SENTENZA N. 158
ANNO 1982
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Prof. Giovanni CONSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 80 e 98 della legge 22 dicembre 1975, n. 685 (Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), promossi con le ordinanze emesse il 12 febbraio l976 dal Pretore di Venezia, il 6 marzo 1976 dal Pretore di Livorno, il 14 giugno 1976 dal Tribunale per i minorenni di Bologna, il 6 novembre 1976 dal Pretore di Ferrara, il 19 luglio 1977 dal Tribunale di Sondrio e il 30 aprile 1981 dal Giudice istruttore del Tribunale di Rovigo (due ordinanze), rispettivamente iscritte ai nn. 316, 451 e 664 del registro ordinanze 1976, ai nn. 48 e 565 del registro ordinanze 1977 ed ai nn. 461 e 462 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 158, 218 e 340 del 1976, n. 94 del 1977, n. 53 del 1978 e n. 297 del 1981.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 28 aprile 1982 il Giudice relatore Giovanni Conso;
udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
- - La polizia giudiziaria di Venezia, con rapporto in data 29 dicembre 1975, segnalava al Pretore di Mestre, ai sensi dell'art. 98 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, Bellan Roberto quale persona dedita all'uso personale non terapeutico di sostanze stupefacenti.
Il Pretore, non ritenendo sussistenti le condizioni richieste dall'art. 80 della legge n. 685 per la dichiarazione di non doversi procedere, trasmetteva gli atti al Procuratore della Repubblica di Venezia.
Di contrario avviso si manifestava, però, quest'ultimo che inviava il procedimento al Pretore di Venezia, competente per territorio, chiedendo che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 98 della legge n. 685 del 1975 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. L'eccezione muove dalla constatazione della assoluta atipicità della procedura contemplata dall'art. 98 legge n. 685 del 1975, il quale prescrive che il pretore, informato dalla polizia giudiziaria di uno dei fatti previsti dall'art. 80 (detenzione per uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope), assunte le necessarie informazioni é incaricato un perito al fine di accertare se sussistano le condizioni di non punibilità previste da questa disposizione e al fine di acquisirne il parere circa il trattamento sanitario e assistenziale più appropriato, all'esito dell'indagine, ove sia risultata l'esistenza di una delle cause di non punibilità , dichiari di non doversi procedere; in caso contrario, deve invece trasmettere gli atti al procuratore della Repubblica competente.
Il presupposto della atipicità procedimentale denunciata deriva, peraltro, secondo il Pubblico Ministero, da un dato di natura sostanziale, essendo le "condizioni di non punibilità "previste dall'art. 80 vere e proprie cause di giustificazione; al pretore sarebbe così assegnato il potere di decidere, "in anticipo e separatamente dagli altri elementi soggettivi ed oggettivi della fattispecie" in ordine all'esistenza di tali cause di esclusione della antigiuridicità: ne deriverebbe processualmente una conseguenza ancor più atipica, essendo un tale accertamento demandato ad un giudice incompetente, ratione materiae, a conoscere del reato nella sua integrità.
La dedotta deviazione dall'ortodossia processuale comune induce così l'organo inquirente a prospettarsi, problematicamente, il tema della natura giuridica del procedimento di cui all'art. 98.
Due sono le possibili alternative che, anche alla stregua delle discussioni parlamentari, nel corso delle quali l'argomento fu ampiamente dibattuto, possono proporsi: l'una che configura tale procedura come un'inchiesta penale amministrativa, destinata a chiudersi, se ricognitiva dell'insussistenza del reato, con un decreto di impromuovibilità dell'azionepenale ex art. 74 c.p.p.; l'altra che la qualifica come una vera e propria istruttoria penale. il cui atto conclusivo é una sentenza di proscioglimento.
Tuttavia, secondo il Pubblico Ministero, numerosi elementi suffragano la seconda delle alternative.
Dal punto di vista letterale, anzitutto, non sembra indifferente che l'art. 98 qualifichi il provvedimento del pretore come dichiarazione di non doversi procedere: é questa la formula tipica: nel sistema del nostro diritto processuale penale, alla stregua degli artt. 378, 395 e (con riferimento specifico al provvedimento pretorile) 398, comma terzo, c.p.p., con la quale vengono designate le decisioni di proscioglimento istruttorio. Non vi é alcun motivo ragionevole che conduca ad autorizzare la conclusione che l'espressione sia stata adottata in senso volutamente atecnico: la linea di discriminazione sostanziale tra il caso previsto nell'art. 74 c.p.p. e quello in cui deve essere pronunciata sentenza istruttoria di proscioglimento viene, infatti, individuata dalla dottrina e dalla giurisprudenza più accreditate nella circostanza che nel primo caso sussiste una situazione di evidenza immediata della infondatezza della notizia di reato che invece manca nel secondo. Già il fatto che il pretore debba pronunciarsi circa l'assenza di una causa di non punibilità appare, quindi, realtà assolutamente incompatibile con quella evidenza in ordine alla insussistenza del reato che costituisce la condizione per l'emanazione del decreto di archiviazione (laddove, invece, un tale accertamento é compreso tra quelli propri della sentenza di proscioglimento con la formula "perché il fatto non costituisce reato" o "per altra ragione").
Ma, a parte tale ultimo profilo, una seconda decisiva argomentazione fa ritenere che il procedimento disciplinato dall'art. 98 legge n. 685 del 1975 abbia natura giurisdizionale e che il provvedimento che lo conclude debba qualificarsi come vera e propria sentenza: il giudice, infatti, non decide allo stato degli atti ma sulla base di una "complicata" perizia tossicologica e medico psicologica; conseguentemente, anche nei casi in cui risulti evidente l'applicabilità dell'art. 80, una immediata pronuncia resta processualmente preclusa (del tutto irrazionalmente) per l'espresso dettato dell'art. 98.
Se tali premesse sono esatte, prosegue l'organo inquirente, ne discende "l'incontestabile, inammissibile irrazionalità dell'intero sistema".
Poiché, infatti, il nostro diritto processuale non prevede alcun caso di sentenza di assoluzione o di proscioglimento che non sia preceduto dalla "accusa di un reato", il detentore o acquirente di sostanze stupefacenti o psicotrope acquista necessariamente la qualità di imputato: tuttavia, costituendo i fatti di cui all'art. 80, in relazione ai quali é disposta l'indagine istruttoria, non reati, ma vere e proprie cause di esclusione degli illeciti di cui agli artt. 71 e 72, ne consegue l'impossibilità giuridica, derivante dalla tipologia procedimentale considerata, di muovere al detentore od acquirente una accusa diversa da quella prevista dalle norme incriminatrici ora considerate. Ma le fattispecie configurate negli artt. 71 e 72, prevedendo in ogni caso una pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione, sfuggono alla competenza per materia del pretore, il quale dovrebbe allora promuovere l'azione penale, procedere (paradossalmente) per reati esulanti dalla sua competenza e compiere atti istruttori insanabilmente affetti da nullità (artt. 33 e 34 c.p.p.), che coinvolgerebbe anche la decisione (art. 189 c.p.p.), nonostante questa non possa qualificarsi viziata in quanto la legge prevede la competenza del pretore.
