Sentenza n. 381 del 1990

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SENTENZA N.381

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 18l 19 e 20 del decreto-legge 28 dicembre 1989, n. 415, intitolato: < Norme urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni, nonchè disposizioni varie>, convertito, senza modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n. 38, promossi con ricorsi delle Regioni Sardegna, Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Sicilia e delle Province autonome di Bolzano e di Trento, notificati il 29 gennaio, il 21, il 29 e il 30 marzo 1990, depositati in cancelleria il 6 e il 7 febbraio, il 27 marzo, il 4, il 5 e il 9 aprile 1990 ed iscritti ai nn. 8, 9, 10, 11, 13, 14, 21, 25, 27, 28, 29, 30 e 32 del registro ricorsi 1990.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 maggio 1990 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi gli avvocati Sergio Panunzio per le Regioni Sardegna, Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia e per la Provincia autonoma di Trento, Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia autonoma di Bolzano, Silvio De Fina per la Regione Sicilia e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1.- Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la Regione Sardegna ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 del decreto-legge 28 dicembre 1989, n. 415 (Norme urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni, nonchè disposizioni varie), per contrasto con gli artt. 3, 4, 5 e 6 e con il titolo III (artt. 7-14) dello Statuto speciale della Regione Sardegna e relative norme di attuazione; con gli artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119 della Costituzione; con l'art. 47 dello Statuto sardo e relative norme di attuazione Secondo la ricorrente, l'art. 19 del decreto-legge impugnato, riducendo del 5 per cento le assegnazioni alla Regione della parte corrente del Fondo sanitario nazionale di cui all'art. 51 della legge n. 833 del 1978, imporrebbe alla Regione una spesa sanitaria senza che essa abbia gli strumenti per controllarla o ridurla, come sarebbe attestato dal fatto che tanto le spese ospedaliere (livelli retributivi del personale e spese per acquisti di beni e servizi), quanto quelle per l'assistenza farmaceutica, l'assistenza specialistica e la medicina di base sfuggono alla determinazione regionale (come questa Corte avrebbe. riconosciuto con le sentenze nn. 245 del 1984 e 452 del 1989). La disciplina impugnata, da un lato, lascerebbe immutata la regolamentazione del servizio sanitario e l'entità degli oneri e, dall'altro, scaricherebbe il costo della manovra finanziaria sulle sole regioni a statuto speciale e province autonome, con violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza, di autonomia finanziaria regionale e di copertura delle spese (v. artt. 81, quarto comma, della Costituzione e 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468, che impone l'obbligo di indicare detta copertura in capo alle "leggi che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate", a carico degli enti del settore pubblico allargato).

La stessa disciplina violerebbe, altresì, gli artt. 3, 32 e 116 della Costituzione, discriminando in peius una Regione a statuto speciale rispetto a quelle ad autonomia ordinaria, nonchè i cittadini italiani che in tale regione risiedono rispetto agli altri, a causa dei riflessi negativi della contrazione di spesa sulla funzionalità e sulla qualità dei servizi. Sulla base di quest'ultimo rilievo, anzi, la ricorrente prospetta una ulteriore violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.

La Regione Sardegna impugna anche l'art. 18, che, al primo comma, esclude la stessa Regione dai fondi concernenti la spesa sanitaria (Fondo per il servizio dei consultori familiari), adducendo argomenti analoghi a quelli sopra enunciati, considerato che anche qui si tratterebbe di oneri per i quali la regione non avrebbe rilevanti poteri di scelta o di controllo.

La stessa disposizione viene, altresì, censurata dalla Regione Sardegna nella parte in cui esclude la Regione medesima dal riparto dei fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto di cui all'art. 9 della legge n. 151 del 1981, imponendole il rispetto dei principi stabiliti da quella legge, fra cui quello che pone a carico delle regioni parte dei ripiano dei disavanzi delle aziende (artt. 6 e 9). Questa disciplina, che inciderebbe su materie di competenza esclusiva (trasporti di interesse regionale: art. 3, lett. g, dello Statuto) e concorrente (servizi pubblici di interesse regionale: art. 4 lett. g, dello Statuto), addosserebbe alla Regione un nuovo onere senza fornirle le risorse per fronteggiarlo e senza che essa abbia poteri di controllo sulla spesa, specie se si considera la potestà statale in ordine alla determinazione delle tariffe (v. decreto-legge n. 77 del 1989, convertito nella legge n. 160 del 1989 e, per un caso analogo, la sent. n. 307 del 1983 di questa Corte).

Con argomentazioni analoghe la ricorrente censura anche gli artt. 18, primo comma, e 20, per quanto riguarda l'esclusione della Regione dalle erogazioni provenienti dal fondo speciale per l'esercizio delle funzioni della soppressa O.N.M.I. e dal fondo per gli asili nido (art. 18, primo comma), nonchè da quelle provenienti da altri fondi di settore (art. 20, lett. da a a d).

Dopo aver osservato che la complessiva decurtazione alla finanza derivata della Regione risultante dalle norme impugnate ammonta a circa 419 milioni (7 per cento del bilancio preventivo per il 1990), la ricorrente richiama la sentenza n. 307 del 1983 di questa Corte nella parte in cui ha statuito che il rispetto dell'autonomia finanziaria regionale impone al legislatore statale di evitare una "grave alterazione" del "necessario rapporto di complessiva corrispondenza ... fra bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte". La decurtazione arrecata alla finanza regionale non andrebbe dunque considerata, secondo la ricorrente, "in termini quantitativi", ma per quella "grave alterazione" cui la Corte aveva fatto riferimento.

Infine, la stessa ricorrente lamenta la violazione dell'art. 47 dello Statuto e relative norme di attuazione giacchè il Presidente della Regione non é stato convocato per intervenire alla seduta del Consiglio dei ministri in cui veniva deliberato il decreto-legge impugnato, diversamente da quanto avvenuto in occasione della predisposizione del disegno di legge "di accompagnamento" alla legge finanziaria per l'anno 1990, il cui contenuto é stato ripreso dal decreto legge in questione.

