Sentenza n. 23 del 1957
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SENTENZA N. 23

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,

ha pronunziato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2 e 4 integralmente e degli articoli 3 e 5 parzialmente, della legge regionale approvata dal Consiglio regionale della Sardegna il 7 marzo 1956 e riapprovata dallo stesso Consiglio regionale il 16 luglio 1956, contenente disposizioni relative all'esercizio di funzioni amministrative in materia di pesca, promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri con ricorso notificato il 30 luglio 1956, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 7 agosto 1956 ed iscritto al n. 57 del Reg. ric. 1956.

Vista la costituzione in giudizio del Presidente della Regione sarda;

udita nell'udienza pubblica del 28 novembre 1956 la relazione del Giudice Mario Bracci;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Achille Salerni per il ricorrente e gli avvocati Egidio Tosato e Pietro Gasparri per la Regione autonoma della Sardegna.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Consiglio regionale della Sardegna il 7 marzo 1956 approvò una legge contenente disposizioni relative all'esercizio di funzioni amministrative in materia di pesca.

Con questa legge, emanata in attesa di norme regionali organiche sulla pesca, secondo la competenza che l'art. 3 lettera i dello Statuto speciale attribuisce alla Sardegna, fu disciplinata l'attività amministrativa regionale circa le autorizzazioni per la pesca marittima, la sorveglianza delle acque marittime antistanti la Regione, le competenze in materia di acque fluviali e lacuali già spettanti al Ministero dell'agricoltura e ai prefetti, attribuendo inoltre alla amministrazione regionale le competenze assegnate ad organi statali locali dalle recenti leggi che hanno predisposto il decentramento di molteplici funzioni dell'amministrazione centrale.

Il Governo della Repubblica, avuta comunicazione di questa legge il 22 marzo 1956, la rinviò ad un nuovo esame da parte del Consiglio regionale ai sensi dell'art. 33 dello Statuto speciale per la Regione autonoma della Sardegna, contestando che la Regione avesse la potestà legislativa di cui si era valsa. Ma il Consiglio regionale sardo il 12 luglio 1956 approvò per la seconda volta il testo della legge, dandone comunicazione al Governo il 16 luglio detto. Il Presidente del Consiglio, in base a deliberazione del Consiglio dei Ministri, notificò il 7 agosto 1956 al Presidente della Giunta della Regione autonoma della Sardegna un ricorso col quale promosse la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 4 integralmente e degli artt. 3 e 5 limitatamente alle parti che attribuiscono competenza amministrativa alla Regione nel predetto esercizio di funzioni in materia di pesca nelle acque marittime. Il ricorso fu regolarmente depositato e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 1 settembre 1956 n. 220 e nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna del 4 settembre 1956, n. 29.

Secondo la difesa dello Stato il mare territoriale fa parte del demanio marittimo e poiché questo é esplicitamente escluso dai beni demaniali e patrimoniali, che dallo Stato sono passati alla Regione ai sensi dell'art. 14 dello Statuto, alla Regione non competerebbe potestà legislativa relativamente alla disciplina della pesca nel mare territoriale, in quanto la pesca altro non sarebbe che un modo d'uso del mare territoriale, cioè del demanio marittimo. Perciò la competenza legislativa riconosciuta alla Regione in materia di pesca dall'art. 3 lettera i dello Statuto dovrebbe intendersi limitata alle acque interne; tenuto conto dell'art. 14 dello Statuto e, anche, dell'art. 117 della Costituzione.

Da ciò deriverebbe l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge impugnata, che dispone genericamente sull'ordinamento della pesca ai sensi dell'art. 3 lettera i dello Statuto; dell'art. 2 che detta la disciplina amministrativa della pesca marittima in Sardegna; dell'art. 4 che attribuisce alla amministrazione regionale le competenze in materia di consorzi per la tutela della pesca che spettavano all'amministrazione statale prima delle norme sul decentramento amministrativo, disposto dal D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987; degli artt. 3 e 5 per la parte che riguarda le acque marittime, che attribuiscono alla Regione competenze ministeriali e prefettizie, in materia di pesca, con facoltà di delegarle alle province e ai comuni.

