SENTENZA N. 38
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, nella parte in cui sostituisce i commi 4 e 5, dell’art. 4 della legge della Regione siciliana 1° settembre 1997, n. 33 (Norme per la protezione, la tutela e l’incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio. Disposizioni per il settore agricolo e forestale), 2, commi 1, 2 e 3, e 3 della delibera legislativa approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 20 gennaio 2006 (disegno di legge n. 1095, stralcio XI), recante «Riproposizione di norme in materia di controllo della fauna selvatica, di personale e di acquisto e forniture di servizi», promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana, notificato il 27 gennaio 2006, depositato in cancelleria il 4 febbraio 2006 ed iscritto al n. 15 del registro ricorsi 2006.
Visto l’atto di costituzione della Regione siciliana;
udito nell’udienza pubblica del 9 gennaio 2007 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
udito l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Commissario dello Stato per la Regione siciliana e gli avvocati Sergio Abbate e Paolo Chiapparone per la Regione siciliana.
Ritenuto in fatto
1.— Il Commissario dello Stato per la Regione siciliana, con ricorso notificato il 27 gennaio 2006 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 4 febbraio, ha promosso questione di legittimità costituzionale della delibera legislativa approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 20 gennaio 2006 (disegno di legge n. 1095, stralcio XI), recante «Riproposizione di norme in materia di controllo della fauna selvatica, di personale e di acquisto e forniture di servizi», con riguardo agli artt. 1, nella parte in cui sostituisce i commi 4 e 5, dell’art. 4 della legge della Regione siciliana 1° settembre 1997, n. 33 (Norme per la protezione, la tutela e l’incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio. Disposizioni per il settore agricolo e forestale), 2, commi 1, 2 e 3, e 3, per violazione degli articoli 3, 51, 81, quarto comma, 97 e 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione.
1.1.— Il ricorrente premette che le disposizioni impugnate erano già contenute nella delibera legislativa approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 7 dicembre 2005 (disegno di legge n. 1084) recante «Misure finanziarie urgenti e variazioni al bilancio della Regione per l’esercizio finanziario 2005. Disposizioni varie», che esse avevano costituito oggetto di impugnazione per violazione degli articoli 3, 9, 51, 81, quarto comma, 97 e 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione, nonché per interferenza «in materia di diritto penale», e che in ordine alle questioni di costituzionalità così sottoposte all’esame della Corte, è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere, in quanto, successivamente alla proposizione del ricorso, in sede di promulgazione erano state omesse le disposizioni impugnate (ordinanza n. 204 del 2006).
2.— L’art. 1 della impugnata delibera legislativa è ora ritenuto costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui sostituisce i commi 4 e 5, dell’art. 4 della legge della Regione siciliana n. 33 del 1997.
Il ricorrente deduce che i predetti commi 4 e 5 consentono «alle ripartizioni faunistico-venatorie di attuare gli interventi di controllo della fauna selvatica compresi quelli di abbattimento, a mezzo anche delle guardie addette ai parchi o alle riserve o avvalendosi dei proprietari e dei conduttori dei fondi, omettendo di prescrivere che essi posseggano la licenza per l’esercizio venatorio».
Il Commissario dello Stato ritiene, quindi, che le disposizioni impugnate costituiscono un palese vulnus all’art. 97 della Costituzione, in quanto non tengono in debito conto la tutela dell’incolumità pubblica, laddove affidano la realizzazione dei piani di abbattimento anche a soggetti di cui non sia stato verificato, con il rilascio della licenza per l’esercizio venatorio, il possesso delle conoscenze e delle capacità tecniche per il maneggio delle armi, «contrariamente a quanto disposto dallo stesso quinto comma per le guardie volontarie di associazioni venatorie ed ambientaliste».
