piú ampia di quella dello statuto della Regione Sardegna e
pertanto, ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, trova
applicazione soltanto lo statuto.
Nel merito,
la censura non è fondata.
Riguardo alla
asserita esistenza, nel sistema tributario dello Stato, del principio secondo
cui è vietato alla Regione di istituire imposte comunali, va rilevato che tale
principio non sussiste. In base allo statuto di autonomia è, infatti,
attribuita alla Regione la potestà legislativa di disciplinare tributi propri,
sempre che sia assicurata l’«armonia» di
tali tributi con i princípi del sistema tributario
dello Stato. Nell’àmbito di detta potestà la Regione può discrezionalmente
modulare l’autonomia tributaria dei Comuni e, quindi, può anche limitarsi a
rimettere ad essi la sola decisione di istituire o no i suddetti tributi. Del
resto, la piena discrezionalità della Regione nel fissare la misura di
autonomia – piú o meno ampia – che intende riservare
al potere regolamentare tributario degli enti sub-regionali giustifica che
nella specie sia stata lasciata all’autonomia dei Comuni la sola scelta se
istituire o no un’imposta interamente disciplinata dalla legge regionale, senza
giungere ad attribuire loro l’ulteriore potere di determinare l’aliquota del
tributo entro i limiti minimo e massimo fissati dalla legge stessa (come
avviene, invece, per la maggior parte dei tributi locali). Anche sotto
l’aspetto meramente letterale, va poi osservato che l’articolo denunciato
definisce espressamente, al comma 1, l’imposta di soggiorno come «regionale» (e
non "comunale”, come sostenuto dalla difesa erariale). E precisa, al comma 18,
che il gettito dell’imposta riscosso da ciascun Comune è attribuito alla
Regione per il 50 per cento, «ai fini dell’istituzione di un fondo di
riequilibrio e solidarietà, destinato agli investimenti nel settore turistico
delle aree interne», e solo per il restante 50 per cento al Comune, che dovrà
destinarlo, ai sensi del citato comma 1, «ad interventi nel settore del turismo
sostenibile con particolare riguardo al miglioramento dei servizi rivolti ai
turisti e alla fruizione della risorsa ambientale».
9.1.2. – Il ricorrente deduce, con la censura sub b), la violazione dell’art. 3 Cost.,
affermando che la norma denunciata sarebbe irragionevole perché non assoggetta
ad imposta i residenti in Sardegna, pur avendo questi, rispetto ai non
residenti, una «posizione […] identica se rapportata al presupposto
dell’imposta».
Anche tale
censura non è fondata, perché il ricorrente erroneamente ritiene che la
situazione dei soggetti residenti in Sardegna sia omogenea rispetto a quella
dei non residenti.
Il
presupposto della denunciata imposta regionale è individuato dalla legge nel
soggiorno, da parte di soggetti non iscritti nell’anagrafe della popolazione
residente nei comuni della Sardegna (con alcune esenzioni), nelle aziende o
strutture ricettive o unità immobiliari specificate dalla stessa legge, nel
periodo compreso tra il 15 giugno ed il 15 settembre di ogni anno a partire dal
2008. I suddetti soggetti passivi, proprio per effetto del soggiorno,
necessariamente fruiscono sia di servizi pubblici locali e regionali, sia del
patrimonio culturale e ambientale sardo, senza concorrere al finanziamento dei
primi e alla tutela del secondo a mezzo di tributi. I soggetti residenti in
Sardegna, invece, già concorrono, nella generalità dei casi, alle spese pubbliche
connesse a tali servizi e beni mediante la corresponsione di svariati tributi e
contributi, che entrano a vario titolo nel bilancio della Regione ai fini della
valorizzazione dell’ambiente e dell’ottimizzazione del governo del territorio
regionale (si pensi, ad esempio, alle quote dei tributi erariali connessi al
territorio regionale riservate alla Regione Sardegna dall’art. 8 dello
statuto).
Appare,
quindi, corretto – sotto il profilo fiscale – distinguere tali soggetti da
quelli non residenti in Sardegna, perché questi ultimi, diversamente dai
residenti, non solo non sopportano alcun prelievo il cui gettito sia
specificamente diretto ai suddetti fini, ma, con il loro soggiorno nella Regione
in coincidenza con il periodo di maggior afflusso turistico, causano costi
pubblici aggiuntivi rispetto a quelli
programmabili dalla Regione in base al gettito delle imposte già corrisposte
dai soggetti residenti. I soggiornanti non residenti, perciò, incidono
anche sulla complessiva sostenibilità del fenomeno turistico nell’isola (v., al
punto 8.2.8.5., l’analoga ratio della
previsione dell’imposta sullo scalo a carico dei soli soggetti non aventi
domicilio fiscale in Sardegna). Il legislatore regionale, pertanto, nel porre
l’imposta di soggiorno, in una misura non sproporzionata, a carico solo dei
soggetti non residenti in Sardegna, tratta diversamente e in modo adeguato
situazioni giuridiche diverse e, quindi, non supera i limiti della ragionevolezza
di cui all’art. 3 Cost.
