ANNO
2005
Commento alla decisione di
Guerino Fares
per gentile concessione
di GiustAmm.it (Giustizia Amministrativa – Rivista
di diritto pubblico)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Annibale MARINI ”
- Franco BILE ”
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
ha pronunciato la
seguente:
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale degli artt. 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94 e 95,
nonché dell'allegato n. 13, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259
(Codice delle comunicazioni elettroniche), promossi con ricorsi delle Regioni
Toscana e Marche notificati il 5 e il 13 novembre 2003, depositati in
cancelleria il 14 e il 19 successivi ed iscritti ai nn.
79 e 80 del registro ricorsi 2003.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 24 maggio
2005 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi gli avvocati Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Stefano Grassi per la
Regione Marche e l'avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.¾ Le Regioni Toscana e Marche hanno
proposto questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del
decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni
elettroniche).
Entrambe le ricorrenti hanno impugnato gli
artt. 86, 87, 88, 89, 93 e 95, nonché l'allegato n.
La materia disciplinata dal Codice,
esordiscono le ricorrenti, non è riconducibile ai titoli di legislazione
esclusiva statale, ma ricade in ambiti di competenza legislativa concorrente
quali l'ordinamento della comunicazione, il governo del territorio, la tutela
della salute, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale
dell'energia, e, per alcuni profili, tocca materie di competenza residuale
quali l'industria e il commercio, l'urbanistica e l'edilizia, i lavori
pubblici. Allo Stato dovrebbe quindi essere, tutt'al più, riservata la
predisposizione dei principî fondamentali, restando al legislatore regionale la
disciplina sostanziale e procedimentale. Ebbene, con tutte le disposizioni
impugnate, secondo i ricorsi regionali, il legislatore statale definirebbe al
contrario una regolamentazione minuziosa, dettagliata, autoapplicativa,
direttamente operante nei confronti dei privati interessati, comprimendo così
la sfera costituzionale di autonomia legislativa delle Regioni e violando le
regole di riparto di cui all'art. 117 Cost.
Sempre in via generale, le ricorrenti
denunciano il contrasto della disciplina statale con l'art. 118 Cost., giacché
le norme impugnate attribuirebbero direttamente l'esercizio di funzioni
amministrative agli enti locali, disciplinando il relativo procedimento,
laddove tali funzioni dovrebbero essere conferite con legge statale o
regionale, secondo le rispettive competenze. Né ricorrerebbero, nel caso di
specie, le condizioni che legittimano l'attrazione in via sussidiaria delle
funzioni amministrative da parte dello Stato.
Le disposizioni del Codice, si aggiunge nel ricorso della Regione Toscana, non
potrebbero trovare il loro fondamento nella potestà statale di definire le
funzioni fondamentali degli enti locali, non potendo certo considerarsi
"funzione fondamentale” l'attribuzione di una singola competenza autorizzativa in materia di impianti; né le norme
censurate, proseguono entrambe le ricorrenti, potrebbero essere legittimate dal
fatto di essere attuative di direttive comunitarie, perché tale attuazione
spetterebbe alle Regioni nelle materie di propria competenza (art. 117, quinto
comma, Cost.).
Censure più specifiche sono indirizzate da
entrambe le ricorrenti nei confronti degli artt. 86, 87, 88, 89, 93 e 95 nonché
dell'allegato n. 13, mentre la sola Regione Marche impugna anche gli articoli
90, 91, 92 e 94 del d.lgs. n. 259 del 2003.
Segnatamente l'art. 86, che reca
disposizioni sulle infrastrutture di comunicazione elettronica e sui diritti di
passaggio, assimilando le infrastrutture di cui agli artt. 87 e 88 alle opere
di urbanizzazione primaria, anche se di proprietà privata degli operatori,
invaderebbe la competenza regionale in materia di governo del territorio nonché
di urbanistica ed edilizia con una disciplina di dettaglio, che non lascerebbe
alcuno spazio alla competenza concorrente regionale.
Quanto all'art. 87, che disciplina il
procedimento autorizzatorio per l'installazione e la
modifica delle infrastrutture ed assegna tale competenza agli enti locali, esso
sarebbe incostituzionale sotto molteplici profili. In primo luogo, prevederebbe una disciplina dettagliata in materia che
rientrerebbe nella competenza regionale concorrente; inoltre, obbligherebbe al
rispetto degli obiettivi di qualità stabiliti uniformemente a livello
nazionale, facendo così venire meno la competenza regionale a determinare tali
obiettivi. Infine sarebbero illegittime anche la disciplina della conferenza
dei servizi recata dai commi 6, 7 e 8 dell'art. 87, nella parte in cui estende
la regola della maggioranza all'adozione dell'atto finale, prevede una sola
ipotesi di dissenso qualificato ed affida al Consiglio dei ministri la relativa
decisione; come pure la previsione concernente il silenzio-assenso per la
localizzazione degli impianti, che priverebbe il legislatore regionale di ogni
potestà programmatoria. Secondo la Regione Marche, la
previsione del silenzio-assenso con l'indicazione del termine nel quale esso si
forma, recata dall'art. 87, comma 9, sarebbe lesiva della competenza
legislativa regionale, perché non lascerebbe alla Regione alcun potere di
definire, pur sempre nel quadro dei principî fissati dalla legge statale,
termini diversi o altre forme di semplificazione amministrativa.
Illegittimi sarebbero pure, a giudizio di
entrambe le ricorrenti, gli articoli 88, 89 e 93. Il primo definisce un
procedimento analogo a quello dell'art. 87, con la previsione della conferenza
di servizi e del silenzio-assenso, per l'autorizzazione volta alla
installazione di infrastrutture che interessano aree di proprietà di più enti
pubblici e fissa regole affinché gli enti pubblici definiscano i programmi di
manutenzione ordinaria e straordinaria delle rispettive opere. Nei suoi
confronti si indirizzano pertanto le medesime censure formulate nei confronti
dell'art.
L'art. 95, nel disciplinare gli impianti e
le condutture di energia elettrica, prescrive che venga richiesto
all'Ispettorato del Ministero delle comunicazioni il nulla osta sul progetto
relativo a qualunque costruzione, modifica o spostamento di condutture di
energia elettrica. Così disponendo, ad avviso della Regione Toscana, esso si
porrebbe in contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione, in quanto
attribuisce ad un organo statale la competenza a pronunciarsi sui progetti
relativi ad opere, come le condutture di energia elettrica e le tubazioni
metalliche sotterrate, che dovrebbero essere disciplinate dalla Regione. Lo
Stato avocherebbe competenze attinenti ad una materia di potestà concorrente,
senza rispettare i criteri di esercizio della competenza sussidiaria, come
fissati da questa Corte nella sentenza n. 303 del
2003. Il medesimo art. 95, secondo la Regione Marche, in materie di
competenza concorrente quali l'ordinamento della comunicazione e il governo del
territorio, recherebbe una disciplina autoapplicativa
estremamente dettagliata.
L'allegato n. 13 del decreto legislativo
impugnato determina il contenuto dei modelli da usare nella presentazione dei
titoli abilitativi, e dunque, secondo la prospettazione dei ricorsi, non solo
non reca disposizioni di principio, come l'art. 117 della Costituzione
imporrebbe in materie di competenza concorrente, ma integra l'esercizio di una
vera e propria potestà regolamentare, che lo Stato non può legittimamente
esercitare in materie diverse da quelle riservate alla sua competenza
esclusiva, neppure ove si voglia riconoscere ai regolamenti emanati nelle
materie di competenza regionale il carattere della cedevolezza.
Gli artt. 90, 91, 92 e 94 sono impugnati
dalla sola Regione Marche. Le disposizioni in parola, che disciplinano
l'acquisizione dei beni immobili necessari alla realizzazione degli impianti
(art. 90), la limitazione legale della proprietà (art. 91) e l'imposizione di
servitù (artt. 92 e 94), porrebbero una disciplina di dettaglio in materia
riservata alla competenza concorrente (ordinamento della comunicazione, governo
del territorio, tutela della salute) o comunque residuale (edilizia e
urbanistica) della Regione.
Alcune disposizioni, e specificamente
l'art. 86, comma
Tutte le disposizioni impugnate sarebbero
illegittime poiché costituirebbero esercizio diretto di funzioni
amministrative, assumendo natura provvedimentale, e
comunque attribuirebbero funzioni amministrative ad organi dell'amministrazione
statale o direttamente ad enti locali senza rispettare le condizioni poste
nell'art. 118 della Costituzione e segnatamente il principio di sussidiarietà,
come interpretato da questa Corte nella sentenza n. 303
del 2003.
Inoltre, aggiunge la Regione Marche, il
medesimo art. 118, nel prevedere, al secondo comma, che le funzioni debbano
essere conferite con legge statale o regionale secondo le rispettive
competenze, vieterebbe al legislatore statale di procedere a conferimenti
diretti nei confronti degli enti locali in materie di competenza concorrente o
residuale. Per questo profilo sarebbero illegittimi l'art. 87, che attribuisce
direttamente agli enti locali il compito amministrativo di rilasciare
l'autorizzazione degli impianti di comunicazione, e gli articoli da
L'art. 93, infine, per la parte in cui
limita – per gli operatori – gli oneri connessi alle attività di installazione,
scavo ed occupazione di suolo pubblico, sarebbe costituzionalmente illegittimo,
secondo la Regione Marche, anche per contrasto con l'art. 119 Cost.