2.1.— Anche i commi 1 e 2 dell’art. 2 contengono, secondo il ricorrente, disposizioni inserite nel disegno di legge n. 1084 – art. 19, commi 4 e 25 – già impugnate per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione, ed omesse nel testo della delibera legislativa promulgata (v. precedente punto 1.1.).
Per il Commissario dello Stato, dette norme estendono il regime previdenziale, di cui alla legge della Regione siciliana 9 maggio 1986, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41, recante “Nuove norme per il personale della Amministrazione regionale” e altre norme per il personale comandato, dell’occupazione giovanile e i precari delle unità sanitarie locali), a nuove categorie di dipendenti, comportando, quindi, un maggiore onere finanziario, allo stato non quantificabile, che maturerà al momento in cui i soggetti interessati si avvarranno del più favorevole trattamento pensionistico che grava interamente sul bilancio della Regione.
2.2.— Il censurato comma 3 dell’art. 2, a sua volta, riproduce la norma di cui all’art. 19, comma 26, del già richiamato disegno di legge n. 1084, anch’essa già impugnata per violazione degli artt. 3, 51, 81, quarto comma, e 97 della Costituzione, ed esclusa dalla delibera legislativa promulgata.
Il ricorrente, a sostegno della dedotta illegittimità costituzionale, rinvia alle argomentazioni già svolte con la precedente impugnazione.
2.3.— Da ultimo, il Commissario dello Stato impugna l’art. 3 della delibera legislativa, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.
La disposizione denunciata prevede l’eventuale prosecuzione di rapporti contrattuali per la fornitura di beni e servizi, in deroga alle ordinarie procedure stabilite anche in ossequio alla normativa comunitaria, determinandosi così una lesione dei principi di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione.
3.— Con atto depositato il 20 febbraio 2006, la Regione siciliana, costituitasi in giudizio, ha dedotto l’inammissibilità o, comunque, la manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità, osservando che le censure proposte non sono sufficientemente motivate.
3.1.— In particolare, con riguardo all’art. 1 della delibera legislativa impugnata, la resistente rileva l’inconferenza, quale parametro costituzionale, dell’art. 97 della Costituzione, in quanto la tutela dell’incolumità pubblica sarebbe, semmai, riconducibile alla materia «sicurezza» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione.
La difesa della Regione osserva, poi, come le disposizioni sospettate di illegittimità costituzionale attengano ad un’attività non svolta per fini venatori (si richiama, in proposito, la sentenza della Corte costituzionale n. 392 del 2005), perché «l’abbattimento di fauna nociva (…) risulta previsto soltanto a fini di tutela dell’ecosistema». Le ripartizioni faunistico-venatorie «si avvalgono, quindi, di tutte le categorie di persone indicate nei commi 4 e 5 per le operazioni e gli interventi di controllo della fauna selvatica, ivi compresi quelli solo eventuali di cattura e abbattimento, risultando evidente che, soltanto per quest’ultimo tipo di attività le persone che vi provvederanno dovranno necessariamente essere munite della licenza per l’esercizio venatorio».
3.2.— In ordine alla impugnazione dell’art. 2, commi 1 e 2, della stessa delibera, la Regione deduce che tali disposizioni – con le quali viene estesa l’applicazione della legge regionale n. 21 del 1986 – attengono alla materia «stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione», attribuita alla legislazione primaria della Regione siciliana, ai sensi dell’art. 14, lettera q), dello statuto di autonomia (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, recante «Approvazione dello statuto della Regione siciliana»).
La resistente sostiene, al riguardo, che si tratta di norme che consentono l’applicazione del regime previdenziale, di cui alla legge della Regione siciliana 23 febbraio 1962, n. 2 (Norme per il trattamento di quiescenza, previdenza ed assistenza del personale della Regione), ad altre categorie di personale regionale, inizialmente non rientrante in detta previsione, sino alla data di entrata in vigore della legge regionale 29 dicembre 2003, n. 21 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2004), la quale, all’art. 20, ha disposto che, «a decorrere dal 1° gennaio 2004 i trattamenti di quiescenza del personale in servizio destinatario delle disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 10» della legge regionale n. 21 del 1986 fossero disciplinati dalle norme relative al sistema previdenziale statale.