2.- Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Provincia di Bolzano ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli arti. 18, 19 e 20 del decreto-legge n. 415 del 1989 per violazione: degli artt. 8, 9, 10, 16, 69 ss. (titolo VI, con le modifiche e integrazioni apportate dalla legge n. 386 del 1989) dello Statuto del Trentino-Alto Adige e delle relative norme di attuazione; degli artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119 della Costituzione; dell'art. 52, ultimo comma, dello Statuto e relative norme di attuazione.

Una specifica censura della Provincia concerne la lesione dell'art. 116 della Costituzione da parte dell'art. 19, per la duplice discriminazione operata nei confronti delle Regioni a statuto ordinario e di quelle a statuto speciale, giacchè la riduzione delle assegnazioni di parte corrente del Fondo sanitario nazionale risulta per queste ultime minore di quella stabilita per la provincia, con conseguente irragionevole discriminazione nei confronti dei suoi abitanti.

Una seconda specifica censura viene mossa nei confronti dello stesso art. 19 alla luce del principio, stabilito dall'art. 5 della legge 30 novembre 1989, n. 386 (adottata con la procedura di cui all'art. 104 dello Statuto), che impone la partecipazione delle province autonome alla "ripartizione di fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi di prestazioni in modo uniforme per tutto il territorio nazionale" (primo comma).

Per il resto, le censure vengono svolte con argomentazioni identiche a quelle sostenute nel ricorso riassunto nel numero precedente.

3.- Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Trentino-Alto Adige ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 del decreto-legge n. 415 del 1989 per violazione: degli artt. 4, 5, 6, 8, 9, 10, 16, 69 e ss. dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige e delle relative norme di attuazione; degli artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119 della Costituzione; dell'art. 40, ultimo comma, dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige e delle relative norme di attuazione.

La Regione osserva preliminarmente che, sebbene le decurtazioni di trasferimenti finanziari colpiscono le due Province autonome prima e più che la Regione, occorrerebbe, d'altro canto, tener conto che l'art. 20, lett. a) esclude la ricorrente dal fondo per i programmi regionali di sviluppo. Inoltre, non si potrebbe trascurare il nesso inscindibile che lega la Regione alle due Province, che é fondato sul comune statuto di autonomia e sulla coincidenza degli elementi territoriali, organizzativi e personali dei tre enti. Ciò rileverebbe particolarmente nella specie, poichè la pretesa lesione dell'autonomia finanziaria comporta conseguenze negative per i cittadini delle due Province, che sono anche cittadini della Regione. Al fine di giustificare la legittimazione della Regione a proporre il ricorso, la ricorrente richiama poi l'art. 98, primo comma, dello Statuto, che prevede il potere regionale di impugnativa, non solo per lesione di specifiche competenze, ma per ogni "violazione del presente Statuto". Per il resto, le censure regionali vengono svolte con argomentazioni identiche a quelle sostenute nel ricorso della Provincia di Bolzano (v. punto n. 2).

4.- Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la provincia di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 del decreto-legge n. 415 del 1989. Le norme invocate a parametro e le argomentazioni addotte risultano identiche a quelle del ricorso della Provincia di Bolzano (v. punto n. 2).

5.- Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Valle d'Aosta ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 del decreto-legge n. 415 del 1989,per violazione: degli artt. 2, 3 e 4; del titolo III (artt. 12 e 13, come modificati e integrati dalle leggi 29 novembre 1955, n. 1179 e 26 novembre 1981, n. 690) dello Statuto della Regione Valle d'Aosta e delle relative norme di attuazione; degli artt. 32, 81, 97, 116 e 119 della Costituzione; dell'art. 44 dello Statuto e relative norme di attuazione.

Le regolamentazioni addotte risultano identiche a quelle del ricorso della Regione Sardegna (v. punto n. 1).

6.- Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 del decreto-legge n. 415 del 1989, per violazione degli artt. 4, 5, 6, 7, 8 e del titolo IV (artt. 48-57) dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia e delle relative norme di attuazione; degli artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119 della Costituzione, dell'art. 44 dello Statuto e delle relative norme di attuazione.

Le argomentazioni addotte risultano identiche a quelle del ricorso della Regione Sardegna (v. punto n. 1).

7.- Il Presidente del Consiglio dei ministri si é costituito in giudizio in relazione a tutti i ricorsi indicati nei punti precedenti.

Il resistente contesta, in primo luogo, che la riduzione delle assegnazioni di parte corrente del Fondo sanitario nazionale, disposta per ciascuna delle regioni a statuto speciale e per le Province autonome dall'impugnato art. 19, avrebbe leso la loro autonomia finanziaria. Richiamati taluni passi della sentenza n. 245 del 1984 di questa Corte, dai quali desume l'affermazione di una spettanza alle amministrazioni regionali di specifici poteri esercitabili per contenere la spesa sanitaria ed impedire il formarsi di maggiori oneri, il resistente rileva l'infondatezza dell'assunto relativo all'assoluta impotenza delle regioni a statuto speciale nel governare e tenere sotto controllo la spesa sanitaria. Diversamente da altre norme in passato dichiarate illegittime dalla Corte, quella in esame non comporterebbe un accollo di nuove spese sulle finanze regionali, ma si limiterebbe ad eguagliare le assegnazioni sul Fondo nazionale alla più contenuta spesa riconosciuta occorrente al fine di garantire il servizio sanitario a livelli omogenei rispetto a quelli esistenti nell'intero territorio nazionale. Da ciò deriverebbe, altresì, l'infondatezza delle censura mosse in relazione agli artt. 81 della Costituzione e 27 della legge n. 468 del 1978, nonchè in relazione agli artt. 3, 32, 81, 97 e 116 della Costituzione. Del resto, soggiunge l'Avvocatura, la pretesa discriminazione rispetto alla regioni a statuto ordinario sarebbe esclusa dalla circostanza, sottolineata dalla stessa norma denunciata, che le regioni a statuto speciale partecipano ai tributi statali in una misura maggiore di quella propria delle regioni a statuto ordinario. In base a tale premessa, l'esigenza perequativa, sottolineata dalla sentenza n. 245 del 1984 di questa Corte in materia di diritto alla salute, non potrebbe costituire argomento per conservare o conseguire un trattamento preferenziale in una materia che non giustifica le particolari garanzie ad altri fini accordate agli enti ad autonomia speciale.