In particolare, si sostiene che il
principio dell'autonomia finanziaria, sotto il profilo dell'autonomia di spesa,
unitamente «alla norma secondo cui per provvedere a scopi diversi dal normale
esercizio delle loro funzioni lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua
interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni», implicherebbe che tutte le funzioni amministrative
spettanti alle Regioni, diverse da quelle "ordinarie”, risultino finanziate
attraverso l'attribuzione diretta ai loro bilanci di risorse adeguate, senza
vincoli sulle modalità di spesa.
Sotto altro profilo l'art. 119 sarebbe
violato dalle disposizioni impugnate per la parte in cui impongono, sia pure
indirettamente, oneri finanziari a carico delle Regioni.
2.¾ In entrambi i giudizi si è
costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che tutte le questioni proposte
siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.
In via preliminare, e con riferimento al
ricorso della Regione Toscana, si lamenta la omessa indicazione, per la gran
parte delle censure, delle specifiche disposizioni costituzionali che si
assumono violate.
Nel merito, si osserva che il decreto
legislativo impugnato non sottrae alcuna competenza alle Regioni, alle quali si
indirizza come normativa di principio, né limita le attribuzioni comunali e
regionali in materia di pianificazione del territorio, giacché interviene solo
sulle fasi procedimentali relative al rilascio delle autorizzazioni, al fine di
semplificare l'azione amministrativa. Il decreto, continua la difesa erariale,
non farebbe venire meno i poteri-doveri dei Comuni in ordine all'accertamento
delle emissioni elettromagnetiche prodotte dalle infrastrutture da realizzare,
né priverebbe gli enti locali del potere di accertare la sussistenza dei
presupposti e dei requisiti di legge prescritti per l'installazione.
In ordine alla denunciata violazione della
competenza legislativa concorrente, si osserva che in realtà la disciplina
impugnata «non può prescindere» dalla materia "tutela dell'ambiente”, rimessa
alla competenza legislativa esclusiva statale, dato che uno dei principali
interessi cui è preordinata la procedura di autorizzazione è quello del
rispetto dei limiti delle emissioni elettromagnetiche. In tale materia, di
natura trasversale, il legislatore nazionale ben potrebbe fissare principî e
criteri uniformi, pur quando essi incidano sulle competenze legislative
regionali, tanto concorrenti quanto residuali.
Anche volendo trascurare questo argomento,
continua la difesa erariale, in materie attribuite alla legislazione
concorrente sarebbe comunque consentito al legislatore statale introdurre una
normativa di dettaglio, ove ciò si giustifichi con l'oggettiva necessità di
disciplinare funzioni amministrative di cui lo Stato è titolare in base ai
principî di sussidiarietà e di adeguatezza. Nella specie il ricorso a questo
titolo straordinario di competenza non richiederebbe la previa intesa fra Stato
e Regione interessata, come pure si evince dalla sentenza di questa Corte n. 303 del
2003, poiché l'esercizio delle funzioni amministrative non viene sottratto
agli enti locali competenti, ma solo coordinato con quello delle autorità
indipendenti.
Quanto poi alle doglianze della Regione
Toscana, secondo la quale allo Stato sarebbe precluso attribuire funzioni
amministrative agli enti locali nelle materie assegnate alla competenza
regionale residuale, l'Avvocatura replica che quando lo Stato voglia
assicurare, in applicazione del principio di sussidiarietà, l'esercizio
unitario di una funzione, ciò potrà fare anche attraverso il coordinamento di
funzioni spettanti agli enti locali con quelle di autorità statali.
Una disciplina irragionevolmente
differenziata della rete di comunicazione – si prosegue – sarebbe di ostacolo
all'espletamento ottimale del servizio per tutti i cittadini e verrebbe in
definitiva ad incidere sulla tutela dell'unità giuridica ed economica e in
particolare sui livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali, in relazione ai quali sussiste la competenza legislativa
esclusiva dello Stato. Altro principio costituzionale che il decreto
legislativo impugnato mirerebbe a salvaguardare sarebbe la tutela della
concorrenza, che renderebbe necessaria la predisposizione di procedure certe e
uniformi sull'intero territorio nazionale.
Nello specifico delle censure proposte, la
difesa statale osserva, quanto all'art. 86, che l'assimilazione delle infrastrutture
alle opere di urbanizzazione primaria, certamente attinente al governo del
territorio, ha il limitato scopo di uniformare la natura di queste reti su
tutto il territorio nazionale, senza ledere alcuna competenza locale. In
relazione al sesto comma del medesimo art. 86, si soggiunge che la previsione
di limiti di esposizione e valori di attenzione ai campi elettromagnetici si
"ispirerebbe” alla sentenza di questa Corte n. 307 del 2003,
che ha accolto i ricorsi statali contro disposizioni di leggi regionali (per
quanto qui rileva, l'art. 7, comma 3, della legge della Regione Marche n. 25
del 2001), che introducevano limiti di induzione magnetica difformi da quelli
fissati nella legislazione statale.
Infondate sarebbero pure le doglianze
relative all'art. 87 del d.lgs. impugnato, che fissa uniformemente, a livello
nazionale, obiettivi di qualità senza escludere la competenza delle leggi
regionali in ordine alla localizzazione e all'attribuzione dei siti.
Quanto alla censura contro l'art. 87, commi
6, 7 e 8, essa sarebbe da respingere considerando che la decisione a
maggioranza nella conferenza di servizi semplifica il procedimento
amministrativo senza peraltro sacrificare il ruolo fondamentale dell'Agenzia
regionale per la protezione dell'ambiente.
L'Avvocatura giudica, inoltre, senz'altro
pretestuosa la censura che si appunta sull'art. 88, giacché la durata del
periodo previsto per il perfezionamento della fattispecie del silenzio-assenso
è quella tipica, e comunque è derogabile da parte degli enti locali.
Sull'art. 89, disciplinante la coubicazione e condivisione di infrastrutture, la difesa
dello Stato rileva che la disposizione attiene principalmente alle funzioni dell'Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni e del Ministero, sicché, in applicazione
del principio di sussidiarietà, la competenza regolatrice, anche di dettaglio,
non potrebbe che spettare al legislatore nazionale. Per la stessa ragione
sarebbe da respingere la questione avente ad oggetto l'art. 95: il potere di
nulla osta attribuito al Ministero delle comunicazioni sarebbe espressione di
una esigenza unitaria di sicurezza e funzionalità delle reti.
Gli artt. 92, 93 e 94, che disciplinano
limitazioni alla proprietà e servitù, prosegue la difesa erariale,
riguarderebbero la materia dell'ordinamento civile, di esclusiva competenza
statale; inoltre esigenze unitarie giustificherebbero la disciplina uniforme
delle procedure espropriative nell'art.
Pure da respingere sarebbero le censure
indirizzate nei confronti delle disposizioni impugnate, sul rilievo che esse
attribuirebbero funzioni amministrative senza rispettare le condizioni per
l'applicazione del principio di sussidiarietà. La legislazione statale al
contrario risulterebbe proporzionata e ragionevole in relazione al fine di
realizzare una rete di comunicazione estesa sull'intero territorio nazionale,
né potrebbe dirsi violato il principio dell'intesa, che si realizzerebbe nella
attuazione degli stessi procedimenti amministrativi introdotti con la normativa
impugnata, procedimenti all'interno dei quali le Regioni eserciterebbero
comunque le loro competenze sul territorio non diversamente dagli altri enti
locali.
Insussistente sarebbe infine, a giudizio
della difesa statale, la lesione dell'art. 119 Cost. da parte dell'art.
3.— In entrambi i giudizi hanno spiegato
intervento le società T.I.M. s.p.a. – Telecom Italia
Mobile, Vodafone Omnitel N.V., Wind Telecomunicazioni
s.p.a. e hanno chiesto che le questioni proposte siano dichiarate
improponibili, inammissibili e comunque infondate. Nel solo giudizio introdotto
con il ricorso n. 79 del 2003 sono intervenuti anche, ad adiuvandum
della ricorrente Regione Toscana, il Codacons (Coordinamento delle Associazioni
e dei Comitati per la tutela dei consumatori e dell'ambiente), nonché, con atto
pervenuto fuori termine, il Comune di Roma.
4.— Tutte le parti, nonché gli
intervenienti Telecom Italia Mobile s.p.a., Vodafone Omnitel N.V., Wind Telecomunicazioni s.p.a. e Codacons hanno
depositato ulteriori memorie in prossimità dell'udienza pubblica del 26 ottobre
2004.
4.1.— La Regione Toscana, contestando
l'ammissibilità degli spiegati interventi, svolge nel merito argomentazioni
volte a confutare le tesi difensive sostenute dall'Avvocatura erariale.
