SENTENZA N. 151
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
composta dai signori:
Prof. Livio PALADIN, Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL’ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale del
d.l. 27 giugno 1985, n. 312, recante "disposizioni urgenti per la tutela
delle zone di particolare interesse ambientale", convertito nella legge 8
agosto 1985, n. 431, promossi con ricorsi delle Regioni Veneto, Valle d'Aosta,
delle Province autonome di Bolzano, di Trento e della Regione Friuli-Venezia Giulia, notificati rispettivamente il 26
luglio, 19, 21 e 20 settembre 1985, depositati in Cancelleria il 2 agosto, il
25, 26 e 27 settembre 1985 ed iscritti ai nn. 34, 36,
37, 38 e 40 del registro ricorsi 1985.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 4 marzo 1986 il
Giudice relatore Aldo Corasaniti;
uditi gli avv.ti Gustavo Romanelli per
Ritenuto in fatto
1. -
1.1. - Assume
Le disposizioni sul trasferimento, infatti, integrano, completano ed
attuano i suindicati disposti costituzionali, così
assicurando alle Regioni, in relazione alle competenze
ad esse attribuite, una garanzia, di ordine costituzionale, di intangibilità da
parte del legislatore statale, quantomeno in ordine al nucleo centrale e
qualificante delle disposizioni che individuano l'ambito regionale di
competenza nelle singole materie; nucleo centrale che va identificato in base
ai principi indicati nell'art. 1 della legge n. 382 del 1975 (identificazione
delle materie per settori organici, in base a criteri oggettivi; valutazione
della connessione tra funzioni affini, strumentali, complementari; completezza
del trasferimento; esclusione di forme di codipendenza
funzionale tra uffici statali e regionali).
In attuazione di tali principi il d.P.R. n. 616
del
Risulta quindi che, nella normazione di
trasferimento, il legislatore statale si é impegnato a fondo nel conferire alle
proprie disposizioni carattere stabile e definitivo, corrispondente al rilievo
costituzionale della determinazione delle materie di competenza regionale,
imponendo a se stesso la conformazione di tali competenze.
Ne deriva che il legislatore ordinario ha perduto la piena disponibilità
della disciplina delle funzioni trasferite o delegate alle Regioni, e non può
quindi alterare a suo piacimento l'ordine delle funzioni, in tal modo costituzionalizzato.
Per contro, il decreto legge n. 312 del 1985 sovverte tale ordine,
invadendo la sfera regionale in due modi: a) anzitutto con il riassorbimento da
parte dello Stato legislatore di competenze specifiche della Regione in materia
ambientale; b) in secondo luogo facendo interferire la disciplina impartita in
altre materie di competenza regionale, senza prevedere alcuna forma di
coordinamento e di intesa.
Sotto il primo profilo, si é imposto, attribuendo forma
legislativa ad un atto sostanzialmente amministrativo, il vincolo paesaggistico
su intere categorie di beni (art. 1, comma primo), stravolgendo il criterio
previsto dalla legge n. 1497 del 1939, che consentiva il vincolo solo su beni
specificamente individuati, in ragione del loro accertato interesse
particolare, e sottraendo alle Regioni la competenza ad individuare le bellezze
naturali.
Sono state altresì colpite ulteriori competenze
proprie delle Regioni, in tema di protezione dell'ambiente, e precisamente
quelle indicate dagli artt. 66, 80 ed 83 del d.P.R.
n. 616 del 1977. Infatti, vincolando la condizione di intere
categorie di beni, costituenti vasti comparti di territorio, una notevole parte
del settore dell'urbanistica e dell'agricoltura e foreste é stata sottratta
alla competenza delle Regioni, private del potere di tutela dell'ambiente
compreso nelle suindicate materie.
A tale invasione di competenza regionale il legislatore
é pervenuto in modo irrazionale, sia perché ha indiscriminatamente vincolato, a
fini di tutela paesaggistica, anche categorie di beni individuati secondo
logiche diverse, come le acque pubbliche, considerate dal T.U. n. 1775
del 1933 per finalità di sfruttamento, e le zone gravate da usi civici, che
hanno finalità economiche; sia perché ha determinato una confusione e
sovrapposizione di competenze statali e regionali, attribuendo
"anche" al Ministero per i beni culturali le
funzioni di "vigilanza e tutela" sull'osservanza del vincolo (art. 1,
comma secondo, prima parte); sia perché ha riattribuito
allo Stato, revocando la delega alla Regione, il "parere" (da
individuarsi nella "autorizzazione") di cui all'art. 7 della legge n.
1497 del 1939 (art. 1, comma secondo, seconda parte), nonché il potere di esame
dei progetti di opere di manutenzione straordinaria e di imposizione di
prescrizioni (art. 1, comma quinto).
Quanto al profilo sub b), il decreto legge impugnato interferisce nelle
competenze regionali in tema di agricoltura,
silvicoltura, urbanistica e pianificazione territoriale, le quali riguardano
settori incisi dal vincolo totale di interi territori, e non possono
adeguatamente esercitarsi, in difetto di strumenti di coordinamento e di regole
organizzative e procedimentali, anche a garanzia dei
soggetti che subiscono il vincolo, con conseguente violazione dell'art. 97
Cost..
1.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi mediante
l'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o comunque infondato.
Osserva l'interveniente che il decreto legge n. 312 del 1985 - nel
frattempo convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431 -
non invade la sfera di competenza regionale
costituzionalmente garantita.
Quanto alla asserita incidenza su materie nelle
quali
Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato sono poi inammissibili le censure
della ricorrente incentrate sulla avvenuta delega alle
Regioni delle funzioni amministrative relative ai beni ambientali ex art. 82
del d.P.R. n. 616 del 1977, poiché non sussistendo al
riguardo una competenza legislativa regionale, non può
correlativamente ipotizzarsi una incompetenza della
legge statale, che, nelle materie soltanto delegate, può certamente produrre
una normazione di dettaglio. Le suddette censure sono comunque
infondate poiché la normativa impugnata - della quale si contesta la qualità di
legge - provvedimento - non ha modificato l'art. 82 del d.P.R.
n. 616 del
2. -
2.1. - Assume la ricorrente che la legge impugnata - di conversione, con
modifiche, del d.l. n. 312 del 1985, il quale, a sua volta, recepiva
sostanzialmente il d.m. 21 settembre 1984 (c.d.
decreto Galasso), il cui art. 1 (che assoggettava a
vincolo paesaggistico una serie di beni individuati per categorie) era stato
annullato dal TAR Lazio con sentenza 31 maggio 1985, n. 1548 - é illegittima,
in quanto viola l'art. 2 dello Statuto speciale della Valle d'Aosta, incidendo
su materie di competenza legislativa esclusiva della Regione, e precisamente:
a) sulla "tutela del paesaggio", prevista
dall'art. 2, lett. q) dello Statuto, nell'esercizio della quale
b) sulla materia della "urbanistica" e dei "piani
regolatori per zone di particolare importanza turistica", prevista
dall'art. 2, lett. g) dello Statuto, che appare strettamente
connessa a quella della tutela del paesaggio;
c) sulla materia concernente le "foreste" e la "flora e
fauna", riservata dall'art. 2, lett. d), dello Statuto alla Regione, ed
incisa dall'art. 1, lett. g), della legge n. 431 del 1985, che assoggetta a
vincolo "i territori coperti da foreste e da boschi";
d) sulla materia delle "acque pubbliche destinate ad irrigazione e
ad uso domestico", contemplata dall'art. 2, lett. m), dello Statuto, ed
interessata dal vincolo, previsto dall'art. 1, lett. c), della legge n. 431 del
1985, per "i fiumi, i torrenti e i corsi d'acqua iscritti negli
elenchi" delle acque pubbliche;
e) sulla materia concernente gli "usi
civici, consorterie, promiscuità per condomini agrari e forestali",
riservata alla Regione dall'art. 2, lett. o), dello Statuto, nella quale
interferisce il vincolo delle "aree assegnate alle università agrarie e
delle zone gravate da usi civici", derivante dall'art. 1, lett. h), della
legge n. 431 del 1985.
