SENTENZA N.37
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giovanni CONSO Presidente
Prof. Ettore GALLO Giudice
Dott. Aldo CORASANITI "
Prof. Giuseppe BORZELLINO "
Dott. Francesco GRECO "
Prof. Gabriele PESCATORE "
Avv. Ugo SPAGNOLI "
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA "
Prof. Antonio BALDASSARRE "
Prof. Luigi MENGONI "
Prof. Enzo CHELI "
Dott. Renato GRANATA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4 e 9 della legge 5 giugno 1990, n. 135 (Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS), promossi con ricorsi delle Province autonome di Bolzano e Trento e della Regione Lombardia, notificati il 7 luglio 1990, depositati in cancelleria il 13 e 16 luglio 1990 ed iscritti ai nn. 49, 50 e 51 del registro ricorsi 1990.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'11 dicembre 1990 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;
uditi gli avv.ti Sergio Panunzio e Roland Riz per la Provincia autonoma di Bolzano, Valerio Onida per la Regione Lombardia e per la Provincia autonoma di Trento, e l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso del 6 luglio 1990, notificato il successivo 7 luglio, la Provincia autonoma di Bolzano ha impugnato l'art. 1, commi secondo, terzo, quarto e quinto; l'art. 2, commi secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo; l'art. 3, commi primo, secondo, terzo, quarto e quinto; l'art. 4, commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto e l'art. 9, commi primo e secondo, della legge 5 giugno 1990, n. 135, in riferimento all'art. 8, cifre 1, 3, 5, 6, 17, 22 e 29; all'art. 9, cifra 10; all'art. 16, comma primo; all'art. 52, ultimo comma; agli artt. 79, 83, 84, 89, 99, 100, 101, 102, 104 ed al titolo VI dello Statuto di autonomia d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, nonché alle relative norme di attuazione ed all'art. 80 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.
In particolare, per quanto concerne l'art. 1, comma secondo, della legge, la Provincia lamenta:
a) che esso disciplini dettagliatamente il servizio per il trattamento a domicilio dei soggetti affetti da AIDS, fissando anche il numero massimo dei posti da ripartire tra le regioni: ciò in violazione della competenza provinciale ed in contrasto puntuale con la disciplina locale che ha già istituito una «commissione provinciale per la profilassi e la terapia dei malati di AIDS» , nonché un apposito centro di raccolta e di cura presso l'ospedale di Bolzano;
b) che esso affidi al Ministro di fissare con proprio decreto le modalità di convenzionamento con istituzioni e personale esterno, allo scopo di attuare il servizio in residenze collettive o case alloggio, così sottraendo alla Provincia - e non soltanto in via eccezionale e sostitutiva - un potere ad essa spettante; ciò in violazione anche della competenza esclusiva di quest'ultima in tema di ordinamento degli uffici e del personale e delle norme statutarie sulla proporzionale etnica e il bilinguismo.
L'art. 1, comma terzo, è impugnato nella parte in cui affida ad un atto di indirizzo e coordinamento - da adottare ai sensi dell'art. 5 della legge n. 833 del 1978 - di stabilire criteri uniformi per l'attivazione del servizio, sia nella sede ospedaliera, sia nella forma domiciliare: secondo la Provincia, pur ammettendo in via di principio che un simile atto possa essere indirizzato anche ad essa - e ciò pur in mancanza di una compiuta definizione della relativa funzione, da adottarsi con norme di attuazione del «pacchetto» favore della popolazione altoatesina - ne contesta, nella specie, la legittimità per tre ragioni: a) perché, in materia sanitaria, interventi statali così limitativi sarebbero esclusi, in via generale, dalla stessa legge n. 833 del 1978 (art. 80) ; b) perché dovrebbe comunque negarsi che, per questa via, la Provincia medesima possa essere spodestata del potere di determinare quali siano le UU.SS.LL. e quali e quanti i posti di assistenza per i malati di AIDS; c) perché non sarebbe stato osservato il principio di legalità (cfr. spec. sentenze nn. 150 del 1982, 242 e 338 del 1989), poiché la norma impugnata non definirebbe né l'organo competente, né l'oggetto, né gli interessi unitari da perseguire, né i criteri di esercizio della funzione.
Premesso poi che, nel suo complesso, la legge impugnata violerebbe la competenza provinciale in tema di igiene e sanità per contenere una disciplina analitica e puntuale, quale neppure la esigenza di indirizzo e coordinamento potrebbe giustificare, la Provincia lamenta altresì, in particolare, la violazione da parte dell'art. 1, comma quarto, - in tema di interventi di costruzione e ristrutturazione dei posti letto e di adeguamento degli organici - delle competenze esclusive provinciali sull' «urbanistica» e «piani regolatori» , «tutela del paesaggio» , «lavori pubblici di interesse provinciale» , con relativa viabilità e acquedotti, «espropriazioni per pubblica utilità» .
L'art. 1, comma quinto, violerebbe anche l'autonomia finanziaria della Provincia, nel disporre che i finanziamenti per la costruzione e ristrutturazione dei reparti di ricovero per malattie infettive (art. 1, comma primo, lettera b)) siano iscritti in apposito capitolo dello stato di previsione dal Ministero della sanità, anziché assegnarli pro quota alla Provincia (v. spec. artt. 79 St. e 5 legge n. 386 del 1989); e ciò anche in violazione della c.d. «garanzia di bilanciò» ex art. 84 St., nonché dello speciale procedimento previsto per modificare le norme statutarie sull'autonomia finanziaria (art. 104 St.).
L'art. 2, comma secondo, poi, sarebbe illegittimo perché nel prevedere un potere sostitutivo del Ministro della sanità - in caso di mancata determinazione nel termine, da parte della Provincia, della distribuzione e localizzazione degli interventi di ristrutturazione edilizia e di edificazione di nuove strutture per malattie infettive - non rispetterebbe i criteri più volte dettati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte.
L'art. 2, comma terzo, è impugnato nella parte in cui: a) affida al C.I.P.E. di approvare il programma degli interventi e di indicare la localizzazione e il dimensionamento delle opere da realizzare; b) riconosce allo stesso C.I.P.E. il potere di individuare i soggetti incaricati dell'espletamento, in concessione di servizi, dei compiti organizzativi afferenti all'esecuzione del programma; c) stabilisce che il decreto ministeriale che rende esecutiva la delibera del C.I.P.E. valga come dichiarazione implicita di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere; d) attribuisce al Ministro della sanità di stipulare la convenzione con i soggetti concessionari: tutto ciò in violazione della competenza provinciale concorrente in materia sanitaria e delle competenze esclusive in tema di ordinamento degli uffici e del personale, tutela del patrimonio storico-artistico e popolare, urbanistica e piani regolatori, tutela del paesaggio, viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale, espropriazione per pubblica utilità, addestramento e formazione professionale.
L'art. 2, commi quarto, quinto, sesto e settimo, sarebbe illegittimo in quanto estrometterebbe del tutto la Provincia dal procedimento di realizzazione delle opere.
L'art. 3, commi primo, secondo, terzo, quarto e quinto, violerebbe la competenza esclusiva provinciale in tema di urbanistica tutela ambientale e del paesaggio e di conservazione del patrimonio storico-artistico e popolare, perché attribuisce alla Conferenza regionale il giudizio di compatibilità dei progetti, prevedendo, in assenza di unanimità, l'intervento sostitutivo del Presidente del Consiglio dei ministri: la semplice partecipazione alla Conferenza di un rappresentante della Provincia, per di più un semplice funzionario, non potrebbe costituire infatti valido surrogato delle attribuzioni esclusive della Provincia medesima.