In particolare, poi, la difesa dello Stato lamenta che la Regione abbia interferito nell'amministrazione statale assegnando funzioni obbligatorie regionali alle Capitanerie di porto che sono organi statali; abbia attribuito agli agenti nominati dalla Regione la qualifica di agenti di polizia giudiziaria, emanando in tal modo norme nella materia processuale penale che deve ritenersi sottratta alla competenza regionale; abbia fissato sanzioni penali per le infrazioni alla legge regionale esorbitando anche in questo caso ed anche sotto questo profilo dalla propria competenza perché tratterebbesi di materia penale d'esclusiva competenza statale; ed abbia affermato infine competenze regionali che interferiscono con quelle statali della pubblica sicurezza (repressione dell'uso di materie esplosive e venefiche per la pesca), competenze che comunque dovrebbero essere dichiarate salve e impregiudicate.

La Regione deliberò di resistere a questo ricorso con atto 3 agosto 1956 della Giunta regionale e depositò le proprie controdeduzioni il 10 agosto detto; il 14 novembre 1956 la Regione presentò altresì una memoria illustrativa.

La Regione nega che abbia fondamento l'argomento relativo alla demanialità del mare territoriale, sia perché il mare sarebbe res omnium communis, sia perché la pesca non sarebbe comunque da considerarsi un uso del bene demaniale. La Regione contesta altresì l'interpretazione restrittiva della lettera i dell'art. 3 dello Statuto speciale, limitata alla pesca nelle acque interne: la dizione della norma non giustificherebbe questa restrizione, trattandosi fra l'altro di una regione insulare e senza acque interne di notevole importanza.

Circa le doglianze relative alle norme particolari, l'art. 1, secondo la Regione, non avrebbe alcun significato giuridico, sì che la sua impugnazione sarebbe vana; l'art. 2, n. 1, prevederebbe un parere del Capitano di porto, organo dello Stato, che é già previsto dal D.P.R. 13 luglio 1954, n. 747 a richiesta delle province; l'art. 2, n. 2, non farebbe altro che attribuire ad agenti regionali di polizia giudiziaria quelle funzioni di polizia sulla pesca che le leggi statali sul decentramento già attribuiscono ad agenti giurati provinciali, comunali, consorziali, ecc. ; ed egualmente il n. 3 dell'art. 2 attribuirebbe alla Regione quelle stesse competenze in materia d'infrazioni, senza configurazione di reati o di pene nuove, che leggi statali attribuiscono alle amministrazioni provinciali in quelle parti della Repubblica ove non sono costituite le Regioni autonome: e lo stesso dicasi del n. 4 dello stesso articolo; l'art. 3 riguarderebbe esclusivamente le acque interne; l'art. 4 non interferirebbe menomamente né col regime della proprietà delle acque, né con la regolamentazione tecnica della pesca, perché riguarderebbe soltanto le attribuzioni relative ai consorzi con l'efficacia d'un semplice riconoscimento regionale d'una sfera di competenza statale; ed infine l'art. 5 riguarderebbe quelle ipotesi di delega di funzioni regionali ai comuni e alle province che sono considerate dal precetto dall'art. 44 dello Statuto speciale e che sono altresì in armonia con i principi del decentramento amministrativo che ispirano il D.P.R. 13 luglio 1955, n. 747.

 

Considerato in diritto

 

Giova ricordare anzitutto quale sia lo stato della legislazione sulla materia che é stata trattata col ricorso in esame al fine della decisione delle questioni che sono sottoposte al giudizio della Corte.

La complessa disciplina legislativa statale in materia di pesca, o relativa alla pesca, deriva da molteplici fonti: molte decine di leggi tuttora in vigore, anteriori al T.U. 8 ottobre 1931, n. 1604, che é di fondamentale importanza, e un rilevante numero di leggi e di regolamenti successivi. L'amministrazione della pesca é divisa fra il Ministero della marina mercantile e il Ministero dell'agricoltura - oltre l'intervento del Ministero dell'industria, del Ministero dell'interno e dei vari ministeri tecnici in casi particolari -, e di recente é stata decentrata in gran parte agli organi periferici dell'amministrazione centrale e alle province con i decreti presidenziali 13 luglio 1954, n. 747, 3 maggio 1955, n. 449, e 10 giugno 1955, n. 987.

Questi decreti contengono norme delegate in virtù della legge 11 marzo 1953, n. 150, di delega legislativa al Governo per l'attribuzione di funzioni d'interesse locale alle province, ai comuni e agli altri enti locali per l'attuazione del decentramento amministrativo.