Né tale
ragionevolezza può essere messa in dubbio dalla considerazione – fatta propria
dal ricorrente – che l’attribuzione a ciascun Comune del potere di «applicare»,
accertare, liquidare e riscuotere l’imposta di soggiorno «nell’àmbito del
proprio territorio» imporrebbe l’assoggettamento a detta imposta anche dei
soggiornanti residenti in altro Comune della Sardegna. Al contrario, la
rilevata natura regionale del tributo comporta che questo, ancorché applicato
dai Comuni nell’àmbito dell’autonomia ad essi attribuita dalla legge regionale,
deve essere pagato solo da quei soggetti che, non essendo residenti nella
Regione, non contribuiscono – come già osservato – al finanziamento delle
indicate spese pubbliche connesse ai servizi e beni culturali e ambientali
sardi; e, simmetricamente, non deve essere pagato da coloro che, essendo
residenti nella Regione, hanno già contribuito a tale finanziamento.
Al riguardo,
va sottolineato che, coerentemente con la sua natura regionale, l’imposta ha,
come si è visto, lo scopo di finanziare il complesso delle spese connesse alla
tutela dell’ambiente ed alla promozione del turismo sostenibile nell’intera
Regione, con gli opportuni aggiustamenti compensativi tra le varie zone. Ne
deriva che il legislatore regionale non irragionevolmente valuta l’intera
Regione Sardegna come un’unica – anche se non omogenea – area culturale ed
ambientale, come tale complessivamente valorizzata dal bilancio regionale, cosí da giustificare un prelievo fiscale a carico soltanto
dei soggiornanti non residenti nell’isola.
9.1.3. – Il
ricorrente deduce, infine (con le censure sub
c), la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione sia all’art.
12 del Trattato CE, perché i cittadini dell’Unione subirebbero una
discriminazione rispetto ai residenti nella Regione, sia all’art. 49 dello
stesso Trattato, perché «la libertà di prestazione dei servizi all’interno
della Comunità è violata anche quando vengono frapposti ostacoli al godimento
di servizi da parte di cittadini di Paesi membri».
Le censure
non sono fondate.
Al riguardo, va
preliminarmente osservato che non sussiste una specifica normativa comunitaria
in materia di imposte di soggiorno. Tali imposte sono o sono state previste
dalla legislazione di vari Stati dell’Unione europea, ad esempio: la Kurtaxe tedesca;
la taxe de séjour
francese; l’impuesto sobre las estancias en empresas turísticas de alojamiento già vigente nella Comunità autonoma delle
Isole Baleari; l’impôt sur les chambres d’hôtels et de pensions a Bruxelles; l’imposta di soggiorno di cui
alla legge del Trentino Alto-Adige 29 agosto 1976, n. 10, ancora parzialmente
applicabile nella Provincia autonoma di Bolzano; l’imposta di soggiorno già
prevista in Italia con il decreto-legge 24 novembre 1938, n. 1926, convertito
dalla legge 2 giugno 1939, n. 739, e soppressa, con effetto dal 1° gennaio
1989, dal decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni,
dalla legge 24 aprile 1989, n. 144. Occorre poi sottolineare che, come anche
rilevato dalla Commissione CE, l’imposta di soggiorno non è stata oggetto di
armonizzazione in sede di Comunità europee e che, di conseguenza, gli Stati
membri possono definire i criteri della sua applicazione, a condizione che
siano rispettati i princípi del diritto comunitario
e, in particolare, che non siano introdotte misure discriminatorie
nell’esercizio delle libertà fondamentali previste dal Trattato CE.
Nella specie,
la dedotta discriminazione tra i residenti in Sardegna e gli altri cittadini
dell’Unione europea non è fondata, perché il ricorrente erroneamente ritiene
che la situazione dei primi sia omogenea a quella dei secondi. Al contrario,
per le stesse ragioni già rilevate al punto 9.1.2. con riferimento alla
denunciata violazione dell’art. 3 Cost., le situazioni poste a raffronto dal
ricorrente sono eterogenee e giustificano l’esclusione dall’imposta per i
soggetti residenti nel territorio sardo.