L'art. 4, commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto, è impugnato perché: a) prevede, nelle strutture ospedaliere, l'assunzione di personale in deroga alle disposizioni vigenti e fissa la composizione delle commissioni e le procedure di concorso; b) affida alle UU.SS.LL. il compito di organizzare corsi di addestramento e formazione professionale; c) autorizza le UU.SS.LL. all'assunzione di infermieri professionali, in deroga alle leggi in vigore: tutto ciò in violazione delle norme sulla proporzionale etnica e sul bilinguismo, perché, in particolare, non si sarebbero istituiti, per il personale dipendente dallo Stato, i ruoli distinti per gruppi linguistici e non si sarebbe fatto luogo alla conseguente assegnazione dei posti, né si sarebbe imposto il possesso dell'attestato della conoscenza delle lingue italiana e tedesca, previsto come obbligatorio per il personale sanitario dalla legge provinciale n. 5 del 1975 (e successive modificazioni), e comunque necessario in ogni servizio pubblico, anche secondo la giurisprudenza costituzionale.
L'art. 9, comma primo, violerebbe le norme sui poteri statali di sostituzione, perché prevede che il Ministro della sanità possa nominare commissari ad acta nel caso in cui la Provincia non predisponga nel termine i programmi per le attività di cui all'art. 1, commi primo (lettere c), d), e), f)) e secondo.
L'art. 9, comma secondo, sarebbe incostituzionale perché nel prevedere l'istituzione di centri di riferimento per i servizi e le strutture anti-AIDS, inciderebbe su materia riservata alla Provincia e le imporrebbe dicreare uffici da essa già autonomamente istituiti.
Infine, l'intera legge n. 135 del 1990 sarebbe viziata sotto il profilo formale perché alla approvazione del relativo disegno di legge non avrebbe partecipato il Presidente della Giunta provinciale di Bolzano, non invitato nell'apposita seduta del Consiglio dei ministri: ciò in violazione dell'art. 52 St., e delle norme di attuazione (art. 19 d.P.R. n. 49 del 1973), non essendo dubbio che la legge medesima riguardi «la sfera di attribuzione» della Provincia.
2. - Con ricorso del 7 luglio 1990, notificato nella stessa data, la Regione Lombardia ha impugnato gli artt. 1, 2, 3, 4 e 9 della legge 5 giugno 1990, n. 135, per contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 Cost., nonché con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 e l'art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67.
Con ricorso promosso e notificato in pari data, la Provincia autonoma di Trento ha impugnato gli artt. 1, commi primo, secondo, terzo e quinto; 2, 3, 4, commi primo e terzo, 9 della stessa legge n. 135 del 1990, in riferimento all'art. 8, nn. 1), 3), 5), 6), 17), 22), 29); all'art. 9, n. 10) e all'art. 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e relative norme di attuazione, nonché alle norme del titolo VI del medesimo d.P.R. n. 670 del 1972, così come modificato con la legge 30 novembre 1989, n. 386.
I due ricorsi, con deduzioni presso che identiche, innanzi tutto lamentano, in generale, che il legislatore nazionale abbia assunto a pretesto il problema dell'AIDS per disporre un intervento straordinario e derogatorio, con l'accentramento delle funzioni in capo ad organi ministeriali, a scapito delle autorità regionali e locali costituzionalmente competenti.
In particolare poi, i ricorsi attaccano la previsione del piano ministeriale di interventi (art. 1 della legge), nella parte concernente la costruzione e ristrutturazione dei reparti di ricovero per malattie infettive (comma primo, lettera b)), l'assunzione di personale (lettere c), e), f)), lo svolgimento di corsi di formazione professionale (lettera d)): sarebbe palese l'illegittima compressione delle competenze regionali e provinciali, che non potrebbe trovare sufficiente bilanciamento nella previsione, nella materia, di programmi o proposte regionali o provinciali poiché non vi sarebbe alcuna garanzia neppure procedurale che tali programmi o proposte siano rispettati.
Oggetto di specifica censura è poi il comma quinto dello stesso art. 1, nella parte in cui prevede che i finanziamenti, mediante mutui, degli interventi del comma primo, lettera b) siano iscritti nello stato di previsione del Ministero della sanità sanità e che gli oneri di ammortamento dei mutui medesimi siano fronteggiati mediante le somme non utilizzate autorizzate per il 1988 dall'art. 20, legge 11 marzo 1988, n. 67 (legge finanziaria 1988): tale ultima disposizione (commi quinto e sesto) prevede il finanziamento, per l'anno di riferimento, di programmi regionali di investimento nel settore dell'edilizia ospedaliera; di conseguenza, la nuova legge in pratica opererebbe una sottrazione, a danno delle comunità locali, del finanziamento per il 1988, per destinarlo ad una spesa, nello stesso settore, effettuata e gestita da organi statali: da ciò la violazione dell'autonomia finanziaria e programmatoria delle Regioni e Province autonome.
In particolare, per quanto concerne la Provincia di Trento, detta previsione di spesa violerebbe altresì le disposizioni statutarie (art. 78) e di attuazione (artt. 4 e 5 legge n. 386 del 1989), per le quali le somme relative dovrebbero essere assegnate alla Provincia senza vincolo di destinazione, o con vincolo solo di settore.
L'art. 1, comma secondo, poi, sarebbe illegittimo nella parte in cui affida al Ministro, senza prefissione di criteri e dunque in violazione dei principi di legalità e di riserva di legge, il potere di disciplinare le convenzioni per il trattamento domiciliare dei soggetti affetti da AIDS.
Per la violazione dei medesimi principi sarebbe illegittimo anche il successivo comma terzo, che assoggetta i servizi, e i relativi organici, per il trattamento a domicilio dei malati di AIDS, nonché l'attivazione di posti di assistenza a ciclo diurno negli ospedali, ad un atto statale di indirizzo e coordinamento, privo di contenuto predeterminato.
È ancora oggetto di censura l'art. 2, comma secondo, nella parte in cui, imponendo alle Regioni un termine eccessivamente breve per determinare il programma di distribuzione e localizzazione degli interventi in materia di costruzioni e ristrutturazioni, e prevedendo, in caso di mancata osservanza di tale termine, un intervento sostitutivo del Ministro, si tradurrebbe in realtà in un sostanziale esproprio delle competenze locali in tema di edilizia ospedaliera, a vantaggio degli organi centrali; d'altra parte, il previsto potere sostitutivo ministeriale non rispetterebbe i criteri indicati dalla giurisprudenza costituzionale (ad es., sentenza n. 177 del 1988), sia perché non presupporrebbe una previa diffida, né alcuna concertazione con organi locali, sia perché non verterebbe su adempimenti regionali vincolati nel quomodo, né concernerebbe interessi non localizzati e non frazionabili.
Sarebbero invasivi della competenza legislativa regionale e provinciale in materia di lavori pubblici, e in particolare, di edilizia ospedaliera, nonché della loro autonomia programmatoria e di spesa anche: a) i commi terzo e quarto dell'art. 2, perché, lungi dal limitarsi a prescrivere procedure di urgenza o semplificate, sostituirebbero agli organi ordinariamente competenti delle Regioni, delle Province e delle UU.SS.LL., i soggetti concessionari dell'espletamento degli interventi di costruzione e ristrutturazione, operanti, per di più, in base ad una convenzione stipulata in sede ministeriale; b) il comma quinto, per affidare la valutazione dei progetti ad un organismo centrale (nucleo di valutazione ex art. 20, comma secondo, legge n. 67 del 1988); c) il comma sesto, per determinare i contraenti e il contenuto dei contratti di appalto per l'esecuzione delle opere; d) il comma settimo, perché inserisce rappresentanti dei Ministri della sanità e lavori pubblici nelle commissioni giudicatrici delle relative gare ed attribuisce al secondo il compito di nominare le commissioni di collaudo e di assicurare l'esercizio dell'alta sorveglianza.