Quanto all'argomento secondo cui la
normativa impugnata sarebbe necessaria per assicurare l'installazione sul
territorio nazionale degli impianti per la telefonia mobile di terza
generazione (UMTS), si osserva che siffatto interesse non può prescindere
dall'esigenza di ricercare «un punto di equilibrio tra esigenze e valori tutti
parimenti tutelati dalla Carta costituzionale, anche con competenze attribuite
alle Regioni».
Quanto agli invocati principî di
trasparenza, tempestività e divieto di discriminazioni contenuti nella
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002 n. 2002/21/CE
(che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di
comunicazione elettronica – direttiva quadro), lo Stato – ad avviso della
ricorrente – avrebbe dovuto limitarsi a ribadirne l'obbligatorietà affidandone
alla legislazione regionale l'ulteriore sviluppo, ai sensi dell'art. 117,
quinto comma, Cost.
La Regione contesta poi che la normativa
denunciata possa ascriversi a materie riservate allo Stato dall'art. 117,
secondo comma, Cost.
Non sarebbe riconducibile, infatti, alla
tutela della concorrenza, perché le norme impugnate non prevederebbero
interventi promozionali per favorire lo sviluppo del mercato e misure di
salvaguardia dei principî antitrust (sentenze n. 272
e n. 14 del 2004),
ma si limiterebbero a stabilire un procedimento amministrativo accelerato per
l'installazione degli impianti.
Neppure sarebbe invocabile la competenza
esclusiva statale di cui alla lettera m)
del secondo comma dell'art. 117 Cost., giacché le disposizioni denunciate non
avrebbero ad oggetto «la fissazione di un livello minimo di soddisfacimento di
diritti civili o sociali» (sentenze n. 88 del
2003 e n.
282 del 2002), ma soltanto la disciplina di una procedura accelerata per
l'installazione degli impianti.
Né, tanto meno, si argomenta ancora nella
memoria, potrebbe valere il richiamo alla materia della tutela dell'ambiente,
solo marginalmente implicata dalle norme impugnate. In ogni caso, la legge
statale non potrebbe esautorare del tutto la competenza legislativa regionale
che venga esercitata nel rispetto degli standard
fissati a livello nazionale per la tutela dell'ambiente.
Infondata sarebbe altresì la tesi per cui
le disposizioni impugnate conterrebbero soltanto principî fondamentali. Esse –
e in particolare gli artt. 86, 87 e l'allegato n. 13 – detterebbero invece una
disciplina minuziosa, autoapplicativa, direttamente
operativa nei confronti dei privati interessati. Peraltro, l'incostituzionalità
dell'art. 86, che assimila, ad ogni effetto, le infrastrutture di reti
pubbliche di proprietà dei privati alle opere di urbanizzazione primaria,
sarebbe ancor più evidente alla luce della giurisprudenza amministrativa in
materia, secondo la quale siffatta assimilazione determinerebbe la
compatibilità degli impianti con qualunque destinazione urbanistica del
territorio comunale, ottenendosi così il medesimo risultato previsto dall'art.
3 del d.lgs. n. 198 del 2002, dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 303
del 2003.
4.2.¾ La Regione Marche contesta in primo
luogo l'ammissibilità degli atti di intervento e, nel merito, osserva che la
finalità di realizzare una rete uniforme, proteggendo la salute dei cittadini
dagli effetti dell'inquinamento elettromagnetico, non potrebbe giustificare la
disciplina dettagliata e autoapplicativa posta dallo
Stato, in quanto gli obiettivi di tutela dall'inquinamento atterrebbero alla
materia di competenza concorrente della tutela della salute. Ciò sarebbe stato
riconosciuto dalla stessa legge n. 36 del 2001, che attribuiva alle Regioni la
competenza a definire le modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla
installazione degli impianti, nonché dalle sentenze di questa Corte n. 331 e n. 307 del 2003.
L'esigenza di una disciplina unitaria,
prosegue la difesa regionale, non potrebbe trovare giustificazione nella
direttiva quadro 2002/21/CE, che non altererebbe la disciplina delle competenze
interne, ma si limiterebbe a porre obblighi che gravano in pari grado sulla
legge statale come sulla legge regionale. Nemmeno potrebbe essere invocata,
come titolo di competenza statale, la tutela della concorrenza, perché nessuna
violazione della par condicio degli imprenditori interessati al settore
potrebbe derivare dall'obbligo di rispettare, nel territorio regionale, le
discipline regionali in tema di edilizia, governo del territorio e tutela della
salute.
4.3.¾ Il Presidente del Consiglio dei
ministri, ribaditi e ulteriormente sviluppati gli argomenti già svolti
nell'atto di costituzione, aggiunge che la disciplina delle reti non può essere
segmentata secondo le esigenze locali, ma deve essere ispirata a criteri
uniformi a livello nazionale, giacché è posta a presidio di valori
costituzionali fondamentali quali la libertà e segretezza delle comunicazioni,
la libertà di iniziativa economica, la tutela della concorrenza.
In riferimento alla impugnazione dell'art.
86, si contesta che l'assimilazione delle infrastrutture di reti di
comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria costituisca una disciplina
di dettaglio invasiva della competenza regionale e si sostiene che si
tratterebbe invece della «definizione generale da attribuire a determinate
opere secondo un modello unitario che consenta lo sviluppo delle reti a mezzo
di metodologie uniformi».
Quanto alle doglianze relative all'art. 87,
comma 1, la norma si limiterebbe a riconoscere ai Comuni il potere di
installazione, ma non precluderebbe l'esercizio da parte della Regione di
ulteriori poteri di disciplina, peraltro già esercitati da alcune Regioni.
Con specifico riguardo al modello della
conferenza di servizi, l'Avvocatura osserva che il ruolo delle Regioni sarebbe
sacrificato solo nell'ipotesi di intervento del Consiglio dei ministri
necessario per risolvere un dissenso qualificato e che la stessa difesa
regionale non considererebbe possibile avocare tale funzione all'ente
regionale.
Pure da respingere sarebbero le censure di
illegittimità per violazione della regola di riparto della potestà
regolamentare; le disposizioni impugnate non avrebbero infatti alcun effetto modificatorio sui regolamenti vigenti, né sarebbe possibile
attribuire carattere regolamentare a disposizioni inserite nella legge in
ragione del loro contenuto. Rispetto all'art. 86, comma 8, si osserva comunque
che la finalità di realizzare un unico archivio telematico nazionale giustifica
la previsione di un modello di istanza configurato secondo uno schema
tipizzato.
4.4.¾ Gli intervenienti T.I.M. – Telecom Italia Mobile s.p.a., Vodafone Omnitel N.V., Wind Telecomunicazioni s.p.a. e Codacons, insistono
preliminarmente per l'ammissibilità degli interventi.
5.¾ All'udienza del 26 ottobre 2004,
sentite le parti, è stata adottata l'ordinanza collegiale in pari data, con la
quale i predetti interventi sono stati dichiarati inammissibili.
6.¾ Nell'imminenza dell'udienza pubblica
del 24 maggio 2005 la Regione Toscana ha depositato una memoria con la quale ha
replicato alle argomentazioni difensive svolte dalla difesa erariale. In
particolare, in relazione alla inammissibilità per mancata impugnazione
dell'art. 41 della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di
infrastrutture e trasporti), si rileva che la legge delega non presentava alcun
contenuto lesivo delle attribuzioni costituzionalmente garantite alle Regioni,
in quanto si limitava a prevedere, quali criteri direttivi per l'esercizio
della delega stessa, la riduzione dei termini per la conclusione dei
procedimenti volti al rilascio delle autorizzazioni per i servizi di
comunicazione elettronica e la regolazione uniforme degli stessi, non
autorizzando l'emanazione di una «normativa dettagliata, puntuale e autoapplicativa», quale quella contenuta nel decreto
legislativo 1° agosto 2003, n. 259.
Per quanto attiene, invece, alla eccepita
inammissibilità per acquiescenza, conseguente all'emanazione di un parere
positivo sul decreto legislativo reso in sede di Conferenza Stato-Regioni, la
ricorrente osserva che la stessa non avrebbe reso alcun parere favorevole e
che, in ogni caso, nei giudizi di costituzionalità in via principale non
avrebbe alcun rilievo l'istituto dell'acquiescenza (si richiama la sentenza n. 74 del
2001).
Nel merito si osserva, in via preliminare,
sempre in chiave di replica alle difese erariali, che il legislatore delegato
non avrebbe aderito alla tesi della rete di comunicazione intesa come rete
unitaria, atteso che le norme impugnate configurano le installazioni per le
telecomunicazioni quali singoli impianti. In ogni caso, l'assunta unitarietà
non potrebbe legittimare una attrazione statale di competenze legislative ex
art. 118 della Costituzione, in quanto, da un lato, non sono disciplinate
funzioni amministrative che lo Stato si riserva (essendo le stesse attribuite
agli enti locali), dall'altro, mancherebbe l'intesa con le Regioni (si
richiamano le sentenze
n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003).
