SENTENZA N. 3
ANNO 1956
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente
Dott. Gaetano AZZARITI
Avv. Giuseppe CAPPI
Prof. Tomaso PERASSI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Prof. Ernesto BATTAGLINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Mario BRACCI
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 57, n. 1, del Codice penale e 3 della legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, promosso con l'ordinanza 31 gennaio 1956 del Tribunale di Cremona nel procedimento penale a carico di Barucco Elio, rappresentato e difeso nel presente giudizio dagli avvocati Gastone Nencioni e Gian Galeazzo Stendardi, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 58 del 9 marzo 1956 ed iscritta al n. 39 del Registro ordinanze 1956:
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udita all'udienza pubblica del 30 aprile 1956 la relazione fatta dal Giudice Giovanni Cassandro;
Uditi l'avv. Gastone Nencioni ed il sostituto avvocato generale dello Stato Dario Foligno.
Ritenuto in fatto
1. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 57, n. 1 Cod. pen. e dell'art. 3 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, é sorta nel corso di un procedimento penale davanti al Tribunale di Cremona.
In tale procedimento Romei Renato, Brighenti Ezio e Meloni Raimondo erano imputati del reato preveduto e punito dagli articoli 595, 1 e 2 capoverso Cod. pen., e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, per aver, in concorso fra loro, fatto pubblicare sul settimanale "Avanguardia nazionale" di Brescia del 19 novembre 1955 un esposto lesivo della reputazione del sig. Manzini Carlo; Barucco Elio, invece, del reato preveduto e punito dall'art. 57 n. 1,595, 2 e 3 comma Cod. pen. e dall'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, per essere il direttore responsabile del settimanale sopracitato, nonché per l'altro reato, contestato in udienza, previsto e punito dagli articoli 110, 595, 2 e 3 comma Cod. pen. e dall'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, per avere agito in concorso coi primi tre nel reato a costoro ascritto.
La difesa sollevò la eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 57, n. 1 Cod. pen. perché in contrasto con l'art. 27 della Costituzione e degli articoli 3, 13 e 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 perché in contrasto con lo spirito della Costituzione.
Il Tribunale ritenne l'eccezione sollevata non manifestamente infondata soltanto per gli articoli 57, n. 1 Cod. pen. e 3 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, "dato il contrasto in giurisprudenza e in dottrina" , e pregiudiziale nei confronti del solo Barucco Elio e, pertanto, il 31 gennaio 1956 ordinò la separazione del giudizio a carico di costui e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La ordinanza fu notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere, ai sensi della legge 11 marzo 1953, n. 87, e pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 9 marzo 1956, n. 58.
La parte si é costituita e il Presidente del Consiglio é intervenuto con le forme e dentro i termini stabiliti dalla legge 11 marzo 1953, n. 87 e dalle norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte costituzionale.
2. - La difesa ha chiesto che la Corte si pronunzi sui seguenti 4 quesiti:
1) se il conflitto fra norme anteriori alla Costituzione e norme costituzionali dia luogo alla illegittimità costituzionale delle prime oppure semplicemente ad un problema di successione della legge nel tempo;
2) quale sia l'efficacia delle decisioni del giudice ordinario nei confronti delle decisioni della Corte con particolare riferimento al potere interpretativo di questa nei confronti della norma ordinaria;
3) se l'art. 57 del Cod. pen., anche in relazione con l'art. 3 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 ponga in essere un caso di responsabilità penale per fatto altrui;
4) se sussista conflitto tra la responsabilità per fatto altrui stabilita da un sistema normativo composito di norme antecedenti e successive alla Costituzione con l'art. 27 della Costituzione medesima; ed ha richiesto che la Corte affermi:
1) che il conflitto tra norme anteriori alla Costituzione e norme costituzionali dà luogo in ogni caso ad un giudizio di legittimità costituzionale;
2) che la interpretazione data dal giudice ordinario non é vincolante per la Corte costituzionale, ma deve essere considerata soltanto come un parere che la Corte é libera o non di seguire;
3) che l'art. 57, n. 1 del Cod. pen. pone in essere un caso di responsabilità per fatto altrui e quindi non riconducibile nemmeno alla responsabilità obiettiva, perché questa presupporrebbe un nesso causale, che qui mancherebbe, come sarebbe attestato dalla inammissibilità di qualsiasi prova liberatoria;
4) che, in conseguenza, sussiste conflitto tra l'art. 57, n. 1, l'art. 3 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 e l'art. 27 della Costituzione.
3. - L'Avvocatura dello Stato ha, in via preliminare, asserito che la questione di legittimità costituzionale deve limitarsi al solo art. 57, n. 1 del Cod. pen. e non può riguardare l'art. 3 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, che pone un precetto generico ("ogni giornale o altro periodico deve avere un direttore responsabile") e si limita a confermare l'istituto del direttore responsabile "senza alcun riferimento alla sfera di responsabilità non solo penale ma neppure civile del direttore stesso".