Ma allora, se si instaura un procedimento penale, prosegue il Pubblico Ministero, all'acquirente o detentore non potrebbe non essere riconosciuto il diritto di provvedere alla propria difesa di fiducia e, comunque, dovrebbe essergli assicurata una difesa di ufficio, peraltro, dopo la notificazione della comunicazione giudiziaria; inoltre, poiché il proscioglimento ai sensi dell'art. 80 non può essere pronunciato che con la formula "perché il fatto non costituisce reato", ciò sarebbe da solo sufficiente ad imporre l'obbligo di interrogare il soggetto interessato in quanto soltanto in caso di proscioglimento con formula "piena" (fatto non sussiste o non fu commesso dall'imputato) é possibile pervenire ad una decisione senza il previo interrogatorio dell'inquisito sui fatti oggetto della imputazione (si cita la sentenza n. 151 del 1967 della Corte costituzionale), che dovrebbe comunque essere preceduto dalla emissione di un mandato (nei casi di gran lunga più frequenti di cui allo art. 71) addirittura di cattura.
La irrazionalità del sistema adottato, prosegue il Pubblico Ministero, diviene poi ancora più evidente ove si consideri che il legislatore mostra, nella sostanza, di non volersi discostare dagli schemi tradizionali in tema di competenza. Nel caso di mancato accertamento della sussistenza delle cause di non punibilità di cui all'art. 80 é, infatti, previsto che il pretore trasmetta gli atti al procuratore della Repubblica: se si vuole riconoscere un minimo di conseguenzialità allo schema di procedimento in esame, deve ammettersi che la legge ha utilizzato la collaudata ossatura del processo penale per costruire una inverosimile procedura di verifica di alcune delle ipotesi di insussistenza del reato, la cui cognizione é stata affidata al pretore probabilmente solo allo scopo di accentrare in tale organo il maggior numero possibile di informazioni, da utilizzare poi anche ad altri fini (artt. 99 ss. legge n. 685 del 1975), senza però, preoccuparsi di coordinare la procedura con i principi fondamentali del processo penale.
Proprio nell'ipotesi in cui venga accertata l'insussistenza della causa di giustificazione di cui all'art. 80 emerge l'irrazionalità del meccanismo predisposto dall'art. 98: in tal caso il pretore deve trasmettere gli atti al pubblico ministero che provvede nei modi usuali all'inizio dell'azione penale, con il risultato che gli atti compiuti ex art. 98 o sono nulli per incompetenza per materia, o sono validi malgrado tale incompetenza.
In entrambi i casi, tuttavia, prosegue l'organo inquirente, la disciplina si rivela irrazionale giacché il sistema istituzionalizza l'inevitabile annullamento di attività processuali, ovvero rende l'interessato destinatario di un accertamento probatorio ormai consolidato, malgrado esso sia stato compiuto da un giudice incompetente, "in una prospettiva che, per essere stata caratterizzata da un'ipotesi di non punibilità indicata dalla stessa polizia giudiziaria, non può essere stata la più idonea ad attivare il suo interesse alla difesa". Tra le alternative ora indicate, ritenute entrambe irrazionali, il Procuratore della Repubblica di Venezia propende, comunque, per la prima, e ciò sia perché la legge sembra inequivocabilmente orientata nel senso che il pubblico ministero debba promuovere ex novo l'azione penale, sia perché ricade in regole processuali inderogabili l'obbligo di applicare la sanzione della nullità con riferimento a tutti gli atti compiuti dall'autorità incompetente.
Anche dal punto di vista sostanziale, la disciplina in questione si rivela inaccettabile giacché é stabilito l'obbligo di sottoporre a procedimento penale l'acquirente o detentore di droga per consumo personale (secondo la legge, non un criminale ma un malato) anche nei casi in cui la situazione prospettata dalla polizia giudiziaria, le informazioni assunte e le esperienze del magistrato istruttore avrebbero consentito una immediata definizione della notitia criminis senza un procedimento vero e proprio e senza la necessità di una sentenza; prova ne sia che - deduce il Pubblico Ministero - "secondo quanto emerge dalle scarse notizie di cui si dispone", la stessa prassi giudiziaria sembra orientarsi per la restrizione (se non per la esclusione) dei poteri del pretore, anche perché difficilmente la polizia giudiziaria é in grado di stabilire se ci si trovi di fronte ad uno dei fatti di cui all'art. 80: molto spesso potrà , quindi, avvenire che il rapporto venga trasmesso tanto al pretore che al pubblico ministero, con la possibilità di duplicazione di procedimenti.
Il Procuratore della Repubblica si dà poi anche carico di ipotizzare gli effetti di una eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'attuale disciplina.
Ed a tal riguardo si rileva che nessun vuoto normativo verrebbe creato, posto che i principi generali del processo penale soccorrerebbero adeguatamente: al pretore verrebbe, infatti, sostituito il procuratore della Repubblica, quale autorità destinataria della segnalazione prevista dall'art. 98, ed anche quale organo delegato all'accertamento del reato di cui agli artt. 71 e 72 e, correlativamente, delle cause di esclusione dell'antigiuridicità di cui all'art. 80.
Le considerazioni che precedono sono state proposte dal Pubblico Ministero sul presupposto che il procedimento ex art.98 abbia la natura di una vera istruttoria penale e, quindi, sia esercizio di attività giurisdizionale. Il discorso, tuttavia, sarebbe identico nel caso in cui all'indicata procedura si assegni il valore di un'inchiesta preliminare giudiziario - amministrativa e si conferisca, perciò, alla decisione il carattere di provvedimento di archiviazione (art. 74 c.p.p.): la irrazionalità del sistema risiede, infatti, proprio nella attribuzione al pretore della competenza nel procedimento in esame, mediante il quale si tratta comunque di provvedere in merito a reati esulanti dalla cognizione pretorile, riconoscendosi, peraltro, istituzionalmente, per l'eventuale sviluppo del procedimento, la competenza del tribunale.
D'altra parte, la legge (attuale testo degli artt. 78 e 304 c.p.p.) riconosce alla procedura preliminare i caratteri di un procedimento giurisdizionale, rivelandosi decisiva, al riguardo, la considerazione che, comunque, essa mira all'accertamento sostanziale di un grave delitto in quanto la relativa ipotesi é posta in ineliminabile alternativa logica con l'accertamento di una delle cause di non punibilità al cui riconoscimento é, almeno formalmente, rivolta l'attività di indagine.