Si osserva, inoltre, come non sussisterebbe
alcun titolo di legittimazione in capo allo Stato in grado di giustificare, sul
piano del riparto di competenze, le norme impugnate. In particolare, non
potrebbe invocarsi: a) la materia della tutela della concorrenza, in quanto le
disposizioni censurate non prevedono interventi promozionali per favorire «lo
sviluppo del mercato e delle misure di salvaguardia dei principi antitrust» (si richiamano le sentenze n. 272
e n. 14 del 2004):
dette disposizioni si sarebbero limitate a prevedere un procedimento
amministrativo accelerato per l'installazione degli impianti; b) la "materia”
dei livelli essenziali delle prestazioni, atteso che le norme in esame non
avrebbero «ad oggetto la fissazione di un livello minimo di soddisfacimento di
diritti civili o sociali».
Inoltre, le norme censurate non potrebbero
rinvenire una propria giustificazione nell'esigenza di dare attuazione al
diritto comunitario: l'art. 117, quinto comma, della Costituzione, infatti,
assegnerebbe alle Regioni nelle materie alle stesse attribuite «la competenza a
provvedere all'attuazione ed esecuzione degli atti comunitari».
Infine, le disposizioni impugnate non
potrebbero essere considerate espressione di un principio fondamentale, in
quanto contengono precetti completi che non lascerebbero alcun spazio per
eventuali ulteriori normative regionali. A tal proposito, si richiama quanto
previsto, in particolare, dall'art. 86 del Codice, il quale assimila le
infrastrutture di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, con
conseguente possibilità che tali impianti siano compatibili con ogni
destinazione urbanistica del territorio.
6.1.¾ Nell'imminenza dell'udienza pubblica
del 24 maggio 2005 hanno depositato memorie anche gli intervenienti: Codacons
(fuori termine); Wind Telecomunicazioni s.p.a.; Vodafone Omnitel N.V.
Considerato in diritto
1.— Le Regioni Toscana e Marche, con
distinti ricorsi (ric. nn. 79 e 80 del 2003) hanno
impugnato il decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle
comunicazioni elettroniche) censurando, in particolare, entrambe le ricorrenti,
gli artt. 86, 87, 88, 89, 93 e 95, nonché l'allegato n.
2.— Considerata la sostanziale identità
della materia trattata nei due ricorsi, si dispone la riunione dei giudizi
perché gli stessi siano decisi con unica sentenza.
3.— Hanno spiegato intervento in giudizio
le società T.I.M. – Telecom Italia Mobile s.p.a.,
Wind Telecomunicazioni s.p.a., Vodafone Omnitel N.V.,
nonché il Codacons (Coordinamento delle associazioni e dei comitati per la
tutela dei consumatori e dell'ambiente) ed il Comune di Roma.
All'udienza del 26 ottobre 2004, sentite le
parti, è stata adottata l'ordinanza collegiale in pari data, con la quale i
predetti interventi sono stati dichiarati inammissibili. Ciò in base al
consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale nei giudizi di
legittimità costituzionale proposti in via principale non è ammessa la presenza
di soggetti diversi dalla parte ricorrente e dal titolare della potestà
legislativa il cui esercizio sia oggetto di contestazione (v., da ultimo, sentenze n. 150 del
2005, n. 167
e n. 166 del
2004).
4.— Prima di procedere alla disamina delle
singole questioni di legittimità costituzionale sollevate, appare opportuno
premettere alcune considerazioni di ordine generale sulle ragioni che hanno
condotto all'emanazione del Codice, le cui disposizioni formano oggetto di
impugnazione.
4.1.— Con tale Codice l'Italia ha recepito
le direttive quadro del Parlamento europeo e del Consiglio sulle comunicazioni
elettroniche del 7 marzo 2002 (direttiva 2002/19/CE, relativa all'accesso alle
reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e
all'interconnessione delle medesime – direttiva accesso; direttiva 2002/20/CE,
relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione
elettronica – direttiva autorizzazioni; direttiva 2002/21/CE, che istituisce un
quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica –
direttiva quadro; direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai
diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione
elettronica – direttiva servizio universale).
La finalità perseguita, con tali direttive,
è il superamento delle situazioni di monopolio del settore, mediante la
progressiva diminuzione dell'intervento gestorio
delle autorità pubbliche e la incentivazione di un vasto processo di
liberalizzazione delle reti e dei servizi nei settori convergenti delle
telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell'informazione (cfr. quinto
considerando della direttiva 2002/21/CE), secondo le linee di un ampio disegno
europeo tendente ad investire l'intera area dei servizi pubblici. Le
disposizioni introdotte prevedono, infatti, una serie di misure regolatorie destinate ad incidere sul comportamento delle
imprese e che dovrebbero condurre ad una completa operatività delle regole
della concorrenza.
A tali fini, le citate direttive
regolamentano «i servizi» e le «reti» di comunicazione elettronica e cioè in
generale «i mezzi di trasmissione», escludendo espressamente dal proprio campo
di applicazione la disciplina dei «contenuti dei servizi» – quali quelli relativi
alle emissioni radiotelevisive, ai servizi finanziari e a taluni servizi della
società della informazione (quinto considerando della direttiva 2002/21/CE) –
forniti mediante i predetti sistemi di comunicazione. Questa separazione non
incide – si puntualizza nel quinto considerando della direttiva quadro
2002/21/CE – «sul riconoscimento dei collegamenti» fra i due aspetti dei
contenuti e dei mezzi di trasmissione «al fine di garantire il pluralismo dei
mezzi di informazione, la diversità culturale e la protezione dei consumatori»
(cfr. anche sentenza
n. 331 del 2003).
Nel presente giudizio di costituzionalità
rileva esclusivamente la normativa inerente alle «reti di comunicazione elettronica»,
la cui definizione è contenuta nell'art. 2, par. 1, lettera a) della
citata direttiva 2002/21/CE, secondo cui per rete devono intendersi: «i sistemi di trasmissione e, se del caso,
le apparecchiature di commutazione o di instradamento e altre risorse che
consentono di trasmettere segnali via cavo, via radio, a mezzo di fibre ottiche
o con altri mezzi elettromagnetici, comprese le reti satellitari, le reti
terrestri mobili e fisse (a commutazione di circuito e a commutazione di
pacchetto, compresa Internet),
le reti utilizzate per la diffusione circolare dei programmi sonori e
televisivi, i sistemi per il trasporto della corrente elettrica, nella misura
in cui siano utilizzati per trasmettere i segnali, le reti televisive via cavo,
indipendentemente dal tipo di informazione trasportato» (tale definizione è stata integralmente
trasposta, a livello interno, nella lettera dd
dell'art. 1, comma 1, del Codice).
La normativa comunitaria prescrive,
inoltre, che le procedure «previste per la concessione del diritto di
installare» le predette infrastrutture di comunicazione elettronica debbano
essere «tempestive, non discriminatorie e trasparenti, onde assicurare che
vigano le condizioni necessarie per una concorrenza leale ed effettiva»
(ventiduesimo considerando della direttiva 2002/21/CE). In particolare, l'art.
11, par. 1, della direttiva quadro – di cui le norme impugnate costituiscono
specifica attuazione – stabilisce che
gli Stati membri, nell'esaminare una domanda per la concessione del diritto di
installare strutture su proprietà pubbliche o private, richiesta da un'impresa
autorizzata a fornire reti di comunicazione elettronica, assicurino che
l'autorità competente «agisca in base a procedure trasparenti e pubbliche,
applicate senza discriminazioni né ritardi; e rispetti i principî di
trasparenza e non discriminazione nel prevedere condizioni per l'esercizio di
tali diritti».
Emerge, dunque, dalle suddette disposizioni
l'esistenza di un preciso vincolo comunitario ad attuare un vasto processo di liberalizzazione
del settore, armonizzando le procedure amministrative ed evitando ritardi nella
realizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica.
4.2.— Il
Codice, che richiama le direttive in discorso nel quarto e nel quinto punto
della sua "premessa”, si pone, per questa parte, in linea con i dettami
comunitari, realizzando l'obiettivo della liberalizzazione e semplificazione
delle procedure anche al fine di garantire l'attuazione delle regole della
concorrenza.
In particolare, i principî di derivazione
comunitaria sono stati espressamente recepiti dall'art. 4 del decreto impugnato, il quale prevede che la disciplina
delle reti (e dei servizi) è volta a salvaguardare i diritti costituzionalmente
garantiti di «libertà di comunicazione», nonché di «libertà di iniziativa
economica e suo esercizio in regime di concorrenza, garantendo un accesso al
mercato delle reti e servizi di comunicazione elettronica secondo criteri di
obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità» (comma 1). Il
terzo comma dello stesso art. 4 dispone, inoltre, tra l'altro, che la suddetta
disciplina è volta anche a «promuovere la semplificazione dei procedimenti
amministrativi e la partecipazione ad essi dei soggetti interessati, attraverso
l'adozione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti nei
confronti delle imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione
elettronica», nonché a «promuovere lo sviluppo in regime di concorrenza delle
reti e dei servizi di comunicazione elettronica, ivi compresi quelli a larga
banda e la loro diffusione sul territorio nazionale, dando impulso alla
coesione sociale ed economica anche a livello locale».