In particolare, per quanto concerne la Provincia di Trento, la violazione della sua competenza sarebbe aggravata dall'esistenza di apposita disciplina provinciale sulla costruzione e ristrutturazione dei beni da destinare al servizio ospedaliero (art. 33, commi decimo e undicesimo, legge provinciale n. 33 del 1980).
È censurato inoltre l 'art. 3, per invasione delle competenze regionali e provinciali in materia di tutela paesistica, urbanistica, ambiente e lavori pubblici, perché: a) prevede che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, con cui si provvede in caso di assenza di unanimità nella Conferenza regionale, possa sostituire anche l'autorizzazione paesistica (ex art. 7 legge n. 1497 del 1939) rimessa alla competenza regionale e provinciale; b) attribuisce a tale decreto efficacia derogatoria del piano regolatore, così sovrapponendo, per opere di competenza regionale, l'intervento statale all'esercizio dei poteri spettanti alle Regioni e Province in tema di strumenti urbanistici.
Illegittimo sarebbe poi l'art. 4, comma primo, ultima parte, perché, in materia di assunzione del personale, fissa alle Regioni termini di adempimento incredibilmente ristretti, introducendo, in mancanza, un potere sostitutivo statale privo dei necessari presupposti di legittimità (sentenze nn. 177 del 1988 e 294 del 1986), trattandosi, nel caso, di attività ordinaria di copertura di organici e non di adempimenti vincolati, necessari per il perseguimento di scopi essenziali della programmazione nazionale.
Per analoghe ragioni, illegittima sarebbe anche la previsione, nell'art. 9, comma primo, seconda parte, del potere del Ministro della sanità di nominare commissari per il compimento degli atti necessari ove le Regioni e Province autonome non approvino nei termini i programmi relativi, tra l'altro, all'assunzione del personale e all'organizzazione di corsi di formazione e addestramento professionale: non si tratterebbe infatti, neanche qui, di adempimenti vincolati, necessari per la soddisfazione di interessi unitari; inoltre l'esercizio del potere sostitutivo sarebbe rimesso ad organi estranei al Governo e mancherebbero modalità procedurali di tipo collaborativo.
È infine impugnato l'art. 9, comma secondo, per violazione dell'autonomia organizzativa e normativa delle Regioni e Province, perché nell'istituire i centri di riferimento, ne disciplina minuziosamente l'attività, i compiti e i requisiti dei relativi responsabili.
3. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, in relazione a tutti i ricorsi, chiedendo che essi siano respinti.
L'Avvocatura, qualificata la legge n. 135 del 1990 come provvedimento di estrema urgenza atto a fronteggiare una situazione di emergenza determinatasi a livello non solo nazionale, ma mondiale, afferma in primo luogo che, dovendo l'infezione da HIV ritenersi una patologia epidemica, la legge stessa si configurerebbe come corretto esercizio della competenza, conservata in capo allo Stato (arg. ex art. 6, comma primo, lettera b) e art. 7, legge n. 833 del 1978), in tema di interventi contro le epidemie.
In secondo luogo, la particolarità e specificità della materia - già a base della precedente attribuzione al Ministro della sanità (art. 5, legge 8 aprile 1988, n. 109) del potere di adottare provvedimenti urgenti anche in deroga alle leggi vigenti - giustificherebbe ampiamente, in fattispecie in via ordinaria rimesse alle Regioni e Province autonome, una ingerenza dello Stato che peraltro non escluderebbe in assoluto la loro partecipazione.
Per quanto in particolare concerne gli interventi previsti dall'art. 1 della legge, l'Avvocatura sottolinea come la predisposizione del piano ministeriale da parte della Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS costituisca la migliore garanzia di organicità degli interventi stessi e di adeguatezza ed uniformità di trattamento per tutti i soggetti colpiti dalla malattia.
Quanto alla censura relativa all'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'art. 1, comma terzo, l'Avvocatura osserva che la sua previsione non è generica, essendo viceversa il suo oggetto sufficientemente determinato nella disposizione stessa.
L'art. 2, poi, non violerebbe le competenze regionali e provinciali, poiché attribuirebbe in prima battuta proprio alle stesse Regioni e Province il potere di determinare la distribuzione e localizzazione degli interventi, mentre la ristrettezza e perentorietà del termine per provvedere, nonché l'eventuale intervento sostitutivo del Ministro, sarebbero giustificati dalla «eccezionale urgenza degli interventi» (art. 1, comma primo).
Neppure l'art. 3 configurerebbe un'invasione delle competenze locali, proprio perché affiderebbe in via prioritaria il potere di deliberare sugli interventi alla Conferenza regionale, promossa d'intesa con ciascuna regione e composta anche da rappresentanti di questa. In particolare, non ci sarebbe alcuna lesione della competenza in tema di urbanistica, atteso che la Conferenza dovrebbe compiere la sua valutazione di compatibilità anche rispetto alle norme regionali vigenti nella materia.
Le procedure per le assunzioni di personale ex art. 4 non sarebbero illegittime sia perché limitate agli specifici bisogni determinati dagli interventi previsti, sia perché necessarie a superare i tempi lunghi delle procedure ordinarie, incompatibili con le finalità della legge.
Infine, il termine di sessanta giorni fissato dall'art. 9, commi primo e secondo, pur comportando un particolare impegno operativo, non sarebbe comunque tale da non poter essere concretamente rispettato.
4. - In prossimità dell'udienza, la difesa della Provincia autonoma di Bolzano ha depositato una memoria illustrativa, corredata da un'ampia documentazione.
Nella memoria si contesta innanzi tutto l'assunto dell'Avvocatura dello Stato per il quale sarebbe applicabile anche alla Provincia di Bolzano la riserva disposta dall'art. 6, comma primo, lettera b) della legge n. 833 del 1978 a favore dello Stato in tema di «epidemie» : ad avviso della Provincia infatti tale disposizione si riferirebbe soltanto alle Regioni ordinarie, mentre alla Provincia stessa si applicherebbero soltanto le apposite norme di attuazione (d.P.R. n. 474 del 1975, artt. 3 e 8) che mantengono allo Stato la sola competenza sulle malattie infettive per cui è prevista la vaccinazione obbligatoria, tra le quali non rientra l'AIDS. Inoltre, tale competenza statale - osserva - sarebbe (art. 8) soltanto sussidiaria rispetto ad interventi legislativi ad hoc della Provincia.
Ribadisce poi come la Provincia medesima abbia ampiamente esercitato la propria competenza, realizzando numerosi interventi in tema di prevenzione e cura dell'AIDS e nel settore educativo-informativo; allega in proposito copie di numerosi documenti: delibere e direttive della Giunta, materiale informativo, resoconti dell'attività della Commissione provinciale per la lotta all'AIDS, etc.
Nega ancora che il Ministro della sanità possa adottare nei confronti della Provincia di Bolzano un atto di indirizzo e coordinamento, come quello previsto dalla legge impugnata, ai sensi dell'art. 5 legge n. 833 del 1978; contesta anche, in proposito il mancato rispetto del principio di legalità: ciò sulla base, sostanzialmente, delle medesime argomentazioni già esposte nel ricorso. Sottolinea poi come l'atto in questione sarebbe illegittimo, anche perché tale da contenere una disciplina eccessivamente analitica e puntuale, in contrasto con le sentenze di questa Corte nn. 177 e 1145 del 1988.
Infine, ribadisce le censure in tema di costruzioni e ristrutturazioni, di assunzioni del personale, di mancata partecipazione del Presidente della Giunta al Consiglio dei ministri, anche qui motivando con i medesimi argomenti già enunziati nel ricorso.
Considerato in diritto
1. - I tre ricorsi investono alcune norme della medesima legge statale, prospettando censure identiche, analoghe o connesse: essi pertanto possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - La legge 5 giugno 1990, n. 135, autorizza l'attuazione di una vasta gamma di interventi «allo scopo di contrastare la diffusione dell'infezione da HIV mediante le attivita di prevenzione e di assicurare idonea assistenza alle persone affette da tale patologia» (art. 1, comma primo).