L'ultima alternativa prospettata dall'organo inquirente é quella che qualifica la procedura prevista dall'art. 98 come procedimento amministrativo: all'esito di essa i provvedimenti adottati non assumerebbero così, al di fuori ed all'esterno della procedura stessa, alcun valore formale, mentre gli atti assunti dal pretore, una volta che sia stata riconosciuta l'insussistenza della causa di non punibilità, ed il procedimento sia stato trasmesso al procuratore della Repubblica per il promuovimento dell'azione penale, sarebbero del tutto irrilevanti. L'unico elemento che possa suffragare una tale tesi é costituito - secondo il Pubblico Ministero - dal tenore letterale della norma impugnata che, nell'uso di espressioni generiche ("assunte sommarie informazioni", "incarica un perito avente specifica competenza"), sembra porsi fuori misura rispetto al tecnicismo terminologico sempre osservato dal codice di rito anche in tema di attività istruttoria e di nomina di periti. L'argomento a contrario si rivela, tuttavia, assolutamente fragile ed inconsistente, ove si rammenti che il pretore é chiamato a svolgere una funzione istituzionalmente volta a stabilire la sussistenza o meno di un reato o (il che é lo stesso) la esistenza o meno di una causa di giustificazione: all'esito delle indagini dovrà, quindi, adottare una pronuncia di tipo formale che si sostanzia in una dichiarazione di non doversi procedere (evidentemente in sede penale) e, in caso di esclusione della prospettata causa di non punibilità, dovrà riferirne al procuratore della Repubblica per quanto di competenza (evidentemente sempre in sede penale). E che la funzione esercitata sia - si ribadisce - di carattere giurisdizionale risulta puntualmente dal fatto che la competenza é stata attribuita al pretore: non si trova, infatti, alcuna plausibile spiegazione del perché, in caso contrario, la procedura non sia stata affidata all'autorità amministrativa, non potendo l'attuale assetto trovare giustificazione che nell'esigenza di assicurare al detentore o acquirente le garanzie della indipendenza e della imparzialità dell'organo pubblico cui é conferito il compito di trattazione dell'affare.
Il Pretore di Venezia, così investito della cognizione dei fatti, "atteso che le argomentazioni sviluppate... dal Procuratore della Repubblica, rivolte a dimostrare l'insanabile irrazionalità dell'art. 98, ... essendo condivise in toto... devono intendersi richiamate integralmente dalla allegata requisitoria", ha, con ordinanza 12 febbraio 1976, sollevato la predetta questione di legittimità costituzionale.
Il provvedimento, con allegata la "requisitoria" del Pubblico Ministero, é stato ritualmente notificato e comunicato e poi pubblicato (con le richieste del Procuratore della Repubblica di Venezia) nella Gazzetta Ufficiale n. 158 del 1976.
Avanti a questa Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato. il quale ha chiesto, in via preliminare, che la questione sia dichiarata inammissibile e, nel merito, non fondata.
Numerose le eccezioni di inammissibilità dedotte dall'Avvocatura. Si osserva in primo luogo che il procedimento di cuia ll'art. 98 legge n. 685 del 1975 non risulta essere stato seguito nel caso di specie: dalla ordinanza di rimessione emerge che, in realtà, gli ufficiali di polizia giudiziaria riferirono al Pretore di Mestre uno dei fatti previsti dall'art. 80, ma quest'ultimo, anziché procedere agli accertamenti prescritti dall'art. 98, ritenne di trasmettere gli atti, il che avrebbe potuto fare solo una volta riconosciuta l'insussistenza della causa di non punibilità, al Procuratore della Repubblica di Venezia, che, a sua volta, avendo, invece, accertato la presenza della causa di non punibilità, ha trasmesso il procedimento al Pretore di Venezia (competente per territorio) chiedendogli di sollevare questione di costituzionalità del predetto art. 98: questione che é stata sollevata dal giudice a quo, senza che venisse precisato quale altra pronuncia egli intendesse emettere che gli fosse imposta o, viceversa, impedita dalla norma che andava ad impugnare.
Il giudice a quo non ha poi provveduto nella ordinanza di rinvio ad effettuare alcuna valutazione in ordine alla rilevanza della questione sollevata per la definizione del giudizio pendente avanti al Pretore: questo rilievo, osserva l'Avvocatura, non ha carattere esclusivamente formale, giacché le questioni relative alla validità ed efficacia, nel futuro procedimento da svolgersi davanti al tribunale, degli accertamenti compiuti, nonché della pronuncia da emettersi dal pretore a norma dell'impugnato art. 98, sono questioni che assumeranno rilevanza solo se e in quanto un tribunale sarà chiamato a pronunciare sentenza sulla imputazione di un reato - previsto dall'art. 71 legge n. 685 del 1975.
Il pretore, allora, é chiamato, dall'impugnato art. 98, esclusivamente ad accertare se sussistano o meno le condizioni di non punibilità previste dall'art. 80 ed eventualmente a disporre gli urgenti provvedimenti sanitari ed assistenziali: tutto ciò egli può fare senza preoccuparsi della sorte che avranno i suoi atti in un futuro, eventuale, processo penale.
Altro motivo di inammissibilità viene individuato nel fatto che il giudice a quo ha prospettato numerose, pretese, "irrazionalità "della normativa impugnata che, peraltro, si risolvono in deroghe alla generale disciplina del processo penale: non ha precisato, invece, quali precetti della Costituzione e quali diritti da questa garantiti siano stati lesi da tali "irrazionalità".
Tuttavia, prosegue l'Avvocatura, se anche la considerazione che il procedimento regolato dall'art. 98 é indubbiamente sui generis può giustificare il richiamo al principio di eguaglianza, deve rilevarsi che tale procedura é stata voluta dal legislatore per il suo carattere di immediatezza e per la possibilità del pretore di adottare con rapidità le decisioni urgenti in materia sanitaria e assistenziale - che ritenga necessarie. Si tratta di uno strumento creato per la realizzazione di un indirizzo fondamentale della legge: "distinguere nettamente fra trafficante e consumatore, soprattutto per quel che riguardale norme penali" assicurando al tossicomane, considerato "un soggetto disadattato per responsabilità che possono farsi risalire a certe caratteristiche negative di frustrazione e alienazione, tipiche dell'odierna società", un trattamento che non sia indiscriminatamente repressivo, ma rieducativo e curativo. La specialità del procedimento sarebbe, perciò, giustificata dalla particolarità dei fini perseguiti dal legislatore; essa, comunque, assicurerebbe al destinatario dei provvedimenti pretorili un trattamento non deteriore ma, se mai, più favorevole di quello assicurato, in genere, all'imputato di delitti comuni.
Infine, deduce l'Avvocatura, la questione sollevata dal Pretore di Venezia appare inammissibile anche per un'ulteriore ragione che, se può far dubitare della legittimazione del pretore a proporre l'incidente di costituzionalità, ne dimostra anche la infondatezza.