Quanto al primo comma dell'art. 18 ed all'art 20 lett. e), l'Avvocatura rileva che la sussistenza di specifici poteri regionali sia in materia di sanità sia in quella dei consultori familiari (artt. 2 e 7 legge n. 405 del 1975), giustificherebbe l'esclusione delle regioni a statuto speciale tanto riparto del fondo sanitario nazionale in conto capitale, quanto dal servizio dei consultori.

In ordine all'esclusione delle stesse regioni dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto (art. 18, primo comma), l'Avvocatura dello Stato ricorda che quel riparto aveva la finalità (enunciata dall'art. 9, ottavo comma, della legge n. 151 del 1981) di conseguire l'equilibrio di bilancio delle aziende entro il termine massimo di cinque anni e che le regioni erano all'uopo tenute a fissare, tra l'altro, gli indirizzi per l'organizzazione e la ristrutturazione dei servizi di trasporto, previa definizione dei limiti territoriali dei cd. bacini di traffico. Se così é., anche in tal caso mancherebbe il presupposto di un'assenza di poteri regionali di controllo e di governo della spesa in materia.

Ad avviso dell'Avvocatura dello stato, l'esclusione dalla partecipazione al riparto di altri fondi settoriali (fondi per interventi programmati in agricoltura e per il piano forestale nazionale) sarebbe giustificata col rilievo che già la legge n. 752 del 1986 limitava al quinquennio '86-'90 gli interventi finalizzati di sostegno (disposti, peraltro, con ampia flessibilità nella ripartizione delle risorse disponibili). L'Avvocatura rileva, inoltre, che dalla disposta esclusione sono esplicitamente eccettuate (art. 20 lett. b) le spese per la concessione di contributi nel pagamento di interessi sui mutui di miglioramento fondiario e su quelli destinati al consolidamento delle passività delle imprese agricole, assicurandosi così la disponibilità alle regioni delle somme già impegnate. Nessuna lesione deriverebbe, dunque, dalle disposizioni denunciate alla sfera delle ricorrenti, dal momento che l'esclusione dal suddetto riparto equivale ad esonerarle dal concorso nell'attuazione dei piani nazionali.

Analoghe considerazioni varrebbero, ad avviso dell'Avvocatura, a proposito della disposta esclusione dal fondo integrativo per gli asili nido, dal fondo speciale per lo svolgimento delle funzioni della disciolta O.N.M.I. e da quello per i consultori familiari.

Infine, viene respinta la censura relativa alla mancata convocazione del Presidente della Giunta alla seduta del Consiglio dei ministri in cui é stato approvato il decreto-legge impugnato, giacchè i contenuti del decreto erano stati ripresi dall'originario disegno i legge predisposto e deliberato in una seduta del Consiglio dei ministri nelle quali sono intervenuti i rappresentanti regionali. Sicchè le norme statutarie la cui violazione le ricorrenti lamentano sarebbero state sostanzialmente rispettate.

8.- Dopo la conversione in legge (legge 28 febbraio 1990, n. 38), senza modifica alcuna, degli artt. 18, 19 e 20 del decreto-legge n. 415 del 1989, le Regioni a statuto speciale Sardegna, Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, nonchè le Province autonome di Bolzano e di Trento,. hanno presentato altrettanti ricorsi con i quali hanno ribadito le stesse censure di legittimità costituzionale proposte con i ricorsi nei confronti del decreto-legge. Di nuovo, tutte le ricorrenti hanno lamentato la lesione, da parte della legge di conversione, delle norme dei rispettivi Statuti che prevedono l'intervento del Presidente regionale (o provinciale) alle sedute del Consiglio dei ministri riguardanti questioni di specifico interesse per le ricorrenti stesse. Inoltre, la Provincia autonoma di Bolzano ha esteso l'impugnazione dell'art. 18, primo comma, del decreto-legge impugnato, alla parte in cui dispone l'esclusione della ricorrente dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di gestione delle aziende di trasporto di cui all'art. 9 della legge n. 151 del 1981 e, nello stesso tempo, mantiene fermi "i principi di cui alla legge 10 aprile 1981, n. 151". Anche questa norma sarebbe incostituzionale, secondo la Provincia di Bolzano, tanto perchè i suddetti principi non potrebbero vincolare le potestà di tipo esclusivo godute in materia dalla ricorrente (art. 8, nn. 18 e 19, e art. 16 dello Statuto), quanto perchè la legge n. 151 del 1981 limita espressamente l'efficacia di quei principi alle regioni a statuto ordinario.

9.- La Regione Siciliana, con ricorso ritualmente notificato e depositato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 18, 19 e 20 del decreto-legge n. 415 del 1989, convertito nella legge 28 febbraio 1990, n. 38, per violazione: degli artt. 119 e 97 della Costituzione e 36 dello Statuto speciale siciliano; degli artt. 53, 119 e 3 della Costituzione, nonchè 36 e 38 dello Statuto; degli arti. 3, 32, 81, 97 e 119 della Costituzione, nonchè 17, 36 e 38 dello Statuto.

Secondo la Regione Siciliana, la riduzione o la cessazione dei finanziamenti statali stabilite con le disposizioni impugnate violerebbero, innanzitutto, il principio di logicità nonchè l'autonomia finanziaria della Regione, in quanto, anzichè essere disposte attraverso un processo graduale, comporterebbero invece un'improvvisa e immotivata restrizione delle finanze regionali.