Aggiunge, poi, che analoga questione, proposta con riguardo all’art. 1, comma 5, della legge approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 16 maggio 1995 (Disposizioni concernenti il personale regionale e degli enti locali. Processi di mobilità degli operatori della formazione professionale. Garanzie occupazionali per il personale dei consorzi bonifica e dell’ESA. Alloggi delle forze dell’ordine. Rinvio elezioni consigli circoscrizionali. Disciplina transitoria della caccia. Provvedimenti in favore delle ditte STAT e Camarda e Drago), è stata dichiarata non fondata da questa Corte con la sentenza n. 127 del 1996.
3.3.— La Regione eccepisce, inoltre, l’inammissibilità delle censure relative all’art. 2, comma 3, della delibera legislativa, in quanto il ricorrente, dopo aver enunciato le norme costituzionali che si assumono violate, ha richiamato per relationem le argomentazioni formulate in un precedente diverso ricorso (sono richiamate in proposito – con riferimento, peraltro, a giudizi incidentali – la sentenza n. 198 del 1982 e le ordinanze n. 59 del 2004 e n. 335 del 2003). Per la difesa regionale, comunque, la disposizione impugnata non è lesiva di principi costituzionali, in quanto mira a sopperire ad una particolare situazione di carenza di personale dell’area di emergenza del Policlinico di Palermo, consentendo la copertura di un numero di posti limitato, nel massimo, alle unità già utilizzate alla data del 31 dicembre 2002, senza, tuttavia, obbligare l’azienda all’espletamento di tali procedure.
3.4.— Ad avviso della difesa regionale, anche le censure proposte avverso l’art. 3 della medesima delibera legislativa sono infondate, in quanto le direttive comunitarie che pongono il divieto di rinnovazione dei contratti sono volte a tutelare il regime di libera concorrenza fra le imprese.
Tale tutela non può essere «concepita, ragionevolmente», nel senso di inibire alla pubblica amministrazione il conseguimento di economie ottenibili con la rinnovazione dei contratti in scadenza allorché questi, come nel caso della norma impugnata, siano aggiudicati con pubbliche gare e sia praticata una riduzione di almeno il 3 per cento rispetto al prezzo già convenuto.
La norma impugnata, pertanto, ad avviso della Regione, non può ritenersi distorsiva del mercato e della liberta concorrenza e, quindi, in contrasto con la normativa comunitaria e con gli evocati parametri costituzionali.
Di conseguenza, il legislatore regionale si è legittimamente discostato da quanto previsto dall’art. 23 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004) per i contratti di fornitura di beni e servizi, consentendo la rinnovazione per un limitato tempo massimo (due anni) di quei contratti nei quali consensualmente e sensibilmente sia prevista la riduzione del prezzo delle forniture, con vantaggio per l’amministrazione.
4.— In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione siciliana ha depositato memoria con la quale ha ribadito l’eccezione di inammissibilità del ricorso per la genericità delle censure formulate e, nel merito, ha svolto le seguenti argomentazioni.
4.1.— In riferimento all’impugnazione dell’art. 1 della delibera, nella parte in cui questa sostituisce i commi 4 e 5 dell’art. 4 della legge regionale n. 33 del 1997, la Regione osserva che l’espressione «purché munite di licenza per l’esercizio venatorio», contenuta nel suddetto comma 5, è dovuta ad un errore «atteso che il participio andrebbe coniugato in “muniti”» e che, comunque, la stessa deve essere interpretata in modo conforme a Costituzione.
La norma, quindi, non può che essere letta in coerenza con la disciplina statale che regola l’autorizzazione all’uso delle armi.
