Sentenza n. 101 del 1989

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SENTENZA N.101

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15 e 17 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle direttive CEE 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183) promosso con ricorso della Regione Liguria, notificato il 15 luglio 1988, depositato in cancelleria il 19 successivo ed iscritto al n. 21 del registro ricorsi 1988.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 29 novembre 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi l'Avvocato Federico Sorrentino per la Regione Liguria e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Regione Liguria ha presentato ricorso per illegittimità costituzionale nei confronti di numerosi articoli del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183). Più precisamente, oggetto di impugnazione sono: a) gli artt. 4, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14 e 15, i quali, contenendo norme ritenute di dettaglio, violerebbero tanto gli artt. 117 e 118 della Costituzione, come attuati dagli artt. 6, 101, 102 e 104 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, quanto l'art. 76 della Costituzione, per supposto eccesso di delega in relazione alle norme interposte contenute nell'art. 16 della legge 16 aprile 1987, n. 183 e all'art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977; b) l'art. 7, secondo comma, il quale, nel prevedere poteri di natura sostitutiva del Ministro dell'Ambiente ritenuti troppo penetranti, violerebbe gli artt. 117 e 118 della Costituzione; c) gli artt. 4, lett. d) e 17, che sottraendo le centrali termoelettriche e le raffinerie di olii minerali al procedimento autorizzatorio attribuito alle regioni dall'art. 6 del decreto impugnato, lederebbero la ripartizione di competenze tra Stato e regioni stabilita dagli artt. 101 e 102 del d.P.R. n. 616 del 1977.

2. - Le questioni sollevate non sono fondate.

Iniziando l'esame dalla censura prospettata contro l'art. 17 del d.P.R. n. 203 del 1988, si rende possibile chiarire una premessa di decisiva importanza per la verifica della legittimità costituzionale delle disposizioni impugnate. L'art. 17 é, infatti, sospettato d'incostituzionalità in riferimento alla ripartizione di competenze tra Stato e regioni operata, in attuazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, dagli artt. 101 e 102 del d.P.R. n. 616 del 1977. Tuttavia occorre subito precisare che l'art. 16 della legge n. 183 del 1987, nello stabilire i principi e i criteri direttivi per l'adozione del decreto delegato oggetto di impugnazione, non suppone affatto che sia mantenuta integra la ripartizione di competenze operata in materia di tutela dall'inquinamento dagli artt. 101 e 102 del d.P.R. n. 616 del 1977, ma esprime l'esigenza di una nuova disciplina della materia, fissando principi più rispondenti alle direttive comunitarie che intende attuare e volti ad individuare funzioni più specifiche rispetto alle scarne competenze genericamente delineate negli artt. 101 e 102 del decreto n. 616.

Ciò si desume chiaramente dall'art. 4 del d.P.R. n. 203 del 1988, il quale dispone che <fatte salve le competenze dello Stato, la tutela dell'ambiente dall'inquinamento atmosferico spetta alle regioni, che la esercitano nell'ambito dei principi contenuti nel presente decreto e delle altre leggi dello Stato>. E si desume, inoltre, dallo stesso art. 16 della legge n. 183 del 1987, il quale, lungi dal fare salva la ripartizione di competenze stabilita dal d.P.R. n. 616 del 1977, esige, invece, dal legislatore delegato il rispetto, oltreché dei principi da esso stabiliti, del solo art. 6 del citato decreto, il quale determina le competenze delle regioni in tema di attuazione delle direttive, l'efficacia delle norme statali di attuazione in mancanza di una legislazione regionale e i poteri sostitutivi dello Stato. Infine, un'indiretta conferma della provvisorietà della ripartizione di competenze in materia di tutela dall'inquinamento contenute negli artt. 101 e 102 del d.P.R. n. 616 del 1977 può trarsi anche dai lavori della c.d. Commissione Giannini, nel cui rapporto finale, dopo l'affermazione della coesistenza nella materia considerata di interessi regionali (e locali) e di interesse nazionale e dopo il riconoscimento della consequenziale difficoltà di andare al di la in sede di trasferimento delle funzioni amministrative, di una definizione scarna, inadeguata e insufficiente delle relative competenze, si rinvia a una futura, più precisa, individuazione di nuove funzioni a livello centrale e a livello regionale (e locale).

Il complesso normativo costituito dalla legge delega del 1987, dal d.P.R. n. 203 del 1988 e dalle direttive comunitarie recepite con quest'ultimo, mirano, dunque, a stabilire una disciplina (parzialmente) modificativa della ripartizione delle competenze fissate dal d.P.R. n. 616 del 1977. Per tali ragioni, quest'ultimo, con l'eccezione del ricordato art. 6, non può essere assunto validamente come parametro dell'attuale giudizio.