In secondo luogo, le disposizioni impugnate violerebbero i principi posti dall'art. 53 della Costituzione, in quanto la sottrazione di entrate ivi prevista comporterebbe un "concorso alle spese pubbliche" da parte della Regione in contrasto con la norma costituzionale che impone quel concorso a "tutti in ragione della loro capacità contributiva". Nè andrebbe trascurato, secondo la ricorrente, l'art. 38 dello Statuto, che prevede entrate al fine specifico di "bilanciare il minore ammontare dei redditi di lavoro rispetto alla madia nazionale", fine che risulterebbe frustrato dalle disposizioni impugnate, comportanti una maggiore imposizione fiscale e, quindi, una decurtazione ulteriore dei redditi dei cittadini della Regione e il rischio di maggiore disoccupazione.

Infine, la stessa ricorrente denuncia l'incostituzionalità delle disposizioni che riducono i finanziamenti in materia di trasporti e di servizio sanitario con argomenti analoghi a quelli addotti dalla altre ricorrenti in ordine alla pretesa lesione della loro autonomia finanziaria.

10.- Pure nei confronti dei ricorsi riportati nei punti 8 e 9 si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, riformulando le obiezioni già enunciate negli scritti difensivi riassunti nel precedente punto 7, anche per quanto riguarda la presunta lesione delle norme statutarie sulla partecipazione dei Presidenti delle Giunte delle Province di Trento e di Bolzano alla seduta del Consiglio dei ministri nella quale é stato deliberato il disegno di legge di conversione del decerto-legge impugnato.

Rispetto alle nuove censure proposte dalla Provincia di Bolzano in relazione all'art. 18, primo comma, l'Avvocatura dello Stato ne chiede l'inammissibilità, per il fatto che, non essendo state formulate nei confronti della corrispondente norma del decreto-legge, si opererebbe una sorta di rimessione in termini ove le si ritenesse giustificate.

In relazione al ricorso della Regione Siciliana, l'Avvocatura dello Stato, oltre a riformulare argomento analoghi a quelli svolti verso gli altri ricorsi, osserva, in ordine alla pretesa violazione dell'art. 53 della Costituzione, che gli sforzi argomentativi cui si affida il ricorso non varrebbero comunque a trasformare la natura obiettiva delle norme impugnate in quella propria di norme di imposizione fiscale.

11.- In prossimità dell'udienza tutte le ricorrenti, ad eccezione della Sicilia, hanno presentato ulteriori memorie.

La Provincia di Bolzano, nel ribadire le proprie censure, ricorda che, a norma dell'art. 104 dello Statuto, le misure di contenimento della finanza regionale avrebbero dovuto essere previste si concorde richiesta del Governo e della Provincia (come ha riconosciuto anche la Commissione parlamentare per le questioni regionali nel parere adottato in data 18 ottobre 1989). Essa aggiunge, inoltre, che la replica dell'Avvocatura dello Stato sulla partecipazione del Presidente della Giunta Provinciale alle sedute del Consiglio dei ministri non avrebbe alcuna rilevanza sul piano giuridico.

Nella loro memoria unica, le altre ricorrenti, ribadite le proprie posizioni su tutti i punti della controversia e, in particolare, sulla rigidità della spesa sanitaria e sull'irragionevolezza dei tagli apportati (che sarebbe comprovata anche dalle riserve espresse nel corso dei lavori parlamentari), replicano all'Avvocatura che la proposizione nei confronti della legge di conversione di censure non prospettate contro il decreto-legge non può ritenersi preclusa, in quanto la legge di conversione, perpetuando i vizi di costituzionalità del decreto-legge, rinnoverebbe per ciò stesso la lesione delle competenze regionali (o provinciali). Del resto, concludono le ricorrenti, nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale non trova applicazione l'istituto dell'acquiescenza.

Considerato in diritto

 

1. Dal momento che hanno ad oggetto le medesime disposizioni legislative, possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza sia i ricorsi presentati dalla Regione Sardegna, dalla Provincia autonoma di Bolzano, dalla Regione Trentino-Alto Adige, dalla Provincia autonoma di Trento e dalle Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia nei confronti degli artt. 18, 19 e 20 del decreto-legge 28 dicembre 1989, n. 415, sia i ricorsi presentati dalla Provincia autonoma di Bolzano, dalle Regioni Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta, dalla Provincia autonoma di Trento e dalle Regioni Sardegna e Friuli-Venezia Giulia nei confronti dell'art. 1 della legge 28 febbraio 1990, n. 38, nella parte in cui ha convertito in legge, senza modificazioni, gli artt. 18, 19 e 20 del predetto decreto-legge.

2.-Il ricorso presentato dalla Regione Trentino-Alto Adige va dichiarato inammissibile per mancanza d'interesse della stessa Regione, salvo che per quanto si riferisce alle censure sollevate nei confronti dell'art. 20, lettera a), del decreto-legge n. 415 del 1989, convertito nella legge n. 38 del l990.

Poichè la Regione ricorrente possiede competenze che non possono essere incise dalle disposizioni impugnate salvo che dall'art. 20, lettera a)-il quale esclude le regioni a statuto speciale dal riparto del < fondo per i programmi regionali di sviluppo a destinazione indistinta di cui all'art. 9 della legge 16 maggio 1970, n. 281, al netto della quota spettante ai sensi della legge 30 maggio 1965, n. 274> -, l'interesse a ricorrere della Regione Trentino-Alto Adige non può essere limitato ad altro che alla disposizione da ultimo ricordata.