L'incidenza della disciplina per la tutela delle zone di
particolare interesse ambientale sulla competenza delle Regioni a statuto
speciale era, del resto, apparsa tanto evidente allo stesso legislatore
statale, che il d.l. n. 312 del 1985 aveva espressamente fatto salve le
competenze delle suddette Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano
(art. 1, comma sesto).
La legge di conversione n. 431 del 1985, per contro. ha
ritenuto di poter evitare il rispetto delle competenze di Regioni e Province
autonome, sopprimendo la suindicata clausola di
salvezza e qualificando espressamente, nell'art. 2, comma primo, "le
disposizioni di cui all'art. 1 del decreto legge", come "norme
fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica".
Tale espediente non é tuttavia idoneo, ad avviso della
ricorrente, a consentire il sacrificio delle competenze esclusive della Regione.
Invero, non può valere ad attribuire alle
disposizioni degli artt. da
Detta indagine, d'altro canto, conduce, per la legge n. 431 del 1985, ad
esito negativo, in quanto:
a) l'art. 1 di essa si pone come completamento
dell'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, che regola
la competenza delegata alle Regioni a statuto ordinario in materia paesistica,
e non può quindi costituire, per la sua specifica portata,
riforma economico-sociale, e meno che mai nei confronti delle regioni a
statuto speciale, alle quali norme di rango costituzionale attribuiscono una
competenza legislativa primaria in materia di paesaggio;
b) previsioni essenziali della disciplina in questione hanno efficacia di
norme meramente provvisorie, temporanee e di urgenza
(come gli artt. 1-quinquies ed 1-ter), il che appare difficilmente conciliabile
con la pretesa di considerare la legge come "riforma
economico-sociale".
In subordine, osserva ancora la ricorrente, anche
ammettendo che la legge impugnata integri gli estremi di una "riforma
economico-sociale", é da escludere che tutte le disposizioni della legge
possano ricevere la qualifica di "norme fondamentali" dell'asserita
riforma, ed in particolare che abbiano tale natura le norme di dettaglio e
quelle procedimentali. Dovrà quindi essere
Deduce inoltre
E la denunciata illegittimità costituzionale
permane anche riconoscendo alle disposizioni della legge impugnata la qualifica
di "norme fondamentali di riforma economico-sociale" poiché una legge
di riforma adottata con legge ordinaria non puo
trasferire, in contrasto con norme statutarie di rango costituzionale, competenze
che queste ultime norme hanno attribuito alla Regione. Altrimenti si verificherebbe l'assurdo della modifica di una legge
costituzionale da parte di una legge ordinaria.
2.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che il
ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque infondato.
Deduce l'interveniente che l'art. 2 della legge n. 431 del 1985, che
definisce le disposizioni dell'art. 1 del decreto legge n. 312 del 1985 come
norme fondamentali di riforma economic -sociale della
Repubblica, non contraddice quanto stabilito dal sesto comma dell'art.1 del citato decreto legge (non convertito) circa la
salvezza delle competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province
autonome, ma costituisce una più corretta definizione del valore delle nuove
norme emanate in materia paesistica in rapporto agli ordinamenti delle
autonomie speciali.
Tra le disposizioni dell'art. 1 del decreto legge, nel testo risultante
dalla conversione, non sembrano immeritevoli della suddetta qualificazione
(ovviamente soggetta al vaglio della Corte), i primi quattro commi, che
delimitano l'ambito oggettivo della nuova disciplina, ravvisando in
"tipologie territoriali" puntualmente definite (coste marittime; zone
contermini ai fiumi, ai torrenti ed ai laghi; boschi e foreste; zone umide;
zone montuose eccedenti determinate quote; ghiacciai; vulcani ecc.) i tratti
caratteristici del territorio nazionale che concorrono in modo essenziale a
costituire il "paesaggio" come bene costituzionalmente protetto (art.
9 Cost.), e che in quanto tali vanno sottoposti ad un regime di tutela idoneo a
garantirne la salvaguardia, privilegiando le esigenze
di conservazione su quelle di trasformazione del territorio suscettive di
compromettere i valori paesistici.
Trattasi di innovazione legislativa di largo
respiro, capace di realizzare una inversione di tendenza sui processi
economici, e di promuovere, sul piano sociale, le esigenze connesse ad una
migliore qualità della vita.
Alle disposizioni suddette non può quindi negarsi natura di "norme
fondamentali", idonee a fungere da limite all'autonomia regionale, in
quanto, in presenza di scelte di fondo, quali sono
quelle finalizzate alla realizzazione di un ambiente vivibile, non possono
essere accettati squilibri nell'ambito della collettività nazionale.
D'altronde, anche
3. -
3.1. - Osserva la ricorrente che lo Statuto speciale della Regione
Trentino Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670)
attribuisce alla Provincia potestà legislativa primaria in materia di
"tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e
popolare"; "urbanistica e piani regolatori"; "tutela del
paesaggio"; "usi civici"; "Alpicoltura
e parchi per la protezione della flora e della fauna"; "agricoltura, foreste e corpo forestale, patrimonio zootecnico ed ittico,
istituti fitopatologici, consorzi, bonifica";
"opere idrauliche della terza, quarta e quinta categoria" (art. 8,
rispettivamente nn. 3, 5, 6, 7, 16, 21 e 24,
Statuto). In base all'art. 16 dello Statuto spettano altresì alla Provincia,
nelle stesse materie e con gli stessi limiti inerenti
alla potestà legislativa, le corrispondenti potestà amministrative. A seguito
delle norme di attuazione dello Statuto,
Le competenze così trasferite sono state - secondo quanto afferma la
ricorrente - ampiamente esercitate. In particolare, la legge provinciale 25
luglio 1970, n.
Secondo la ricorrente, sulla base di tale
disciplina legislativa gran parte del territorio della Provincia é stata
sottoposta a vincolo paesistico.
Precisate così le proprie competenze legislative ed amministrative e il
modo con cui sono state esercitate, assume la
ricorrente che la legge n. 431 del 1985 (di conversione, con ampie modifiche,
del d.l. n. 312 del 1985, il quale, a sua volta, recepiva
sostanzialmente il d.m. 21 settembre 1984) non può
essere ritenuta applicabile in toto nel territorio
provinciale, essendo in gran parte formulata come disciplina integrativa del d.P.R. n. 616 del 1977, relativo alle sole Regioni a
Statuto ordinario. Ove, però - stante la soppressione in sede di conversione
del decreto legge della clausola di salvezza delle competenze delle Regioni a
Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e
soprattutto in virtù del fatto che l'art. 2 della legge assimila le
disposizioni contenute nell'art. 1 della stessa legge alle "norme
fondamentali delle riforme economico-sociali" - si volesse
ritenere che la nuova disciplina é applicabile in toto
anche alla Provincia ricorrente, la legge sarebbe palesemente incostituzionale
e lesiva delle competenze costituzionalmente garantite alla Provincia stessa.
Non solo, infatti, la legge impugnata ha preteso di intervenire in una
materia che é di esclusiva competenza provinciale; ma
ciò é avvenuto con una disciplina estremamente analitica, e del tutto
incompatibile con quella precedentemente adottata dalla Provincia e che aveva
del resto già permesso una efficace tutela dell'ambiente.