Come risulta dalla Relazione governativa al disegno di legge, la Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS, istituita presso il Ministero della sanita, ha predisposto un programma organico di interventi destinato ad essere recepito nel futuro piano sanitario nazionale; in attesa dell'approvazione di quest'ultimo, ritenuta la straordinaria gravità ed urgenza della situazione, con la legge impugnata si è provveduto ad adottare le misure reputate indispensabili ed indilazionabili dalla stessa Commissione.
In precedenza, nella materia oggetto della legge attuale, esisteva soltanto la previsione di un finanziamento straordinario a carico del Ministero della sanità con indicazione solo sommaria della relativa destinazione.
L'art. 5 del decreto-legge 8 febbraio 1988, n. 27, convertito nella legge 8 aprile 1988, n. 109, infatti, tra le misure urgenti per gli organici ospedalieri e per la razionalizzazione della spesa sanitaria, ha previsto, nei limiti degli stanziamenti disposti a vantaggio del suddetto Ministero per programmi di lotta e prevenzione dell'AIDS, l'erogazione di somme, anche in deroga alle leggi vigenti, per la costruzione o per la ristrutturazione di appositi reparti o sezioni ospedaliere», nonche per programmi di informazione e prevenzione a carattere nazionale o concernenti strutture di grandi comunità.
La legge in esame e dunque la prima a disporre un piano dettagliato, analitico e organico di misure per contrastare la patologia in questione.
Tali misure consistono essenzialmente - oltre che in interventi poliennali di prevenzione, informazione, ricerca e sorveglianza epidemiologica e sostegno al volontariato (art. 1, comma primo, lettera a) - nella costruzione e ristrutturazione dei reparti di ricovero per malattie infettive e nel potenziamento dei laboratori di analisi (lettera b); nell'assunzione di nuovo personale (lettera c); nello svolgimento di corsi di addestramento professionale (lettera 1/2; nel potenziamento dei servizi di assistenza ai tossicodipendenti e di quelli per le malattie a trasmissione sessuale (lettere e), J); nel rafforzamento dell'organico dell'Istituto superiore di sanita (lettera g). 1 poi prescritta l'attuazione di servizi di assistenza domiciliare e di ospedale diurno dei soggetti affetti da AIDS e patologie correlate (art. 1, commi secondo e terzo). Per tutti gli interventi sono previsti finanziamenti a carico dello Stato (commi quinto, sesto, settimo). Una disciplina particolareggiata concerne le attivita di costruzione e ristrutturazione (art. 2); l'intervento di conferenze regionali nel procedimento di realizzazione degli interventi (art. 3); le modalità di assunzione del personale (art. 4); le garanzie di riservatezza e non discriminazione dei soggetti colpiti dall'infezione da HIV (artt. 5, 6, 7); l'istituzione di un comitato interministeriale per la lotta all'AIDS (art. 8); l'affidamento alle Regioni e Province autonome del potere di predisporre i programmi per l'assunzione del nuovo personale, per lo svolgimento dei corsi di addestramento e per i servizi di assistenza domiciliare e in ospedale diurno (art. 9, comma primo); l'attribuzione alle medesime del potere di istituire i centri di riferimento per il coordinamento della lotta contro l'AIDS, per la sorveglianza epidemiologica e attività informativa e formativa (comma secondo).
3. - Le Province di Bolzano e Trento e la Regione Lombardia hanno investito la legge con numerose censure, lamentando, in sostanza, che alcuni degli interventi previsti, e specialmente le modalità prescritte per la loro attuazione, si risolvono in una ingiustificata espropriazione o comunque in una illegittima compressione di competenze ad esse medesime riservate in via esclusiva e/o concorrente dalle norme costituzionali. Prima di prendere in esame le specifiche questioni proposte, occorre, in una prospettiva di carattere generale e complessiva, osservare che la legge impugnata si presenta effettivamente, come risulta anche dai lavori preparatori, come intesa a dare una prima risposta seria e non frammentaria all'eccezionale situazione di emergenza sociale determinata dalla allarmante diffusione dell'infezione da HIV, patologia nuova e gravissima in espansione a livello non solo nazionale, ma mondiale, e ciò tenendo conto anche delle numerose iniziative esistenti in campo internazionale: si può ben dire dunque che tale legge vuole perseguire un interesse non frazionabile, ma concernente l'intera collettività nazionale e che richiede, per essere soddisfatto, misure e interventi di dimensioni corrispondenti.
Inoltre, si tratta di un interesse che si presenta come particolarmente stringente e imperativo, essendo connesso alla indilazionabile necessita di contrastare, con mezzi adeguati, gli effetti eccezionali di un fenomeno morboso devastante, nell'intento di fornire uno standard minimo irrinunciabile di garanzia, in condizioni di eguaglianza in tutto il territorio della Repubblica, ad un valore, la salute, che, protetto dalla Costituzione come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività (art. 32), e stato costantemente riconosciuto come primario da questa Corte sia per la sua inerenza alla persona umana sia per la sua valenza di diritto sociale, caratterizzante la forma di stato sociale disegnata dalla Costituzione (v. spec., tra le tante, le sentenze nn. 455 del 1990, 324 del 1989, 1011 del 1988, 294 e 177 del 1986). Il perseguimento di un interesse siffatto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, giustifica in principio la compressione da parte del legislatore statale di ogni tipo di competenza regionale o provinciale, e ciò anche con interventi di dettaglio, purché si tratti di misure necessarie e proporzionate rispetto alla realizzazione dell'interesse medesimo (v. spec., sentenze nn. 177 e 217 del 1988, 399 e 459 del 1989, 21 del 1991). Naturalmente, ciò non implica necessariamente che le provvidenze regionali o provinciali debbano essere comunque escluse, ma, al contrario, consente che esse siano fatte salve ove siano compatibili con le modalità e gli scopi dell'intervento nazionale e possano essere adeguatamente coordinate e utilizzate al medesimo fine.
Tutto ciò premesso, si deve riconoscere che la legge impugnata effettivamente incide nei diversi settori che le Province autonome e la Regione Lombardia rispettivamente rivendicano come attribuiti a vario titolo alla propria competenza, non potendo accedersi- dati i molteplici aspetti della normativa in esame - alla tesi dell'Avvocatura dello Stato che vorrebbe ricomprenderne l'oggetto nell'angusto e inappropriato ambito delle «epidemie» , peraltro sottratto alle sole Regioni ordinarie (art. 6, comma primo, lettera b), legge n. 833 del 1978), ma non, come risulta dalle relative norme di attuazione statutaria, alle Province autonome. Tuttavia, tale riconoscimento non può per se solo indurre a concludere per l'illegittimità delle norme impugnate, dovendo ancora verificarsi, secondo i ricordati criteri di giudizio, se le singole misure adottate siano tali, nel loro contenuto e modalità di realizzazione, da collegarsi o meno effettivamente e ragionevolmente con le esigenze unitarie sopra descritte.
4. - Passando ora alla valutazione delle diverse censure, si può innanzi tutto notare che i tre ricorsi, nella maggioranza dei casi, concernono le medesime disposizioni (artt. da 1 a 4 e 9 della legge). La sola Provincia di Bolzano impugna l'intera legge per contrasto con l'art. 52, ultimo comma, Statuto Trentino-Alto Adige e l'art. 19 d.P.R. n. 49 del 1973, in quanto all'approvazione del disegno di legge relativo non avrebbe partecipato il Presidente della Giunta provinciale, perche non invitato all'apposita seduta del Consiglio dei ministri.
Tale questione non è fondata.