5.— Oggetto del presente giudizio di
costituzionalità è il Capo V del Titolo II del Codice (artt. da
Orbene, nella individuazione degli ambiti
cui afferiscono le norme impugnate, occorre rilevare, in via preliminare, che
le stesse attengono ad una pluralità di materie rispetto alle quali variamente
si atteggia la competenza legislativa dello Stato e delle Regioni.
Tra i titoli di competenza esclusiva
statale vengono in rilievo, per taluni profili, come si vedrà in prosieguo, le
"materie” dell'"ordinamento civile”, del "coordinamento informativo statistico
e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale” e
della "tutela della concorrenza”. Sotto quest'ultimo aspetto è, infatti,
evidente l'incidenza che una efficiente rete di infrastrutture di comunicazione
elettronica può avere sullo sviluppo economico del Paese e sulla
concorrenzialità delle imprese. Ciò in un'ottica secondo la quale la "materia”
della "tutela della concorrenza” deve essere intesa non «soltanto in senso
statico, come garanzia di interventi di regolazione e di ripristino di un
equilibrio perduto», ma anche in un'accezione dinamica «che giustifica misure
pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente
sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali» (sentenza n. 14 del
2004; v. anche sentenza n. 272 del
2004). Un ulteriore titolo
legittimante l'intervento statale è costituito dalla "tutela dell'ambiente”:
questa Corte ha, in proposito, in più di una occasione avuto modo di affermare
che la "tutela dell'ambiente” non costituisce una "materia” in senso stretto,
rappresentando, invece, un compito nell'esercizio del quale lo Stato conserva
il potere di fissare standard di tutela uniformi sull'intero territorio
nazionale. La peculiare natura della competenza in esame, che investe e
interseca altri interessi e competenze, non esclude, però, affatto la possibilità
che il legislatore regionale, nell'esercizio della propria potestà legislativa,
possa assumere tra i propri scopi la cura «di interessi funzionalmente
collegati con quelli propriamente ambientali» (sentenza n. 407 del
2002; nello stesso senso, tra le altre, v. sentenze n. 135 del
2005; n. 259
del 2004; n.
307 e n. 222
del 2003).
Nella specie i titoli di legittimazione
regionale attengono tutti a materie di competenza ripartita, relative: alla
"tutela della salute”, per i profili inerenti alla protezione dall'inquinamento
elettromagnetico; all'"ordinamento della comunicazione”, per quanto riguarda
«gli impianti di telecomunicazione o radiotelevisivi» (sentenza n. 307 del
2003); al "governo del territorio”, per «tutto ciò che attiene all'uso del
territorio e alla localizzazione di impianti o attività» (sentenza n. 307 del
2003).
Deve, invece, escludersi che vengano in
rilievo materie di competenza residuale delle Regioni, ex art. 117, quarto comma, della Costituzione, e segnatamente
quelle relative all'industria ed al commercio, troppo labile apparendo il
collegamento tra dette materie e le disposizioni censurate. Allo stesso modo inconferente è il richiamo contenuto nei ricorsi alle
materie dell'"urbanistica” e dell'"edilizia”, qualificate come materie
rientranti nell'ambito della potestà legislativa residuale delle Regioni:
questa Corte ha, infatti, già chiarito che le stesse devono intendersi incluse
nella più ampia materia del "governo del territorio” (sentenze n. 196 del
2004; n. 362
e n. 303 del
2003, punto 11.1 del Considerato in
diritto).
Orbene, alla luce delle considerazioni
innanzi svolte, la legittimazione dello Stato a dettare norme in detto settore
deriva – oltre che dai richiamati titoli di competenza legislativa esclusiva –
essenzialmente dalla potestà di fissare i principî fondamentali nelle materie
ripartite, a norma dell'art. 117, terzo comma, ultima parte, della
Costituzione.
6.— Ciò precisato in linea generale, si può
passare all'esame delle censure di costituzionalità formulate dalle ricorrenti,
iniziando da quelle che, per il loro carattere, coinvolgono l'intera disciplina
contenuta nel Capo V del Titolo II del Codice.
Le Regioni, innanzitutto, deducono
l'illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate, in quanto
recherebbero «una disciplina dettagliata, autoapplicativa,
non cedevole» e «direttamente operante nei confronti dei privati», tanto da non
lasciare «alcuno spazio all'intervento legislativo regionale». In particolare,
le ricorrenti ritengono che la disciplina di un procedimento unitario e
dettagliato per l'autorizzazione all'installazione degli impianti,
predeterminando anche i tempi di formazione degli atti e della volontà delle
amministrazioni locali coinvolte, lederebbe la competenza legislativa delle
Regioni.
6.1.— La questione non è fondata.
L'analisi della censura presuppone che si
chiarisca, in via preliminare, che l'ampiezza e l'area di operatività dei
principî fondamentali – non avendo gli stessi carattere «di rigidità e di
universalità» (cfr., da ultimo, sentenza n. 50 del
2005) – non possono essere individuate in modo aprioristico e valido per
ogni possibile tipologia di disciplina normativa.
Esse, infatti, devono necessariamente
essere calate nelle specifiche realtà normative cui afferiscono e devono tenere
conto, in modo particolare, degli aspetti peculiari con cui tali realtà si
presentano. È, dunque, evidente che, nell'individuare i principî fondamentali
relativi al settore delle infrastrutture di comunicazione elettronica, non si
può prescindere dalla considerazione che ciascun impianto di telecomunicazione
costituisce parte integrante di una complessa ed unitaria rete nazionale,
sicché non è neanche immaginabile una parcellizzazione di interventi nella fase
di realizzazione di una tale rete (cfr. sentenza n. 307 del
2003). Nella relazione illustrativa al Codice, si legge, inoltre, a tal
proposito, che «la rete è unica a
livello globale» e che la stessa «non ha senso se le singole frazioni non sono
connesse tra di loro, quale che ne sia la proprietà e la disponibilità». Ciò
comporta che i relativi procedimenti autorizzatori
devono essere necessariamente disciplinati con carattere di unitarietà e
uniformità per tutto il territorio nazionale, dovendosi evitare ogni
frammentazione degli interventi. Ed è, dunque, alla luce di tali esigenze e
finalità che devono essere valutate
ampiezza ed operatività dei principî fondamentali riservati alla legislazione
dello Stato.
Nella fase di attuazione del diritto
comunitario la definizione del riparto interno di competenze tra Stato e
Regioni in materie di legislazione concorrente e, dunque, la stessa
individuazione dei principî fondamentali, non può prescindere dall'analisi
dello specifico contenuto e delle stesse finalità ed esigenze perseguite a
livello comunitario. In altri termini, gli obiettivi posti dalle direttive
comunitarie, pur non incidendo sulle modalità di ripartizione delle competenze,
possono di fatto richiedere una peculiare articolazione del rapporto norme di
principio-norme di dettaglio. Nella specie, la puntuale attuazione delle
prescrizioni comunitarie, secondo cui le procedure di rilascio del titolo
abilitativo per la installazione degli impianti devono essere improntate al
rispetto dei canoni della tempestività e della non discriminazione, richiede di
regola un intervento del legislatore statale che garantisca l'esistenza di un
unitario procedimento sull'intero territorio nazionale, caratterizzato, inoltre,
da regole che ne consentano una conclusione in tempi brevi.
Alla luce delle considerazioni che
precedono, la suindicata censura di ordine generale prospettata dalle
ricorrenti non è fondata.
7.— Ancora su un piano generale, deve
essere esaminata la ulteriore censura con la quale le ricorrenti lamentano che
le disposizioni impugnate sarebbero costituzionalmente illegittime in quanto
attribuirebbero direttamente l'esercizio di funzioni amministrative agli enti
locali, disciplinando il relativo procedimento, laddove tali funzioni
dovrebbero essere conferite con legge statale o regionale, sulla base delle
rispettive competenze, secondo quanto prescritto dall'art. 118 della
Costituzione. In particolare, si assume che in materia di competenza concorrente
o residuale delle Regioni la disciplina legislativa delle funzioni
amministrative dovrebbe spettare alle Regioni stesse.
7.1.— La questione non è fondata.
Le ricorrenti muovono da un erroneo
presupposto interpretativo. Le norme impugnate, facendo generico riferimento
agli «enti locali», non allocano direttamente funzioni amministrative ad un
determinato livello di governo, bensì si limitano a formulare un principio
fondamentale di disciplina in forza del quale tutti i procedimenti relativi alla
installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica devono essere
"gestiti” dai predetti enti.
In altri termini, lo Stato, sul presupposto
della preesistenza delle funzioni degli enti locali in materia, in base a
normative da lungo tempo vigenti, ha solo disciplinato, con norme costituenti
espressione di principî fondamentali, lo svolgimento di tali funzioni. Rimane
ferma, pertanto, la facoltà delle Regioni di allocare le funzioni in esame ad
un determinato livello territoriale subregionale, nel
rispetto degli artt. 117, secondo comma, lettera p), e 118 della
Costituzione. Non solo. Le Regioni, nel quadro e nel rispetto dei principî
fondamentali così fissati dalla legge statale, ben possono prescrivere,
eventualmente, ulteriori modalità procedimentali rispetto a quelle previste
dallo Stato, in vista di una più accentuata semplificazione delle stesse.