Soggiunge altresì la ricorrente che gli ulteriori
interventi del Ministero dei beni culturali previsti dalla legge, se pure si
volessero ritenere ammissibili nei confronti delle Regioni a Statuto ordinario,
sono del tutto inconciliabili con la speciale autonomia (anche amministrativa)
costituzionalmente riconosciuta alla Provincia di Bolzano: tanto più se manchi
- come nella specie manca - qualsiasi previsione di forme di coordinamento fra
le discipline statali e provinciali e di collaborazione fra i due enti.
Osserva anche la ricorrente che anche l'attribuzione al Ministro per i
beni culturali di poteri sostitutivi viola gravemente le competenze regionali.
E ciò per due ordini di motivi: in primo luogo, perché l'attribuzione al
Governo del potere di adottare provvedimenti sostitutivi nel caso di inattività della Provincia é ammissibile solo in
relazione alle funzioni amministrative delegate dallo Stato (mentre qui si
verte in materia di competenza propria ed esclusiva della Provincia); in
secondo luogo, perché, in ogni caso, il potere di adottare eventuali
provvedimenti sostitutivi non spetta al singolo Ministro, ma semmai al
Consiglio dei ministri su proposta del Ministro competente (cfr.
art. 16, ultimo comma, d.P.R.
22 marzo 1974, n. 381).
In particolare, la ricorrente afferma l'incostituzionalità dell'art. 2,
comma primo, della legge, mediante il quale si vorrebbe imporre alla Provincia
il rispetto di tutte le disposizioni stabilite dall'art. 1 della stessa legge,
equiparandole a norme fondamentali di riforme economico-sociali.
La natura di riforma economico-sociale deve risultare
obiettivamente - come ha insegnato
Egualmente non possono essere considerate norme fondamentali di una legge
di riforma le disposizioni - pur esse contenute nell'art. 1 - che attengono
alle procedure di autorizzazione ed alle competenze
del Ministro dei beni culturali ed ambientali: anche tali disposizioni - oltre
ad avere carattere analitico e puntuale - sono solo integrazione e
specificazione di quanto già disposto da leggi preesistenti.
3.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che il
ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque infondato, svolgendo
argomentazioni coincidenti con quelle riportate supra
sub 2.2.
4. -
4.1. - Osserva la ricorrente che l'art. 2 della legge n 431 del 1985,
equiparando le disposizioni contenute nell'art. 1 della legge alle "norme
fondamentali di riforme economico-sociali" e rendendole così applicabili
anche alla Provincia autonoma di Trento, viola le competenze costituzionalmente
garantite della Provincia.
La ricorrente non contesta il fatto che la
potestà legislativa primaria della Provincia sia limitata dalle norme
fondamentali delle riforme economico-sociali; né tantomeno
contesta l'opportunità di un intervento più energico dello Stato per la tutela
delle zone di particolare interesse ambientale.
Non é tuttavia ammissibile che tale risultato sia raggiunto attraverso
una normativa quale quella impugnata, costituita non
solo da nuovi principi, ma anche da una serie di norme applicative che
prevedono specifiche competenze di organi dello Stato, nell'ambito di materie
che sono di esclusiva spettanza della Provincia.
Alla luce di quanto insegnato dalla Corte costituzionale con la sentenza
n. 219 del 1984, secondo cui la natura di riforma economico-sociale di una
normativa "non può essere determinata dalla sola apodittica affermazione
del legislatore", ma "deve ricercarsi
nell'oggetto della normativa, nella sua motivazione politico - sociale, nel suo
scopo, nel suo contenuto, nella modificazione che essa apporta nei rapporti
sociali", può dubitarsi che le disposizioni
dell'art. 1 della legge costituiscano "norme fondamentali di riforma
economico-sociale"
Non si vede, infatti, come tali disposizioni, che riproducono le norme di
un precedente decreto emanato dal Ministro per i beni culturali ed ambientali
in applicazione dell'art. 82 del d.P.R. n. 616 del
1977, al solo scopo di integrare gli elenchi delle bellezze naturali e di insieme, possano essere divenute, nel passaggio dal
decreto ministeriale al decreto legge e poi alla legge, norme fondamentali di
riforma economico-sociale. E tale dubbio é tanto più
forte, se si tiene presente che si tratta di norme aventi carattere soprattutto
procedimentale, che si aggiungono al sistema
normativo preesistente, senza modificarlo, ed integrano l'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, relativo alle sole Regioni a
Statuto ordinario.
Ma, quand'anche si ritenesse che la l. n. 431
costituisca nel suo insieme una riforma economico-sociale, tale caratteristica
non spetta certo - a giudizio della ricorrente - a quelle disposizioni che,
introducendo nuovi vincoli, attribuiscono ad organi dello
Stato funzioni amministrative in materie che sono di competenza esclusiva della
Provincia, ovvero, innovando le procedure esistenti, sottraggono agli organi
della Provincia attribuzioni che a loro competono.
Se, infatti, secondo quanto dispone l'art. 2
della legge, si ritenessero applicabili alla Provincia di Trento tutte le
disposizioni contenute all'art. 1, si ricondurrebbero in capo al Ministro una
serie di poteri, altrimenti spettanti alla Provincia. In particolare, l'art. 1
attribuisce al Ministro: a) il potere di provvedere in via sostitutiva sulla
richiesta di autorizzazione di cui all'art. 7 della l.
29 giugno 1939, n. 1497, quando l'autorizzazione non sia stata rilasciata o sia
stata negata alla Provincia; b) il potere di annullare in ogni caso, con
provvedimento motivato, l'autorizzazione provinciale; c) il potere di
rilasciare o negare, per le opere da eseguirsi da amministrazioni statali,
l'autorizzazione di cui al citato art. 7, "in difformità dalla decisione
dell'amministrazione regionale" (o provinciale), anziché prevedere che in
questi casi si proceda d'intesa, secondo il principio che "la tutela del
paesaggio presuppone, normalmente, la comparazione ed il bilanciamento di
interessi diversi, in particolare degli interessi pubblici rappresentati da una
pluralità di soggetti, la cui intesa é perciò necessario perseguire di volta in
volta" (Corte cost. sent. n. 94 del 1985). Lo
stesso art. 1 attribuisce inoltre agli organi del Ministero: d) il potere di
vigilare anch'essi sull'osservanza dei vincoli posti dal primo comma dell'art.
1, dando vita così a una gestione congiunta (statale e
provinciale) della vigilanza.
Analogamente, se si ritenessero applicabili tutte le disposizioni
dell'art. 1, si pretenderebbe che valgano anche in Provincia di Trento
disposizioni con le quali viene precluso, in ordine a
determinati beni od interventi, l'esercizio di poteri della Provincia. Ciò vale
in particolare: a) per la norma secondo cui l'autorizzazione ex art. 7 legge n.
1497 non é richiesta per gli interventi di manutenzione ordinaria,
straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non
alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici, ecc.; b) per la norma che esclude dal vincolo di cui al primo
comma le zone A e B e, limitatamente alle parti ricomprese
nei piani pluriennali di attuazione, le altre zone delimitate negli strumenti
urbanistici, ecc.; c) per la norma che esclude ogni potere della Provincia,
anche sotto forma di intesa con le amministrazioni statali, per le
autorizzazioni di cui sopra nei riguardi delle attività di ricerca ed
estrazione di cui al R.D. 29 luglio 1927, n. 1443.
