SENTENZA N. 360
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 5, 6, 7, 8 e 9 della legge della Regione Emilia-Romagna 24 giugno 2002, n. 12 (Interventi regionali per la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e i Paesi in via di transizione, la solidarietà internazionale e la promozione di una cultura di pace), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 22 agosto 2002, depositato in Cancelleria il 2 settembre 2002 ed iscritto al n. 50 del registro ricorsi 2002.
Visto l’atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;
udito nell’udienza pubblica del 5 aprile 2005 il Giudice relatore Fernanda Contri;
uditi l’avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna.
Ritenuto in fatto
1. Con ricorso notificato il 22 agosto 2002 e depositato il 2 settembre 2002, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera a) della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 5, 6, 7, 8 e 9 della legge della Regione Emilia-Romagna 24 giugno 2002, n. 12 (Interventi regionali per la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e i Paesi in via di transizione, la solidarietà internazionale e la promozione di una cultura di pace).
Ad avviso del ricorrente le disposizioni impugnate indicano una serie di iniziative e di interventi regionali per la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo – tra i quali la progettazione e la valorizzazione di proprie iniziative, la valorizzazione ed il sostegno ad iniziative degli enti locali, delle Organizzazioni non governative (ONG) e non lucrative (ONLUS) – che non si conciliano, per le materie trattate e le modalità della loro attuazione, con quanto previsto dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49 (Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo) e dal d.P.R. 31 marzo 1994 (Atto di indirizzo e coordinamento in materia di attività all'estero delle regioni e delle province autonome).
Tali disposizioni statali prevedono, infatti, la partecipazione delle regioni all’attività di cooperazione allo sviluppo, che è parte integrante della politica estera nazionale, entro limiti rigorosi e tassativi, attraverso la capacità di attuare iniziative di cooperazione affidate dal Ministero degli affari esteri, ovvero di proporre tali iniziative alla Direzione generale della cooperazione allo sviluppo.
L’Avvocatura, inoltre, ritiene che l’attività della Regione Emilia-Romagna, come descritta dall’art. 2, comma 3, della legge regionale citata, attraverso il richiamo all’art. 117, nono comma, Cost., si esplicherebbe nella stipula di accordi con Stati ed intese con enti territoriali di altri Stati, ciò che potrebbe essere consentito solo quale attività convenzionale di carattere “programmatico e di principio, limitata, quindi, al campo di azione proprio della cooperazione decentrata”.
Secondo la difesa erariale la disposizione contenuta nell’art. 2, comma 2, della legge regionale – che attribuisce alla regione l’esecuzione e l’attuazione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea – non potrebbe essere attuata sino alla emanazione delle norme di procedura stabilite da una legge dello Stato, come previsto espressamente dall’art. 117, quinto comma, Cost., norme che sono contenute nel d.d.l. di attuazione della riforma del Titolo V, al momento della proposizione del ricorso ancora all’esame del Parlamento.
2. Con memoria depositata il 23 settembre 2002, si è costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna, limitandosi a chiedere alla Corte di dichiarare la questione inammissibile e comunque infondata e riservando le proprie difese a successivi atti. In prossimità dell’udienza pubblica del 20 maggio 2003 la Regione Emilia -Romagna ha quindi depositato una successiva memoria, con la quale ha precisato le proprie difese.
Premesso anzitutto un dettagliato esame delle disposizioni contenute negli articoli da 1 a 9 della legge regionale impugnata, la difesa della Regione osserva che nella legge de qua sarebbe prevista una «amplissima salvaguardia dei principi costituzionali e delle regole, già poste o da porre da parte della legislazione statale».
La Regione rileva inoltre che nel ricorso del Governo i soli riferimenti specifici riguardano, paradossalmente, disposizioni non impugnate, vale a dire l’articolo 2, commi 2 e 3, della legge regionale.