4.2.— Con riguardo alle censure proposte nei confronti dell’art. 2, commi 1 e 2, della medesima delibera, la resistente prospetta che l’entrata in vigore della riforma del sistema pensionistico regionale, ai sensi dell’art. 20 della legge regionale n. 21 del 2003, ha costituito occasione per uniformare la posizione previdenziale di tutto il personale regionale, eliminando la differenza di trattamento «fra quello assunto prima e dopo la legge regionale n. 21 del 1986».
La disciplina impugnata, quindi, oltre a semplificare la gestione delle posizioni previdenziali dei dipendenti, obbedisce ad una logica di equità e di giustizia che non contraddice i principi statali di riforma previdenziale, che dal 1° gennaio 2004 trovano applicazione generale.
4.3.— La difesa regionale sostiene, poi, la legittimità dell’art. 2, comma 3, della stessa delibera, in quanto la norma non dispone alcuna necessaria assunzione di personale, ma fa salva l’autonomia organizzativa dell’Azienda sanitaria, consentendo la copertura di un numero di posti limitato, nel massimo, alle unità di personale già utilizzato alla data del 31 dicembre 2002 per l’area di emergenza del Policlinico di Palermo.
4.4.— Infine, in ordine all’impugnazione dell’art. 3 della delibera, la Regione afferma che la garanzia di tutela della concorrenza non può essere intesa come valore assoluto e preminente, tanto da costringere l’amministrazione, in ogni caso, a gare di evidenza pubblica, anche laddove sussistano condizioni di rinnovo vantaggiose e sia stata già garantita, attraverso pubblica gara, la scelta del contraente.
Considerato in diritto1.— Il Commissario dello Stato per la Regione siciliana promuove questione di legittimità costituzionale della delibera legislativa approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 20 gennaio 2006 (disegno di legge n. 1095, stralcio XI), recante «Riproposizione di norme in materia di controllo della fauna selvatica, di personale e di acquisto e forniture di servizi», censurando, in particolare, gli artt. 1, nella parte in cui sostituisce i commi 4 e 5, dell’art. 4 della legge della Regione siciliana 1° settembre 1997, n. 33 (Norme per la protezione, la tutela e l’incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio. Disposizioni per il settore agricolo e forestale), 2, commi 1, 2 e 3, e 3, per violazione degli articoli 3, 51, 81, quarto comma, 97 e 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione.
Le disposizioni denunciate, già contenute negli artt. 17, 19, commi 4, 25 e 26, nonché nell’art. 21, comma 5, della delibera legislativa approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 7 dicembre 2005 (disegno di legge n. 1084), recante «Misure finanziarie urgenti e variazioni al bilancio della Regione per l’esercizio finanziario 2005. Disposizioni varie», erano state omesse in sede di promulgazione; sicché, questa Corte, con l’ordinanza n. 204 del 2006, ha dichiarato cessata la materia del contendere in ordine al ricorso proposto, in merito, dal Commissario dello Stato. Peraltro, a giudizio del ricorrente, le nuove disposizioni previste dalla delibera legislativa approvata il 20 gennaio 2006, continuano, per taluni aspetti, a presentare vizi di costituzionalità, che giustificano la reiterazione della loro impugnazione in questa sede.
In via preliminare, va osservato che la circostanza (fatta presente in udienza dalla difesa della Regione) secondo cui – in attesa della pronuncia di questa Corte – la Regione stessa non ha dato corso, con la necessaria pubblicazione, alla delibera oggetto di impugnazione, deve ritenersi irrilevante agli effetti della ammissibilità del ricorso. Diversa è, infatti, l’ipotesi, che ha formato più volte oggetto di esame, nella quale tale pubblicazione sia stata effettuata, ma con omissione delle norme che abbiano costituito oggetto di ricorso da parte del Commissario dello Stato, con conseguente declaratoria di cessazione della materia del contendere sul ricorso medesimo (cfr., da ultimo, ordinanze n. 410, n. 404 e n. 389 del 2006).