A giudizio della ricorrente, tali norme, regolando
solamente le modalità applicative dei nuovi principi eventualmente posti dalla
l. n. 431 del 1985, non possono essere considerate norme fondamentali di
riforma economico-sociale; in ogni caso, se, in quanto norme fondamentali,
fossero ritenute applicabili alla Provincia di Trento, sarebbero
costituzionalmente illegittime in quanto altererebbero l'ordine delle
competenze previste dallo Statuto speciale, avendo
Deduce altresì la ricorrente che in sede di conversione del decreto legge
n. 312 del 1985, il Senato, non volendo addivenire,
per evitare la decadenza del decreto legge, ad una modifica del testo formulato
dalla Camera dei deputati relativamente alla applicabilità della legge alle
Regioni a Statuto speciale ed alle Province autonome, approvava un ordine del
giorno con il quale si impegnava il Governo "a coerentemente interpretare
la disposizione contenuta nell'art. 2 del disegno di legge di conversione nel
senso che costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale della
Repubblica i principi desumibili dalla disciplina posta dall'art. 1 del
decreto-legge n. 312, e non le singole disposizioni normative in cui tali principi
sono stati tradotti nella stesura dell'articolo in parola, così come formulato
dall'altro ramo del Parlamento" (v.343 Resoconto
sommario, Seduta del 2 agosto 1985, pagg. 14-15).
L'ordine del giorno veniva accettato, a nome del
Governo, dal Sottosegretario Galasso, che aggiungeva
che l'art. 2 "non potrebbe che essere interpretato nel senso che le norme
fondamentali di riforma economico-sociale devono essere desunte dal complesso
della disciplina posta dall'art. 1 del decreto legge e non già dalla sua articolazione
letterale".
Ragioni di incostituzionalità analoghe a quelle
sopra enunciate varrebbero - a giudizio della ricorrente - nei confronti della
norma impugnata se tra le disposizioni che sono dichiarate essere norme
fondamentali di riforma economico-sociale dovessero ricomprendersi
anche le disposizioni degli artt. 1-bis, 1-ter, 1-quater,
1-quinquies e 1 - sexies introdotti dalla legge n.
431 del 1985, disposizioni che, in realtà, non sono richiamate dall'art. 2 (che
si riferisce alle disposizioni di cui "all'art. 1 del decreto-legge 27
giugno 1985, n. 312 ... come convertito dalla presente legge) e sono formulate
in modo da essere riferite alle sole Regioni a Statuto ordinario.
4.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che il
ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque infondato, svolgendo
argomentazioni coincidenti con quelle riportate supra
sub 2.2.
5. -
5.1. - Assume la ricorrente che l'art. 2 della legge ha qualificato le
disposizioni contenute nell'art. 1 come "norme fondamentali di riforma
economico-sociale" solo per permettere l'applicazione di quell'articolo
anche alle Regioni a Statuto speciale e alle Province autonome di Trento e
Bolzano (capovolgendo così l'impostazione del decreto-legge che faceva salve le
loro competenze).
Ma la qualificazione operata dal legislatore non é
sufficiente - come ha insegnato la sent. n. 219
del 1984 della Corte costituzionale - ad attribuire il carattere di norma
fondamentale di riforma economico-sociale a qualsivoglia normativa; e nel caso
di specie la qualificazione anzidetta non corrisponde al reale oggetto della
normativa.
Il diretto ed immediato assoggettamento a vincolo paesaggistico,
indiscriminatamente e senza limitazioni, di tutta una serie di "beni e
luoghi", indicati per categorie (in ciò si sostanzia - secondo la
ricorrente - il contenuto dell'art. 1), non può essere considerato
norma fondamentale di una riforma economico-sociale, ma costituisce piuttosto
violazione sostanziale di un principio generale dell'ordinamento giuridico, quale
é il principio del giusto procedimento. Secondo tale principio, come enucleato dalla sent. n. 13
del 1962 della Corte costituzionale, quando il legislatore dispone che si
apportino limitazioni ai diritti dei cittadini, la legge enuncia di regola
delle "ipotesi astratte, predisponendo un procedimento amministrativo
attraverso il quale gli organi competenti provvedono ad imporre concretamente
tali limiti, dopo aver fatto gli opportuni accertamenti, con la collaborazione,
ove occorra, di altri organi pubblici, e dopo aver messo i privati interessati
in condizioni di esporre le proprie ragioni, sia a tutela dei propri interessi,
sia a titolo di collaborazione nell'interesse pubblico".
La normativa impugnata, invece, si caratterizza - a giudizio della ricorrente
- solo per la soppressione di ogni procedimento
amministrativo per l'individuazione dei beni e dei luoghi sottoposti a vincolo
paesaggistico. Le leggi vigenti non impedivano di assoggettare al vincolo i
beni e i luoghi ora direttamente individuati dal legislatore: impedivano solo
che a tale risultato si pervenisse senza un previo procedimento amministrativo.
L'aver violato, allora, un principio generale dell'ordinamento non può certo
costituire norma fondamentale di riforma economico-sociale.
Deduce altresì la ricorrente che la legge n. 431 del 1985 viola l'art. 4, n. 12, dello Statuto speciale che
attribuisce alla Regione competenza legislativa primaria in materia
urbanistica. Nell'esercizio di tale competenza
Sotto un primo profilo, la legge n. 431 viola la
competenza primaria della Regione (art. 4, n. 12, legge cost. 31 gennaio 1963,
n.
La stessa diretta indicazione di beni e luoghi vincolati da parte del
legislatore, non solo comprime i diritti dei cittadini, senza la garanzia del
giusto procedimento, ma menoma i poteri regionali di valutazione e di scelta,
poteri sicuramente non dissociabili dalla potestà di pianificazione.
La competenza regionale é altresì violata per ciò che attiene agli
aspetti gestionali, in quanto la legge estende il
campo delle autorizzazioni amministrative ex art. 7 legge n. 1497 del 1939,
creando seri ostacoli alle iniziative edilizie, pubbliche e private.
La legge impugnata, infine, moltiplica irragionevolmente gli interventi
ministeriali concorrenti a quelli regionali, congegnandoli a guisa di controlli
sistematici di merito sui medesimi oggetti (cfr. nono e ultimo comma dell'art. 82, d.P.R.
n. 616 del 1977, come modificato dalla legge n. 431 del 1985; secondo comma
dell'art. 1-bis; secondo comma dell'art. 1-quater), violando, oltre l'art. 4,
n. 12, anche l'art. 58 dello Statuto di autonomia.
5.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che il
ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque infondato.
Osserva l'interveniente che la ricorrente Regione, nella materia della
tutela del paesaggio - materia cui ineriscono le
disposizioni della legge impugnata -, non ha competenza legislativa primaria,
ma può solo emanare norme di integrazione ed
attuazione (art. 6, n. 3, dello Statuto); sul piano delle funzioni
amministrative,
D'altra parte, la "tutela del paesaggio" non si limita a
pervadere funzioni pubbliche di varia connotazione oggettiva (agricoltura e foreste, urbanistica. ecc.), ma é
affidata ad un autonomo apparato giuridico-amministrativo,
la cui struttura portante é ancora costituita dalla legge n. 1497 del 1939.
Il vincolo di tutela paesistica da questa legge istituito e regolato opera con finalità ed effetti che non si elidono o
non si confondono con quelli propri della regolamentazione di altri settori:
appartiene, invece, alla logica stessa del sistema che su un medesimo dato
oggettivo (ad es. una superficie boschiva) operino in modo indipendente, e
quindi cumulativo, gli effetti di un vincolo paesistico, di una disciplina di
assetto forestale o di una prescrizione urbanistica.
