Sentenza n. 198 del 1982
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SENTENZA N. 198

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE         

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 57 cod. pen. (Responsabilità per reati commessi col mezzo della stampa) e degli artt. 3 e 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) promossi dal Tribunale di Milano con due ordinanze emesse il 3 marzo 1976 e con una ordinanza emessa il 10 aprile 1978 e dal Pretore di Messina con ordinanza emessa il 22 gennaio 1981, rispettivamente iscritte ai nn. 470 e 471 del registro ordinanze 1976, al n. 499 del registro ordinanze 1978 e al n. 260 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 239 dell'8 settembre 1976, n. 10 del 10 gennaio 1979 e n. 248 del 9 settembre 1981.

Visti gli atti di costituzione di Zucconi Guglielmo, di Sechi Lamberto e di Mosca Benedetto e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'1 giugno 1982 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

uditi gli avvocati Corso Bovio, per Zucconi Guglielmo e per Mosca Benedetto, Vittorio D'Aiello, per Sechi Lamberto, e l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Zucconi Guglielmo, imputato del reato di diffamazione a mezzo della stampa ai sensi dell'art. 57 c.p. nella sua qualità di direttore responsabile del settimanale "La Domenica del Corriere", il Tribunale di Milano, con ordinanza del 3 marzo 1976, ha sollevato, in relazione all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della l. 8 febbraio 1948 n. 47 e dell'art. 57 c.p.

Il Tribunale ritiene la prima norma in contrasto con il principio di eguaglianza perché stabilisce che ogni periodico deve avere un solo direttore responsabile e non consente quindi di individuare altri soggetti destinatari degli obblighi incombenti sul direttore per quanto riguarda il controllo sul contenuto di un periodico a grande tiratura.

Quanto all'art. 57 c.p. il giudice a quo osserva che tale disposizione - secondo la quale il direttore che omette di esercitare sul contenuto del periodico il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati é punito a titolo di colpa, se un reato é stato commesso, con la pena stabilita per tale reato diminuita fino a un terzo - non distingue fra la situazione di un periodico a diffusione locale, che per il numero limitato dei redattori e l'interesse principalmente locale delle notizie, come tali facilmente verificabili, consenta l'adempimento dell'obbligo di controllo imposto dalla legge e la ben diversa e più complessa situazione del direttore di un grande periodico a diffusione nazionale, che, per il numero di redattori e l'ampiezza del materiale incluso nelle varie edizioni, rende praticamente impossibile il corretto esercizio del controllo stesso, tenuto anche conto che il direttore é pur obbligato ad osservare molti altri doveri legali e contrattuali riguardanti sia la formazione e l'impostazione del giornale, sia i rapporti con l'editore ed il corpo redazionale, sia i problemi connessi con la diffusione, la vendita, la pubblicità etc.

Con ciò, secondo il giudice a quo, sarebbe violato il principio di eguaglianza, che vieta l'applicazione di trattamenti eguali a situazioni sostanzialmente diverse. Tale violazione non potrebbe escludersi neppure in considerazione del fatto che la esigibilità della condotta imposta al direttore é da accertare caso per caso, in applicazione dell'art. 40 c.p., poiché, ove dovesse configurarsi il limite della responsabilità penale del direttore di un grande periodico appunto nell'imponenza e varietà dei compiti affidatigli, con ciò stesso si finirebbe con l'attribuirgli in concreto l'inammissibile privilegio della non punibilità in ogni caso, e verrebbe quindi elusa la tutela che le norme impugnate tendono ad apprestare.

La parte privata si é costituita ritualmente ed i difensori avv.ti Giovanni Bovio ed Armando Costa, nelle deduzioni, ribadiscono e sviluppano le tesi svolte nell'ordinanza di rinvio. Dopo un'ampia esposizione della evoluzione storica della materia, la difesa sottolinea che l'attuale normativa sulla stampa sarebbe caratterizzata ancora dalla struttura della regolamentazione originaria, anteriore alla nascita dei grandi quotidiani attuali, ed improntata alla esigenza di indicare comunque un soggetto determinato quale responsabile dei reati commessi col mezzo della stampa periodica. E rievoca in proposito la figura del gerente responsabile prevista dall'art. 4l dell'Editto Albertino sulla stampa del 26 marzo 1848, che costituirebbe il precedente storico e giuridico del direttore responsabile previsto dal codice penale del 1930 e poi dalla legge del 1958 n. 127, che ha definitivamente accolto il principio secondo cui incombe al direttore l'obbligo di controllare tutto quanto viene pubblicato sul giornale onde evitare che siano commessi reati a mezzo del periodico e che tale controllo non può essere delegato ad altri nel senso che, in caso di delega, il direttore risponde anche del fatto del delegato.