8.— Passando ora all'esame delle censure
specificamente rivolte alle singole disposizioni impugnate, con la prima di
esse le ricorrenti lamentano che l'art. 86, comma 3, del Codice illegittimamente
prevede che le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli
artt. 87 e 88, siano assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione
primaria di cui all'art. 16, comma 7, del d.P.R. 6
giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia edilizia), pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, e che
ad esse si applichi la normativa vigente in materia.
Secondo le ricorrenti, la suddetta
disposizione lederebbe la competenza regionale relativa al governo del
territorio, in quanto, assimilando le infrastrutture di rete alle opere di
urbanizzazione primaria, porrebbe norme di dettaglio senza lasciare alcuno
spazio alla competenza concorrente regionale. In particolare, rileva la Regione
Marche, la norma in esame introdurrebbe «una classificazione che incide in
termini stringenti sulle possibilità delle Regioni di definire la disciplina di
queste particolari infrastrutture».
8.1.— La questione non è fondata.
La scelta di inserire le infrastrutture di
reti di comunicazione tra le opere di urbanizzazione primaria esprime un
principio fondamentale della legislazione urbanistica, come tale di competenza
dello Stato, al pari dell'analoga scelta legislativa di carattere generale che
ha portato il citato art. 16, commi 7 e 7-bis,
del d.P.R. n. 380 del
9.— La Regione Marche formula specifiche
censure anche nei confronti dell'art. 86, comma 7, dello stesso Codice, il
quale impone alle Regioni di uniformarsi ai limiti di esposizione, ai valori di
attenzione ed agli obiettivi di qualità stabiliti dall'art. 4, comma 2, lettera
a), della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione
dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici).
Si lamenta, in particolare, che il Codice,
vincolandole anche al rispetto degli obiettivi di qualità, impedirebbe alle
Regioni di esercitare una competenza che è stata riconosciuta loro dalla
giurisprudenza costituzionale con la sentenza n. 307 del
2003, e successivamente con la sentenza n. 324 del
2003, e cioè la competenza relativa alla indicazione degli obiettivi di
qualità.
9.1.— La questione non è fondata.
Questa Corte nella sentenza n. 307 del
2003 ha affermato che compete allo Stato, nel complessivo sistema di
definizione degli standard di protezione dall'inquinamento
elettromagnetico di cui alla legge n. 36 del 2001, la fissazione delle soglie
di esposizione e, dunque, nel lessico legislativo, la determinazione dei limiti
di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità,
limitatamente per quest'ultimi alla definizione dei valori di campo «ai fini
della progressiva minimizzazione dell'esposizione» (art. 3, comma 1, lettera d,
numero 2). La Corte ha, però, riconosciuto, in linea con quanto prescritto
dalla menzionata legge quadro, che spetta alla competenza delle Regioni la
disciplina dell'uso del territorio in funzione della localizzazione degli
impianti e quindi la indicazione degli obiettivi di qualità, consistenti in
criteri localizzativi degli impianti di comunicazione (art. 3, comma 1, lettera
d, numero 1).
Orbene, la norma ora impugnata,
contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, rispetta l'indicato riparto
di competenze.
Essa, infatti, stabilisce che per gli
obiettivi di qualità «si applicano le disposizioni di attuazione di cui
all'articolo 4, comma 2, lettera a), della legge n. 36 del 2001», che
opera, però, un rinvio al comma 1, lettera a), del medesimo art. 4.
Quest'ultimo, come si è innanzi precisato, riserva allo Stato le funzioni
relative alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di
attenzione e anche degli obiettivi di qualità, solo «in quanto valori di campo
come definiti dall'articolo 3, comma 1, lettera d), numero 2». Deve,
dunque, ritenersi che rimanga ferma la competenza delle Regioni nella
determinazione dei diversi "obiettivi di qualità” cui fa riferimento il numero
1 della stessa lettera d) dell'art. 3, consistenti, appunto, come si è
precisato, negli indicati criteri localizzativi, standard urbanistici,
prescrizioni e incentivazioni per l'utilizzo delle migliori tecnologie
disponibili. La lettura combinata delle predette norme consente, pertanto, di
escludere la sussistenza della denunciata violazione delle attribuzioni
spettanti alle Regioni sia per quanto concerne la materia del "governo del
territorio”, sia per quanto attiene a quella della "tutela della salute”.
10.— Viene, inoltre, censurato dalle
ricorrenti il primo comma dell'art. 87 del Codice, il quale prevede che
l'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici, la modifica
delle caratteristiche di emissione di questi ultimi e, in specie,
l'installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di
ripetitori di servizi di comunicazione elettronica, di stazioni radio base per
reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione,
distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per
reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione
civile, nonché per reti radio a larga banda punto-multipunto
nelle bande di frequenza all'uopo assegnate, sono autorizzate dagli enti
locali, previo accertamento, da parte dell'organismo competente ad effettuare i
controlli, ossia l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA),
della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di
attenzione e gli obiettivi di qualità.
Le ricorrenti lamentano che il vincolo
degli obiettivi di qualità ponga una limitazione costituzionalmente illegittima
alle competenze regionali in ordine alla localizzazione dei siti, secondo
quanto già affermato da questa Corte con le sentenze n. 324
e n. 307 del
2003.
10.1.— La questione non è fondata per
ragioni analoghe a quelle poc'anzi indicate.
Deve, al riguardo, ribadirsi che l'art. 87
vincola le Regioni al rispetto degli obiettivi di qualità, stabiliti
uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della legge n. 36
del 2001 e dei relativi provvedimenti di attuazione. Attraverso il rinvio alla
citata legge (art. 3, comma 1, lettera d,
numero 2), tale vincolo agisce limitatamente ai «valori di campo elettrico,
magnetico ed elettromagnetico (…) ai fini della progressiva minimizzazione
dell'esposizione ai campi medesimi». In sostanza, come si è prima precisato, la
norma impugnata fa salvi, attribuendoli alla Regione, «i criteri localizzativi,
gli standard urbanistici, le
prescrizioni e le incentivazioni per l'utilizzo delle migliori tecnologie
disponibili» (art. 3, comma 1, lettera d, numero 1). A ciò si aggiunga
che, nel caso in esame, il mancato riferimento a questa seconda tipologia di
obiettivi di qualità si giustifica anche in quanto la disposizione censurata
richiama gli accertamenti svolti dall'organismo competente ad effettuare i
controlli (ARPA) di cui all'art. 14 della legge n. 36 del 2001, che attengono
esclusivamente alla tutela sanitaria e ambientale.
11.— L'art. 87 del Codice è,
altresì, impugnato per quanto specificatamente dispone nei commi 6, 7 e 8.
In base al comma
Secondo le ricorrenti, la disciplina posta
dai citati commi dell'art. 87 sarebbe illegittima nella parte in cui estende la
regola della maggioranza all'adozione dell'atto finale, prevede una sola
ipotesi di dissenso qualificato ed affida al Consiglio dei ministri la relativa
decisione.
11.1.— La questione non è fondata.
L'istituto della conferenza di servizi
costituisce, in generale, uno strumento di semplificazione procedimentale e di
snellimento dell'azione amministrativa (sentenze n. 348
e n. 62 del 1993;
n. 37 del 1991;
cfr. anche sentenza
n. 79 del 1996). Tale funzione, nel contesto dello specifico procedimento
in esame e degli interessi allo stesso sottesi, consente di ritenere che la
previsione contenuta nella disposizione censurata sia espressione di un
principio fondamentale della legislazione.
A ciò si aggiunga che il comma 8 della
disposizione impugnata prevede un meccanismo di operatività della conferenza
nel caso in cui il dissenso sia espresso da un'amministrazione preposta alla tutela
ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio
storico-artistico, che assicura comunque un adeguato coinvolgimento delle
Regioni. Tale disposizione, infatti, pur prevedendo che quando la volontà
contraria venga manifestata da una delle suddette amministrazioni la decisione
sia rimessa al Consiglio dei ministri, specifica che trovano comunque
applicazione, «in quanto compatibili con il Codice», le disposizioni di cui
agli artt. 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990. Orbene, il terzo comma
dell'art. 14-quater della predetta legge, nel testo in vigore al momento
dell'emanazione del decreto impugnato, stabiliva che nella ipotesi di
amministrazione dissenziente diversa da quella statale e sempre che
quest'ultima non fosse l'amministrazione procedente, la determinazione finale
dovesse essere attribuita «ai competenti organi collegiali esecutivi degli enti
territoriali». Considerato che, nell'ipotesi prevista dal Codice, l'amministrazione procedente
è un ente locale, l'eventuale dissenso espresso da organi regionali, nel regime
normativo all'epoca vigente, faceva scattare il meccanismo garantista della
decisione demandata all'organo collegiale di governo della Regione, vale a dire
alla Giunta, sicché non possono essere ravvisati profili di violazione delle
attribuzioni regionali. È bene precisare che la salvaguardia di tali
attribuzioni, dopo le modifiche apportate all'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990 dall'art.