Quanto alla questione circa la competenza di questa Corte a giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi anteriori all'entrata in vigore della Costituzione l'Avvocatura dello Stato ha sostenuto la tesi che il rapporto tra legge anteriore e Costituzione é tale da non dare mai luogo, in caso di contrasto, ad illegittimità costituzionale, ma ad abrogazione tacita.
Subordinatamente l'Avvocatura ha chiesto che la Cortedichiari la compatibilità dei due articoli (27 della Costituzione e 57 n. 1 del Cod. pen.). la responsabilità del direttore del giornale infatti raffigurerebbe un caso di responsabilità personale fondato sulla qualità liberamente accettata e sulla predeterminazione del contenuto della funzione da parte di chi si é assunta l'impresa e la divulgazione. In esso al nesso psichico prevalente della culpa in omettendo si aggiungerebbe quello derivante dalla condotta richiesta nell'organizzazione di una impresa quale é quella giornalistica.
4. - La difesa ha ribadito la sua tesi in una memoria presentata in risposta alle deduzioni dell'Avvocatura dello Stato ed altrettanto ha fatto l'Avvocatura arricchendo questa sua risposta con un excursus storico tendente a dimostrare che, in conformità dello svolgimento dell'istituto, la responsabilità del direttore non é mera conseguenza di una qualità liberamente assunta, ma piuttosto si ricollega al compimento di un'opera collettiva che non può risalire unitariamente se non appunto ad esso direttore.
Considerato in diritto
1. - Della eccezione di incompetenza sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, la Corte ha già dichiarato l'inammissibilità, affermando la propria competenza a giudicare sulle questioni di legittimità costituzionale delle leggi anteriori all'entrata in vigore della Costituzione (sentenza n. 1 del 5 giugno 1956).
2. - Per quanto attiene al merito del presente giudizio, la Corte deve rispondere al quesito se la responsabilità del direttore di giornale, quale la configura l'art. 57, n. 1 Cod. pen., rappresenti un caso di responsabilità personale oppure un caso di responsabilità per fatto altrui. Com'é ovvio, la dichiarazione di legittimità o illegittimità costituzionale dipende direttamente dalla risposta che si dà a questo quesito. Non si vuole dire con ciò che questo procedimento dell'interpretazione della norma sospettata di incostituzionalità, che la Corte é qui tenuta a seguire, possa non trovare applicazione in altri casi, ma si vuole affermare che la sua generale validità trova una particolare giustificazione nella questione in esame, che é di quelle nelle quali la dubbiezza del testo legislativo impone un più sottile e penetrante processo di interpretazione. E che sia così é attestato dalle soluzioni avanzate dalla dottrina per dar ragione di quel articolo, diverse e contrastanti fra di loro, e alle quali, sovente, non ha giovato il tentativo di riportare quel caso particolare sotto la regola generale dell'art. 42 terzo comma Cod. pen., che aspetta, essa, ausilio dall'esame delle ipotesi concrete del sistema, più di quanto sia in grado di offrirne.
3. - La soluzione del quesito varrà tanto per l'art. 57, n. 1 Cod. pen., quanto per l'art. 3 della legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, il quale, pur limitandosi ad affermare (alla stessa guisa dell'art. 1 della legge 3 dicembre 1925, n. 2307) che "ogni periodico deve avere un direttore responsabile", senza specificare ulteriormente la natura e la estensione del concetto di responsabilità del direttore di un periodico, con la menzione della formula "direttore responsabile" si ricollega alla regolamentazione giuridico-penale che di questa figura esibisce appunto l'art. 57, n. 1 del Cod. pen. Con che si respinge la eccezione sollevata dall'Avvocatura dello Stato in limine litis, invocante la limitazione della questione di legittimità costituzionale all'art. 57, n. 1.
4. - Nello svolgimento della legislazione sulla stampa rappresenta un momento di particolare rilievo quello nel quale il legislatore sostituì alla figura del gerente quella del direttore responsabile (art. 1, primo comma della legge 31 dicembre 1925, n. 2307). É vero che rimaneva immutato il sistema creato, ora é più di un secolo, dal Regio editto 26 marzo 1848, n. 695, in base al quale (art. 47, 2 comma) il gerente era considerato come "complice dei delitti e delle contravvenzioni commessi con pubblicazioni fatte nel suo giornale", ma é altrettanto vero che la responsabilità (quale essa fosse), veniva posta non più a carico del gerente - una figura estranea al periodico sulla quale si esercitò nel passato una facile ironia -, ma a carico di chi del periodico é in effetti la guida e l'ispiratore.