Nè può riconoscersi alcun fondamento alle argomentazioni addotte dalla difesa della ricorrente al fine di dimostrare la piena legittimazione della Regione Trentino-Alto Adige nel giudizio in considerazione. Innanzitutto, l'indubbio legame che unisce la suddetta Regione alle Province autonome di Trento e di Bolzano non può indurre a ritenere che la prima possa surrogarsi o possa affiancarsi all'una o all'altra delle Province nella difesa dell'integrità delle attribuzioni di queste ultime, poichè la comune soggezione al medesimo Statuto speciale e la coincidenza del territorio (oltrechè della popolazione) regionale con quelli delle Province congiuntamente considerate non sono elementi tali da portare a superare il rilievo che lo Statuto del Trentino-Alto Adige riconosce alla Regione e alle due Province autonome competenze legislative e amministrative rigorosamente distinte. In secondo luogo, nessun argomento in senso contrario può desumersi dall'art. 98 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, poichè quest'ultimo, nel prevedere in forma sintetica che la Regione o le Province autonome possono presentare ricorso alla Corte costituzionale nei confronti di leggi o di atti con forza di legge adottati in < violazione del presente Statuto>, non può non voler dire che il suddetto ricorso è ammesso nei limiti in cui la Regione o le singole Province siano legittimate a proporlo, vale a dire nei limiti in cui l'addotta violazione dello Statuto si riferisca a sfere di autonomia costituzionale rispettivamente attribuite all'una o a ciascuna delle altre.

3. - Va, invece, respinta l'eccezione d'inammissibilità sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato nei confronti della censura prospettata dalla Provincia autonoma di Bolzano avverso l'art. 1 della legge n. 38 del 1990, nella parte in cui ha convertito, senza modificazioni, l'art. 18, primo comma, del decreto-legge n. 415 del 1989, relativamente alla esclusione della Provincia stessa dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di gestione delle aziende di trasporto di cui all'art. 9 della legge n. 151 del 1981.

Questa Corte ha più volte affermato che la formulazione di una nuova censura nei confronti di una norma convertita in legge senza modificazioni non può considerarsi preclusa dal fatto che la stessa ricorrente non l'abbia proposta nel ricorso presentato dalla medesima nei confronti del decreto-legge anteriormente alla conversione. Il rilievo che la disposizione censurata con il ricorso presentato contro la legge di conversione era già contenuta, in forma identica, nel decreto-legge e non era stata impugnata con il relativo ricorso non può, infatti, comportare l'esclusione della prospettazione di nuove censure dopo che il decreto sia stato convertito, senza modificazioni, in legge, poichè la conversione, rendendo permanente e definitiva la disciplina normativa adottata in via provvisoria, perpetua gli eventuali vizi di legittimità costituzionale e, pertanto, rinnova la lesione delle competenze regionali (o provinciali) che si assume derivare da quella disciplina (v. sentt. nn. 113 del 1967, 192 del 1970, 151 del 1986, ord. n. 1035 del 1988).

4. - Non fondata è la questione di legittimità costituzionale che tutte le ricorrenti, ad eccezione della Sicilia, hanno sollevato nei confronti degli artt. 18, 19 e 20 del decreto legge n. 415 del 1989, convertito nella legge n. 38 del 1990, per violazione delle rispettive disposizioni statutarie (artt. 52, ultimo comma, dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige; 40, ultimo comma, dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige; 44, ultimo comma, dello Statuto della Regione Valle d'Aosta; 47, ultimo comma, dello Statuto della Regione Sardegna e 44 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia) che impongono la convocazione dei Presidenti di ciascuna delle Regioni o delle Province ricorrenti alle sedute del Consiglio dei ministri nelle quali si adottano deliberazioni su questioni che interessano particolarmente l'autonomia di ciascuna delle stesse.

Questa Corte ha costantemente affermato che la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province ad autonomia differenziata alle sedute del Consiglio dei ministri nelle quali si discutono questioni di interesse delle rispettive regioni (o province autonome) si rende necessaria soltanto nei casi in cui l'interesse di quest'ultima possa essere qualificato, oltrechè di particolare rilevanza o intensità, come interesse differenziato, nel senso che dev'essere tale da distaccarsi da quelli generali e comuni a tutte o a una categoria di regioni e da configurarsi come interesse proprio e peculiare della singola regione (o provincia autonoma) (v. sentt. nn. 34 e 166 del 1976, 627 del 1988, 544 e 545 del 1989, 224 del 1990). Nel caso dedotto in questi giudizi si è, invece, di fronte a una disciplina normativa concernente trasferimenti di risorse finanziarie tra lo Stato e tutte le regioni (o le province) ad autonomia speciale, che è inserita in un disegno generale volto a dettare norme urgenti per l'intero complesso della finanza regionale e locale.

5. Non fondate sono, altresì, le varie questioni di legittimità costituzionale che le ricorrenti prospettano nei confronti dell'insieme delle disposizioni contenute negli artt. 18, 19 e 20 del decreto-legge n. 415 del 1989, convertiti, senza modificazioni, dalla legge n. 38 del 1990.

In linea generale, le ricorrenti contestano le decurtazioni delle entrate operate con le disposizioni impugnate in quanto produrrebbero un grave squilibrio nella finanza regionale, nel senso che, di fronte a bisogni e a spese che restano immutati e sulla cui misura le regioni (e le province autonome) non hanno alcun potere di incisione, si produrrebbe una sensibile diminuzione delle risorse finanziarie, con conseguente violazione, oltreché delle norme statutarie attributive di competenze, degli artt. 119 e 81, quarto comma, della Costituzione, anche in relazione all'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468. Inoltre esse lamentano che con le norme impugnate si sia realizzata una discriminazione a loro danno nei confronti delle regioni a statuto ordinario e delle collettività da queste amministrate, in violazione degli artt. 3, 32, 97 e 116 della Costituzione.