Ciò posto la difesa insiste sulla evoluzione subita dai periodici a grande diffusione, che sono divenuti organi di grande informazione, con conseguente ampliamento "a dismisura" delle loro dimensioni, fino alla creazione di strutture estremamente complesse, con varie edizioni speciali in loco pubblicate contemporaneamente, ciò che non era previsto né prevedibile al momento della emanazione della normativa in vigore, la quale risulterebbe così del tutto inadeguata giacché il materiale che così si accumula non potrebbe essere efficacemente controllato ad opera del solo direttore responsabile che non potrebbe affidare ad altri tale compito a differenza di quanto accade nelle altre aziende, nelle quali é consentito attribuire i vari settori a specifici dirigenti.

La normativa stessa pertanto si appaleserebbe "veramente iniqua" ed in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, ingenerando una palese disparità di trattamento fra il direttore di un piccolo mensile a diffusione locale ed il direttore di un grande quotidiano a diffusione nazionale ché, entrambi, sono destinatari degli stessi obblighi di controllo, con assurde conseguenze nel campo penalistico.

2. - Identica questione é stata sollevata in pari data dallo stesso Tribunale, nell'analogo procedimento a carico di Sechi Lamberto, direttore responsabile del settimanale "Panorama".

3. - Con ordinanza 10 aprile 1978, emessa nel procedimento a carico di Mosca Benedetto, direttore responsabile del "Corriere d'informazione", lo stesso Tribunale ha sollevato questione identica nei suoi termini formali, facendo solo riferimento, quanto ai motivi, alle precedenti ordinanze sopra menzionate.

L'Avvocatura dello Stato, costituitasi ritualmente in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri nel giudizio a carico del Sechi, sostiene la non fondatezza della questione osservando che alla definizione in modi adeguati delle varie situazioni ipotizzate dal giudice a quo soccorrerebbero i principi attinenti all'accertamento della responsabilità penale ed alla determinazione della pena in concreto, di talché, ove risultasse che l'imputato non abbia potuto esercitare il controllo, egli andrebbe esente da pena, e comunque, in caso di accertata responsabilità, subirebbe una pena adeguata al grado della colpa. Onde la lamentata sperequazione non sussisterebbe e di conseguenza dovrebbe escludersi la fondatezza della censura.

4. - Nel corso del procedimento penale a carico di Calarco Nino, direttore della "Gazzetta del Sud", deputato al Parlamento, imputato di violazione dell'art. 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, per la omessa pubblicazione di rettifiche debitamente richieste circa notizie ritenute diffamatorie dal prof. Arena Alessandro, nonché di Belfiore Biagio, imputato dello stesso reato, che aveva assunto la qualità di vice direttore responsabile del detto giornale dopo la elezione a deputato del Calarco a norma dell'art. 3, quarto comma della l. n. 47 del 1948, il Pretore di Messina, con ordinanza del 22 gennaio 1981, ha sollevato questione di legittimità costituzionale di detta norma in relazione agli artt. 3 e 27 della Cost.

Il giudice a quo osserva che il citato art. 3, consentendo a chi é investito di mandato parlamentare di continuare ad esercitare l'attività di direttore di periodico, senza l'assunzione delle responsabilità che vi sono normalmente connesse perché al riparo dell'immunità parlamentare, costituirebbe un irrazionale privilegio a suo favore. Inoltre la norma, attribuendo al vice direttore responsabile solo tale ultima qualità, senza i poteri e doveri connessi alla carica di direttore, lo esporrebbe in sostanza ad una responsabilità oggettiva per decisioni prese da altri e per comportamenti non suoi, in violazione del principio della personalità della pena posto dall'art. 27 Cost.