In questa legge é previsto (art. 5) che "le norme da emanarsi ai sensi della presente legge potranno essere modificate, attuandosi l'ordinamento regionale, dalle leggi che la Regione emetterà nei limiti della sua competenza, per la disciplina delle deleghe previste dall'ultimo comma dell'art. 118 della Costituzione". Ciò significa, evidentemente, che la legge regionale, ripartendo le funzioni in materia di pesca fra gli organi regionali e le province, i comuni e gli enti locali delegati, potrà modificare i decreti legislativi statali sopra ricordati.

Delle regioni a statuto speciale, già in funzione, la legge n. 150 del 1953 non parla e di esse non si trova cenno alcuno nei detti decreti legislativi.

Sopravvenuti questi decreti legislativi, la Regione ha voluto evitare che si applicasse, per volontà statale, il decentramento della materia della pesca alle proprie province, alla stregua dell'art. 57 dello Statuto - "nelle materie attribuite alla competenza della Regione, fino a quando non sia diversamente disposto con leggi regionali, si applicano le leggi dello Stato" - ed ha provveduto d'urgenza con la legge 7 marzo 1956, approvata nuovamente il 16 luglio 1956, che ricalca le disposizioni dei decreti statali, da valere "fino a quando non saranno emanate, nell'ambito della competenza di cui all'art. 3 lettera i dello Statuto speciale per la Sardegna, norme organiche regolanti la materia della pesca e il relativo ordinamento ecc. ".

Ciò premesso, occorre esaminare preliminarmente la questione generale proposta dal ricorrente e dalla cui soluzione dipende la decisione sui punti più importanti del ricorso: se cioè la materia della pesca, di competenza legislativa regionale ex art. 3 lettera i dello Statuto speciale per la Sardegna sia limitata alle acque interne o comprenda anche le acque del mare territoriale.

Com'é noto, mentre l'art. 117 pone per le regioni a statuto ordinario una limitazione molto precisa: "pesca nelle acque interne", lo Statuto speciale per la Sardegna indica genericamente la competenza regionale sulla "caccia e pesca".

La lettera della norma statutaria non lascia dubbi interpretativi perché la pesca, nel significato comune del termine, si riferisce tanto alle acque interne quanto alle acque del mare.

Ma la difesa dello Stato, ritenendo che la pesca sia un "uso delle acque", esclude senz'altro la competenza legislativa della Regione per quanto attiene alla pesca sui beni che fanno parte del demanio marittimo, perché questo é stato escluso espressamente dalla successione della Regione nei beni demaniali dello Stato (art. 14 Statuto). Inoltre la difesa dello Stato dà molta importanza alle disposizioni della legislazione statale che equiparano il mare territoriale al demanio marittimo e che giustificherebbero un'interpretazione estensiva della nozione di demanio marittimo, comprendente anche il mare territoriale.

In tal caso anche il mare territoriale sfuggirebbe alla competenza legislativa e amministrativa della Regione, in materia di pesca.

Queste argomentazioni, come é stato osservato, partono dal presupposto che la pesca nelle acque pubbliche sia un uso del demanio idrico interno e marittimo o comunque che la potestà normativa in materia di pesca dipenda dalla titolarità del diritto sul bene demaniale. La Corte ritiene invece che l'intervento legislativo dello Stato e della Regione sull'attività privata che suole chiamarsi "pesca" e che può avere sia carattere sportivo o di diletto, sia industriale, miri a fini del tutto estranei all'uso del bene, eventualmente demaniale, nel quale la pesca sia esercitata e che si proponga piuttosto d'impedire il depauperamento del patrimonio ittico nazionale e di favorirne il suo arricchimento. Per questi scopi o che si tratti di caccia o che si tratti di pesca, non ha rilevanza decisiva la condizione giuridica dell'ambiente nel quale queste attività si svolgono.

Perciò non importa se il mare territoriale sia demanio marittimo o meno e neppure se si tratti di acque del mare territoriale o di acque del demanio marittimo: fra l'altro la pesca é normalmente libera anche nelle acque che fanno parte del demanio marittimo.

Poiché la potestà normativa in materia di pesca é statutariamente attribuita alla Regione autonoma della Sardegna senza limitazione alcuna, salvo le limitazioni delle norme costituzionali, la legge regionale in materia contiene una disciplina che estende legittimamente la propria efficacia anche alle acque del mare territoriale.