La prospettiva da cui muove il giudice a quo sarebbe, infatti, viziata in radice, presupponendo che il procedimento e il provvedimento previsti nell'art. 98 abbiano natura giurisdizionale e comportino esclusivamente alcune deroghe alla disciplina generale del processo penale. Tale tesi é, invece, assolutamente discutibile proprio alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale che, a proposito del decreto pretorile di archiviazione di cui all'art. 74 c.p.p., ebbe ad affermare che tale provvedimento, "a differenza della sentenza, ha per presupposto la mancanza di un processo, non dà luogo a preclusioni e non limita la possibilità di procedere in qualunque momento, pure se non siano insorte nuove prove".
Quanto é stato osservato a proposito del decreto pretorile di archiviazione può ritenersi, a fortiori, per il provvedimento previsto nel terzo comma dell'art. 98, con cui il pretore accerta l'esistenza dei presupposti perché possa instaurarsi la procedura di cui agli artt. 99 ss., alla quale il pretore medesimo é chiamato a partecipare in sede di adozione dei provvedimenti di urgenza.
Può allora ritenersi, conclude l'Avvocatura, che il provvedimento pretorile previsto nel terzo comma dell'art. 98 non sia altro che un atto preliminare di questo procedimento, voluto dal legislatore "soprattutto a garanzia dei diritti di libertà e a tutela della personalità di colui che, non affidandosi volontariamente ad un sanitario od ai centri medici, debba essere ricoverato".
Al provvedimento del Pretore di Venezia (ed alla allegata "requisitoria" del Pubblico Ministero) fa espresso riferimento l'ordinanza emessa il 19 luglio 1977 dal Tribunale di Sondrio nel procedimento penale a carico di Bossi Giuseppe ed altri: viene contestata, sempre con riferimento all'art. 3 della Costituzione, la legittimità costituzionale, oltre che dell'art. 98, anche dell'art. 80 legge n. 685 del 1975.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 53 del 1978.
É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto preliminarmente che la questione venga dichiarata inammissibile.
Deduce l'Avvocatura che i fatti previsti dall'art. 80 sono stati, nella specie, accertati non già da ufficiali od agenti di polizia giudiziaria (come richiede l'art. 98), ma dal tribunale nel corso di un procedimento penale: la norma da applicare non é, quindi, quella impugnata bensì l'art. 96, quinto comma, il quale prescrive che il giudice deve dichiarare non doversi procedere e trasmettere copia del provvedimento al centro medico e di assistenza sociale del luogo di residenza dell'imputato prosciolto. É, allora, evidente che il procedimento pendente avanti al giudice a quo doveva (e deve) essere definito con il proscioglimento degli imputati nei confronti dei quali si ritenesse applicabile l'art. 80, senza la necessità di verificare la legittimità costituzionale dell'art. 98. L'inammissibilità deve essere poi estesa alla impugnativa dell'art. 80, non avendo il giudice a quo indicato i motivi per i quali dubita della legittimità costituzionale di tale disposizione: né vale, a tale riguardo, il richiamo all'ordinanza del Pretore di Venezia perché con tale provvedimento é stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 98, non anche dell'art. 80. Per il resto, l'Avvocatura si riporta alle deduzioni sopra esposte tanto in ordine alla inammissibilità (non si precisa in qual senso e nei confronti di chi la norma denunciata operi alcuna ingiustificata disparità di trattamento) che alla non fondatezza (il procedimento e il provvedimento in questione hanno natura ed effetti chiaramente diversi dal procedimento penale e dalla sentenza che lo definisce) della questione proposta.
- - Il Pretore di Ferrara, con ordinanza in data 6 novembre 1976, emessa nel corso del procedimento ex art. 98 legge n. 685 del 1975, ha sollevato questione di legittimità costituzionale di tale disposizione in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
Anche questo giudice muove dalla qualificazione delle funzioni pretorili esplicate ai sensi della norma impugnata come giurisdizionali giacché esse - a suo avviso - si traducono in una forma di risoluzione di un conflitto tra diritti soggettivi mediante la tutela del diritto di libertà del cittadino cui si addebiti l'acquisto o la detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope. Ove poi si escludesse la natura giurisdizionale ditale funzione, ogni possibilità di alternativa dovrebbe essere ricondotta al momento amministrativo; ma nel concetto di amministrazione non trovano spazio i diritti soggettivi e, comunque, non é della funzione amministrativa il compito di risolvere conflitti tra diritti.
Né la procedura disciplinata nell'art. 98 legge n. 685 del 1975 può essere ricondotta nell'ambito della giurisdizione volontaria; e ciò in quanto quest'ultima solo nominalmente può essere riferita al momento giurisdizionale, trattandosi, in effetti, di una funzione ibrida che partecipa tanto della giurisdizione che della amministrazione (si prescinde, infatti secondo il Pretore - dalla violazione di un diritto soggettivo e dal conflitto tra i diritti contrastanti, é sconosciuto il contradittorio e la procedura non é sollecitata dall'intervento di una parte). Tale carattere resta al di fuori della struttura e della dinamica del processo di cui all'art. 98 al quale ben si attaglia il concetto di giurisdizione penale, che viene definita come "la potestà di risolvere con decisione motivata il conflitto tra diritto punitivo statale e il diritto di libertà dell'imputato in conformità della norma penale": in particolare si ribadisce - trattasi di "giurisdizione penale istruttoria", predisposta, quindi, all'acquisizione di tutto il materiale probatorio "utile e necessario alla formulazione del giudizio "che é destinato, inevitabilmente, a sfociare o nell'esercizio dell'azione penale ovvero nella rinuncia esplicita alla potestà punitiva da parte dello Stato. Orbene, nell'uno e nell'altro caso "si presume, comunque, l'esistenza di un fatto reato": anche nell'ipotesi di cui all'art. 80 poiché la sussistenza accertata di una causa di non punibilità "non solo non esclude l'esistenza di un reato ma anzi necessariamente la presuppone".
Secondo il vigente diritto positivo, infatti, l'acquisto o la detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope non é mai un fatto penalmente indifferente, ma é, al contrario, sempre un fatto illecito (salvo il caso di cure medicalmente accertato), che diviene non punibile solo se la detenzione o l'acquisto avvenga allo scopo di farne uso personale terapeutico (purché la quantità delle sostanze non ecceda in modo apprezzabile le necessità della cura, in relazione alle particolari condizioni del soggetto) ovvero allo scopo di farne uso personale non terapeutico (purché si tratti di modiche quantità ): d'altra parte, rileva il giudice a quo, la legge n. 685 del l975 si é limitata a depenalizzare soltanto l'uso e non anche la detenzione delle sostanze stupefacenti.