É quindi perfettamente fisiologico che l'esercizio della funzione di
tutela del paesaggio - sia in sede legislativa che amministrativa - non resti
priva di ripercussioni sulle condizioni di gestione di altri
settori di intervento pubblico: questi altri settori ne restano però
influenzati soltanto ab externo,
né, a causa di tali effetti puramente riflessi, si può affermare che misure
adottate a fini di tutela paesistica comportino di per sé una ingerenza
nell'amministrazione di altre materie (un esempio recente dell'atteggiarsi di
queste relazioni é dato dalla legge n. 47 del 1985).
Alla luce di queste osservazioni (e della sentenza della Corte
costituzionale n. 141 del 1972), si può - secondo l'interveniente - concludere che la legge n. 431 del 1985, regolando la tutela
delle bellezze naturali sul territorio nazionale, non pertiene
ad una materia sulla quale
Deduce altresì l'Avvocatura dello Stato l'inammissibilità delle
argomentazioni della ricorrente relative alla
violazione del principio del giusto procedimento, dovendo il giudizio
principale di legittimità costituzionale promosso da una Regione contro una
legge dello Stato restare circoscritto ai profili concernenti l'incidenza
dell'atto legislativo sulla sfera di competenze costituzionalmente garantite
alla Regione.
Il richiamo alla sent. n. 13 del 1962 della
Corte costituzionale (che dichiarò illegittima una legge valdostana che
imponeva il vincolo paesistico su tutto il territorio regionale) appare
comunque non pertinente, in quanto la legge n. 431 del 1985, pur imponendo ex lege un vincolo di tutela paesistica, ha operato con metodo
affatto diverso, facendo ricadere i suoi effetti su ambiti territoriali
individuati in funzione della presenza di caratteri morfologici che rivestono
una indubbia rilevanza come elementi costitutivi del paesaggio.
6. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica hanno depositato memorie
illustrative, svolgendo anche ulteriori
considerazioni, le Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia
Giulia e
Considerato in diritto
1. - I giudizi introdotti con i ricorsi di cui in
epigrafe si prestano ad essere esaminati congiuntamente e definiti con unica
decisione. Infatti il ricorso proposto dalla
Regione Veneto ha per oggetto l'impugnazione diretta del decreto-legge 27
giugno 1985, n. 312 (recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di
particolare interesse ambientale) mentre i ricorsi proposti rispettivamente
dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, dalla Regione
Val d'Aosta, dalla Provincia autonoma di Bolzano e dalla Provincia autonoma di
Trento hanno per oggetto l'impugnazione diretta della legge 8 agosto 1985, n.
431, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge sopra indicato.
2. - É noto che, annullato con sentenza del TAR del Lazio 31 maggio 1985,
n.
Poiché l'art. 1 del decreto in cui é racchiusa la detta imposizione,
oggetto precipuo delle censure della Regione, é stato sostituito in sede di conversione,
le censure vengono ad appuntarsi contro la norma contenuta nella disposizione
sostitutiva - art. 1 della legge n. 431 del 1985 - con la
quale sono riprodotte l'imposizione stessa e l'elencazione, pur
ampliata, delle zone e località protette; norma, questa, che ha, come già nel
decreto-legge, carattere centrale e qualificante nella legge di conversione, e
che costituisce la chiave di volta dell'intera nuova normativa.
3. - Deduce appunto
Specificamente
L'introdotta modificazione si sarebbe anzi risolta - con ancor più
evidente violazione degli indicati precetti costituzionali - in un sostanziale
riassorbimento da parte dello Stato delle competenze regionali trasferite nella
materia urbanistica e nelle altre connesse come sopra
menzionate, nelle quali si concreta la protezione ambientale.
E, sotto altro aspetto, la denunciata violazione sarebbe perpetrata, o
resa più manifesta, dalla arbitrarietà della
modificazione riappropriativa da parte dello Stato,
modificazione non giustificata da criteri razionalmente correlati alla natura
obbiettiva dei beni protetti, ma riferibile al tentativo dello Stato di
ritagliare (a proprio favore) un'autonoma materia ambientale da quelle - in cui
la prima, invece, sempre secondo la ricorrente, necessariamente si risolve -
dell'urbanistica e delle altre connesse.
I vizi sarebbero infine aggravati dalla mancata previsione di strumenti procedimentali di coordinamento, idonei a prevenire o a
comporre le interferenze fra le competenze statali e quelle regionali,
interferenze rese inevitabili dall'estensione delle prime.
4. - Va premesso che il richiamo all'art. 97 Cost. non é idoneo a
sostanziare un'autonoma censura quando, come nel caso, si tratti
di impugnazione diretta di una legge dello Stato da parte della Regione ai
sensi dell'art.
Va premesso altresì che é analogamente fuori luogo il ripetuto richiamo
alla violazione del principio del giusto procedimento. Il principio, infatti, a
parte la questione se esso abbia natura
costituzionale, é strettamente collegato con la tutela delle situazioni dei
cittadini nei confronti dei pubblici poteri (in tal senso, con riferimento
all'art. 42 Cost., la sentenza di questa Corte n. 13 del 1962 lo ha definito un
principio generale dell'ordinamento giuridico dello Stato), ma non concerne la
tutela di competenze regionali costituzionalmente garantite, che é oggetto del
giudizio di impugnazione diretta.
Ciò detto, per dare adeguata soluzione alle questioni pertinentemente
poste in riferimento alla violazione degli artt. 117 e
118 Cost., é necessario considerare che la norma
impugnata si discosta nettamente dalla disciplina delle bellezze naturali
contenuta nella legislazione precostituzionale di
settore (legge 29 giugno 1939, n. 1497). Infatti
quella disciplina prevede una tutela diretta alla preservazione di cose e di
località di particolare pregio estetico isolatamente considerate. La normativa
impugnata, invece, proprio per l'estensione e la correlativa intensità
dell'intervento protettivo - imposizione del vincolo paesistico (e quindi
preclusione di sostanziali alterazioni della forma del territorio) in ordine a vaste porzioni e a numerosi elementi del
territorio stesso individuati secondo tipologie paesistiche ubicazionali
o morfologiche rispondenti a criteri largamente diffusi e consolidati nel lungo
tempo - introduce una tutela del paesaggio improntata a integralità e
globalità, vale a dire implicante una riconsiderazione assidua dell'intero
territorio nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale.
Una tutela così concepita é aderente al precetto dell'art. 9 Cost., il quale, secondo una scelta operata al più alto livello
dell'ordinamento, assume il detto valore come primario (cfr.
sentenze di questa Corte n. 94 del 1985
e n. 359 del
1985), cioé come insuscettivo
di essere subordinato a qualsiasi altro.
Essa non esclude né assorbe la configurazione dell'urbanistica quale
funzione ordinatrice, ai fini della reciproca compatibilità, degli usi e delle
trasformazioni del suolo nella dimensione spaziale considerata e nei tempi
ordinatori previsti: funzione attribuita, con l'art. 80 del d.P.R.
n. 616 del
Peraltro, i problemi concernenti il rapporto fra
competenze statali e competenze regionali che una siffatta tutela paesaggistica
pone all'interno di sé medesima e nei confronti dell'urbanistica, e, tramite
questa, di altre discipline, non sono ignorati dalla nuova normativa, la quale,
come si vedrà meglio in prosieguo, accoglie in proposito soluzioni
correttamente atteggiate, nella direttrice della primarietà
del valore estetico-culturale e della esigenza di una
piena e pronta realizzazione di esso, secondo un modello inspirato al principio
di leale cooperazione (cfr. sentenza
di questa Corte n.359 del 1985): principio che, quando si tratti di
attuare un valore primario, può acquistare, in ordine al raccordo suindicato, più ampie possibilità di applicazione.