11 della legge 11 febbraio 2005, n. 15 (Modifiche ed integrazioni alla legge 7
agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa),
passa – nel caso in cui il dissenso verta tra una amministrazione statale ed
una amministrazione regionale – attraverso il coinvolgimento diretto della
Conferenza Stato-Regioni.
12.— Ancora in ordine all'art. 87 del
Codice, viene censurata la disposizione del comma 9, che disciplina una ipotesi
di silenzio-assenso, prevedendosi che «le istanze di autorizzazione e le
denunce di attività» cui fa riferimento lo stesso articolo, «nonché quelle
relative alla modifica delle caratteristiche di emissione degli impianti già
esistenti, si intendono accolte qualora, entro novanta giorni dalla
presentazione del progetto e della relativa domanda, fatta eccezione per il
dissenso di cui al comma 8, non sia stato comunicato un provvedimento di
diniego». Il medesimo comma precisa che gli enti locali possono prevedere
termini più brevi per la conclusione dei relativi procedimenti ovvero ulteriori
forme di semplificazione amministrativa, nel rispetto delle disposizioni
stabilite dallo stesso comma.
Le ricorrenti deducono che la disciplina
impugnata sarebbe di dettaglio e dunque costituzionalmente illegittima. In
particolare, le ricorrenti osservano che tale normativa – non lasciando alcuno
spazio alle Regioni per stabilire forme diverse di semplificazione
amministrativa – impedirebbe al legislatore regionale di prevedere modalità di
contemperamento delle esigenze di celerità del procedimento autorizzatorio
con le imprescindibili garanzie di tutela dell'ambiente, della salute e di
governo del territorio.
12.1.— Anche tale questione non è fondata.
La disposizione in esame prevede moduli di definizione del
procedimento, informati alle regole della semplificazione amministrativa e
della celerità, espressivi in quanto tali di un principio fondamentale di
diretta derivazione comunitaria. Del resto, l'evoluzione attuale dell'intero
sistema amministrativo si caratterizza per una sempre più accentuata valenza
dei "principî di semplificazione” nella regolamentazione di talune tipologie
procedimentali ed in relazione a determinati interessi che vengono in rilievo
(cfr. artt. 19 e 20 della legge n. 241 del 1990, come modificati dall'art. 3
del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante «Disposizioni urgenti
nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e
territoriale», convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n.
80). Nel caso di specie, la pluralità delle esigenze e dei valori di rilevanza
costituzionale sottesi alle "materie” nel cui ambito rientrano le disposizioni
censurate, in una con la finalità complessiva di garantire un rapido sviluppo
dell'intero sistema delle comunicazioni elettroniche (cfr. sentenza n. 307 del
2003) secondo i dettami sanciti a livello comunitario, induce a ritenere
che le norme in esame siano espressione di principî fondamentali. Questa Corte ha,
inoltre, già avuto modo di precisare – sia pure con riferimento a procedimenti
aventi una esclusiva valenza urbanistica – in relazione alla denuncia di inizio
attività di cui all'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662
(Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), ora confluito nell'art.
22 del d.P.R. n. 380 del 2001, che «le fattispecie
nelle quali, in alternativa alle concessioni o autorizzazioni edilizie, si può
procedere alla realizzazione delle opere con denuncia di inizio attività a
scelta dell'interessato integrano il proprium del nuovo principio dell'urbanistica (…). In
definitiva, le norme impugnate perseguono il fine, che costituisce un principio
dell'urbanistica, che la legislazione regionale e le funzioni amministrative in
materia non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette
a semplificare le procedure» (sentenza n. 303 del
2003, punto 11.2. del Considerato in
diritto).
13.— Oggetto di censura è anche quanto
stabilito dall'art. 88 del Codice, il quale per l'ipotesi in cui
l'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica presupponga la
realizzazione di opere civili o, comunque, l'effettuazione di scavi e l'occupazione
di suolo pubblico, definisce un procedimento analogo a quello descritto
nell'art. 87, con la previsione della conferenza di servizi e del
silenzio-assenso e fissa regole affinché gli enti pubblici definiscano i
programmi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle rispettive opere.
Le censure proposte sono analoghe a quelle
sollevate avverso l'art. 87.
Esse si indirizzano in particolare alle
disposizioni che disciplinano la conferenza di servizi, nonché la conclusione
del procedimento amministrativo mediante silenzio-assenso.
13.1.— Al riguardo, è da osservare che la
norma impugnata non determina alcun vulnus alle competenze regionali per
le medesime ragioni sopra esposte in relazione alle censure rivolte nei
confronti dell'art. 87, di talché la questione avente ad oggetto il predetto
art. 88 del d.lgs. n. 259 del 2003 deve ritenersi non fondata.
14.— Entrambe le ricorrenti impugnano
l'art. 89, nella parte in cui definisce le regole di condivisione e coubicazione di infrastrutture. Si tratta, in particolare,
di regole concernenti la «condivisione dello scavo» e la «coubicazione
dei cavi di comunicazione elettronica».
Le ricorrenti assumono che le prescrizioni
contenute in detto articolo violerebbero l'art. 117, terzo comma, della
Costituzione, perché detterebbero una disciplina dettagliata nelle materie del
"governo del territorio”, dell'"ordinamento della comunicazione” e della
"tutela della salute”, attribuite alla competenza concorrente.
14.1.— La censura è inammissibile per
genericità.
A prescindere dalla possibile
riconducibilità di alcune previsioni contenute nella disposizione impugnata
alla materia dell'"ordinamento civile”, di competenza legislativa esclusiva
dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), la ricorrente
non svolge alcuna argomentazione a sostegno della illegittimità costituzionale
delle disposizioni censurate, non specificando neppure le parti dell'articolo
impugnato che eccederebbero dalla formulazione di un principio fondamentale.
15.— Le Regioni ricorrenti censurano,
altresì, sotto due diversi profili, l'art. 93.
Esso, dopo aver previsto, al comma 1, che
le pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono
imporre, per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione
elettronica, oneri o canoni che non siano fissati per legge, stabilisce, al
comma 2, che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica
hanno l'obbligo – fatta eccezione per tasse, canoni e contributi specificamente
indicati dalla stessa norma in esame – di tenere indenne l'ente locale, ovvero
l'ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle
aree pubbliche coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione,
nonché l'obbligo di ripristinare a regola d'arte le aree medesime nei tempi
stabiliti dall'ente locale.
Sotto un primo aspetto entrambe le
ricorrenti deducono la violazione dell'art. 117 della Costituzione perché
l'articolo de quo detterebbe, in ambiti materiali attribuiti alla
competenza regionale, una disciplina "uniforme” delle infrastrutture per le
quali, invece, si dovrebbe tener conto dello specifico contesto territoriale e
normativo di ciascuna Regione.
Sotto un diverso profilo la sola Regione
Marche deduce la illegittimità delle norme nelle parti in cui fissano in modo
puntuale – per gli operatori – gli oneri connessi alle attività di
installazione, scavo ed occupazione di suolo pubblico, ritenendo che le stesse
sarebbero costituzionalmente illegittime per contrasto con l'art. 119 Cost.
In particolare, si sostiene che il
principio dell'autonomia finanziaria, sotto il profilo dell'autonomia di spesa,
unitamente «alla norma secondo cui per provvedere a scopi diversi dal normale
esercizio delle loro funzioni lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua
interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni», implicherebbe che tutte le funzioni amministrative
spettanti alle Regioni, diverse da quelle "ordinarie”, risultino finanziate
attraverso l'attribuzione diretta ai loro bilanci di risorse adeguate, senza
vincoli sulle modalità di spesa.
La Regione Marche aggiunge che
sussisterebbe, inoltre, la violazione dell'art. 119 Cost. anche perché si
imporrebbero «oneri finanziari a carico – sia pure indirettamente – delle
Regioni».
15.1.— Sotto entrambi i profili la censura non è fondata.
Sotto il primo profilo, la disposizione in
esame deve ritenersi espressione di un principio fondamentale, in quanto
persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme
e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico
degli stessi oneri o canoni. In mancanza di un tale principio, infatti, ciascuna
Regione potrebbe liberamente prevedere obblighi "pecuniari” a carico dei
soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di una
ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i
quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti. È evidente che
la finalità della norma è anche quella di "tutela della concorrenza”, sub specie di garanzia di parità di
trattamento e di misure volte a non ostacolare l'ingresso di nuovi soggetti nel
settore. Ad analogo criterio si ispira la disposizione che sancisce, in capo
agli operatori, l'obbligo di tenere indenni gli enti locali o gli enti
proprietari delle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree
pubbliche.
Anche sotto il secondo profilo la censura
non è fondata.