L'attribuzione al vice direttore responsabile dello specifico dovere di controllo su quanto viene pubblicato sul periodico non potrebbe invero essere separata dall'insieme dei poteri direzionali che soli ne consentirebbero il puntuale adempimento, specie con riguardo alla impostazione generale del periodico ed alla connessione con questa della scelta e delle modalità di pubblicazione delle notizie e quindi anche delle rettifiche richieste dagli interessati.

Con lo stesso principio contrasterebbe altresì il citato art. 8 della legge n. 47 del 1948 che assoggetta a pena il vice direttore responsabile che non ottempera all'obbligo di effettuare le pubblicazioni previste dal primo comma, se la corrispondente decisione viene presa dal direttore non responsabile, giacché, diversamente da quanto previsto dall'art. 57 c.p., il fatto configurato come reato non viene punito a titolo di colpa ma presuppone il rifiuto di ottemperare all'obbligo, e quindi richiede la sussistenza del dolo generico.

Si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato nei termini deduzioni difensive con cui sostiene la non fondatezza delle questioni.

Afferma l'Avvocatura che la ratio della norma di cui all'art. 3 della l. n. 47 del 1948 mira ad impedire l'impunità dei reati commessi a mezzo stampa nei casi in cui, essendo il direttore un parlamentare, sia negata l'autorizzazione a procedere. Il direttore parlamentare sarebbe invero penalmente responsabile se commette reato a mezzo della stampa, salvo l'autorizzazione a procedere richiesta dalla legge, onde non sussisterebbe la diseguaglianza irrazionale lamentata dal Pretore e se in concreto una differenza di trattamento può presentarsi essa non deriverebbe dalla legge sulla stampa ma dall'eventuale diniego dell'autorizzazione a procedere, sulla cui legittimità costituzionale nella specie non sono formulate censure.

D'altra parte non potrebbe neppure parlarsi nella specie di responsabilità non personali e tanto meno oggettiva del direttore responsabile. Invero al vicedirettore responsabile si deve riconoscere il diritto ed il dovere di impedire la commissione di reati a mezzo del periodico di cui abbia la vice direzione, il che paleserebbe altresì l'infondatezza della censura elevata sotto il profilo della pretesa violazione dell'art. 27 Cost.

Motivando espressamente sulla rilevanza il giudice a quo afferma che l'accoglimento della censura potrebbe portare alla esclusione della responsabilità del Belfiore e parallelamente ad una ridefinizione del fatto reato da attribuire al Calarco e ciò indipendentemente dalla richiesta di autorizzazione a procedere contro di lui perché tale circostanza sarebbe certamente rilevante "anche ai fini della valutazione che dovrà essere compiuta dal Senato per la concessione o il diniego dell'autorizzazione a procedere".

 

Considerato in diritto

 

1. - Le questioni sollevate con le ordinanze indicate in epigrafe sono identiche o strettamente connesse e i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Per quanto riguarda la questione sollevata con l'ordinanza 10 aprile 1978 emessa nel corso del giudizio penale a carico di Mosca Benedetto, deve preliminarmente rilevarsi che il Tribunale di Milano ha censurato gli artt. 57 c.p. e 3 l. 8 febbraio 1948 n. 47 in relazione all'art. 3 Cost. senza alcuna motivazione in ordine alla rilevanza della questione stessa e senza formulare alcun diretto apprezzamento della non manifesta infondatezza, limitandosi a fare richiamo all'ordinanza dello stesso Tribunale del 3 marzo 1976 emessa nel giudizio a carico di Zucconi Guglielmo, di cui più oltre si dirà.

Al riguardo la Corte non può che ribadire la propria giurisprudenza (da ultimo sent. n. 158/82) nel senso che l'art. 23 della l. n. 87 dell'11 marzo 1953, contenente norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale, prescrive espressamente che il giudice a quo riferisca "i termini ed i motivi" della questione di legittimità, della quale egli deve delibare la rilevanza e la non manifesta infondatezza. Ciò in coerenza con le forme di pubblicità dettate per le ordinanze di rimessione dall'art. 25 della stessa legge al fine di assicurare la chiara e generale conoscenza delle questioni sollevate innanzi alla Corte.