Neppure può dirsi che il mare territoriale sia una nozione rilevante nel caso, per stabilire i limiti territoriali dell'efficacia della legge regionale. Anche se il mare territoriale non facesse parte del territorio della Regione a tutti gli effetti della competenza regionale, l'attribuzione alla Regione dei poteri legislativi ed amministrativi relativi alla pesca marittima importa che la disciplina regionale in materia debba estendere la propria efficacia fino all'estremo margine dello spazio marittimo che circonda il territorio e sul quale, sia pure a titolo accessorio, si esercita il potere dello Stato.

Del resto questa conclusione é conforme alla disciplina legislativa statale perché la questione non si pone in termini diversi per le province, che sono del pari enti autarchici territoriali e che attualmente esercitano il proprio potere per la disciplina della pesca, sul mare territoriale che circonda il territorio dello Stato non ancora organizzato in regioni a statuto ordinario (v. D.P.R. 13 luglio 1954, n. 747, chiaramente nell'art. 8).

Ciò posto, bisogna tuttavia aggiungere in primo luogo che in mancanza di norme d'attuazione e trattandosi d'una legge regionale priva di qualsiasi coordinazione con la legislazione statale e che si limita a ricalcare le norme statali, sostituendo semplicemente la Regione allo Stato o alle province, la competenza della Regione deve essere rigorosamente limitata alla materia della pesca, escludendosi ogni esorbitanza in materie connesse di competenza statale, che anche per motivi di politica o di tecnica legislativa potrebbero richiedere una disciplina unitaria.

In secondo luogo l'amministrazione statale conserva sul demanio marittimo tutti i poteri che le rinvengono dall'essere questi beni pubblici di sua spettanza, così come rimangono immutati i poteri statali sul mare territoriale: da ciò potranno derivare particolari limitazioni ai poteri regionali in materia di pesca marittima quando ciò sia richiesto dalle esigenze di tutela degli interessi pubblici che sono inerenti alla demanialità dei beni o al potere dello Stato sul mare territoriale.

Infine la Regione non potrà escludere, anche in materia di pesca, le interferenze degli organi statali a tutelare interessi di competenza statale estranei alla pesca, ma con la pesca connessi (ad es. navigazione, polizia, ecc. ); e disciplinati dalla legislazione vigente.

Ciò posto, la Corte, passando all'esame dei motivi particolari di doglianza, osserva quanto appresso:

Per quanto riguarda il n. 1 dell'art. 2, che prevede il parere delle Capitanerie di porto per le autorizzazioni alla pesca marittima con generatori autonomi, aventi caratteristiche tali da garantire la conservazione del patrimonio ittico, il ricorso é da respingersi. Il rilievo del ricorrente circa l'illegittimità dell'attribuzione di funzioni ad un organo statale qual é il Capitano del porto in virtù d'una legge regionale, sembra superato dal fatto che una identica norma (art. 4) trovasi nel D.P.R. 13 luglio 1954, n. 747, a proposito della facoltà di concedere queste autorizzazioni che dal Ministero per la marina mercantile "é stata trasferita alle amministrazioni provinciali"; queste debbono provvedere sentito il parere del Capitano di porto. Si tratta perciò di un'attribuzione che trova giustificazione già nel sistema e che pertanto non può essere considerata come illegittima.

Anche il rilievo relativo al n. 2 dell'art. 2 non é fondato. La materia della sorveglianza delle acque per la repressione della pesca esercitata con mezzi o materie proibite, rientra senza dubbio nella competenza della Regione e il riconoscimento della qualifica di agenti di polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 221 Cod. proc. pen. a coloro che sono preposti a questa vigilanza non implica affatto attività legislativa della Regione in materia processuale penale perché questa qualifica deriva direttamente agli agenti regionali proprio dall'art. 221 Cod. proc. pen. che l'attribuisce, in genere, "nei limiti del servizio a cui sono destinate e secondo le attribuzioni ad esse conferite dalle leggi e dai regolamenti a tutte le altre persone incaricate di ricercare e d'accertare determinate specie di reati". Del resto, ai sensi dell'art. 31 del T.U. 8 ottobre 1931, n. 1604, sulla pesca, "le province, i comuni, i consorzi, le associazioni e chiunque vi abbia interesse possono nominare e mantenere a proprie spese agenti giurati per concorrere alla sorveglianza della pesca tanto nelle acque pubbliche, quanto in quelle private". Inoltre una norma dello stesso tenore relativa agli agenti nominati dalle province, trovasi nell'ultimo capoverso dell'art. 7 del D.P.R. 13 luglio 1954, n. 747.