Erra, quindi, la ricorrente a invocare la violazione dell'art. 101, lett. c, del d.P.R. n. 616 del 1977 da parte dell'art. 17 del d.P.R. n. 203 del 1988, poiché quest'ultimo, modificando la ripartizione di competenze precedentemente disposta, mira ad accentrare a livello statale le autorizzazioni relative tanto alla costruzione delle centrali termoelettriche (già di spettanza statale a norma dell'art. 81, u.c., del d.P.R. n. 616 del 1977), quanto all'impianto di raffinerie di olii minerali, sull'evidente e tutt'altro che irragionevole presupposto di unificare nella mano statale i principali poteri anti-inquinamento nel settore energetico.

3. -Parimenti infondate sono le questioni sollevate nei confronti degli artt. 4, 6 e 7, primo, terzo, quarto e quinto comma.

L'art. 4, in particolare, lungi dal porre limiti o restrizioni all'autonomia regionale, prevede nuove e più specifiche competenze delle regioni in materia di tutela dall'inquinamento atmosferico, quali: la formulazione di piani di rilevamento, di prevenzione, di conservazione e di risanamento del proprio territorio; poteri di indirizzo e di coordinamento dei sistemi di controllo e di rilevazione nel proprio ambito territoriale; la fissazione di valori d'inquinamento o di emissione, nel rispetto delle linee guida e dei limiti minimi e massimi fissati dallo Stato; l'indicazione delle zone del proprio territorio nelle quali le concentrazioni di anidride solforosa siano superiori ai valori limite.

Analogamente, gli artt. 6 e 7, primo, terzo, quarto e quinto comma, nel ridisciplinare il potere di autorizzazione per la costruzione di nuovi impianti in grado di provocare inquinamento atmosferico per adeguarlo alle direttive comunitarie, ne mantengono l'attribuzione alle regioni, prevedendo, oltreché taluni oneri di cooperazione con lo Stato (comunicazioni sulla periodicità e tipologia dei controlli), i presupposti minimali per il rilascio della predetta autorizzazione, sia sotto il profilo sostanziale (avvenuto apprestamento delle appropriate misure di prevenzione, rispetto dei limiti consentiti), sia sotto quello procedurale (parere del sindaco).

In ogni caso, occorre precisare che tutte le disposizioni ora considerate sono norme strettamente strumentali o costituiscono un’immediata attuazione delle direttive comunitarie cui si é data esecuzione con il decreto impugnato e, precisamente, le direttive nn. 80/779 (artt. 2, 3 e 4) e 84/360 (artt. 3, 4, 5 e 6).

4. - Espressione corretta dei poteri statali d'indirizzo e coordinamento, resi necessari dalla direttiva comunitaria n. 84/360 e dai principi costituzionali che esigono uniformità di trattamento, sono le disposizioni contenute dagli artt. 8, 10, 11, 12, 13, 14 e 15 del d.P.R. n. 203 del 1988.

In particolare, l'art. 8, insieme all'art. 7, quarto comma, fissa alcuni termini in relazione ai quali le imprese, le regioni e i comuni devono procedere ad alcuni adempimenti, onde garantire, da un lato, che le autorità regionali siano messe in grado di esercitare adeguatamente le funzioni di loro competenza e, dall'altro, che le autorità stesse svolgano gli adempimenti richiesti entro determinati tempi. Con tali disposizioni, non solo si procede alla determinazione degli adempimenti minimali necessari all'efficace perseguimento delle finalità imposte dalle direttive comunitarie, ma soprattutto si mira a stabilire termini certi, per i più importanti fra quegli adempimenti, al fine di evitare (come e del resto auspicato dalla direttiva n. 80/779, secondo considerando) che nel territorio nazionale si creino disparità di trattamento fra impresa e impresa, disparità la cui evenienza potrebbe arbitrariamente distorcere le ragioni dei costi aziendali incidendo in modo tutt'altro che lieve sugli stessi. In ogni caso, viste nel loro complesso, le disposizioni ora esaminate lasciano alle regioni un sufficiente spazio per la loro autonoma disciplina della materia e, pertanto, rispondono, anche sotto tale profilo, ai requisiti che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, si richiedono alla funzione statale di indirizzo e coordinamento (v. sentt. nn. 340 del 1983, 356 e 357 del 1985, 304 del 1987, 177 e 1145 del 1988).

Analogo discorso va fatto in relazione alle questioni relative agli artt. 10 e 11. Mentre quest'ultimo, infatti, stabilisce, in attuazione della direttiva n. 84/360 (art. 4), una generica esigenza che le prescrizioni attinenti all'autorizzazione siano modificate in seguito al progresso della migliore tecnologia disponibile e all'evoluzione della situazione ambientale, l'art. 10, invece, si limita a determinare l'astratta tipologia delle sanzioni amministrative irrogabili, lasciando alle regioni un’ampia discrezionalità relativamente al regime da stabilire e alla definizione delle ipotesi di applicazione.