La posizione delle ricorrenti muove dall'erronea convinzione che il decreto-legge n. 415 del 1989 abbia provveduto a stabilire per la finanza delle regioni (e delle province) ad autonomia differenziata un nuovo e definitivo rapporto tra entrate e spese. In realtà, come risulta chiaramente dai lavori preparatori e in particolare dalla relazione al disegno di legge di conversione del medesimo decreto-legge, le norme impugnate contengono misure provvisorie, vo'lte ad allineare le entrate prese in considerazione su un livello minimo calcolato in base a parametri di omogeneità delle relative prestazioni in riferimento all'intero territorio nazionale, misure che, comunque, fanno salvi - ed, anzi, si assumono come propedeutiche rispetto a - i futuri aggiustamenti che verranno definitivamente apportati a seguito di trattative del Governo con le singole regioni (o province) ad autonomia differenziata e nell'ambito di una riconsiderazione globale della materia, basata su più approfondite analisi del rapporto tra i flussi finanziari esistenti fra lo Stato e le regioni (e le province autonome) e le funzioni esercitate da queste ultime.

Non vi può esser dubbio che, come sottintendono le ricorrenti allorché lamentano una discriminazione in peius rispetto alle regioni a statuto ordinario, la specialità dell'autonomia deve riflettersi anche sul piano finanziario, nel senso che le regioni e le province autonome cui la Costituzione e gli Statuti assegnano più ampie e significative competenze debbono essere messe in grado di avere a disposizione risorse finanziarie maggiori e, comunque, adeguate alla più elevata quantità e qualità delle attribuzioni loro spettanti. Ma questa esigenza non può giustificare la pretesa che le regioni (e le province) ad autonomia differenziata siano chiamate a compartecipare con le regioni a statuto ordinario a tutti i fondi settoriali previsti a favore di queste ultime. Come si sottolinea nella già ricordata relazione al disegno di legge di conversione del decreto-legge impugnato, gli strumenti appropriati per stabilire un equilibrio tra le risorse finanziarie assegnate alle regioni (e alle province) ad autonomia differenziata e i più complessi compiti assegnati alle medesime sono costituiti dalle norme di attuazione e dalle leggi previste dagli Statuti per la revisione delle proprie norme finanziarie..

In considerazione di ciò e, in particolare, del rilievo che le disposizioni impugnate rappresentano provvedimenti provvisori contenenti una parte di una globale manovra finanziaria che dovrà esser compiutamente realizzata con gli appropriati strumenti legislativi, non è possibile ravvisare nelle misure urgenti impugnate motivi che possano indurre a dichiarare la loro complessiva previsione come costituzionalmente illegittima. Questa Corte ha più volte affermato che la Costituzione e gli Statuti speciali 528 N. 381 - Sentenza 12 luglio 1990 non definiscono, nè garantiscono, l'autonomia finanziaria delle regioni (e delle province autonome) < in termini quantitativi> e che la concessione ovvero l'eliminazione o la riduzione di determinati finanziamenti rivolti a scopi specifici rientrano nella discrezionalità del legislatore statale, ove, considerate nel loro insieme, non determinino quella < grave alterazione> del necessario rapporto di complessiva corrispondenza, che-nel rispetto delle compatibilità con i vincoli generali, derivanti dalle preminenti esigenze della finanza pubblica nel suo insieme, - deve sussistere fra bisogni regionali e oneri finanziari per farvi fronte, affinchè alle regioni (e alle province autonome) non sia impedito il normale espletamento delle loro funzioni (sent. n. 307 del 1983). In realtà, quest'ultima conseguenza non può essere imputata all'insieme delle disposizioni oggetto dell'attuale impugnazione, sia perchè tali norme, come si preciserà meglio nell'esame delle censure più specifiche, perseguono un fine perequativo, sia perchè esse non alterano il collegamento automatico di una consistente parte delle entrate delle regioni (e delle province) ad autonomia differenziata con il gettito dei tributi erariali regionalmente riscossi (sicchè le stesse riduzioni lamentate possono considerarsi suscettibili di un prevedibile riassorbimento nel tempo).

6.-L'art. 19, che è impugnato da tutte le ricorrenti, per violazione del principio di ragionevolezza e per disparità di trattamento rispetto alle regioni a statuto ordinario e alle relative popolazioni (artt. 3, 32 e 116 della Costituzione), dispone che, a decorrere dall'anno 1990, < alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano le assegnazioni di parte corrente del Fondo sanitario nazionale sono ridotte, tenuto conto del livello della compartecipazione ai tributi statali risultanti dai rispettivi ordinamenti, del 20 per cento per la Regione Valle d'Aosta e per le Province autonome di Trento e di Bolzano, del 10 per cento per le Regioni Sicilia e Friuli-Venezia Giulia e del 5 per cento per la Regione Sardegna>.

Oltre alle considerazioni già svolte nel punto precedente, occorre sottolineare che questo articolo, insieme agli artt. 18 e 20, attua una operazione finanziaria avente il fine di riequilibrare, nei campi considerati, gli effetti distorcenti prodottisi nei flussi finanziari tra Stato e regioni nel corso degli anni precedenti all'emanazione del decreto-legge. In questo periodo di tempo, infatti, la complessiva manovra dello Stato, volta a contenere la spesa pubblica e, in questo quadro, i trasferimenti alle regioni e agli enti locali, mentre ha prodotto una riduzione delle risorse reali messe a disposizione delle regioni a statuto ordinario, ha invece portato le regioni (e le province) ad autonomi a differenziata (oltrechè i comuni) a beneficiare di ogni incremento reale e monetario della pressione fiscale esercitata dallo Stato, a causa del sostanziale agganciamento delle loro entrate alla dinamica dei tributi a livello statale. Sicchè l'impugnata riduzione delle assegnazioni di parte corrente del Fondo sanitario nazionale-a fronte dell'accrescimento delle risorse finanziarie avvenuto a favore delle regioni (e delle province) ad autonomia differenziata e del perdurante effetto compensativo a loro favore realizzato dal tipo e dalla dimensione della compartecipazione delle stesse regioni ai tributi statali - non appare affatto arbitraria ed irragionevole sia con riferimento al raffronto con le regioni a statuto ordinario, sia con riguardo agli effetti sull'equilibrio finanziario degli enti ad autonomia differenziata a seguito della manovra contestata.