2.— La prima questione di legittimità costituzionale, promossa con il ricorso in esame, investe l’art. 1 della delibera legislativa impugnata, il quale sostituisce i commi da 4 a 7 dell’art. 4 della legge regionale n. 33 del 1997.
2.1.— Il ricorrente deduce la illegittimità costituzionale dei nuovi commi 4 e 5 del richiamato art. 4, che, rispettivamente, così dispongono:
«le operazioni e gli interventi di controllo della fauna selvatica, ivi compresi quelli di cattura e di abbattimento, sono attuati dalle ripartizioni faunistico-venatorie che vi provvedono a mezzo di proprio personale, di dipendenti del Corpo delle guardie forestali, delle guardie addette ai parchi o alle riserve e di altri agenti venatori dipendenti da pubbliche amministrazioni»;
«le ripartizioni faunistico-venatorie possono altresì avvalersi dei proprietari e dei conduttori dei fondi sui quali si attuano gli interventi delle guardie volontarie di associazioni venatorie ed ambientaliste, riconosciute in sede regionale, purché munite di licenza per l’esercizio venatorio».
È con riguardo, dunque, a tali disposizioni che è delimitato il thema decidendum, tenuto conto delle censure e delle relative argomentazioni proposte dal ricorrente.
2.2.— Nel ricorso si sostiene che le disposizionii impugnate lederebbero l’art. 97 della Costituzione, in quanto non terrebbero conto dell’esigenza di tutela dell’incolumità pubblica, laddove affidano la realizzazione dei piani di abbattimento della fauna selvatica anche a soggetti di cui non sia stato verificato, con il rilascio della licenza per l’esercizio venatorio, il possesso delle conoscenze e delle capacità tecniche per il maneggio delle armi. Ciò, a differenza di quanto stabilito dallo stesso comma 5 per le guardie volontarie di associazioni venatorie ed ambientaliste.
2.3.— La questione – a prescindere dal rilievo che il parametro evocato non è conferente con il tema della sicurezza – non è fondata, per l’assorbente considerazione che essa si basa su un erroneo presupposto interpretativo.
È pur vero che le norme censurate, nel prevedere che i soggetti ivi indicati possono partecipare all’attuazione delle operazioni e degli interventi di controllo della fauna selvatica, compresi quelli di cattura ed abbattimento, non specificano espressamente che tutti gli interessati debbano essere muniti delle autorizzazioni per l’esercizio venatorio; tuttavia, non appare dubbio che la necessità del possesso di tale requisito è implicitamente, ma inequivocabilmente, richiesto dalla natura stessa dell’attività che essi sono chiamati a svolgere. Né rileva la circostanza che il comma 5 del medesimo articolo, per altra categoria di soggetti, abbia espressamente previsto il requisito in questione. Ciò non comporta, infatti, che i diversi soggetti contemplati tanto nel comma 4, quanto nel comma 5, siano esonerati dal possesso del requisito medesimo.
Va osservato, in proposito, che la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), alla quale l’art. 49 della legge regionale n. 33 del 1997 espressamente rinvia «per tutto quanto non previsto», e le ulteriori disposizioni contenute nella richiamata legge regionale n. 33 del 1997, nello stabilire che la caccia può essere esercitata solo da chi abbia le relative autorizzazioni, fanno applicazione specifica, in ragione delle peculiari competenze e conoscenze richieste per conseguire le autorizzazioni medesime, di un principio generale dell’ordinamento.
È evidente, quindi, che anche laddove l’uso dei mezzi per l’esercizio della caccia non tende a realizzare fini venatori, ma di tutela dell’ecosistema, persistono quelle esigenze che proprio l’articolato procedimento per il rilascio della licenza per l’esercizio venatorio consente di soddisfare.