Se é vero, perciò, che l'attività del pretore appare predisposta all'accertamento del reato, ne discende, conseguentemente, la violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost., giacché l'istruttoria pretorile (e massimamente la perizia) non rispetta le garanzie difensive e, pertanto, non assicura l'esercizio effettivo e concreto del diritto di difesa.
Non può, infatti, sfuggire la rilevanza che l'attività svolta dal pretore esplica sul diritto di libertà del cittadino, sia nel caso che l'istruttoria sfoci nella dichiarazione d'improcedibilità , sia nell'ipotesi di trasmissione degli atti al pubblico ministero.
É evidente come non sia affatto indifferente per l'interessato (che, ad esempio, contesti la natura di una sostanza, ovvero il grado di tossicità della stessa) il poter tempestivamente intervenire nel procedimento, onde evitare la dichiarazione di improcedibilità che fa automaticamente operare gli strumenti predisposti dagli artt. 99 e 100, ed ottenere, invece, un provvedimento di archiviazione; così come non é affatto trascurabile per il soggetto il potere o meno disporre di un'adeguata e tempestiva difesa tecnica all'atto del compimento delle indagini peritali in ordine alle sue condizioni fisiopsichiche, alle quali deve essere ragguagliata la quantità di sostanze stupefacenti destinate all'uso, o in ordine alla modica quantità di tali sostanze. Ma non minore rilevanza avrà tutta l'istruttoria pretorile (e, in particolare, la perizia) nel caso in cui il pretore (anziché dichiarare di non doversi procedere) trasmetta gli atti, ai sensi dell'art. 80, ultimo comma, al pubblico ministero: quest'ultimo, infatti, utilizzerà in modo determinante i risultati conseguiti in quella sede; anzi, su tali elementi processuali poggerà la sua eventuale richiesta di rinvio a giudizio; così come sugli stessi elementi, e salva l'ipotesi di una nuova perizia nel dibattimento, fonderà la propria decisione il tribunale in sede di giudizio.
D'altra parte, conclude il giudice a quo, non sembra che un simile sacrificio del diritto di difesa (che rende inoperanti le garanzie di cui agli artt. 304 ss. c.p.p., cui l'art. 98, che disciplina un procedimento avente peculiari e proprie caratteristiche, non fa alcun rinvio) possa trovare una qualche plausibile giustificazione, dal momento che non sono individuabili diritti, costituzionalmente protetti, poziori rispetto al diritto di cui all'art. 24, secondo comma, Cost., ai quali accordare, nel conflitto, preminente tutela. L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 94 del 1977.
Avanti a questa Corte é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Nell'atto di intervento si insiste sul carattere peculiare del procedimento di cui all'art. 98 (che va interpretato nel contesto dell'intera legge n. 685 del 1975 e, in particolare, degli artt. da 99 a 101), a mezzo del quale il pretore é chiamato ad accertare l'esistenza di alcune delle cause di non punibilità indicate nell'art. 80, nonché, in caso positivo, dei presupposti perché possa instaurarsi il procedimento previsto dagli artt. 99 ss., cui il pretore partecipa anche in sede d'adozione dei provvedimenti d'urgenza.
Dopo aver riprodotto le notazioni concernenti la non fondatezza delle questioni sub 1, l'Avvocatura osserva che si può discutere in ordine alla natura del procedimento in questione; é, comunque, da escludere che risulti violato il diritto di difesa, garantito dalle norme del codice di procedura civile, richiamate dall'art. 101 della legge n. 685 del 1975, che assicura anche agli interessati il diritto di farsi assistere da difensori e da consulenti tecnici. Se lo stesso richiamo non é contenuto nell'art. 98, ciò si giustifica perché l'accertamento ivi previsto prelude esclusivamente ad una pronuncia di non doversi procedere, quindi favorevole all'interessato; ché se, invece, il pretore non ritenga sussistere i presupposti di una simile pronuncia, non potrà adottare alcun provvedimento, dovendosi limitare a trasmettere gli atti al competente procuratore della Repubblica.
- - Il Giudice istruttore del Tribunale di Rovigo, con ordinanze in data 30 aprile 1981 (in numero di due), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 98 della legge n. 685 del 1975 per contrasto con l'art. 25, primo comma, della Costituzione.
L'intervento pretorile, rileva anzitutto il giudice a quo, é istituto che mal si colloca nel sistema del nostro diritto processuale penale: l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero (obbligatorio ai sensi dell'art. 112 Cost.), infatti, si riduce alla facoltà di proporre appello avverso la sentenza del pretore, trasferendo così a quest'ultimo ogni potere di iniziativa: l'instaurazione della sommaria istruzione da parte del procuratore della Repubblica resta, quindi, in concreto condizionata alla trasmissione degli atti ai sensi dell'art. 98, ultimo comma.
Di qui la violazione del principio del giudice naturale, giacché i reati per cui il pretore procede sono tutti riservati, a norma dell'art. 30 c.p.p., alla cognizione del tribunale, mancando una vera e propria precostituzione legislativa del giudice nei sensi indicati dall'art. 25, primo comma, della Costituzione.
Ricorda al riguardo il giudice a quo che la Corte costituzionale, allorché, con la sentenza n. 88 del 1962, ebbe ad affrontare il tema della competenza prorogata (artt. 30 e 31 c.p.p.), affermò che il concetto di giudice precostituito per legge é da intendere soltanto nel senso di una competenza fissata, senza alternative, immediatamente ed esclusivamente dalla legge; il principio, in altri termini, non può ritenersi osservato, allorché, nella stessa materia, sussista una cognizione alternativa fra più giudici, preveduta, sì, dalla legge, ma risolubile a posteriori con un provvedimento singolo, in relazione ad un determinato procedimento: se il principio fissato nell'art. 25 é quello della precostituzione, cioé della previa certezza del giudice, "una tale certezza non può certo dirsi realizzata allorché, sia pure per legge, é preveduta un'alternativa". Orbene, nell'ipotesi prevista nell'art. 98 é contemplata appunto un'alternativa del genere, nulla rilevando che la competenza del pretore sia limitata all'accertamento della sussistenza o meno della causa di non punibilità, giacché solo apparentemente la cognizione del merito é riservata al tribunale: la decisione del pretore ai sensi degli ultimi due commi dell'art. 98 implica una "valutazione del fatto reato nella sua interezza, valutazione che, una volta trasmessi gli atti al pubblico ministero per il mancato proscioglimento dell'imputato e tratto quest'ultimo al giudizio, dovrà essere ripetuta (nel medesimo grado) dal tribunale".
La violazione della indicata disposizione costituzionale deve essere egualmente ritenuta nel caso in cui, seguendosi l'indirizzo della Corte di cassazione, si voglia ritenere che il provvedimento pretorile abbia natura di decreto di archiviazione e non di sentenza di proscioglimento.
Anche in tale prospettiva, infatti, deve individuarsi una cognizione alternativa, incompatibile egualmente con l'art. 25, primo comma, ancorché la stessa riguardi non la fase del giudizio, né quella della istruzione, ma il momento del promuovimento dell'azione penale.