La ricorrente muove da un erroneo
presupposto interpretativo, in quanto la norma statale non attribuisce né
tantomeno disciplina, per gli scopi indicati dal quarto comma dell'art. 119
della Costituzione, funzioni di "determinate” Regioni, con conseguente
necessità di "destinazione di risorse”: il legislatore statale si è, infatti,
limitato a porre a carico degli operatori di settore oneri che non gravano sui
bilanci regionali. Tali oneri sono strettamente funzionali alla copertura di
costi, specificamente indicati dal secondo comma dell'art. 93, sostenuti per
l'esercizio di un'attività non riconducibile a "funzioni regionali” diverse da
quelle "ordinarie”, bensì all'operato di soggetti privati che svolgono attività
di impresa, ancorché connessa all'erogazione del "servizio pubblico” di
comunicazione elettronica.
16.— Passando all'esame dell'art. 95, va
osservato che tale articolo, nel disciplinare gli impianti e le condutture di
energia elettrica o tubazioni, prescrive, al comma 1, che nessuna conduttura di
energia elettrica, anche se subacquea, a qualunque uso destinata, può essere
costruita, modificata o spostata senza che sul relativo progetto sia stato
preventivamente ottenuto il nulla osta del Ministero delle comunicazioni, ed
inoltre subordina al preventivo consenso del Ministero stesso l'esecuzione di
qualsiasi lavoro sulle condutture subacquee di energia elettrica, e sui
relativi atterraggi, riconoscendo a tale organismo il potere di esercitare la
vigilanza e il controllo sulla esecuzione dei lavori. Nel caso in cui si
realizzino interferenze tra cavi di comunicazione elettronica e cavi di energia
elettrica sotterrati devono essere osservate le norme generali per gli impianti
elettrici stabilite dal comitato elettrotecnico italiano (CEI) del Consiglio
nazionale delle ricerche. Qualora, poi, a causa di impianti di energia
elettrica si abbia un mutamento del servizio di comunicazione elettronica, il
Ministero promuove lo spostamento degli impianti o adotta altri provvedimenti
idonei ad eliminare i disturbi, con spese a carico di chi li rende necessari.
Secondo la Regione Marche la norma in esame
sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto conterrebbe una disciplina di
dettaglio in materie di competenza concorrente ("ordinamento della
comunicazione” e "governo del territorio”).
Ad avviso della Regione Toscana l'art. 95
si porrebbe in contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione, perché lo
Stato, in materia di competenza concorrente, attribuirebbe ad un organo statale
(l'ispettorato del Ministero delle comunicazioni) i compiti di cui innanzi
senza rispettare i criteri sanciti dalla giurisprudenza di questa Corte ai fini
della avocazione, a livello centrale, di funzioni amministrative: l'assunzione
di funzioni, secondo la ricorrente, non sarebbe, infatti, proporzionata, né
ragionevole e soprattutto non sarebbe accompagnata dalla previsione dell'intesa
con la Regione.
16.1.— La questione non è fondata.
Questa Corte con la sentenza n. 7 del
2004, pur riconoscendo alle Regioni la competenza a dettare disposizioni
sulla progettazione tecnica degli impianti di produzione, distribuzione e
utilizzo dell'energia, ha affermato che alla rete regionale si devono comunque
applicare le "regole tecniche” adottate dal gestore nazionale. Nel caso in
esame, il nulla osta ministeriale è diretto proprio a garantire il rispetto di
quelle regole tecniche senza le quali l'esercizio della potestà legislativa
regionale potrebbe produrre una elevata diversificazione della rete di
distribuzione della energia elettrica, con notevoli inconvenienti sul piano
tecnico ed economico.
La norma impugnata, pertanto, costituendo
una esplicitazione a livello tecnico dell'esigenza di assicurare uniformità e
continuità alla rete delle infrastrutture di comunicazione elettronica, si
sottrae alle proposte censure di illegittimità costituzionale.
17.— Entrambe le Regioni censurano
l'allegato n. 13 al decreto legislativo impugnato, il quale determina il
contenuto dei modelli da usare nella presentazione dell'istanza di
autorizzazione e della denuncia di inizio attività.
Secondo la prospettazione dei ricorsi, la
norma in esame integra l'esercizio di una vera e propria potestà regolamentare,
che lo Stato non può legittimamente esercitare in materie diverse da quelle
riservate alla sua competenza esclusiva, neppure ove si voglia riconoscere ai
regolamenti emanati nelle materie di competenza regionale il carattere della cedevolezza.
La suddetta questione deve essere
esaminata, per connessione, congiuntamente a quella proposta dalla sola Regione
Marche in ordine agli artt. 86, comma 8, 87, comma 3, 88, comma 1, 89, comma 5,
92, 93, 94 e 95, nella parte in cui disciplinano il contenuto dei modelli da
presentare per la domanda di autorizzazione e per gli altri adempimenti
amministrativi connessi con l'installazione e l'esercizio degli impianti.
Secondo la ricorrente, tali norme sarebbero
espressione di una potestà regolamentare, che lo Stato non potrebbe esercitare
in materie, come quelle disciplinate, che non ricadono nella propria sfera di
legislazione esclusiva.
17.1.— Le questioni non sono fondate.
Innanzitutto, si deve premettere che
l'allegato n. 13, malgrado il fatto che il Codice ne preveda la modificabilità con atti regolamentari e amministrativi, deve
considerarsi pur sempre atto di natura legislativa, sicché esso conserva il
regime giuridico della fonte in cui è inserito.
Passando al merito della questione, deve
osservarsi che la disciplina impugnata è riconducibile alla competenza
esclusiva dello Stato in tema di "coordinamento informativo statistico e
informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale” (art.
117, secondo comma, lettera r, Cost.; cfr. sentenze n. 31 del
2005 e n. 17
del 2004). L'art. 87, comma 3, del Codice, infatti, rispetto al modello A
dell'allegato n. 13, dispone che esso sia «realizzato al fine della sua
acquisizione su supporti informatici e destinato alla formazione del catasto
nazionale delle sorgenti elettromagnetiche di origine industriale». Gli
elementi, puntualmente indicati dalla norma in esame, hanno, infatti, natura
prevalentemente tecnica e sono destinati a confluire in una banca dati
centralizzata per la costituzione di un catasto nazionale di raccolta dei dati
stessi. È evidente, pertanto, che le norme puntuali previste dal suddetto
modello sono configurabili come la necessaria esplicitazione dei principî
fondamentali contenuti nelle disposizioni che richiamano il modello stesso. Al
modello D può estendersi la stessa argomentazione, trattandosi di una istanza di
autorizzazione relativa ad aree di più enti, pubblici o privati. Quanto invece
ai modelli B e C dell'allegato n. 13 – concernenti, rispettivamente, la
denuncia di inizio attività e la istanza di autorizzazione per opere civili,
scavi e occupazione di suolo pubblico in aree urbane – l'art. 87, comma 3, e
l'art. 88, comma 1 – con norma espressione del principio fondamentale volto a
garantire la celere conclusione dei procedimenti – ne prevedono espressamente
l'applicabilità in via suppletiva, solo nel caso in cui gli enti locali non
abbiano predisposto i modelli equivalenti.
18.— Infine, la sola Regione Marche ha
impugnato "cumulativamente” gli artt. 90, 91, 92 e 94 del Codice, che
disciplinano l'acquisizione dei beni immobili necessari alla realizzazione
degli impianti (art. 90), la limitazione legale della proprietà (art. 91) e
l'imposizione di servitù (artt. 92 e 94).
Secondo la ricorrente, tali disposizioni
porrebbero una disciplina di dettaglio in materie riservate alla competenza
concorrente ("ordinamento della comunicazione”, "governo del territorio”,
"tutela della salute”) e, comunque, inciderebbero anche su (presunte) materie
di competenza residuale regionale (edilizia e urbanistica).
18.1.— Le questioni indicate sono
inammissibili per mancanza di argomenti minimi idonei ad individuare le
motivazioni dell'asserita incostituzionalità. E ciò a prescindere dalla
possibile riconducibilità del contenuto principale delle disposizioni impugnate
alla materia dell'"ordinamento civile”, di competenza esclusiva dello Stato
(art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), atteso che l'art. 91 disciplina le «limitazioni legali
della proprietà», l'art. 92 le «servitù» prediali e l'art. 94 la materia della
«occupazione di sedi autostradali da gestire in concessione e di proprietà dei
concessionari».
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i
giudizi,
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 89 del
decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni
elettroniche) sollevate, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dalle
Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 90,
91, 92 e 94 del decreto legislativo n. 259 del 2003 sollevate, in riferimento
agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche, con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara non fondate
le questioni di legittimità costituzionale
relative all'intero Capo V del Titolo
II (artt. 86-95) del decreto legislativo n. 259 del 2003 sollevate, in
riferimento agli art. 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e
Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
86, commi 3 e 7, 87, commi 1, 6, 7, 8 e 9, 88, 93 e 95, nonché dell'allegato n.
13 del decreto legislativo n. 259 del 2003 sollevate, in riferimento agli artt.
117, 118 e 119 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 86,
comma 8, 87, comma 3, 88, comma 1, 89, comma 5, 92, 93, 94 e
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14
luglio 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2005.