Pertanto, tutti i soggetti appartenenti alle categorie previste dai commi 4 e 5 dell’articolo 4 della legge regionale n. 33 del 1997, come modificati dall’art. 1 della delibera legislativa in esame, per effettuare operazioni o interventi di controllo della fauna selvatica, come l’abbattimento, che richiedano l’uso dei mezzi per l’attività venatoria, devono necessariamente essere muniti delle prescritte autorizzazioni e, in particolare, della licenza di porto di fucile per uso di caccia.
Di conseguenza, le norme impugnate, così interpretate, si sottraggono alla prospettata censura di illegittimità costituzionale.
3.— Quanto all’art. 2, commi 1 e 2, della stessa delibera legislativa, ad avviso del ricorrente, essi violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione, che attribuisce allo Stato competenza legislativa esclusiva nella materia «previdenza sociale».
Le impugnate disposizioni, estendendo il regime giuridico «previgente a quello statale», valevole per la generalità dei dipendenti regionali a decorrere dall’entrata in vigore della legge regionale 9 maggio 1986, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41, recante “Nuove norme per il personale della Amministrazione regionale” e altre norme per il personale comandato, dell’occupazione giovanile e i precari delle unità sanitarie locali), a nuove categorie di dipendenti, comporterebbero «un maggior nuovo onere, in atto non quantificabile, che maturerà al momento in cui i soggetti interessati si avvarranno del più favorevole trattamento pensionistico che grava interamente sul bilancio della Regione».
3.1.— La questione è inammissibile per due ordini di considerazioni, ognuno dei quali, peraltro, ha carattere esaustivo.
In primo luogo, il ricorrente omette del tutto di specificare le ragioni per cui, pur trattandosi dell’impugnativa di una delibera legislativa della Regione siciliana, dovrebbe prendersi in considerazione il suddetto parametro costituzionale in luogo di quello ricavabile dal relativo statuto speciale. E va osservato, in proposito, che, nelle sue difese, la Regione ha invocato la norma contenuta nell’art. 14, lettera q), dello statuto di autonomia (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, recante «Approvazione dello statuto della Regione siciliana»), che attribuisce alla propria competenza legislativa primaria la materia «stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione». Il Commissario dello Stato avrebbe dovuto spiegare, quanto meno, in quale rapporto si pongono i parametri costituzionali desumibili, rispettivamente, dal suddetto statuto e dalla Costituzione. Orbene, in conformità ad un consolidato indirizzo di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 202 del 2005, n. 65 del 2005, n. 8 del 2004 e n. 213 del 2003), la mancanza di una tale valutazione comporta l’inammissibilità della questione nei termini in cui è stata formulata nel ricorso.
In secondo luogo, la censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione si presenta affetta da genericità ed indeterminatezza, dal momento che il ricorrente si è sostanzialmente limitato ad indicare il parametro che sarebbe stato violato, omettendo, però, di specificare le ragioni che militerebbero a favore della tesi della illegittimità costituzionale della disposizione impugnata.
La mancata esplicitazione delle argomentazioni, anche minime, atte a suffragare la censura proposta è causa di inammissibilità della questione di costituzionalità sollevata. In tal senso, è la costante giurisprudenza di questa Corte, la quale, di recente, ha ribadito (sentenza n. 233 del 2006) che il ricorso in via principale non solo deve identificare esattamente la questione nei suoi termini specifici, indicando le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità, ma deve anche contenere una seppur sintetica argomentazione di merito, a sostegno della richiesta declaratoria d’incostituzionalità, sussistendo l’esigenza di un’adeguata (e non meramente assertiva) motivazione delle ragioni dell’impugnativa in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che non in quelli incidentali.
4.— Il comma 3 dell’art. 2 della delibera legislativa impugnata, riproduce la norma di cui all’art. 19, comma 26, della richiamata delibera 7 dicembre 2005, già impugnata per violazione degli artt. 3, 51, 81, quarto comma, e 97 della Costituzione, ed omessa in sede di promulgazione.