Infine, anche gli artt. 12, 13, 14 e 15 dispongono norme di principio in relazione alla regolarizzazione degli impianti esistenti rispetto alle direttive comunitarie attuate e, in particolare, a quella n. 84/360, conformandosi al principio di gradualità ivi previsto (v. il penultimo considerando).

5. - Da ultimo, vanno dichiarate non fondate le questioni sollevate nei confronti degli artt. 4 lett. d) e 7, secondo comma, del d.P.R. n. 203 del 1988, che prevedono un potere sostitutivo del Ministro dell'ambiente in relazione all'autorizzazione alla costruzione di nuovi impianti, ove, decorsi inutilmente sessanta giorni dalla richiesta avanzata alla regione, l'interessato abbia riformulato, entro i successivi sessanta giorni, la stessa richiesta al predetto Ministro.

Va, innanzitutto, precisato che, contrariamente a quanto affermato dall'Avvocatura dello Stato, l'ipotesi di potere sostitutivo contestato non presenta caratteri così peculiari da negare ogni analogia con i casi esaminati in passato da questa Corte. Al contrario, la determinazione dei requisiti di legittimità del controllo sostitutivo esercitato dallo Stato nei confronti delle regioni é stata più volte operata da questa Corte proprio in presenza di funzioni incidenti su diritti soggettivi o, come nel caso di specie, in relazione al rilascio di autorizzazioni su domanda degli interessati (v., ad esempio, sentt. nn. 210 del 1987, 177 del 1988).

Come questa Corte ha più volte affermato (v. sentt. nn. 177 e 294 del 1986, 64 e 304 del 1987, 177 del 1988), affinché lo Stato possa legittimamente sostituirsi alle regioni nell'esercizio di una funzione ad esse spettanti occorre: a) che lo Stato disponga di un potere di vigilanza nei confronti di attività regionali prive di discrezionalità nell'an, ora perché sottoposte a termini perentori, ora perché l'inerzia della regione metterebbe in serio pericolo l'esercizio di funzioni fondamentali o la cura di interessi affidati alla responsabilità finale dello Stato; b) che il potere di sostituzione sia strettamente strumentale all'adempimento di obblighi o al perseguimento di interessi tutelati costituzionalmente come limiti all'autonomia regionale; c) che il potere sostitutivo sia esercitato da un'autorità di governo, nello specifico senso definito dall'art. 92 della Costituzione; d) che l'esercizio del controllo sostitutivo sia assistito da garanzie, sostanziali e procedurali, rispondenti ai valori fondamentali cui la Costituzione informa i rapporti tra Stato e regioni e, specialmente, al principio della <leale cooperazione>.

Non vi può esser dubbio che la configurazione del controllo sostitutivo operata dall'impugnato art. 7 risponda all'insieme dei requisiti appena ricordati. La previsione di un termine perentorio perché la regione provveda sulla domanda di autorizzazione; la stretta strumentalità del potere di sostituzione agli obblighi comunitari stabiliti con le direttive attuate con il decreto impugnato, dei quali lo Stato e indubbiamente il garante finale; l'imputazione del controllo sostitutivo a un'autorità di Governo, come il Ministro dell'ambiente, il quale e tenuto a decidere, in ipotesi, previo concerto con il Ministro della sanità e il Ministro dell'industria del commercio e dell'artigianato; la previsione di un congruo termine perché la Regione possa provvedere dopo aver eseguito gli accertamenti necessari per il rilascio dell'autorizzazione, nonché l'onere per l'impresa interessata di reiterare la domanda di autorizzazione al Ministro dell'ambiente nel caso di inerzia della Regione e di notificarla a quest'ultima, costituiscono adeguate garanzie dirette ad assicurare la rispondenza del controllo sostitutivo previsto dall'art. 7, secondo comma, del d.P.R. n. 203 del 1988, ai requisiti di legittimità costantemente affermati da questa Corte.

Né é inutile ricordare, come ha sottolineato l'Avvocatura dello Stato, che il potere sostitutivo in contestazione appare complessivamente giustificato dall'esigenza di trattare uniformemente le varie imprese operanti nel territorio nazionale e di non creare disparità di condizioni nella concorrenza fra esse.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15 e 17 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e d'inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183), sollevate dalla Regione Liguria, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, come attuati dagli artt. 6, 101 e 104 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, nonché in riferimento all'art. 76 della Costituzione, per violazione dei principi stabiliti dall'art. 16 della legge 16 aprile 1987, n. 183, e dall'art. 6 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/02/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 09/03/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Antonio BALDASSARRE, REDATTORE