Quanto al n. 3 dell'art. 2 non é giustificata l'impugnazione relativa a quella parte del suddetto articolo che riproduce la norma dell'art. 8 del D.P.R. n. 747 del 1954, riguardo alla quale, del resto, il ricorrente non muove lagnanza. É invece fondata la censura di legittimità costituzionale là dove il n. 3 sancisce: "Per le infrazioni alle suddette deliberazioni, nei casi in cui esse importino limitazione o condizioni, si applica l'ammenda nella misura determinata dall'art. 8 del D.P.R. 13 luglio 1934, n. 747, da lire 1. 600 a lire 8. 000". Trattasi d'una sanzione penale e non d'una sanzione amministrativa e poiché la materia penale é sottratta alla competenza regionale (v. sentenza n. 6 del 15 giugno 1956) il ricorso su questo punto deve essere accolto.

Deve essere accolto per le stesse ragioni il ricorso relativamente all'ultima parte del n. 4 dell'art. 2: "Per le infrazioni relative a dette limitazioni si applica l'ammenda nella misura determinata dal combinato disposto degli artt. 8 e 9 del D.P.R. 13 luglio 1954, n. 747, da lire 1. 600 a lire 8000". É anche da accogliersi il ricorso relativamente al n. 5 dell'art. 2, che riguarda le autorizzazioni e le limitazioni di cui al disposto dell'art. 9 del T.U. 8 ottobre 1931, n. 1604 (rifiuti di stabilimenti industriali versati nelle acque del mare). Queste autorizzazioni interessano necessariamente il demanio marittimo e trattasi di materia d'industria piuttosto che di pesca, che lo Stato, anche in sede di decentramento delle proprie funzioni, ha riservato ai propri organi (Capitanerie di porto).

É invece infondato, per le considerazioni di carattere generale esposte preliminarmente, il ricorso relativamente all'art. 3 che é stato impugnato limitatamente alle parti che "attribuiscono competenza o potestà legislativa alla Regione nel predetto esercizio di funzioni in materia di pesca nelle acque marittime". A prescindere dal fatto che trattasi evidentemente d'attribuzione di competenza amministrativa e non legislativa e che non spetta alla Corte determinare a quali parti dell'articolo si riferisca la generica impugnazione, cade il fondamento dell'impugnazione stessa, perché é stato riconosciuto alla Regione la competenza legislativa in materia di pesca marittima.

Naturalmente restano fermi, come é stato detto, i poteri che spettano allo Stato per fini diversi dalla pesca e quelli inerenti alla titolarità del demanio marittimo. É da ritenersi altresì infondato il ricorso riguardo all'art. 4: "si applicano integralmente le norme di cui agli articoli 10 e 11 del D.P.R. 13 luglio 1954, n. 747, e quelle di cui al D.P.R. 3 maggio 1955, n. 449", in quanto trattasi d'un richiamo che nulla aggiunge e nulla toglie alla disciplina legislativa esistente in virtù di queste norme.

Ed infine, quanto all'art. 5, che prevede la delega alle province e ai comuni dell'esercizio delle funzioni amministrative disciplinate dalla legge regionale, la questione di legittimità costituzionale era stata proposta limitatamente alla materia della pesca in acque marittime e cade perciò per le considerazioni preliminari al riguardo, così come é stato osservato relativamente all'art. 3.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, n. 3, parte seconda: "Per le infrazioni alle suddette deliberazioni, nei casi in cui esse importino limitazioni o condizioni, si applica l'ammenda nella misura determinata dall'art. 8 del D.P.R. 13 luglio 1954, n. 747, da lire 1600 a lire 8000"; n. 4, parte seconda: "Per le infrazioni relative a dette limitazioni si applica l'ammenda nella misura determinata dal combinato disposto degli articoli 8 e 9 del D.P.R. 13 luglio 1954, n. 747, da lire 1600 a lire 8000"; e n. 5 della legge regionale sarda 7 marzo 1956, approvata nuovamente il 16 luglio 1956 dal Consiglio regionale sardo portante disposizioni relative all'esercizio di funzioni in materia di pesca;

dichiara altresì non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 1, all'art. 2, numeri 1, 2, 3, parte prima, 4, parte prima, e agli artt. 3, 4 e 5 della suddetta legge, ai sensi e nei limiti della motivazione.

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 gennaio 1957.

 

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA

 

Depositata in cancelleria il 26 gennaio 1957.