A tali essenziali esigenze non corrisponde la motivazione per relationem come sopra adottata dal Tribunale di Milano e pertanto si impone una declaratoria di inammissibilità.

3. - Per quanto riguarda poi la questione di legittimità dell'art. 3 della l. n. 47 del 1948 sollevata con l'ordinanza 22 gennaio 1981 dal Pretore di Messina nel giudizio penale a carico di Calarco Nino, direttore della "Gazzetta del Sud" e deputato al Parlamento, nonché di Belfiore Biagio, vice-direttore responsabile, ai sensi dell'art. 3, comma quarto della detta l. n. 47 del 1948, deve preliminarmente osservarsi che l'originaria norma di cui all'art. 8 della l. n. 47 del 1948, in base alla quale é stata formulata l'imputazione a carico di entrambi, successivamente all'emissione dell'ordinanza di rinvio, é stata modificata con l'art. 42 della l. 5 agosto 1981 n. 416, concernente la disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria, il quale, a differenza della normativa precedente, fissa la pena della sola multa per il reato di omessa pubblicazione di rettifica ascritto agli imputati.

In virtù poi dell'art. 32 della l. 24 novembre 1981, n. 689, recante modifiche al sistema penale, non costituiscono più reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali é prevista la sola pena della multa o dell'ammenda.

Conseguentemente si rende necessario che il giudice a quo riesamini la rilevanza della questione proposta tenendo conto della nuova normativa sopra richiamata, ed occorre di conseguenza disporre la restituzione degli atti al Pretore di Messina.

4. - Passando ad esaminare il merito delle altre questioni, occorre rilevare che la prima di esse concerne il preteso contrasto con il principio di eguaglianza che deriverebbe dall'attribuzione ad un solo soggetto della responsabilità del controllo sul contenuto di un periodico, senza consentire quindi la ripartizione della responsabilità stessa anche fra altri soggetti. Al riguardo é da osservare anzitutto che la doglianza così formulata pone un problema di legittimità costituzionale non sufficientemente definito nei suoi termini logicamente necessari perché, pur lamentando una violazione del principio di eguaglianza, cioè una pretesa discriminazione operata dal legislatore senza giustificato motivo, si limita a censurare la norma impugnata senza indicare il termine di comparazione in relazione al quale si dovrebbe riscontrare la disparità di trattamento.

Vero é che, nelle proprie difese, la parte privata Zucconi ha mostrato di interpretare la censura come implicitamente riferita al raffronto fra l'azienda giornalistica e le altre aziende di diversa natura presso le quali é consentita la ripartizione dei poteri e delle relative responsabilità.

Ma anche a voler condividere tale punto di vista, la questione non potrebbe egualmente ritenersi fondata. Al riguardo é il caso di rilevare che, come si evince anche dai lavori preparatori della l. n. 47 del 1948, la norma in esame é in armonia con la fondamentale esigenza di indicare un soggetto immediatamente identificabile che risponda del periodico di fronte alla legge, come del resto prescrive l'art. 21 Cost.

L'identificazione del responsabile nel direttore, che per tale sua funzione é posto più degli altri in grado di seguire tutta l'attività del periodico, risponde a sufficienti criteri di razionalità. Invero tale scelta, come questa Corte ebbe già occasione di affermare sin dalla sentenza n. 3 del 1956, rappresenta un momento di particolare rilievo nella evoluzione della legislazione sulla stampa facendo coincidere, a differenza del regime originario, che identificava il responsabile in un soggetto estraneo al periodico, il soggetto stesso con chi del periodico "é in effetti la guida e l'ispiratore". La indicazione di cui all'art. 3 censurato é pertanto frutto di una scelta di politica legislativa coerente con i principi che governano la materia e risponde, come si é detto, a sufficienti criteri di razionalità.

Essa, inoltre, é conforme sostanzialmente a quanto previsto nella legislazione di altri paesi, pur socialmente evoluti, ove é appunto tendenzialmente garantita l'indicazione certa di un responsabile in relazione alla qualifica rivestita ed al suo collegamento con l'attività del periodico.