Ciò premesso, la Regione Emilia-Romagna ritiene che il ricorso sia radicalmente inammissibile per la mancata individuazione dei motivi e dei profili di asserito contrasto con le norme costituzionali invocate. Gli articoli impugnati riguardano, infatti, sia iniziative di vera e propria cooperazione internazionale, sia iniziative da svolgersi nel territorio regionale (in relazione a materie di competenza della stessa regione), sia infine iniziative di supporto e sostegno economico ai soggetti della cooperazione. Pertanto, di fronte ad un contenuto complesso ed eterogeneo, il ricorso avrebbe dovuto individuare analiticamente le disposizioni contestate e, in relazione alle stesse, indicare almeno le ragioni ed i profili di violazione dei parametri costituzionali. Al contrario, l’atto introduttivo del giudizio si sarebbe limitato ad affermare, globalmente, che le norme censurate indicano una serie di iniziative ed interventi della Regione che alla stessa sarebbero preclusi, senza indicare quali fra esse sono oggetto di effettiva censura, non potendo bastare una generica indicazione di indeterminate attività e iniziative.
In secondo luogo, la difesa della Regione ritiene infondata la censura relativa alla pretesa violazione della competenza statale in materia di politica estera. Come la Corte avrebbe già riconosciuto in altre occasioni e per altre “materie” indicate dal nuovo articolo 117 Cost., anche la politica estera non individua uno specifico ambito materiale, costituto da sottomaterie riservate allo Stato, ma attribuirebbe allo Stato il compito di definire gli obiettivi e gli ambiti dei propri rapporti con gli altri Stati sovrani, criterio che sarebbe suscettibile di portare all’interferenza in qualunque materia, quando l’azione disciplinata o svolta da una regione possa compromettere obiettivi e compatibilità della politica estera nazionale. Ciò verrebbe confermato dall’art. 1, comma 1, della stessa legge 26 febbraio 1987, n. 49, secondo cui la cooperazione allo sviluppo «è parte integrante della politica estera dell’Italia e persegue obbiettivi di solidarietà fra i popoli e di piena realizzazione dei diritti fondamentali», disposizione che non ha lo scopo di assorbire la cooperazione allo sviluppo nella politica estera, quanto piuttosto quello di definire la stessa politica estera nazionale come rivolta alla cooperazione allo sviluppo. In tal modo la legge statale tradurrebbe in principio normativo un indirizzo determinato della politica estera e l’azione statale, regionale o degli stessi enti locali rivolta a tale fine, dovrebbe dirsi, in linea di massima, conforme alla politica estera italiana.
Tale conformità di massima non dovrebbe escludere, prosegue la difesa della Regione, che i singoli atti di cooperazione allo sviluppo debbano sottostare alle regole valide in relazione al loro carattere ed alla loro natura e, in particolare, che debbano essere sottoposti, qualora si tratti di atti di rilevanza internazionale, al vaglio del Governo al fine della verifica della loro conformità alle circostanze ed agli indirizzi, in concreto, della politica estera nazionale; a tal fine la legge impugnata, nei suoi primi articoli (non soggetti ad impugnazione), ha previsto il rispetto dei principî fondamentali stabiliti con legge dello Stato o da questa dedotti, il rispetto della competenza esclusiva statale in materia di politica estera e di rapporti internazionali, così come la soggezione degli atti regionali alle disposizioni di cui ai commi quinto e nono della Costituzione. La censura sarebbe perciò erroneamente svolta, non intendendo la legge regionale discostarsi dalle procedure consolidate ed avendo la stessa richiamato sia la legislazione statale vigente che quella che venisse in futuro stabilita.
Quale ulteriore eccezione, la Regione rileva la specifica e radicale infondatezza delle censure mosse relativamente all’art. 5, comma 1, lettere c) e d), all’ art. 6, commi 2 e 3, ed agli artt. 8 e 9 della legge regionale impugnata.
Le norme citate, infatti, disciplinerebbero azioni prive di un qualsiasi rilievo internazionale, trattandosi di iniziative da svolgersi nel territorio della Regione, per materie di competenza regionale, senza alcun collegamento con attività di rilievo internazionale, ed in particolare si tratterebbe di educazione e di sensibilizzazione della comunità della Regione, di iniziative culturali, di attività di formazione di personale specializzato nella cooperazione allo sviluppo.