Anzi, tale situazione, conclude il giudice a quo, appare ancor più gravemente viziata di incostituzionalità ove si consideri che essa concerne non già una possibile diversa valutazione del medesimo fatto reato da parte di giudici diversi, ma, addirittura, una possibile distinta considerazione del fatto oggetto del rapporto giudiziario al fine di stabilire se debba promuoversi o meno l'azione penale. L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 297 del 1981.
Nel giudizio avanti a questa Corte é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.
Osserva l'Avvocatura che il principio della precostituzione del giudice non é in alcun modo violato, giacché l'art. 98 non é stato emanato in vista di alcun particolare procedimento, ma é applicabile ogni volta che si realizzi l'ipotesi in esso prevista: la norma, infatti, contiene la precisa attribuzione al pretore di una competenza esclusiva, sì che non resta alcuno spazio per la scelta alternativa, da compiersi, a fattispecie già realizzata, per l'emanazione del provvedimento di cui al penultimo comma della norma impugnata. E, se é vero che la competenza attribuita al pretore da tale disposizione non esclude quella del tribunale a giudicare del reato previsto dall'art. 72, é altresì indubitabile che si tratta di competenze diverse, non alternative: non vi é, quindi, la possibilità che tra di esse venga ad operarsi una scelta a posteriori con provvedimento singolo, in relazione ad un determinato procedimento.
Ove poi si ritenga che la norma impugnata abbia introdotto una deroga alle competenze attribuite al procuratore della Repubblica ed al giudice istruttore, rispettivamente, dagli artt. 74 e 378 c.p.p., nessun precetto costituzionale ne risulta violato, vertendosi in tema di competenze attribuite da leggi ordinarie, non costituzionalmente garantite, che, perciò, ben possono essere derogate con disposizioni di pari forza normativa. Nemmeno sussiste (la censura, peraltro, emerge solo nella motivazione, mentre é del tutto omessa nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione) violazione dell'art. 112 della Costituzione. L'Avvocatura rileva, infatti, che, mentre, da un lato, l'art. 98 attribuisce al pretore un potere che deve essere esercitato, dall'altro, l'obbligo del pubblico ministero di esercitare l'azione penale si traduce anche nell'obbligo di impugnare i provvedimenti che appaiono illegittimi.
- - Il Pretore di Livorno, con ordinanza 6 marzo 1976, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 98, secondo, terzo e quarto comma, della legge n. 685 del 1975, nella parte in cui attribuisce al pretore e non al tribunale peri minorenni la competenza ad emettere i provvedimenti previsti da tale disposizione.
Premette il giudice a quo che dall'esame dei lavori preparatori della legge n. 685 del 1975 emerge univocamente che il pretore, nel compiere le indagini previste dall'art. 98, secondo comma, deve applicare tutte le misure dettate dal codice di procedura penale a garanzia del diritto di difesa dell'imputato (il quale, pertanto, può farsi assistere da un difensore di fiducia e nominare un consulente tecnico); risulta, altresì, che il provvedimento emesso ai sensi del penultimo comma dell'art. 98 non può essere qualificato decreto di archiviazione, ma, atteso il lessico adottato dalla norma, deve considerarsi una vera e propria sentenza istruttoria di proscioglimento.
La disciplina in parola si rivela allora contrastante con l'art. 3 della Costituzione alla luce della decisione della Corte costituzionale n. 198 del 1972, che ha ritenuto illegittimo l'art. 9, secondo comma, del r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, nella parte in cui, in caso di connessione di reati, consente la deroga alla competenza del tribunale per i minorenni anche nell'ipotesi in cui minori o maggiori degli anni diciotto non siano coimputati nello stesso reato. Secondo la Corte, infatti, quando il reato commesso dal minore sia diverso e distinto da quello compiuto dal maggiore, la norma realizza una disparità di trattamento rispetto all'ipotesi, sostanzialmente eguale, in cui un minore commetta un reato da solo. Appare, allora, parimenti contrastante con l'art. 3 lo spostamento di competenza dal tribunale per i minorenni al pretore per un fatto, allo stato, configurabile quale delitto di illecita detenzione distupefacenti ex art. 71 della legge n. 685 del 1975, punito con pene eccedenti la cognizione del pretore, non sussistendo, nella specie, alcuna necessità di simultaneus processus.
La disposizione impugnata contrasterebbe anche con l'articolo 25 della Costituzione in quanto verrebbe sottratta al giudizio del tribunale per i minorenni, composto da persone qualificate e specializzate, l'indagine sulla condotta del minore che abbia fatto uso di sostanze stupefacenti o psicotrope; tantopiù che la stessa norma (al secondo comma) richiede obbligatoriamente un accertamento tecnico che investe la "personalità fisiopsichica del detentore, accertamento che solo il tribunale per i minorenni é in grado di poter convenientemente effettuare".
Non é poi superfluo sottolineare, conclude il giudice a quo, che, attribuendo la competenza al pretore per i fatti previsti dall'art. 80, può sorgere l'inconveniente del contemporaneo inizio di due procedimenti (d'innanzi al pretore e al tribunale per i minorenni) per lo stesso fatto, con possibilità di decisioni contrastanti.
L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 1976.
Nel giudizio é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.
Premette l'Avvocatura che il richiamo, contenuto nell'ordinanza di rinvio, alla sentenza della Corte n. 198 del 1972 non é conferente per denunciare la illegittimità della norma impugnata in relazione all'art. 3 Cost.; in quella occasione, infatti, la Corte dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 9 r.d.l. n. 1404 del 1934, perché tale norma, secondo la prevalente interpretazione giurisprudenziale, consentiva la deroga alla competenza del tribunale per i minorenni in favore del giudice ordinario anche nell'ipotesi in cui maggiori e minori degli anni diciotto fossero imputati di reati diversi ma connessi; la Corte affermò l'incompatibilità di tale norma col principio di eguaglianza perché l'ipotesi in cui il reato commesso dal minore sia diverso e distinto da quello compiuto dal maggiore di età é sostanzialmente eguale a quella in cui il minore commetta da solo il reato.
La norma ora impugnata, invece, non opera alcuna differenziazione di disciplina sostanziale e processuale tra minori, abbiano o non abbiano commesso un reato da soli o con altri coimputati maggiori; in ogni caso e per tutti resta egualmente applicabile l'impugnato art. 98.
Nessuna vulnerazione del principio della precostituzione del giudice é poi ipotizzabile: la norma denunciata, infatti, non é stata emanata in vista di alcun particolare procedimento, ma é applicabile ogni volta che si realizzi l'ipotesi astrattamente prevista dalla disposizione stessa. E pertanto, anche ove si ritenga che il procedimento e il provvedimento disciplinati dall'art. 98 abbiano natura giurisdizionale, é certo che il pretore, nell'esercizio delle funzioni previste dall'articolo stesso, é giudice precostituito per legge, così come lo é il tribunale per i minorenni.