Questa Corte ha infatti costantemente ed anche di recente ribadito che l'intervento del Presidente della Giunta provinciale in Consiglio dei ministri «quando si trattano questioni che riguardano la provincia» (art. 52, ultimo comma, Statuto) in tanto e da ritenere necessario in quanto l'interesse su cui incide la disciplina legislativa contestata sia un interesse differenziato, e cioè proprio e peculiare della Provincia medesima (v. da ultime, sentenze nn. 85, 224 e 381 del 1990).
Nella specie l'esigenza che la legge in esame vuole soddisfare non può dirsi cosi qualificata, concernendo invece essa, per le caratteristiche del fenomeno che intende combattere, l'intera collettività nazionale in modo indifferenziato.
Di conseguenza, non possono dirsi violate le norme invocate a parametro dalla Provincia di Bolzano.
5. - Non fondata è pure la questione proposta dalla Provincia di Trento e dalla Regione Lombardia nei confronti dell'art. 1, comma primo, lettere b), c), d), e), f), per violazione delle rispettive competenze in tema di edilizia ospedaliera, organici e assunzioni del personale e formazione professionale, in quanto tale normativa prevederebbe un programma di interventi da realizzare mediante un piano ministeriale ad hoc, aggiuntivo rispetto al piano sanitario nazionale, per di più senza alcuna partecipazione effettiva delle Regioni e Province.
In contrario si può osservare - anche a non voler considerare che, dato l'interesse perseguito, è del tutto coerente che l'individuazione e la pianificazione degli interventi avvenga in sede nazionale - che in ogni caso nella disposizione in esame il "piano ministeriale" non è un vero e proprio strumento programmatorio operativo ma una mera indicazione di massima di obbiettivi e finalità da raggiungere, mentre la determinazione concreta dei singoli programmi è poi rimessa, in successive disposizioni, a specifici atti di soggetti diversi, (rispettivamente: art. 2, comma secondo e terzo, art. 9, comma primo), tra l'altro con la partecipazione, in modi e gradi diversi, delle stesse Regioni e Province.
Di conseguenza tale disposizione, non stabilendo di per sé una ripartizione di competenze tra Stato e Regioni, non può considerarsi invasiva delle attribuzioni delle ricorrenti (v. in tal senso anche la sentenza n. 85 del 1990).
6. - Sia le Province autonome sia la Regione Lombardia impugnano il comma secondo del medesimo articolo 1.
La Provincia di Bolzano lamenta che tale disposizione disciplini in modo dettagliato il servizio di trattamento domiciliare dei malati di AIDS, con indicazione anche del tetto massimo dei posti da ripartire tra le Regioni, così invadendo la sua competenza in materia, tra l'altro già esercitata con l'individuazione di una struttura centralizzata facente capo all'ospedale di Bolzano.
La questione non è fondata.
La norma censurata infatti contiene solo criteri di larga massima cui deve ispirarsi il servizio, la cui concreta e graduale attivazione peraltro è assoggettata ad "indirizzi regionali" e deve avvenire comunque secondo programmi formulati dalle stesse Regioni e Province autonome (art. 9, comma primo); d'altra parte, l'indicazione del numero massimo dei posti da realizzare in tutto il territorio nazionale e da ripartire tra le Regioni e Province "secondo le rispettive esigenze" discende da valutazioni tecniche formulate dalla Commissione ministeriale in relazione al fabbisogno complessivo ed al minimum di prestazioni ritenuto indispensabile nella stessa sede, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili allo scopo. Infine, secondo quanto si è detto più sopra, la norma impugnata non esclude che possano essere utilizzate misure provinciali già esistenti, se adeguate.
Sempre in relazione allo stesso art. 1, comma secondo, la Provincia di Bolzano da un lato, quella di Trento e la Regione Lombardia dall'altro, contestano la legittimità dell'attribuzione al Ministero del potere di definire le modalità per il convenzionamento degli enti ed il personale autorizzati a svolgere il servizio di trattamento a domicilio dei soggetti affetti da AIDS.
Secondo la prima, tale previsione sarebbe illegittima per invasione delle proprie competenze anche esclusive in materia (art. 8, n. 1), Statuto) e per violazione dei principi della proporzionale etnica e del bilinguismo. Ad avviso delle seconde, invece, la medesima previsione sarebbe in contrasto con il principio di legalità e della riserva di legge, poiché non vi sarebbero predeterminati i criteri di svolgimento del potere ministeriale.
Le censure non sono fondate.
L'attribuzione al Ministro del potere in discussione è infatti resa necessaria dall'esigenza di assicurare con la dovuta tempestività l'uniformità del servizio per l'intera collettività nazionale secondo precisi requisiti d'idoneità e standards tecnici, peraltro strettamente commisurati alle finalità e caratteristiche del servizio medesimo indicate nella prima parte della disposizione impugnata.
L'atto del Ministro non è dunque privo di fondamento giustificativo né di linee-guida per la sua adozione.
La sua previsione infine non viola i principi della proporzionale etnica e del bilinguismo poiché, come questa Corte ha già più volte osservato, le norme statutarie in proposito sono sempre immediatamente operative senza necessità di espresso richiamo da parte delle singole leggi (v. da ultime le sentenze 85 e 224 del 1990) e quindi costituiscono anche nella specie un limite naturale inderogabile del potere ministeriale.
7. - Tutte e tre le ricorrenti impugnano poi il comma terzo dello stesso art. 1 perché demanda al Ministro il potere di disciplinare l'attività di trattamento a domicilio e quella di assistenza a ciclo diurno negli ospedali mediante atti di indirizzo e coordinamento asseritamente privi di contenuto predeterminato.
La Provincia di Bolzano inoltre prospetta la tesi che la stessa funzione di indirizzo e coordinamento in materia sanitaria, di cui all'art. 5 della legge n. 833 del 1978, non possa essere validamente esercitata nei suoi confronti poiché la medesima legge, nel successivo art. 80 farebbe salva la sua autonomia anche rispetto alla detta funzione.
Tale ultima tesi è inaccettabile, soprattutto perché non tiene conto del principio consolidato della giurisprudenza costituzionale per cui, in via generale, la funzione di indirizzo e coordinamento, dato il suo fondamento costituzionale, concerne anche la Provincia di Bolzano, sia pure con i limiti peculiari derivanti dai valori propri della autonomia di questa (cfr. spec. sentenza n. 242 del 1989), e non potrebbe pertanto essere esclusa da una semplice legge ordinaria quale è la n. 833 del 1978 (ammessa e non concessa la correttezza della prospettata interpretazione del suddetto art. 80).
Per quanto concerne il preteso contrasto della norma impugnata con il principio di legalità, si può osservare che la legge indica il soggetto competente (mediante il riferimento all'art. 5 della legge n. 833 del 1978), e circoscrive adeguatamente il contenuto degli atti, descrivendo sia le attività da coordinare sia i rispettivi fini e criteri, e precisamente, nel comma secondo, prima parte (per quanto concerne il trattamento domiciliare) e nel comma successivo (per l'attività di ospedale diurno) nei quali sono sufficientemente specificate le caratteristiche dei servizi che si vogliono attuare.
Pertanto, anche le censure concernenti l'art. 1, comma terzo, non sono fondate.
8. - Il nucleo centrale delle impugnative di tutte e tre le ricorrenti è poi costituito da un nutrito gruppo di doglianze che investono le previsioni concernenti in vario modo i programmi di costruzione e ristrutturazione delle strutture ospedaliere per malattie infettive (art. 1, commi quarto e quinto; art. 2, commi dal secondo al settimo; art. 3).