Anche se non si può accogliere completamente la tesi, sulla quale ha insistito l'Avvocatura dello Stato, della natura particolare e del carattere complesso dell'impresa giornalistica, ricondotta ad unità dal direttore, per fondarvi sopra l'altra dal carattere personale della responsabilità di costui, non pare dubbio che, porre al posto di una persona del tutto estranea alla vita dell'azienda, comodo riparo di una attività sottratta in tal guisa a ogni responsabilità di fronte a terzi, una persona di particolare esperienza e capacità professionali, fornita di poteri pressoché illimitati e, per quello che attiene alla pubblicazione di notizie, interpretazioni e commenti, sottratta a ogni altro controllo, significava aver trasformato sostanzialmente il sistema dell'editto del 1848 e di avere escluso (ammesso che ciò fosse da ritenere pacifico per il periodo precedente), che si potesse vedere consacrato nell'art. 1 della legge citata del 1925 un caso di responsabilità per fatto altrui. Sicché, considerata alla luce di questo svolgimento storico, l'espressione "per ciò solo" che compare nell'art. 57, n. 1 del Cod. pen. e che ha dato tanto da fare agli interpreti, non ha inteso se non sottolineare il distacco dal sistema dell'Editto Albertino e dalla figura che vi compare del gerente, complice necessario dell'autore del reato commesso a mezzo della stampa. Si volle dire che la responsabilità del direttore si fonda sulla circostanza, propria di lui, di non aver osservato gli obblighi di vigilanza e di controllo ai quali egli é tenuto per il fatto di essere direttore, obblighi che non é necessario rintracciare puntualmente espressi in un precetto legislativo, ma che ben possono desumersi dal sistema, come in questo caso del direttore del giornale: una figura della quale sono certi i lineamenti e quindi i diritti ed i doveri.
5. - La conseguenza é che non esiste contrasto tra l'art. 57, n. 1 Cod. pen. e l'art. 27 della Costituzione. Non pare dubbio alla Corte che questo ultimo articolo consacri il principio, acquisto certo di un secolare svolgimento, che non si risponde se non per fatto proprio. Ma appunto il direttore del periodico risponde per fatto proprio, per lo meno perché tra la sua omissione e l'evento c'é un nesso di causalità materiale, al quale si accompagna sempre un certo nesso psichico (art. 40 Cod. pen.) sufficiente, come é opinione non contrastata, a conferire alla responsabilità il connotato della personalità.
Né, inoltre, l'art. 57 così interpretato, vieta che la responsabilità del direttore di giornale venga meno tutte le volte in cui il caso fortuito o la forza maggiore, il costringimento fisico o l'errore invincibile (artt. 45, 46 e 48 Cod. pen.) vietino di affermare che l'omissione sia cosciente e volontaria (art. 42 Cod. pen. 1 comma), nessuna ragione imponendo che questi principi generali e di rigorosa osservanza trovino in questo caso sbarrato l'ingresso alla loro puntuale applicazione.
6. - D'altra parte, se l'art. 57, n. 1, considerato in sé e per sé, consente di giungere alla persuasione che la responsabilità, che vi é raffigurata, non é per fatto altrui (che é quanto basta ai fini del presente giudizio), un'autorevole giurisprudenza della Corte di Cassazione ha affermato che la responsabilità del direttore di un periodico é fondata sulla colpa, ed ha giustificato per tale via la compatibilità dell'art. 57, n. 1 col dettato della norma costituzionale.
Certamente, che una giurisprudenza siffatta si sia costituita tanto che si possa dire ormai dominante, é una circostanza della quale non può negarsi l'importanza. La Corte, pur ritenendo di potere e di dovere interpretare con autonomia di giudizio e di orientamenti e la norma costituzionale che si assume violata e la norma ordinaria che si accusi di violazione, non può non tenere il debito conto di una costante interpretazione giurisprudenziale che conferisce al precetto legislativo il suo effettivo valore nella vita giuridica, se é vero, come é vero, che le norme sono non quali appaiono proposte in astratto, ma quali sono applicate nella quotidiana opera del giudice, intesa a renderle concrete ed efficaci.
Tuttavia la Corte non può non rilevare le difficoltà che il testo dell'art. 57, n. 1, offre ad una interpretazione di questa sorta, pur tanto aderente alla realtà delle cose, nella qualità della pena che é di un reato doloso irrogata al reo di un reato colposo, anche se é da ritenere che ciò non trasformi il titolo della relativa responsabilità: residuo storico della vecchia figura del complice necessario, prevista dall'Editto Albertino. Il che, del resto, é confermato dalla necessità generalmente avvertita (come fanno fede ripetute proposte di riforma) di dare ad una materia, che la realtà configura in termini non equivoci, una corrispondente formulazione legislativa: della quale necessità anche la Corte sente di doversi rendere interprete.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Respinta l'eccezione di incompetenza proposta dall'Avvocatura dello Stato;
Dichiara infondata la questione sollevata sulla legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 57, n. 1 Cod. pen. e nell'art. 3 della legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47 in riferimento alla norma contenuta nell'art. 27 della Costituzione,
Salva la revisione del testo dell'art. 57, n. 1 Cod. pen., al fine di renderlo anche formalmente più adeguato alla norma costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 1956.
Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI -Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO.
Depositata in cancelleria il 23 giugno 1956.