É, comunque, da escludersi, prosegue l'Avvocatura, che con la norma impugnata sia stata operata una sottrazione di poteri giurisdizionali al tribunale. Può, al contrario, dubitarsi della natura giurisdizionale del procedimento pretorile alla stregua di quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 95 del 1975 nei riguardi del decreto di archiviazione: si affermò in tale occasione che questo provvedimento "a differenza della sentenza, ha per presupposto la mancanza di un processo, non dà luogo a preclusioni e non limita la possibilità di procedere, in qualunque momento, pure se non siano insorte nuove prove".
Tali argomentazioni sembrano ancor più rilevanti per il provvedimento previsto dal terzo comma dell'art. 98 con il quale il pretore accerta l'esistenza dei presupposti perché possa instaurarsi il procedimento contemplato nell'art. 99 legge n. 685 del 1975, al quale il pretore medesimo é chiamato a partecipare in sede di provvedimento di urgenza.
Può allora ritenersi, conclude l'Avvocatura, che il provvedimento di cui all'art. 98, terzo comma, sia atto preliminare di questo procedimento, voluto dal legislatore "soprattutto a garanzia dei diritti di libertà e a tutela della personalità di colui che, non affiancandosi volontariamente ad un sanitario od ai centri medici, debba essere ricoverato. Della giurisdizionalità del procedimento così regolato si può, ovviamente, discutere: é certo, tuttavia, che esso non si sostituisce al processo penale, né impedisce il suo svolgimento avanti al giudice competente e, quindi, nel caso di imputati minorenni, avanti al giudice indicato dal r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404".
Una analoga questione ha sollevato anche il Tribunale per i minorenni di Bologna che ha contestato, sempre in riferimento al procedimento riguardante minori, la legittimità costituzionale dell'art. 98 della legge n. 685 del 1975 in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Sostanzialmente identiche a quelle proposte dal Pretore di Livorno le censure riferite all'art. 3 della Costituzione. Quanto alla dedotta violazione del diritto di difesa il giudice a quo si limita ad affermare che l'assoggettamento dei minori alla competenza del pretore e la corrispondente esclusione di qualsiasi garanzia per gli interessati contrasta anche con l'art. 24 della Costituzione.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 340 del 1976.
Ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale, riportandosi ai suoi precedenti atti d'intervento, ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
Considerato in diritto
- - Le questioni sollevate con le sette ordinanze in epigrafe sono strettamente connesse; i relativi giudizi vengono, pertanto, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
- - Oggetto di censura da parte di tutti i giudici a quibus é l'art. 98 legge 22 dicembre 1975, n. 685, denunciato talora nella sua globalità, talora in parti più o meno ampie, con riferimento a diversi parametri costituzionali (artt. 3, 24, secondo comma, e 25, primo comma, Cost.), chiamati in causa sia singolarmente sia congiuntamente. Una delle ordinanze - quella emessa dal Tribunale di Sondrio - indica nel dispositivo, accanto all'art. 98, l'art. 80 della stessa legge n. 685 del 1975, e ciò non già con l'intento di coinvolgere anch'esso nell'eventuale declaratoria di illegittimità, bensì soltanto perché si tratta della disposizione, di per sé al di fuori delle presenti doglianze, alla quale l'art. 98, come risulta fin dalla sua rubrica, fa espressamente richiamo quale fonte di previsione delle situazioni sostanziali che legittimano gli interventi pretorili contemplati dall'art. 98.
- - Prima di passare all'esame del merito, occorre soffermarsi sulle eccezioni sollevate in punto di rilevanza dall'Avvocatura dello Stato nei giudizi di legittimità rispettivamente promossi dal Pretore di Venezia e dal Tribunale di Sondrio. Tali eccezioni vanno accolte. In entrambi i casi, ci si trova di fronte a motivazioni per relationem nelle quali manca un'adeguata ricostruzione delle rispettive situazioni di specie: le ordinanze non sono, quindi, idonee a dare esatto conto degli effettivi termini di operatività delle norme impugnate.
L'insufficienza di motivazione che ne consegue circa la rilevanza della questione prospettata emerge con particolare chiarezza per ciò che riguarda l'ordinanza del Tribunale di Sondrio: nella parte narrativa, infatti, nulla si specifica né con riguardo alle imputazioni indubbiamente già contestate né, più in generale, con riguardo ai precedenti sviluppi processuali preistruttori ed istruttori, di modo che resta apodittica l'affermazione "dovrebbero trovare applicazione le più favorevoli disposizioni di cui agli artt. 80 e 98 della legge 22 dicembre 1975, n. 685" (tanto più in presenza di una disposizione come quella contenuta nell'art. 96, quinto comma, della stessa legge), senza che tale vuoto venga colmato dalle argomentazioni in diritto, ridotte come esse sono ad un semplice rinvio a quanto "assai bene rilevato dal Pretore di Venezia con l'ordinanza 12 febbraio 1976 e dal Procuratore della Repubblica della stessa città con la requisitoria richiamata con la menzionata ordinanza".
Analoga insufficienza di motivazione é riscontrabile nei confronti dell'altra ordinanza, anche se la premessa in fatto vi appare più consistente: il prosieguo della motivazione dimostra, però, chiaramente come la questione di legittimità sia stata sollevata a prescindere dalle concrete circostanze del caso di specie, in accoglimento della richiesta appositamente formulata dal Procuratore della Repubblica in occasione della trasmissione degli atti per competenza, tanto é vero che il Pretore richiama integralmente le argomentazioni della relativa requisitoria, che anzi allega. Ma, in tal modo, a parte il fatto che la stessa requisitoria é priva di qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta, limitandosi ad enunciare i motivi peri quali il Procuratore della Repubblica ravvisa, in astratto e quindi in assoluto, il contrasto dell'art. 98 legge 22 dicembre 1975, n. 685, con l'art. 3 della Costituzione (v., per un precedente similare, la sentenza n. 29 del 1982 di questa Corte), resta insoddisfatta la prescrizione dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, per cui la stessa autorità giurisdizionale che sollevi - su istanza di una delle parti o del pubblico ministero - questione di legittimità costituzionale deve riferire, mediante l'ordinanza di rimessione, i termini ed i motivi della questione medesima. Si impone, pertanto, una declaratoria di inammissibilità.
Nelle altre cinque ordinanze la rilevanza della questione rispettivamente dedotta risulta, invece, motivata in modo adeguato. La Corte può, quindi, passare all'esame del relativo merito.