La nuova norma ridetermina la dotazione organica dell’area di emergenza dell’Azienda ospedaliera universitaria Policlinico “Paolo Giaccone” di Palermo.
Il ricorrente, a sostegno del dedotto vizio di incostituzionalità, dopo aver enunciato i suddetti parametri costituzionali, rinvia, per la motivazione delle censure, alle argomentazioni già indicate nella precedente impugnazione, sulla quale è intervenuta la declaratoria di cessazione della materia del contendere (ordinanza n. 204 del 2006).
4.1.— La questione è inammissibile, in quanto motivata per relationem, atteso che anche nei giudizi in via principale è imprescindibile l’autonoma esplicazione delle ragioni poste a sostegno della dedotta illegittimità costituzionale delle norme impugnate. La costante giurisprudenza costituzionale ha, infatti, affermato il principio della necessaria autosufficienza dell’atto introduttivo del giudizio innanzi a questa Corte, nel senso che tale atto, sia esso un ricorso principale ovvero per conflitto o un provvedimento giudiziario con cui venga sollevata una questione incidentale di costituzionalità, deve contenere – in via autonoma – tutti gli elementi che possano consentire alla Corte l’esame e la valutazione delle censure proposte (da ultimo, con particolare riferimento alla necessità che il ricorso in via principale contenga una seppur sintetica argomentazione di merito, a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale, sentenze n. 364 e n. 139 del 2006).
5.— È, infine, sospettato di illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, l’art. 3 della delibera legislativa impugnata, che riproduce l’art. 21, comma 5, della delibera legislativa del 7 dicembre 2005.
La disposizione censurata prevede la possibilità del rinnovo, per una sola volta e per un periodo non superiore a due anni, a fronte di una riduzione del corrispettivo di almeno il 3 per cento, dei contratti per acquisti e forniture di servizi da parte degli enti locali e della Regione, stipulati a seguito di esperimento di gara, in scadenza nel triennio 2006-2008. Secondo il ricorrente, tale disciplina, in deroga alle ordinarie procedure, stabilite anche in ossequio alla normativa comunitaria, determinerebbe una lesione dei principi di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione.
5.1.— Anche tale questione è inammissibile, in quanto sfornita di elementi minimi argomentativi (ex plurimis, sentenze n. 29 del 2006 e n. 176 del 2004), laddove si consideri che il ricorrente, nel prospettare genericamente il carattere derogatorio della disposizione denunciata, si limita a enunciare le disposizioni di cui agli artt. 3 e 97 della Carta fondamentale, che sarebbero state violate.
Va, al riguardo, rilevato come questa Corte abbia, invece, ritenuto che le disposizioni statali di principio contenute nell’art. 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), relative alle modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, sono riconducibili alla potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela della concorrenza», in quanto disciplinano tale ambito secondo un sistema teso a salvaguardare la concorrenzialità del mercato (sentenza n. 29 del 2006). Il ricorrente, però, non ha neppure richiamato il parametro costituzionale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, della delibera legislativa approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 20 gennaio 2006 (disegno di legge n. 1095, stralcio XI), recante «Riproposizione di norme in materia di controllo della fauna selvatica, di personale e di acquisto e forniture di servizi» promossa, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione, dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana con il ricorso di cui in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della suddetta delibera legislativa, promossa in riferimento agli articoli 3, 51, 81, quarto comma, e 97 della Costituzione, dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana con il ricorso di cui in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della medesima delibera legislativa promossa, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana con il ricorso di cui in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della stessa delibera legislativa, nella parte in cui sostituisce i commi 4 e 5 dell’art. 4 della legge della Regione siciliana 1 settembre 1997, n. 33 (Norme per la protezione, la tutela e l’incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio. Disposizioni per il settore agricolo e forestale), promossa, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana con il ricorso di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2007.