Le ricorrenti lamentano in sintesi che, mediante una disciplina eccessivamente analitica e, specialmente, mediante una sostanziale sottrazione dell'intera operazione alla disponibilità delle Regioni e Province autonome, la normativa impugnata incida illegittimamente, per profili diversi, in competenze ad esse riservate e precisamente: per quanto concerne le Province, nella loro competenza esclusiva in tema di urbanistica, tutela del paesaggio, lavori pubblici, espropriazione per pubblica utilità (art. 8, nn. 5), 6), 17) e 22) Statuto), nella competenza concorrente sull'igiene e sanità, assistenza sanitaria ed ospedaliera (art. 9, n. 10), Statuto), nonché nella loro autonomia finanziaria (spec. artt. 78 e 79, Statuto) e di bilanciò (artt. 83, 84, Statuto); per quanto riguarda la Regione Lombardia, nella competenza concorrente per l'assistenza sanitaria ed ospedaliera e per i lavori pubblici di interesse regionale (art. 117 Cost.) e nella relativa autonomia di spesa.
Prima di affrontare le specifiche questioni, è necessario ricordare che il piano di interventi in questione nasce dalla necessità di adeguare le strutture ospedaliere per malattie infettive al fabbisogno di posti letto per il 1992, indicato, in relazione al previsto andamento epidemiologico dell'AIDS, dall'apposita Commissione ministeriale; che le particolari modalità di attuazione del piano sono stabilite in considerazione della eccezionale urgenza degli interventi (art. 2, comma primo).
Non sembra dubbio dunque che, per questo aspetto, il piano medesimo sia uno degli strumenti previsti per fronteggiare la fondamentale esigenza unitaria collegata all'interesse nazionale sopra illustrato, in relazione alla situazione eccezionale in atto (v. par. 3). Lo stesso piano inoltre deve essere realizzato tenendo presenti anche le necessità poste da altre malattie infettive, diverse dall'AIDS.
Di tale presupposto occorre tener conto per valutare le specifiche doglianze che colpiscono questo o quell'aspetto della disciplina procedimentale e le modalità di finanziamento del piano in questione.
L'attuazione di quest'ultimo si snoda nelle seguenti fasi: 1) emanazione di indicazioni tecniche da parte della Commissione anti-AIDS (art. 2, comma secondo), sentita la Conferenza permanente Stato-Regioni e il Consiglio sanitario nazionale (art. 1, comma primo, lettera b)); 2) determinazione da parte di Regioni e Province autonome, nell'ambito di tali indicazioni, della distribuzione e localizzazione degli interventi di ristrutturazione edilizia e di costruzione di nuove strutture, con sostituzione del Ministero della Sanità in caso di mancato adempimento nel termine (comma secondo); 3) a) approvazione da parte del C.I.P.E. - su proposta del Ministro della Sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale - del programma degli interventi suddiviso per Regioni e Province con relativa indicazione delle localizzazioni e del dimensionamento delle strutture; b) individuazione contestuale da parte dello stesso C.I.P.E. dei soggetti incaricati dell'espletamento, in concessione di servizi, dei compiti amministrativi afferenti all'esecuzione del piano secondo convenzioni stipulate in sede ministeriale (comma terzo); 4) compimento da parte dei concessionari di tutta l'attività preliminare e di redazione dei progetti (comma quarto); 5) parere sui progetti del nucleo di valutazione di esperti tecnico-sanitari istituito dalla legge n. 67 del 1988, art. 20, comma secondo (comma quinto); 6) approvazione dei progetti da parte della Conferenza regionale all'unanimità e, in mancanza, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio medesimo (art. 3); 7) assistenza dei concessionari, e direzione dei lavori, fino ai collaudi (art. 2, comma quarto); 8) esecuzione delle opere a mezzo di contratti di appalto secondo le procedure previste dalla legge n. 80 del 1987, art. 3 e con la partecipazione di rappresentanti ministeriali nelle relative commissioni giudicatrici (commi sesto e settimo); 9) collaudo a mezzo di commissioni nominate in sede ministeriale, sotto l'alta sorveglianza del Ministro dei Lavori Pubblici di concerto con quello della Sanità (comma settimo).
9. - Le doglianze delle ricorrenti colpiscono presso che tutte le fasi sopra illustrate.
Innanzitutto, esse contestano la legittimità del potere sostitutivo ministeriale da esercitarsi, sentita la Commissione nazionale anti-AIDS, ove le Regioni o Province manchino di determinare, nel termine perentorio di trenta giorni dall'entrata in vigore della legge, la distribuzione e localizzazione delle opere di ristrutturazione e costruzione ospedaliera.
Contrariamente a quanto ritengono le ricorrenti, il potere in questione rispetta taluni dei principi posti dalla giurisprudenza di questa Corte in materia, in quanto è attribuito ad un'autorità di governo, in relazione all'inadempimento di attività regionali prive di discrezionalità nell'an e assoggettate ad un termine perentorio; è rivolto a porre rimedio, in un'ipotesi eccezionale, ad un pericolo evidente di grave pregiudizio ad un interesse nazionale fondamentale (v. spec. sentenze nn. 177 e 1000 del 1988, 101, 324, 338 e 533 del 1989, 85 del 1990).
Ciò nonostante, la previsione del potere in questione non può considerarsi legittima poiché essa non è rispettosa del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, non dettando allo scopo idonee garanzie procedimentali. Infatti non può considerarsi tale la previa audizione, da parte del Ministro, della Commissione nazionale anti-AIDS, trattandosi di un organo tecnico ministeriale, come tale non legittimato a rappresentare le ragioni degli enti autonomi. Di conseguenza, l'attribuzione del potere in contestazione deve ritenersi illegittima nella parte in cui non prevede che siano preventivamente sentite le Regioni e le Province sulle ragioni del mancato adempimento (v. spec. sentenze nn. 304 del 1987, 830 del 1988, 85 del 1990). Viceversa, non può considerarsi illegittima l'attribuzione delle competenze sopra indicate ad organi statali (C.I.P.E.) o a soggetti da questi individuati (concessionari), né la partecipazione di rappresentanti ministeriali alle Commissioni giudicatrici delle gare di appalto, né la designazione ministeriale dei membri delle Commissioni di collaudo, né, infine, l'esercizio, da parte del Ministro dei Lavori Pubblici, del potere d'alta sorveglianza: si tratta infatti di opere essenziali alla tutela del ricordato interesse nazionale, la cui uniformità e tempestività di realizzazione esige l'uso di mezzi straordinari commisurati all'eccezionalità della situazione di specie, come del resto questa Corte ha già riconosciuto in ipotesi analoghe (v. spec. sentenze nn. 533 del 1988, 324 e 459 del 1989).
D'altra parte si deve considerare che le competenze delle Regioni e Province non sono del tutto escluse, poiché spetta pur sempre ad esse di determinare (sia pure nell'ambito delle indicazioni tecniche della Commissione nazionale anti-AIDS) la distribuzione e localizzazione degli interventi, determinazione destinata a confluire nel programma complessivo da approvarsi dal C.I.P.E. e che quest'ultimo non potrebbe, senza violare anche il principio di leale cooperazione, arbitrariamente e senza giustificazione disattendere. Inoltre, le istanze regionali e provinciali possono essere fatte valere in seno al Consiglio sanitario nazionale, in relazione alla prescritta previa audizione di quest'ultimo in ordine alla approvazione del C.I.P.E. e, più ancora, nella Conferenza permanente Stato-Regioni, sentita in sede di elaborazione delle indicazioni periodiche sulle linee generali del piano (art. 1, comma primo, lettera b). Infine, la eccezionale situazione di emergenza fa ritenere non irragionevoli la brevità del termine di adempimento imposto alle Regioni (v. in tal senso sentenza n. 459 del 1989), che peraltro risulta in fatto sostanzialmente rispettato.
Le questioni concernenti l'art. 2, commi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo, nonché l'art. 1, comma quarto, debbono perciò ritenersi non fondate.