Tale conclusione, d'altra parte, non può essere respinta neppure in relazione al caso, indubbiamente caratterizzato da aspetti propri, dell'unicità del direttore di un grande periodico. Anche in questa ipotesi opera infatti l'esigenza fondamentale sopra ricordata e l'indicazione prevista dalla legge costituisce uno strumento di identificazione certa ed immediata del responsabile, il che é sufficiente ad escludere la fondatezza della censura anche sotto tale particolare profilo. Una volta ammessa, come si é detto, la necessità della previsione di soggetti responsabili dei periodici di fronte alla legge, ciò che del resto non contestano le ordinanze di rinvio, le modalità di attuazione della relativa regolamentazione rientrano, in relazione alla scelta tra le possibili soluzioni, nella discrezionalità del legislatore, ovviamente nei limiti della ragionevolezza, che nella specie, come si é detto, non possono certo ritenersi violati.

D'altra parte, le diverse soluzioni prospettate non rappresentano un'alternativa senz'altro preferibile, rivelatrice della irrazionalità della normativa vigente, a causa degli inconvenienti cui potrebbe dar luogo la previsione di più soggetti responsabili per ciascun settore del periodico, posta l'unitarietà della pubblicazione e l'esigenza di riferire ad un solo soggetto, per la concreta individuazione delle responsabilità, le conseguenze, di fronte ai terzi, della eventuale illegittimità della condotta di chi deve sovraintendere al buon andamento dell'attività del giornale.

Ciò non toglie, ovviamente, che la situazione dei grandi periodici, le cui ampie dimensioni comportano crescente complessità delle strutture, vastità di materiale elaborato, molteplicità di edizioni locali, si presenti con aspetti peculiari rispetto alla problematica in esame. Né può negarsi che l'attuale disciplina comporti inconvenienti per quanto riguarda le difficoltà che il responsabile unico può incontrare nell'osservanza degli obblighi che gli incombono. Trattasi tuttavia di circostanze inerenti alle modalità di fatto dell'attuazione della disciplina che, come tali, non rientrano direttamente nella previsione normativa e non sono quindi idonee, di per sé, a costituire motivo di illegittimità costituzionale.

Il legislatore, peraltro, potrà tenerne conto nell'ambito delle sue scelte discrezionali, al fine di apprestare un più soddisfacente sistema normativo in materia, che valga appunto ad eliminare gli inconvenienti prospettati.

5. - L'altra questione sottoposta alla Corte concerne il preteso contrasto con l'art. 3 Cost. dell'art. 57 c.p. che sancisce, a carico del direttore che omette di esercitare il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, la responsabilità penale a titolo di colpa per i reati effettivamente commessi, salvo la responsabilità dell'autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso.

Secondo il giudice a quo la norma, non distinguendo fra la situazione del direttore di un piccolo periodico a diffusione locale, sul contenuto del quale é agevole esercitare il controllo richiesto dalla norma penale, e la situazione del direttore di un grande periodico a diffusione nazionale, le cui complesse strutture ed attività non consentirebbero ad una sola persona l'esercizio effettivo del controllo suddetto, imporrebbe una disciplina identica a situazioni sostanzialmente differenziate, e si porrebbe così in contrasto con il principio di eguaglianza che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte esige, fra l'altro, che a situazioni non omogenee corrispondano discipline diverse.

Neanche detta questione é fondata.

Al riguardo deve, anzitutto, osservarsi che, una volta escluso, come si é detto, il contrasto con l'art. 3 Cost. dell'indicazione di un solo direttore responsabile, indipendentemente dalle maggiori o minori dimensioni del periodico, la disciplina penale per le dette ipotesi appare anch'essa immune dal vizio lamentato essendo l'identità del trattamento penale logicamente coerente con il detto principio di unicità del responsabile.

Deve, d'altra parte, ricordarsi che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione anteriore alla l. 4 marzo 1958 n. 127 con cui fu modificato l'art. 57 c.p. del 1930 che sanciva la responsabilità penale del direttore collegandola esclusivamente alla sua qualità, la responsabilità stessa era stata già intesa come fondata sulla colpa, concretantesi in una forma di negligenza, cioè nel mancato o incompleto adempimento dell'obbligo giuridico di vagliare il contenuto del periodico al fine di impedire pubblicazioni che potessero costituire reato.