5. - Ciò posto, é agevole scendere alla confutazione
particolareggiata delle censure dedotte col ricorso, censure che traggono
origine da altrettante problematiche poste dalla dottrina regionalistica.
Anche ad ipotizzare - come sostanzialmente fa la
ricorrente - una sorta di tutela dell'affidamento della Regione ordinaria nella
stabilità almeno relativa dell'assetto delle sue competenze derivante da
operazioni devolutive compiute dichiaratamente in
attuazione degli artt. 117 e 118 Cost. e secondo criteri
di completezza e di organicità, non può ovviamente escludersi la legittimità
(quanto all'an) dell'adozione di un nuovo assetto che
risponda ad adeguata concezione o a più pronta ed efficace realizzazione di un
valore costituzionale primario.
Rispetto al contestato riassorbimento delle competenze
regionali in materia urbanistica ed in altre contermini, e all'asserita
intrinseca arbitrarietà (quanto al quomodo) del
denunciato nuovo assetto, é sufficiente osservare che il modo stesso in cui le
censure sono prospettate dimostra che esse muovono da un presupposto erroneo.
E cioé dalla negazione - in contrasto con quanto
ritenuto dalle precedenti sentenze di questa Corte dianzi
richiamate - della configurabilità di un'autonoma disciplina dell'intero
territorio dall'angolo visuale e per l'attuazione del valore estetico culturale
come valore primario, e della sua compatibilità con la nozione lata di urbanistica ai sensi dell'art. 80 d.P.R. n. 616 del 1977.
Quanto all'esigenza di raccordare competenze regionali e competenze
statali, la nuova normativa, mentre ridisciplina le
prime e incrementa le altre in vista dell'allargamento e potenziamento della
tutela paesistica, vi provvede istituendo fra esse un
rapporto di concorrenza, strutturato in modo che quelle statali sono esercitate
(solo) in caso di mancato esercizio di quelle regionali e (solo) in quanto ciò
sia necessario per il raggiungimento dei fini essenziali della tutela.
In particolare, da un canto l'esercizio delle competenze regionali in
tema di autorizzazioni alle modificazioni del
territorio é assoggettato all'osservanza dei termini (comma nono aggiunto
all'art. 82 del d.P.R. n. 616 del
1977 dall'art. 1 del decreto-legge, come sostituito dall'art. 1 della legge n.
431 del 1985). Dall'altro la partecipazione dello
Stato, dalla mera vigilanza sull'osservanza del vincolo (già prevista dal comma
quarto del testo originario dell'art. 82 del d.P.R.
n. 616 del 1977 e ribadita dal comma tredicesimo
aggiunto a questo nel modo sopra indicato), é estesa al momento autorizzatorio (comma nono citato). Ma l'intervento statale
soccorre in caso di inerzia della Regione, ovvero
(salva l'ipotesi di difforme valutazione di interessi legati all'esecuzione di
opere statali) ad estrema difesa del vincolo (comma nono citato).
É inoltre regolato (art.1-bis aggiunto al
decreto legge dalla legge di conversione) l'esercizio qualificato, e teleologicamente orientato in senso estetico-culturale,
di competenze regionali in tema di urbanistica
(formazione entro un dato termine, in ordine al territorio inerente alle zone
protette, di piani territoriali paesistici o di piani urbanistico-territoriali
con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali). Momento,
questo - di proiezione della tutela del paesaggio sul piano dell'urbanistica -
di grande rilevanza, perché, pur non obliterando la
distinzione fra le due materie e le relative discipline (l'urbanistica viene
soltanto limitata dal rispetto del valore estetico-culturale
e piegata a realizzarlo), fa emergere della tutela del paesaggio il carattere
non più conservativo e statico, ma gestionale e dinamico (l'intervento umano é
valutato positivamente se controllato e mirato). E correlativamente
sono previsti anche in ordine a tale momento
interventi statali. Ma anche questi interventi
soccorrono in caso di mancato esercizio delle competenze regionali.
Certo, nel quadro così tracciato, il rapporto fra competenze statali e
competenze regionali non può essere valutato alla
stregua di moduli di netta separazione, le cui disfunzioni si tratti di
prevenire o di comporre mediante rigidi correttivi procedimentali.
Il detto rapporto va invece ricostruito alla luce del principio cooperativo,
cui si adegua appunto lo strumento della concorrenza di poteri ordinata nel modo
suindicato.
Le questioni sollevate dalla Regione Veneto sono dunque non fondate.
6. - Sulla premessa che, con l'art. 2 aggiunto al decreto legge dalla
legge di conversione della quale si tratta, le disposizioni di cui all'art. 1
come sopra sostituito, atteggiate come altrettanti
commi aggiunti all'art. 82 d.P.R. n. 616 del 1977,
sono dichiarate costitutive di norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica e così di limiti operanti nei confronti
della stessa autonomia speciale, hanno impugnato la legge in argomento (e
particolarmente il detto art. 2):
L'assunto di fondo, comune a tutte le
ricorrenti, é che le disposizioni suindicate - le
quali racchiudono: l'elenco dei beni vincolati (comma quinto aggiunto);
l'indicazione di limiti oggettivi del vincolo (esclusione delle zone comprese
negli abitati o di prevista espansione dei medesimi: comma sesto aggiunto) e di
eccezioni a tali limiti (comma settimo aggiunto); l'indicazione di limiti del
vincolo in relazione alla natura degli interventi modificativi o del loro
oggetto (commi ottavo e dodicesimo aggiunti); la previsione di poteri regionali
e statali concorrenti nella gestione del vincolo quanto alle autorizzazioni
relative ad interventi modificativi (commi nono, decimo e undicesimo aggiunti)
e quanto alla vigilanza sull'osservanza di esso (comma tredicesimo aggiunto) -
non costituiscono norme fondamentali di grande riforma economico-sociale,
malgrado la definizione della legge, la quale non sarebbe vincolante in
proposito (sent. di questa Corte n. 219 del 1984).
Con una tesi più avanzata (Provincia autonoma di Bolzano) - rilevato il
contrasto fra la contestata qualificazione legislativa e l'atteggiamento
assunto dal Governo in relazione al contenuto del d.m. 21 settembre 1984 anche in occasione di un conflitto
davanti a questa Corte, nonché in relazione al contenuto del decreto-legge n.
312 del 1985 con la riconosciuta salvezza delle autonomie speciali - si
sostiene che non sarebbe ravvisabile nelle (o a base delle) disposizioni in
parola neppure una riforma, non trattandosi di una innovazione sostanziale
rispetto alla disciplina delle bellezze naturali contenuta nella legge n. 1497
del
La natura di grande riforma economico-sociale
della normativa in esame sarebbe peraltro obbiettivamente esclusa: da ciò, che
essa si presenta come un'integrazione dell'art. 82 del d.P.R.
n. 616 del 1977, e cioé di una
disciplina istituzionalmente destinata a regolare una competenza delegata delle
Regioni ordinarie (ricorsi Regione Valle d'Aosta, Provincia autonoma di
Trento); da ciò, che la normativa ha carattere provvisorio, temporaneo e d'urgenza,
come sarebbe dimostrato dagli artt. 1-ter e 1-quinquies aggiunti al
decreto legge dalla legge di conversione (ricorso
Regione Valle d'Aosta); da ciò, che la normativa stessa é costituita non solo
da nuovi principi, ma anche da una serie di norme applicative concernenti la
competenza e il procedimento (ricorsi Province autonome di Bolzano e di
Trento); da ciò, che la legge impugnata costituisce violazione sostanziale del
principio del giusto procedimento (ricorso Regione Friuli-Venezia
Giulia).