10. - L'affermata competenza statale sugli interventi in questione, induce a ritenere di conseguenza (v. anche le sentenze nn. 800 del 1988; 324, 399, 459, 505 del 1989) egualmente non fondate le questioni concernenti la asserita violazione dell'autonomia finanziaria regionale e provinciale da parte dell'art. 1, comma quinto, e ciò tanto più perché qui - come peraltro la Corte ha già espressamente affermato proprio in materia sanitaria (sentenza n. 64 del 1987) - le Regioni e Province autonome partecipano alla definizione dei programmi da finanziare; per le Province autonome è da aggiungere che le modalità di finanziamento contestate sono conformi anche al dettato dell'art. 5, comma primo, delle norme di attuazione poste con d.P.R. n. 386 del 1989. Da tutto ciò discende che le norme in esame non contrastano neppure con gli artt. 83 e 84 dello Statuto del Trentino-Alto Adige.
Infine, non sembra mostrare aspetti di illegittimità, contrariamente alla prospettazione della Provincia di Trento e della Regione Lombardia, il particolare meccanismo di finanziamento mediante ricorso a fondi già attribuiti e non utilizzati nell'ambito della precedente erogazione per il 1988, concernente analogo tipo di intervento di lotta contro l'AIDS: il riassorbimento e l'impiego nello stesso settore e per gli stessi scopi di fondi che le Regioni non avevano ritenuto di dover utilizzare non può infatti ritenersi lesivo di competenze, tra l'altro non tempestivamente esercitate.
12. - Oggetto di impugnativa da parte di tutte e tre le ricorrenti è poi l'art. 3, che istituisce la Conferenza regionale quale sede per una valutazione complessiva dei progetti di ristrutturazione e costruzione da parte di tutti i soggetti comunque chiamati ad esprimere intese, autorizzazioni, approvazioni, concessioni, nulla osta. L'approvazione espressa all'unanimità sostituisce tutti tali atti (art. 3, comma terzo). Se invece l'unanimità non è raggiunta nel breve termine previsto, si provvede, su richiesta motivata del Ministro della Sanità e previa deliberazione del Consiglio dei ministri, con decreto del Presidente del Consiglio medesimo. Tale decreto ha i medesimi effetti dell'atto di approvazione unanime da parte della Conferenza, cui si sostituisce.
La Provincia di Bolzano contesta il fatto che sia attribuita alla Conferenza - con eventuale sostituzione ministeriale - una competenza che, invece, spetterebbe ad essa medesima. La Provincia di Trento e la Regione Lombardia criticano invece soprattutto il fatto che l'atto sostitutivo del Presidente del Consiglio dei ministri possa, da un lato, surrogare anche l'autorizzazione paesistica di competenza delle Regioni e Province sulla quale, nella Conferenza, queste abbiano invece espresso in concreto una valutazione negativa; dall'altro, che esso possa sovrapporsi agli strumenti urbanistici provinciali e regionali, pur trattandosi di opere di competenza regionale.
La doglianza della Provincia di Bolzano non può essere accolta: lungi dal potersi dire illegittima, la previsione di un organo misto in cui, nell'esercizio di funzioni amministrative, siano rappresentati tutti i soggetti portatori di interessi coinvolti nel procedimento di realizzazione delle opere, in modo che tali soggetti possano confrontarsi direttamente ed esprimere le loro posizioni, trovando, in un quadro di valutazione globale, soluzioni di corretto ed idoneo contemperamento delle diverse esigenze, deve invece considerarsi, oltre che un mezzo di semplificazione e snellimento dell'azione amministrativa, anche un adeguato strumento di realizzazione del principio di leale cooperazione tra Stato e Regioni. Il medesimo strumento del resto è stato già valutato positivamente da questa Corte anche in precedenti ipotesi in cui, come nel caso presente, riconosciuta l'esistenza di un interesse nazionale a fondamento dell'ingerenza statale in settori materiali attribuiti alle Regioni, si presentava come particolarmente fitto l'intrecciò dei poteri statali con le attribuzioni rimaste a queste ultime (v. spec. sentenza n. 85 del 1990 e 337 del 1989).
D'altra parte, istituti del genere, sia pure variamente strutturati e con compiti diversi, sono previsti anche in leggi recentissime, sia di portata più generale, come quelle di riforma dell'ordinamento delle autonomie locali (legge n. 142 del 1990, art. 27) e del procedimento amministrativo (legge n. 241 del 1990, art. 14) - destinata espressamente, quest'ultima, nelle sue "norme fondamentali" o nei suoi "principi", a limitare e conformare la potestà legislativa, rispettivamente, delle Regioni ad autonomia speciale e di quelle ordinarie (art. 29) - sia in provvedimenti puntuali concernenti settori determinati (v. per esempio, da ultima, la legge n. 380 del 1990 sulla istituzione del sistema idroviario padano-veneto, art. 3).
Né potrebbe ritenersi, come invece vuole la Provincia di Bolzano, che la sua autonomia non sia adeguatamente salvaguardata dalla prevista sua partecipazione alla Conferenza mediante un semplice funzionario; ciò perché la Conferenza è chiamata ad esercitare funzioni meramente amministrative, mentre le eventuali altre istanze, anche di ordine politico, della Provincia stessa in relazione al piano edilizio hanno modo di esprimersi soprattutto nella Conferenza permanente Stato-Regioni che, come si è ricordato, deve essere sentita dalla Commissione anti-AIDS prima di dare le sue indicazioni periodiche circa il fabbisogno di strutture ospedaliere per la lotta contro la malattia (v. sul punto anche il sistema introdotto per gli organi misti Stato-Regioni dal decreto legislativo n. 418 del 1989 (spec. art. 5) in attuazione dell'art. 12, comma settimo, della legge n. 400 del 1988).
La medesima Conferenza regionale è inoltre promossa dal Ministro, previa intesa con la Regione (o Provincia).
Infine, la richiesta dell'unanimità come criterio di decisione non è una condizione vessatoria, ma vale a garantire l'autonomia dei singoli enti partecipanti e specialmente quella costituzionalmente rilevante delle Regioni e Province autonome, impedendo che queste siano costrette ad adeguarsi a decisioni da esse non condivise, ma imposte dalla maggioranza.
Per quanto poi concerne l'intervento sostitutivo del Presidente del Consiglio dei ministri come rimedio per il mancato raggiungimento dell'unanimità (art. 3, comma quarto), premesso che l'intervento in questione risponde per i suoi requisiti formali ai principi posti dalla giurisprudenza di questa Corte, deve notarsi altresì che, nel caso particolare, esso appare espressione di un potere statale connesso alla improrogabile necessità di realizzare un interesse nazionale urgente ed essenziale; si tratta quindi di un potere che, "non tollera, per sua natura, limitazioni in nome di interessi di altri enti pubblici o procedure che ne possano paralizzare o rallentare irragionevolmente il compimento" (così sentenza n. 337 del 1989).
Di conseguenza, le caratteristiche proprie del caso di specie inducono a ritenere che la previsione del potere di sostituzione ora contestata possa ritenersi in sé e per sé non illegittima, poiché anche il possibile sovrapporsi della decisione governativa all'eventuale contrario avviso espresso dalla Regione o Provincia nella Conferenza risulta qui giustificato, per un verso, dalla prevalenza e inderogabilità dell'interesse che l'atto sostitutivo è volto a realizzare; per altro verso, dall'attribuzione del potere medesimo non già al Ministro della Sanità - abilitato soltanto a presentare una "motivata richiesta" - ma, in sostanza, al Consiglio dei ministri, la cui deliberazione costituisce il presupposto essenziale per l'adozione dell'atto mediante decreto del Presidente del Consiglio medesimo.
Tuttavia, proprio in vista di tale eventuale sovrapposizione, particolarmente pressante è l'esigenza che l'adozione di un simile atto avvenga con le adeguate garanzie procedurali del principio di leale cooperazione, con strumenti cioè che, in particolare, stante la specificità del caso, consentano alle Regioni (o Province) anche di esplicitare all'organo governativo le ragioni del proprio dissenso.