3. In prossimità dell’udienza del 20 maggio 2003, l’Avvocatura generale dello Stato presentava istanza di rinvio, dando atto di contatti tra la Regione e il Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio al fine di verificare la possibile modifica della legge regionale impugnata.
4. Fissata nuovamente per la trattazione del ricorso l’udienza pubblica del 28 ottobre 2003, la difesa della Regione Emilia-Romagna ha depositato una nuova memoria difensiva con la quale, ribadite tutte le proprie precedenti difese, ha preso posizione in ordine alle modifiche del quadro normativo intervenute a seguito dell’entrata in vigore della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
Secondo la difesa della Regione, l’art. 6 della legge n. 131 del 2003, che reca «Attuazione dell’art. 117, quinto e nono comma, della Costituzione sull’attività internazionale delle regioni», ha dato pieno significato ai rinvii operati dall’art. 2, commi 2 e 3, della legge regionale impugnata, facendo venir meno ogni possibile dubbio sul totale rispetto delle regole statali concernenti le attività internazionali e di rilievo internazionale della regione. A seguito di tale sopravvenienza legislativa statale, ad avviso della Regione resistente sarebbe evidente che ogni precisazione volta ad assicurare il rispetto delle norme previste dalla legge statale per attività di rilievo internazionale sarebbe o del tutto inutile (in quanto meramente ripetitiva di regole già contenute nella legge statale di base), o, addirittura, illegittima, qualora volesse subordinare l’applicazione di tali regole statali a disposizioni della regione.
Il dato testuale fornito dall’art. 6 della legge n. 131 del 2003 costituisce ulteriore smentita alla censura secondo la quale la cooperazione allo sviluppo si esaurirebbe in attività di “politica estera” di esclusiva competenza statale, essendo previsto espressamente che le regioni, nelle materie di loro competenza, possono concludere con enti territoriali interni ad altro Stato, intese dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale.
5. In prossimità dell’udienza pubblica del 5 aprile 2005, la Regione Emilia-Romagna ha depositato un’ulteriore memoria, con la quale ha precisato le proprie difese anche alla luce dello jus superveniens.
In primo luogo la Regione segnala che i commi 8, 9 e 10 dell’art. 6 della legge impugnata, riguardanti gli uffici regionali all’estero, sono destinati ad essere abrogati in forza dell’art. 7, comma 3, della legge regionale 24 marzo 2004, n. 6, (Riforma del sistema amministrativo regionale e locale. Unione europea e relazioni internazionali. Innovazione e semplificazione. Rapporti con l’università), che non è stata impugnata dal Governo.
In relazione alla sopravvenuta legge n. 131 del 2003, la resistente sottolinea inoltre che, la sentenza di questa Corte n. 238 del 2004, che ha giudicato la legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge n. 131 del 2003 (cd. legge La Loggia), ha precisato che i poteri ministeriali previsti da detta disposizione «sono sempre e soltanto relativi alle esigenze di salvaguardia delle linee di politica estera nazionale e di corretta esecuzione degli obblighi di cui lo Stato è responsabile nell’ordinamento internazionale», e che essi non potrebbero travalicare in strumenti di ingerenza immotivata nelle autonomie regionali.
Ricorda ancora la Regione che la recente legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari) ha abrogato le legge n. 86 del 1989 (cd. legge La Pergola); in tal modo, in relazione all’esecuzione degli atti dell’Unione europea, il richiamo operato dall’art. 2, comma 2, della legge regionale n. 12 del 2002 deve essere inteso quale richiamo alla sopravvenuta legge n. 11 del 2005
Considerato in diritto
1. Con ricorso regolarmente notificato e depositato, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera a) della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 5, 6, 7, 8 e 9 della legge della Regione Emilia-Romagna 24 giugno 2002, n. 12 (Interventi regionali per la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e i Paesi in via di transizione, la solidarietà internazionale e la promozione di una cultura di pace).