Questa Corte con la sentenza n. 3 del 1956, pur aderendo sostanzialmente a tale interpretazione, ha posto in evidenza che i suddetti obblighi di vigilanza e di controllo, non puntualmente espressi in un precetto legislativo, dovevano anche allora desumersi dal sistema, in correlazione con la figura del direttore della quale erano certi i lineamenti e quindi i diritti ed i doveri.

Conseguentemente con la stessa sentenza questa Corte, rilevando le difficoltà che il testo allora vigente dell'art. 57 c.p. offriva ad una consimile interpretazione, e pur escludendo la fondatezza della censura sollevata contro detto testo in quanto sospetto di contrasto con l'art. 25 Cost. perché avrebbe sancito un caso di responsabilità penale per fatto altrui, si faceva tuttavia interprete dell'esigenza di dare alla materia, che la realtà configurava in termini non equivoci, una corrispondente disciplina legislativa.

In risposta a tale invito, il legislatore, con l'art. 1 della l. 4 marzo 1958 n. 127, ha dettato la norma attualmente impugnata, la quale, indubbiamente, delinea con maggiore compiutezza la responsabilità del direttore nella prospettiva di adeguare maggiormente la relativa disciplina al principio costituzionale della personalità della responsabilità penale. In particolare, secondo la nuova norma la colpa é espressamente individuata nella violazione di una specifica regola di condotta, quale é appunto quella prescritta dalla norma stessa quando dispone che il direttore deve "esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati".

A maggior ragione, quindi, attualmente, é valido quanto già affermato da questa Corte con la detta sentenza n. 3 del 1956 a proposito del fondamento della responsabilità del direttore, cioè che questi risponde "per fatto proprio" per lo meno perché tra la sua omissione e l'evento c'è un nesso di causalità materiale "al quale si accompagna sempre un certo nesso psichico sufficiente a conferire alla responsabilità il connotato della personalità".

Il che consente, d'altra parte, di ritenere che la responsabilità del direttore venga meno tutte le volte in cui il caso fortuito, la forza maggiore, il costringimento fisico o l'errore invincibile (artt. 45, 46, 48 c.p.) vietino di affermare che l'omissione sia cosciente e volontaria (art. 42 c.p.), nessuna ragione imponendo che questi principi generali, di rigorosa osservanza, non trovino applicazione puntuale anche in questo caso.

La disciplina così delineata nei suoi fondamenti si atteggia in modo sufficientemente articolato per quanto riguarda le fattispecie concrete cui essa in linea di massima può essere applicabile, conservando in se una adeguata capacità di aderenza alle fattispecie stesse. La giurisprudenza ordinaria che già si é dimostrata non insensibile a tali problemi, potrà valutare, nel concreto esame dei singoli casi, se sussistano quegli elementi di colpa che a tenore dell'art. 57 c.p. e delle altre norme dello stesso codice sopra richiamate, costituiscono, come si é detto, il fondamento della responsabilità in esame.

Parallelamente a quanto già affermato in precedenza a proposito dell'art. 3 della l. n. 47 del 1948, va rilevato che eventuali ipotesi limite si tradurrebbero in ogni caso in inconvenienti di fatto della attuazione della disciplina, derivanti dalla evoluzione anche tecnologica del settore, non rientranti direttamente nella previsione normativa e non idonei quindi a costituire di per se motivo di illegittimità costituzionale.

Il che consente di concludere che l'unitarietà della disciplina della responsabilità penale del direttore di un periodico posta dall'art. 57 c.p., indipendentemente dalla circostanza di fatto che trattasi di periodici a diffusione locale o a diffusione nazionale, risponde comunque ad un principio di razionalità sufficiente ad escludere il lamentato contrasto con l'art. 3 Cost.

Ciò non toglie, ovviamente, che gli esposti elementi possano convenientemente essere tenuti presenti dal legislatore al fine di perfezionare ulteriormente la normativa in materia.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 e dell'art. 57 codice penale sollevata in relazione all'art. 3 della Costituzione con l'ordinanza del Tribunale di Milano 10 aprile 1978;

2) ordina la restituzione degli atti al Pretore di Messina;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 e del'art. 57 codice penale sollevate con le ordinanze del Tribunale di Milano del 3 marzo 1976 in relazione all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 24 novembre 1982.