Secondo alcune tesi più caute, espresse in via subordinata, dovrebbe
negarsi natura di norme fondamentali di grande riforma
economico-sociale almeno: alle disposizioni di dettaglio; a quelle concernenti
le competenze e il procedimento (ricorsi Regione Val d'Aosta e Provincia
autonoma di Bolzano); a quelle dirette a delimitare l'ambito della riforma,
precludendo così una disciplina più rigorosa da parte degli enti dotati di
autonomia speciale, o ad escludere la partecipazione della medesima alla
gestione del vincolo, particolarmente per quanto concerne le attività di
ricerca ed estrattive (ricorso Provincia autonoma di Trento).
In ogni caso, si dovrebbero ritenere assolutamente inconciliabili con
l'autonomia speciale, e quindi non estensibili validamente ad essa neppure sotto il titolo di norme di grande riforma, le
limitazioni derivanti dalla previsione da parte della legge, peraltro senza
specifica predisposizione di strumenti di coordinamento fra discipline statali
e discipline regionali e di collaborazione fra Stato e Regione, di ulteriori
interventi del Ministero dei beni culturali e ambientali, e addirittura di
poteri sostitutivi dello stesso, poteri questi ultimi finora configurati anche
rispetto alle Regioni ordinarie con riferimento a competenze soltanto delegate
e con la garanzia formale dell'intervento del Consiglio dei ministri.
Le norme impugnate - secondo le Regioni e le Province ricorrenti -
violerebbero dunque le discipline statutarie ad esse
rispettivamente attributive di competenze legislative primarie e, nei congrui
casi, di competenze amministrative esclusive in materia di tutela del paesaggio
e in altre, attinenti al territorio (artt. 2, 3 e 4 della
legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4, recante lo Statuto speciale della Valle
d'Aosta; art. 3, comma terzo, art. 8, nn. 3,
5, 6, 7, 16, 21 e 24, e art. 16 del d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670, recante lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, con
relative norme di attuazione; art. 4, n. 12, della
legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1, recante lo Statuto speciale per il Friuli-Venezia Giulia, e relative norme di attuazione.
7. - In ordine al ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia va rilevato che lo Statuto speciale
(legge costituzionale n. 1 del 1963) le conferisce competenza soltanto integrativa
e di attuazione in materia paesaggistica (art. 6, n. 3) e competenza primaria
limitatamente all'urbanistica (art. 4, n. 12). Ciò concorre, in una con la
valutazione della distinzione fra tutela del paesaggio e urbanistica e dei
reciproci rapporti nella nuova normativa - quale operata con la presente
sentenza, in riferimento gli artt. 117 e 118 Cost., relativamente al ricorso della Regione Veneto, ma che non
vi é ragione di mutare in riferimento al detto Statuto speciale - a far
ritenere che le censure prospettate dalla Regione Friuli-Venezia
Giulia, nella massima parte coincidenti con quelle sollevate dalla Regione
Veneto, rimangono confutate dalle considerazioni svolte dalla presente sentenza
a proposito delle medesime.
Conviene aggiungere che vanamente
a) che la normativa impugnata é ad essa
inapplicabile in conseguenza dell'inutilizzabilità dei criteri previsti dal d.m. 2 aprile 1968 - e assunti dall'art. 1 del decreto
legge, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 431 del 1985 (nel punto in
cui aggiunge un comma sesto all'art. 82 d.P.R. n. 616
del 1977), per l'individuazione di zone eccettuate dal vincolo, e quindi per la
limitazione della propria operatività - essendo i detti criteri sostituiti, per
essa Regione, secondo la legge regionale 22 dicembre
1969, n. 42, da quelli indicati nel piano urbanistico regionale;
b) che essa Regione ha già posto in essere una
legislazione ed una pianificazione urbanistica con valenze di tutela paesistica,
e che la normativa impugnata: modifica i poteri regionali così esercitati;
compromette, turba le scelte che di tale esercizio sono il risultato, o ne
impone la rivisitazione; crea seri ostacoli alle iniziative edilizie pubbliche
e private; altera (moltiplicando gli interventi ministeriali concorrenti e
congegnandoli a guisa di controlli di merito sui medesimi oggetti) l'ordine dei
controlli stabilito dall'art. 58 dello Statuto.
Al riguardo é sufficiente osservare:
che l'inutilizzabilità dei criteri dettati dal d.m. 2 aprile 1968 non esclude l'applicabilità alla Regione
Friuli-Venezia Giulia della normativa impugnata, se
il ruolo svolto ai fini di questa dal decreto può essere assolto, per la detta
Regione, da una fonte sostitutiva di esso;
che gli aspetti della normativa denunciata
riflettono il fine, proprio della legge, di influire sulle scelte, da adottare
anche in sede regionale, sia urbanistiche che economiche (edilizie,
industriali, agricole ecc.) in funzione della primarietà
del valore estetico - culturale;
che l'eventuale conformità e compatibilità con
il fine suindicato di scelte già adottate preserva le
scelte adottate dalle temute conseguenze tanto perturbatrici quanto caducatorie;
che la visuale della concorrenza di poteri fra
Stato e Regione secondo un modello inspirato al principio di cooperazione rende
non utile, neppure in riferimento alla norma statutaria invocata, il richiamo
alla tematica dei controlli.
Anche le questioni sollevate dalla Regione Friuli-Venezia Giulia sono dunque non fondate.
8. - Passando alla questione di fondo come sopra
individuata, con riferimento alle censure sollevate dalla Regione Val d'Aosta e
dalle Province autonome di Trento e di Bolzano (munite di competenza
legislativa primaria ed amministrativa esclusiva in tema di tutela del
paesaggio), va preliminarmente rilevato che la natura di grande riforma
economico-sociale di una normativa non dipende dalla qualificazione che ne dia
qualsiasi autorità (l'atteggiamento dell'autorità statale, se di negazione di
fronte a un'impugnativa regionale in sede di conflitto di attribuzione, può
solo far venire meno l'interesse a coltivare il rimedio, come nel caso deciso
da questa Corte con la sentenza n. 358 del
1985) né dalla stessa qualificazione che la normativa dia a se medesima, ma
dalla sua obbiettiva natura, accertabile da questa Corte (sentenza n. 219 del
1984).
Ciò posto, é sufficiente osservare che il carattere di grande
riforma economico-sociale é del tutto evidente nella nuova concezione della
tutela paesaggistica che sta a base del decreto legge n. 312 del 1985,
convertito, con modificazioni, nella legge n. 431 del 1985.
Con le considerazioni già svolte nella presente sentenza, a proposito del
ricorso della Regione Veneto, é stato chiarito come tale concezione si discosti
nettamente dalla concezione della tutela delle bellezze
naturali assunta dalla legislazione precostituzionale
di settore, implicando una tutela paesaggistica che si sostanzia di una
riconsiderazione assidua dell'intero territorio nazionale alla luce della primarietà del valore estetico-culturale.
Per altro verso, é proprio tale primarietà - la
quale impedisce di subordinare l'interesse estetico-culturale
a qualsiasi altro, ivi compresi quelli economici, nelle valutazioni concernenti
i reciproci rapporti - a costituire la scelta di fondo
della normativa e a manifestarne la rilevanza economico-sociale. Va a
quest'ultimo proposito ricordato come, secondo quanto si é già cennato, e secondo quanto si deve ribadire
anche in riferimento a considerazioni espresse nei lavori preparatori a
proposito di inversioni di tendenza manifestatesi nella coscienza sociale circa
i rapporti fra interesse alla qualità della vita e ad altri interessi, la legge
appare diretta e idonea a influire profondamente su scelte d'ordine economico- soclale.