A tanto non provvede l'art. 3, comma quarto: pertanto esso, nella parte in cui non prevede che siano preventivamente sentite le Regioni o le Province autonome deve ritenersi costituzionalmente illegittimo.
13. - Infondata è l'impugnativa proposta dalla Provincia di Bolzano circa l'art. 4, commi dal primo al sesto, nella parte in cui disciplina l'assunzione di nuovo personale in deroga alle leggi vigenti e in cui affida alle UU.SS.LL. l'organizzazione di corsi di aggiornamento e formazione del personale sanitario, per asserito contrasto con i principi della proporzionale etnica e del bilinguismo: come si è più sopra ricordato infatti (v. par. 6), poiché tali principi debbono essere comunque immediatamente applicati indipendentemente da espressi richiami nelle singole leggi, è del tutto irrilevante il silenzio sul punto della normativa impugnata, mentre è evidente che, trattandosi di principi di grado costituzionale, essi non possono certo essere derogati neppure da disposizioni di legge ordinaria che, in vista di situazioni straordinarie, introducono strumenti atipici.
14. - La questione posta dalla Provincia di Trento e dalla Regione Lombardia circa la legittimità del potere sostitutivo ministeriale nell'emanazione del bando di concorso per personale medico di laboratorio, in caso di inattività regionale oltre il termine perentorio (art. 4, comma primo) non può essere accolta: infatti, considerando sempre lo scopo perseguito dalla legge, non si può negare che si tratti, al contrario di quanto ritengono le ricorrenti, di attività regionali vincolate nell'an, trattandosi di integrare gli organici dei reparti ed istituti addetti alla lotta contro l'AIDS, nei limiti delle dotazioni organiche e di spesa di cui all'art. 1, comma primo, lettera c).
Egualmente non fondata è la censura relativa alla brevità del termine di adempimento, per le ragioni già dette, come pure quella concernente il potere ministeriale di disciplinare l'istituzione e l'effettuazione dei corsi di addestramento del personale sanitario (art. 4, comma terzo): l'intervento ministeriale è infatti volto, e limitato, a fissare i necessari criteri uniformi circa le particolari condizioni e agevolazioni della frequenza imposte al personale, nonché i requisiti di preparazione tecnico professionale necessaria per la lotta all'AIDS, mentre non si deve trascurare il fatto che è lasciato alle Regioni di formulare i programmi per l'attività relativa (art. 9, comma primo).
15. - È fondata invece la questione proposta da tutte e tre le ricorrenti a proposito dell'art. 9, comma primo, laddove prevede che, ove le Regioni, o le Province autonome, non provvedano entro un certo termine a predisporre i programmi per l'assunzione di personale sanitario lo svolgimento dei corsi di formazione e aggiornamento professionale, il potenziamento dei servizi di assistenza ai tossicodipendenti e dei servizi per le malattie a trasmissione sessuale, nonché il servizio di trattamento domiciliare (art. 1, comma secondo), il Ministro della Sanità procede alla nomina di commissari per il compimento degli atti necessari.
Infatti, pur trattandosi sempre di un potere statale collegato alla soddisfazione del medesimo interesse primario che è sotteso a tutta la legge, la sua previsione nel caso particolare deve ritenersi illegittima poiché, oltre a non contemplare garanzie procedurali di tipo cooperativistico quali quelle indicate più sopra, affida in sostanza l'adozione degli atti sostitutivi ad autorità non governative. Non potrebbe dirsi infatti che anche qui, come nel caso risolto dalla sentenza n. 460 del 1989 di questa Corte, i commissari intervengono come "meri organi tecnici" di supporto dell'organo governativo: infatti la norma impugnata, in relazione per di più ad attività regionali dotate di un notevole margine di discrezionalità e non meramente esecutive, affida al Ministro la pura e semplice nomina dei commissari, ma non la concreta determinazione degli atti sostitutivi né la fissazione di direttive, idonee comunque a far rientrare l'intervento previsto sotto il suo controllo e la sua responsabilità politica.
Di conseguenza, l'art. 9, comma primo, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede l'adozione di atti sostitutivi ad opera di organi non governativi senza la previa audizione delle Regioni e Province interessate.
16. - Quanto infine alle censure relative al secondo comma dello stesso articolo 9, deve innanzi tutto riconoscersi che si tratta, anche qui, di fattispecie (i centri di riferimento) attribuite alla competenza regionale (v. in tal senso sentenza n. 467 del 1990). La disposizione impugnata però non contiene norme che eccedono le mere indicazioni di carattere generale; essa non è dunque tale da limitare illegittimamente l'esercizio di questa competenza, né, per il suo contenuto, può impedire la sopravvivenza di discipline regionali già esistenti e non incompatibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma secondo, della legge 5 giugno 1990, n. 135 (Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS), nella parte in cui non prevede che le Regioni e le Province autonome interessate siano preventivamente sentite in ordine all'adozione degli atti sostitutivi ivi previsti;
2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma quarto, della legge 5 giugno 1990, n. 135, nella parte in cui non prevede che le Regioni e le Province autonome interessate siano preventivamente sentite in ordine all'adozione degli atti sostitutivi ivi previsti;
3) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma primo, della legge 5 giugno 1990, n. 135, nella parte in cui affida a commissari nominati dal Ministro della Sanità l'adozione degli atti sostitutivi ivi previsti, e nella parte in cui non prevede che le Regioni e le Province autonome siano in proposito preventivamente sentite;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'intera legge 5 giugno 1990, n. 135, sollevata, in riferimento all'art. 52, ultimo comma, dello Statuto Trentino-Alto Adige e all'art. 19 del d.P.R. 1° febbraio 1973, n. 49, dalla Provincia di Bolzano con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma primo, lettere b), c), d), e), f), della legge 5 giugno 1990, n. 135, sollevata, rispettivamente, dalla Provincia di Trento, in riferimento agli artt. 8, nn. 17) e 29), 9, n. 10) e 16 dello Statuto speciale, e relative norme di attuazione, e dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma secondo, della legge 5 giugno 1990, n. 135, sollevate, rispettivamente, dalle Province di Bolzano e di Trento, in riferimento agli artt. 8, n. 1), 9, n. 10), 16, 89, 99, 100, 101 dello Statuto speciale, e relative norme di attuazione; dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma terzo, della legge 5 giugno 1990, n. 135, sollevate, rispettivamente, dalle Province di Bolzano e di Trento, in riferimento agli artt. 9, n. 10), 16 dello Statuto speciale e all'art. 80 della legge 23 dicembre 1978, n. 833; dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi quarto e quinto, 2, commi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo, della legge 5 giugno 1990, n. 135, sollevate, rispettivamente, dalle Province di Bolzano e di Trento, in riferimento agli artt. 8, nn. 3), 5), 6), 17), 22), 9, n. 10), 16, 78, 79, 83, 84, 104 e titolo VI dello Statuto speciale, e relative norme di attuazione; dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
9) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma primo, secondo, terzo e quinto della legge 5 giugno 1990, n. 135, sollevate, rispettivamente, dalle Province di Bolzano e di Trento, in riferimento agli artt. 8, nn. 3), 5), 6), 17) 22), 16 dello Statuto speciale; dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
10) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto, della legge 5 giugno 1990, n. 135, sollevate, rispettivamente, dalle Province di Bolzano e di Trento, in riferimento agli artt. 8, n. 29), 9, n. 10), 16, 89, 99, 100, 101 dello Statuto speciale, e relative norme di attuazione; dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
11) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma secondo, della legge 5 giugno 1990, n. 135, sollevate, rispettivamente, dalle Province di Bolzano e di Trento, in riferimento agli artt. 9, n. 10) e 16 dello Statuto speciale; dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1991.
Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.
Depositata in cancelleria il 31 gennaio 1991.