In conseguenza dei motivi ora addotti risulta non fondata anche la censura relativa alla violazione dell'art. 97 della Costituzione, con riferimento all'incidenza negativa che la norma impugnata avrebbe sulla funzionalità dell'amministrazione regionale.

7.-Lo stesso art. 19 è impugnato dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, nonchè dalla Regione Valle d'Aosta, nella parte in cui quantifica la decurtazione prima ricordata al 20 per cento delle assegnazioni di parte corrente del Fondo sanitario nazionale, dal momento che tale determinazione, in violazione degli artt. 3, 32 e 116 della Costituzione, discriminerebbe in peius le ricorrenti in paragone alle altre regioni ad autonomia differenziata (e alle relative popolazioni), le quali si sono viste ridurre le predette assegnazioni in percentuali minori (10 per cento per la Sicilia e il Friuli-Venezia Giulia e 5 per cento per la Sardegna).

Posto che, come si è già avvertito, il sindacato della Corte costituzionale è necessariamente ristretto alla verifica della ragionevolezza della scelta operata dal legislatore, non appare certo arbitraria una riduzione che è stata variamente modulata dal legislatore in ragione del livello di compartecipazione ai tributi statali proprio di ciascuna regione (o provincia) ad autonomia differenziata.

8.-Sempre l'art. 19 è oggetto di un'ulteriore censura da parte delle Province autonome di Trento e di Bolzano per la addotta violazione dell'art. 5, primo comma, della legge 30 novembre 1989, n. 386,-approvata con la procedura di cui all'art. 104 dello Statuto-a norma del quale < le province autonome partecipano alla ripartizione dei Fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi di prestazioni in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, secondo i criteri e le modalità per gli stessi previsti>.

Anche tale questione non è fondata, dal momento che, pur se il Fondo sanitario nazionale ha indubbiamente le caratteristiche dei fondi menzionati dalla norma invocata come parametro (v. art. 51 della legge n. 833 del 1978, per il quale il Fondo sanitario nazionale è preordinato al fine di < tendere a garantire i livelli di prestazione sanitaria [...] in modo uniforme su tutto il territorio nazionale>), non v'è alcuna disposizione nell'art. 5 della legge n. 386 del 1989 o in altra legge idonea a fungere da parametro costituzionale che garantisca una determinata quota, vale a dire una quantità di risorse finanziarie definita direttamente o attraverso il rinvio a precisi indici. Del resto, una siffatta garanzia non può ragionevolmente rinvenirsi in alcuna norma, per il fatto che l'anzidetta finalità perequativa dei fondi prima menzionati comporta logicamente che il legislatore proceda ad aggiustamenti progressivi in vista del superamento degli squilibri eventualmente formatisi tra le singole regioni (o province autonome).

9.-Oggetto di impugnazione sono anche: a) l'art. 18, primo comma, del decreto-legge n. 415 del 1989, nella parte in cui prevede, a decorrere dal 1990, la cessazione della corresponsione alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano dei finanziamenti di cui all'art. 5 della legge 29 luglio 1975, n. 405, all'art. 10 della legge 23 dicembre 1975, n. 698, all'art. 3 della legge 22 maggio 1978, n. 194 e all'art. 1 della legge 29 novembre 1977, n. 891; b) l'art. 20 dello stesso decreto- legge, il quale esclude, a partire dal 1990, le anzidette regioni e province autonome dal riparto dei fondi ivi previsti (fondo per i programmi regionali di sviluppo a destinazione indistinta, fondo per l'attuazione degli interventi programmati in agricoltura, fondo per l'attuazione del piano forestale nazionale, fondo per gli investimenti nel settore dei trasporti pubblici locali, fondo sanitario di conto capitale). Tali articoli sono impugnati per violazione dell'autonomia finanziaria garantita alle ricorrenti dagli artt. 119 e 81, quarto comma, della Costituzione (in relazione all'art. 27 della legge n. 468 del 1978), nonchè per violazione del principio di parità di trattamento fra gli enti regionali nel godimento dei diritti e delle posizioni garantiti dagli artt. 3, 32, 97 e 116 della Costituzione.

Tali questioni vanno dichiarate non fondate per gli stessi motivi espressi in precedenza e, in particolare, nei punti 5 e 6. Oltre a quegli argomenti non è inutile ricordare che la compartecipazione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome ai fondi vincolati indicati nelle norme impugnate costituisce un elemento aggiuntivo rispetto alle entrate libere, oggi assolutamente prevalenti in linea di fatto.

10.-L'art. 18, primo comma, è altresì impugnato da tutte le ricorrenti nella parte in cui esclude dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto di cui all'art. 9 della aziende di trasporto di cui all'art. 9 della legge 10 aprile 1981, n. 151, le regioni e le province ad autonomia differenziata, obbligando tuttavia queste stesse al rispetto dei principi stabiliti nella predetta legge, fra i quali quello che impone alle regioni di intervenire a ripianare i disavanzi delle aziende medesime. Anche tale disposizione violerebbe il principio costituzionale dell'autonomia finanziaria delle regioni (e delle province autonome) nelle materie di loro competenza (trasporti), in quanto, a giudizio delle ricorrenti, addosserebbe ad esse oneri senza dotarle di adeguate risorse per farvi fronte.

L'infondatezza della questione ora esaminata discende dagli stessi argomenti esposti in precedenza nei punti 5 e 6. Nè può costituire un elemento di difformità rilevante il ribadito vincolo all'osservanza, da parte delle regioni e delle province ad autonomia differenziata, dei principi della legge n. 151 del 1981.

Quest'ultima, infatti, oltre a essere nel suo complesso una legge quadro sui trasporti pubblici locali, contiene principi di coordinamento finanziario che, in quanto dettati in vista del perseguimento di finalità di interesse nazionale, non possono non vincolare anche le regioni (e le province) ad autonomia differenziata. II fatto che il legislatore abbia ribadito nelle disposizioni impugnate il vincolo ora menzionato non ha altro significato fuorchè quello di precisare che i < principi di cui alla legge 10 aprile 1981, n. 151>, debbono essere intesi come i principi di coordinamento finanziario ricavabili dalla predetta legge, disposti al fine dell'equilibrio finanziario delle aziende di trasporto locali.