Per quanto
attiene alla libera circolazione dei servizi (art. 49 del Trattato CE), non
risulta che l’imposta censurata colpisca i soggiornanti in maniera
discriminatoria o sproporzionata, cosí da ledere la
libertà dei medesimi soggiornanti di recarsi in un altro Stato membro per
beneficiare di un servizio. Del resto, lo stesso ricorrente non ha precisato in
cosa si sostanzierebbe la lamentata discriminazione in ordine alla fruizione o
alla libera circolazione dei servizi, tanto piú che
la denunciata imposta di soggiorno ha proprio la funzione di rendere
sostenibile il contingente afflusso di soggiornanti non aventi residenza
anagrafica in Sardegna. Ciò è sufficiente per escludere anche il rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia CE ai sensi dell’art. 234 del suddetto
Trattato.
per questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006,
n. 4 (Disposizioni varie in materia di
entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), nel
testo originario e in quello sostituito dall’art. 3, comma 1, della
legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2007);
2) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo originario e in quello sostituito
dall’art. 3, comma 2, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007;
3) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della
legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo originario, promosse dal Presidente del Consiglio dei
ministri, in via subordinata, con il ricorso n. 91 del 2006, in riferimento
agli artt. 117 e 119 della Costituzione, in relazione all’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione);
4) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della
legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo originario, promosse dal Presidente del Consiglio dei
ministri con il ricorso n. 91 del 2006, in riferimento all’art. 8, lettera i) (nel testo anteriore a quello
sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296), dello statuto della Regione Sardegna e
agli artt. 3 e 53 Cost.;
5) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della
legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della
Regione Sardegna n. 2 del 2007,
promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso n. 36 del
2007, in riferimento ai parametri
evocati in relazione ai denunciati artt. 3 e 4 della legge della Regione
Sardegna n. 4 del 2006, quali
sostituiti dall’art. 3, commi 1 e 2, della legge della Regione Sardegna,
n. 2 del 2007, agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 120 Cost., nonché all’art. 3 di un non specificato testo
normativo;
6) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della
legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della
Regione Sardegna n. 2 del 2007,
promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso n. 36 del
2007, in riferimento agli artt. 1, 3,
8, lettera h) (quale
sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006), dello statuto della Regione Sardegna e agli artt. 3 e 53 Cost.;
7) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della
legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso
n. 36 del 2007, in riferimento all’art.
8, lettera h) (quale
sostituito dal comma 834 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006), dello statuto della Regione Sardegna, all’art. 3 Cost. e all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione
agli artt. 12 e 49 del Trattato CE;
8) dispone la separazione del giudizio
concernente la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge
della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel
testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione
Sardegna n. 2 del 2007, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri con
il ricorso n. 36 del 2007, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 3, lettera g), 10, 49, 81 e 87 del Trattato CE,
e riguardante l’assoggettamento a tassazione delle imprese esercenti aeromobili
o unità da diporto;
9) riserva alla separata ordinanza n. 103
del 2008 di sottoporre alla Corte di giustizia CE, in via pregiudiziale ai
sensi dell’art. 234 del Trattato CE, le seguenti questioni di interpretazione
degli artt. 49 e 87 dello stesso
Trattato: a) se l’art. 49 del Trattato debba essere interpretato nel
senso che osti all’applicazione di una norma, quale quella prevista dall’art. 4 della legge della Regione Sardegna 11
maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di entrate, riqualificazione
della spesa, politiche sociali e di sviluppo), nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della
legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria
2007), secondo la quale l’imposta regionale sullo scalo turistico degli
aeromobili grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna
esercenti aeromobili da esse stesse utilizzati per il trasporto di persone
nello svolgimento di attività di
aviazione generale d’affari; b) se lo stesso art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3,
comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, nel prevedere che
l’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili grava sulle sole
imprese che hanno domicilio fiscale
fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti aeromobili da esse
stesse utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento di attività di aviazione generale d’affari,
configuri – ai sensi dell’art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato alle imprese
che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel territorio della
Regione Sardegna; c) se l’art. 49 del Trattato debba essere interpretato
nel senso che osti all’applicazione di una norma, quale quella prevista dallo
stesso art. 4 della legge della
Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel
testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione
Sardegna n. 2 del 2007, secondo la quale l’imposta regionale sullo scalo
turistico delle unità da diporto
grava sulle sole imprese che hanno domicilio
fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto
la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi
tali unità; d) se lo stesso art.
4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3,
comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, nel prevedere che l’imposta
regionale sullo scalo turistico delle unità
da diporto grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti
unità da diporto la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere a
disposizione di terzi tali unità, configuri – ai sensi dell’art. 87 del
Trattato – un aiuto di Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con
domicilio fiscale nel territorio della Regione Sardegna;
10) riserva all’ordinanza di cui al punto
precedente di sospendere il giudizio,
come sopra separato, sino alla definizione di dette questioni pregiudiziali.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13
febbraio 2008.
F.to:
Franco
BILE, Presidente
Franco
GALLO, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 15 aprile 2008.