Ad avviso del ricorrente, le disposizioni impugnate indicano una serie di iniziative e di interventi regionali per la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo – tra i quali la progettazione e la valorizzazione di proprie iniziative, la valorizzazione ed il sostegno ad iniziative degli enti locali, delle Organizzazioni non governative (ONG) e non lucrative (ONLUS) – che ponendosi in contrasto con quanto previsto dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49 (Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo), e dal d.P.R. 31 marzo 1994 (Atto di indirizzo e coordinamento in materia di attività all'estero delle regioni e delle province autonome), andrebbero a violare l’articolo 117, secondo comma, lettera a) della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di politica estera e rapporti internazionali dello Stato.
2. Preliminarmente, va accolto il rilievo della Regione circa l'esatta individuazione delle norme censurate dal Governo.
Si deve osservare che il ricorso indica quale oggetto della questione di legittimità costituzionale gli articoli da 5 a 9 della legge regionale. Pertanto, l’esame delle doglianze svolte nel ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri si deve limitare a quelle relative a tali articoli della legge regionale, con esclusione, quindi, dell’articolo 2 che, pur richiamato nell’atto introduttivo del giudizio, non è espressamente impugnato. Del resto, mentre la delibera del Consiglio dei ministri contiene la generica determinazione di impugnare “la legge della Regione Emilia-Romagna 24 giugno 2002, n. 12”, la relazione del Dipartimento affari regionali, sulla cui base il Consiglio dei ministri ha deciso di impugnare, censura espressamente gli articoli 5, 6, 7, 8 e 9 della legge regionale e si limita ad un generico richiamo all’articolo 2, commi 2 e 3, della medesima legge.
3. La questione, nei termini in cui è stata sollevata, è inammissibile.
Gli articoli impugnati presentano un contenuto complesso, andando a disciplinare ambiti di intervento della Regione tra loro eterogenei: la cooperazione per lo sviluppo, gli interventi umanitari in caso di calamità, la educazione e formazione di tipo professionale (da effettuare nell’ambito territoriale della Regione), la formazione di personale destinato alla cooperazione nei Paesi interessati.
Inoltre, si tratta, in buona parte, di attività prive di rilievo internazionale, come la formazione del personale disciplinata dagli articoli 8 e 9, ovvero con un rilievo meramente potenziale, come gli interventi in caso di emergenza internazionale previsti dall’articolo 7. Il ricorso avrebbe quindi dovuto specificare quali tra queste molteplici e diverse attività sono ritenute dal Governo lesive di competenze esclusive dello Stato.
Come questa Corte ha più volte affermato, non solo il ricorso deve identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi, «deve cioè indicare dove siano poste o da dove si possano o si debbano ricavare le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l'oggetto della questione di costituzionalità», ma deve anche «contenere una seppur sintetica argomentazione di merito, a sostegno della richiesta declaratoria d'incostituzionalità della legge» (ex plurimis, sentenze n. 85 del 1990, n. 261 del 1995 e n. 213 del 2003).
La determinazione dell'oggetto del giudizio di legittimità costituzionale deve quindi desumersi chiaramente dalla proposizione di una questione che sia “definita nei suoi precisi termini” ed “adeguatamente motivata” (sentenza n. 261 del 1995).
Questi requisiti minimi dell'atto introduttivo del giudizio in via principale non risultano presenti nel ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Da ciò consegue che, come rileva anche la difesa della Regione Emilia-Romagna, il ricorso, per la genericità delle censure mosse alla legge impugnata, non individua i termini della questione, e pertanto è inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, 6, 7, 8 e 9 della legge della Regione Emilia-Romagna 24 giugno 2002, n. 12 (Interventi regionali per la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e i Paesi in via di transizione, la solidarietà internazionale e la promozione di una cultura di pace), sollevata, in riferimento agli art. 117, secondo comma, lett. a) della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2005.