11.- Un'ultima censura è mossa dalla Regione Siciliana agli artt. 18, 19 e 20 del decreto-legge n. 415 del 1989, i quali contrasterebbero con l'art. 53 della Costituzione in quanto la sottrazione o la riduzione delle entrate previste nelle disposizioni impugnate comporterebbero un < concorso alle spese pubbliche> da parte della Regione stessa, in difformità con il principio costituzionale che impone quel concorso < a tutti in ragione della loro capacità contributiva>. Gli stessi articoli, sempre secondo la ricorrente, contrasterebbero anche con l'art. 38 dello Statuto speciale per la Sicilia, il quale, muovendosi in senso opposto alle disposizioni impugnate, prevede invece un contributo statale a titolo di solidarietà nazionale, diretto al fine specifico di < bilanciare il minore ammontare dei redditi di lavoro rispetto alla media nazionale>.

La palese infondatezza delle questioni sollevate discende, come ha sottolineato giustamente l'Avvocatura generale dello Stato, dall'assoluta insuscettibilità delle disposizioni impugnate ad esser considerate come norme di imposizione tributaria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20, lett. b), c), d), e) del decreto-legge 28 dicembre 1989, n. 415 (Norme urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni, nonchè disposizioni varie), convertito nella legge 28 febbraio 1990, n. 38, sollevata, con il ricorso indicato in epigrafe, dalla Regione Trentino-Alto Adige, in riferimento all 'art . 40, ultimo comma, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige), agli artt. 4, 5, 6, 8, 9, 10, 16, 69 e ss. del medesimo Statuto, nonchè agli artt. 119 e 81, quarto comma, della Costituzione anche in relazione all'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468 ed agli artt. 3, 32, 116 e 97 della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 (limitatamente alla lett. a per la Regione Trentino-Alto Adige) del decreto-legge 28 dicembre 1989, n. 415, convertito nella legge 28 febbraio 1990, n. 38, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Trento e Bolzano, dalla Regione Trentino-Alto Adige, dalla Regione Valle d'Aosta, dalla Regione Sardegna e dalla Regione Friuli-Venezia Giulia in riferimento, rispettivamente, all'art. 52, ultimo comma, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige), all'art. 40, ultimo comma, del medesimo Statuto, all'art. 44, ultimo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Regione Valle d'Aosta), all'art. 47, ultimo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Regione Sardegna) ed all'art. 44 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. I (Statuto speciale per la Regione Friuli-Venezia Giulia);dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20, considerati nel loro complesso, del decreto- legge n. 415 del 1989, convertito nella legge n. 38 del 1990, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e dalle Regioni Sardegna, Siciliana, Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia in riferimento, rispettivamente, agli artt. 8, 9, 10 e 16 dello Statuto del Trentino-Alto Adige, agli artt. 3, 4, 5 e 6 e al Titolo III (artt. 7-14) dello Statuto della Regione Sardegna, all'art. 17 dello Statuto della Regione Siciliana, agli artt. 2, 3 e 4, e al Titolo III dello Statuto della Regione Valle d'Aosta, agli artt. 4, 5, 6, 7, 8 e al Titolo VI dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, nonchè agli artt. 119 ed 81, quarto comma, della Costituzione, anche in relazione all'art. 27 della legge n. 468 del 1978, ed agli artt. 3, 32, 97 e 116 della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 del decreto-legge n. 415 del 1989, convertito nella legge n. 38 del 1990, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, e dalle Regioni Sardegna, Siciliana, Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia in riferimento agli artt. 3, 32, 97 e 116 della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 del decreto-legge n. 415 del 1989, convertito nella legge n. 38 del 1990, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Bolzano e Trento e dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 3, 32 e 116 della Costituzione; dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 del decreto-legge n. 415 del 1989, convertito nella legge n. 38 del 1990, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, in riferimento all'art. 5, primo comma, della legge 30 novembre 1989, n. 386;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, primo comma, primo periodo, e dell'art. 20 del decreto-legge n. 415 del 1989, convertito nella legge n. 38 del 1990, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, dalle Regioni Sardegna, Siciliana, Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, in riferimento agli artt. 119, 81, quarto comma, della Costituzione, anche in relazione all'art. 27 della legge n. 268 del 1978, nonchè in riferimento agli artt. 3, 32, 97 e 116 della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, lett. a) del decreto-legge n. 415 del 1989, convertito, nella legge n. 38 del 1990, sollevata, con il ricorso dicato in epigrafe, dalla Regione Trentino-Alto Adige, in riferimento agli artt. 119, 81, quarto comma, della Costituzione, anche in relazione all'art. 27 della legge n. 268 del 1978, nonchè in riferimento agli artt. 3, 32, 97 e 116 della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, primo comma, secondo e terzo periodo, del decreto-legge n. 415 del 1989, convertito nella legge n. 38 del 1990, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Trento e Bolzano, dalle Regioni Sardegna, Siciliana, Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia in riferimento, rispettivamente, agli artt. 8, n. 18, dello Statuto della Regione Trentino Alto Adige; 3, lett. g) dello Statuto della Regione Sardegna; 17 dello Statuto della Regione Siciliana; 2, lett. h) dello Statuto della Regione Valle d'Aosta e 53 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182; 4, n. 11, dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia; dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 del decreto- legge n. 415 del 1989, convertito nella legge n. 38 del 1990, sollevata, con il ricorso indicato in epigrafe, dalla Regione Siciliana in riferimento all'art. 53 della Costituzione e all'art. 38 dello Statuto della Regione Siciliana.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/07/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Antonio BALDASSARRE, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 31/07/90.