Quanto detto appare incontrovertibile per la norma
contenuta nel primo comma dell'art. 1 del decreto-legge, come sostituito
dall'art. 1, comma primo, della legge di conversione, aggiuntivo di un quinto
comma all'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977,
recante l'imposizione del vincolo e l'elencazione dei beni protetti, norma la
quale costituisce immediata espressione della nuova concezione della tutela
paesaggistica e prima attuazione della tutela stessa come innovativamente
concepita, e per quelle (contenute nei successivi commi sesto,
settimo, ottavo e dodicesimo del detto art. 82) recanti varie limitazioni
all'intervento normativo considerato, norme le quali delineano la fisionomia
della innovazione.
A ciò non osta che tutte le relative disposizioni (quelle appunto
dichiarate norme fondamentali di grande riforma
economico-sociale dall'art. 2 della stessa legge di conversione) siano
atteggiate come commi aggiunti all'art. 82 del d.P.R.
n. 616 del 1977, riguardante le Regioni ordinarie, trattandosi di una collocazione formale non incompatibile né con la volontà
(come sopra espressa) del legislatore di considerarle norme di grande riforma
economico-sociale, né con la loro obbiettiva natura di norme del genere ora
indicato.
Né vi osta, per quanto concerne l'elencazione
dei beni protetti, il fatto che questa possa apparire una norma di dettaglio,
una volta tenuto conto che essa incarna ed attua immediatamente il principio
basilare della riforma.
E neppure vi osta l'asserito carattere di non definitività
della normativa, che (peraltro con riferimento espresso a disposizioni non
comprese nel suindicato art. 1 ed implicito a
definizioni di "normativa ponte" o di
"normativa di salvaguardia" enunciate nei lavori preparatori) alcune
delle ricorrenti oppongono. Una normativa che, come quella di cui si tratta,
apra una svolta di così grande momento e si proietti
naturalmente nell'avvenire, non perde il carattere di grande riforma
economico-sociale per il solo fatto di non essere conclusiva (dato, questo,
significante - cfr. sent. di
questa Corte n.
219 del 1984 - e tuttavia non necessario), purché sia risolutamente e
univocamente introduttiva di una linea di tendenza dell'ordinamento,
soprattutto quando questa sia, come nel caso é, attuativa
(o più energicamente attuativa) di un precetto
costituzionale, oltreché profondamente avvertita
nella coscienza sociale.
Non vi osta, infine, la previgenza di normative
dell'autonomia speciale in materia più organiche o avanzate (ricorso Provincia
di Bolzano) o la esigenza di interventi della detta
autonomia anche più incisivi a tutela dell'interesse paesaggistico (ricorso
Provincia di Trento), essendo evidente che la protezione fornita o preordinata
con la normativa in argomento é pur sempre minimale, e non esclude né preclude
normative regionali di maggiore o di pari efficienza (salva, come é ovvio, la
verifica in concreto della effettiva compatibilità di esse con gli scopi e con
le caratteristiche di fondo della riforma).
Le considerazioni svolte valgono, ad avviso della Corte, anche per le
norme di competenza e procedimentali racchiuse nelle
residue disposizioni dell'art. 1 del decreto-legge, come sostituito dall'art. 1
dalla legge n. 431 (commi nono, decimo, undicesimo e tredicesimo, aggiunti
all'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977).
Premesso che norme del genere non sono insuscettive
di essere riguardate come norme fondamentali di grande
riforma economico-sociale in relazione al loro contenuto, quante volte esse
siano essenziali a una siffatta riforma (cfr., per le
norme procedimentali, la stessa sentenza n. 219 del
1984),
Ciò viene qui affermato per le norme sulla
competenza, in quanto sanciscono la partecipazione così dello Stato come della
Regione (o della Provincia autonoma) in ogni momento della gestione del
vincolo: quello assiduo e generico della vigilanza e quello eventuale e
specifico dell'autorizzazione alle modificazioni del territorio protetto (é
infondata la preoccupazione della Provincia di Trento che tale partecipazione
sia esclusa per le attività di ricerca o estrattive, giacché il comma
undicesimo aggiunto all'art. 82 del d.P.R. n. 616 del
1977 con l'art. 1 del decreto-legge, come sopra sostituito dalla legge di
conversione, si limita a prescrivere che l'autorizzazione del Ministero dei
beni culturali e ambientali sia rilasciata, quando si tratti delle dette
attività, sentito il Ministro dell'industria, del commercio e
dell'artigianato).
E viene affermato per le norme sul procedimento,
in quanto prescrivono che la suddetta partecipazione si atteggi in forma di
concorrenza di poteri, peraltro secondo un modello inspirato al principio di
leale cooperazione (cfr. sentenza
di questa Corte n. 359 del 1985 e considerazioni svolte nella presente
sentenza).
Infondatamente pertanto, a giudizio della Corte, le Regioni ricorrenti si
dolgono della previsione normativa di poteri statali concorrenti (da intendere
quelli previsti dall' art. 1 del decreto-legge, come
sopra sostituito dalla legge di conversione, ai quali soltanto si riferisce,
qualificando le relative disposizioni come norme fondamentali di riforma
economico-sociale, l' art. 2 aggiunto dalla legge, impugnata in relazione a
tale qualificazione) là dove lamentano una irrilevante inosservanza dell'ambito
sostanziale e dei requisiti di competenza e formali prescritti in via generale
per la diversa ipotesi dei poteri sostitutivi statali rispetto alle competenze
delegate alle Regioni ordinarie.
Anche le questioni sollevate dalla Regione Valle
d'Aosta, dalla Provincia autonoma di Bolzano e dalla Provincia autonoma di Trento
sono, dunque, non fondate.
PER QUESTI MOTIVI
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, come
sostituito dall' art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431, aggiuntivo di un
comma quinto all' art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977,
n. 616, sollevata dalla Regione Veneto (R.r. n.
34/1985), in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost.; all' art. 1, ultimo comma, del d.P.R.
15 gennaio 1972, n. 8; agli artt. 80, 81, 82, 83, nonché
66 e seguenti, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616;
l'art. 1, comma primo, lett. a) e c), e comma terzo, nn.
1, 2 e 3, della legge 22 luglio 1975, n.
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale della legge 8 agosto 1985, n. 431, di conversione, con
modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, nel suo complesso ed
in particolare nell'art. 2, comma primo, aggiunto in sede di conversione,
sollevata dalla Regione Valle d'Aosta (R.r. n.
36/1985) in riferimento agli artt. 2,
3 e 4 legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale della Valle
d'Aosta); dalla Provincia autonoma di Bolzano (R.r. n.
37/1985), in riferimento agli artt. 3,
comma terzo; 8, nn. 3, 5, 6, 7, 16, 21 e 24;
16, comma primo, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670
(Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e relative norme di attuazione adottate con d.P.R. 17
luglio 1952, n. 1064; d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 48; d.P.R. 1 novembre 1973, n. 690; d.P.R.
22 marzo 1974, n. 279; d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381;
dalla Provincia autonoma di Trento (R.r. n. 38/1985),
in riferimento agli artt. 3, 8, nn.
3, 5, 6, 7, 16, 21 e 24; 16 del suindicato
d.P.R. n. 670 del 1972; dalla Regione Friuli-Venezia Giulia (R.r. n.
40/1985), in riferimento all'art. 4, n. 12, della
legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale per il Friuli - Venezia
Giulia), in relazione all'art. 80 del d.P.R. 24
luglio 1977, n. 616; all'art. 22 del d.P.R. 26 agosto
1965, n. 1116; all'art. 27 del d.P.R. 25 novembre
1975, n.
Così deciso a Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1986.
Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA
Depositata in cancelleria il 27 giugno 1986.