- - Tutte le ordinanze muovono dal presupposto che l'art. 98 legge 22 dicembre 1975, n. 685, abbia dato vita ad un particolare tipo di giurisdizione penale del pretore, limitata ad accertare se, in caso di acquisto o detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope allo scopo di farne uso personale, sussista eventualmente una delle "condizioni" o "cause di non punibilità" previste dai primi due commi dell'art. 80 (acquisto o comunque detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope allo scopo di farne uso personale terapeutico, purché in quantità non eccedente in modo apprezzabile la necessità della cura; acquisto o comunque detenzione di modiche quantità per farne uso personale; pregressa detenzione di sostanze di cui si sia fatto uso esclusivamente personale).
A riprova di tale interpretazione si adduce l'alternativa davanti alla quale si verrebbe a trovare il pretore una volta esperite le indagini compiute ai sensi dell'art. 98, secondo comma: accertamento della sussistenza di una delle suddette cause di non punibilità, nel qual caso il pretore "dichiara di non doversi procedere" (art. 98, terzo comma), emanando secondo alcuni sentenza istruttoria di proscioglimento ai sensi dell'art. 398, terzo comma, c.p.p. e secondo altri decreto di non doversi promuovere l'azione penale ai sensi dell'art. 74, quarto comma, c.p.p.; oppure, nel caso contrario, trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica competente (art. 98, quarto comma), unico organo legittimato ad avviare i meccanismi processuali preordinati a qualsiasi altro epilogo in termini di proscioglimento o di condanna, essendosi in presenza di reati demandati alla competenza del tribunale, ordinario o per i minorenni, a seconda che la persona indicata nel rapporto sia maggiore o minore degli anni diciotto.
Il fatto che le questioni sollevate dai giudici a quibus si differenzino tra loro per l'ambito più o meno vasto di normativa ordinaria dedotta (l'art. 98 nella sua interezza oppure il solo secondo comma oppure le parti dell'art. 98 relative ai minori degli anni diciotto) o per la varietà dei parametri costituzionali invocati (art. 25; art. 24, secondo comma; artt. 3 e 25; artt. 3 e 24 Cost.) si spiega con le particolari modalità delle fattispecie concrete o con la diversità delle prospettive costituzionali adottate, ma non cancella il comune punto di partenza in sede d'interpretazione della normativa ordinaria. Ed invero:
- A) Le due ordinanze emanate con identica motivazione dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Rovigo denunciano l'illegittimità costituzionale dell'art. 98 per contrasto con l'art. 25 Cost. (più particolarmente, con il suo primo comma), in quanto questa sia pur limitata competenza penale conferita al pretore si troverebbe a concorrere con quella normalmente demandata al tribunale, dando così luogo ad un'alternativa fra due giudici in ordine al medesimo fatto inizialmente ipotizzabile come criminoso. risolubile soltanto a posteriori, in sede procedimentale, a seconda che la polizia giudiziaria (art. 98, primo comma) faccia o no rapporto al pretore. Tale alternativa, per giunta, finirebbe con il tradursi in un'anomala sovrapposizione di interventi sia qualora, non essendo stata ravvisata dal pretore la sussistenza di alcuna fra le cause di non punibilità ex art. 80 della legge n. 685 del 1975 e, quindi, essendo stati trasmessi gli atti al procuratore della Repubblica, la presenza di una di tali cause venga, invece, riconosciuta dal giudice istruttore o dal tribunale (non va dimenticato che l'art. 96, quinto comma, parla di "giudice che, nel corso di un procedimento penale, dichiara di non doversi procedere nei casi indicati dall'art. 80"), sia qualora, essendo stata emessa dal pretore dichiarazione di non doversi procedere, il procuratore della Repubblica ne dissenta al punto di provocare un nuovo esame della situazione. A quest'ultimo proposito, il Giudice istruttore presso il Tribunale di Rovigo non manca di accennare, sia pur soltanto in motivazione, all'art. 112 della Costituzione (obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero), e ciò perché, riconoscendo, come quel Giudice istruttore riconosce, natura di sentenza istruttoria alla declaratoria di non punibilità da parte del pretore, il procuratore della Repubblica vedrebbe trasformato l'obbligo di procedere nella facoltà di proporre appello al giudice istruttore, privato a sua volta della competenza - per lui tipica quando si tratti di reati demandati alla cognizione del tribunale - ad intervenire come organo istruttorio di primo grado. Ancor più grave sarebbe lo stravolgimento delle competenze, se alla declaratoria di non punibilità da parte del pretore si riconoscesse natura di decreto di archiviazione ai sensi dell'art. 74, quarto comma, c.p.p.: il pubblico ministero dissenziente, potendo soltanto richiedere al pretore di riaprire egli stesso le indagini, si vedrebbe costretto a sollecitare un nuovo intervento pretorile, nonostante il suo dissenso, un dissenso che implica il convincimento di trovarsi al cospetto di una situazione rientrante nella competenza del tribunale.
- B) Anche l'ordinanza del Pretore di Livorno, emanata nei confronti di un minore degli anni diciotto, denuncia l'illegittimità costituzionale dell'art. 98 della legge n. 685 del 1975, escluso il solo primo comma, partendo dalla premessa che, nel compiere le indagini ivi considerate, "il pretore deve applicare tutte le norme dettate dal codice di procedura penale", ivi compresa, a maggior garanzia dell'imputato, quella che, per i casi di non punibilità, richiede la pronuncia di una sentenza istruttoria di proscioglimento con relativa formula di specie. Ma se di processo e di sentenza penali si tratta - osserva il giudice a quo - la normativa dell'art. 98 "deve ritenersi sospetta di incostituzionalità in relazione agli artt. 3 e 25 della Costituzione": lo spostamento della competenza dal tribunale minorile al pretore per un fatto potenzialmente configurabile come delitto di illecita detenzione di stupefacenti da parte di minorenni, e soltanto di minorenni, determinerebbe, da un lato, un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto a tutte le altre ipotesi in cui le indagini, avendo ad oggetto un fatto ipotizzabile come reato a carico di uno o più minorenni, senza alcuna compartecipazione di maggiorenni, si intendono demandate alla competenza del solo tribunale per i minorenni (v. la sentenza n.198 del 1971 di questa Corte), e, dall'altro, un'indebita sottrazione del minore al giudizio, qualificato e specializzato, del tribunale minorile, specie in ordine all'accertamento tecnico sulla personalità fisiopsichica del detentore, "accertamento che può essere convenientemente affrontato, per i minori, solo dal Tribunale predetto".
- C) Dalla propensione a riconoscere natura giurisdizionale penale all'intervento pretorile contemplato dall'art. 98 della legge n. 685 del 1975 e natura di vera e propria pronuncia di proscioglimento alla conseguente declaratoria di non doversi procedere in presenza di uno dei casi di non punibilità previsti dall'art. 80, l'ordinanza del Tribunale per i minorenni di Bologna deduce, anzitutto, analogamente all'ordinanza del Pretore di Livorno, l'esistenza di un contrasto dell'intero art. 98 con l'art. 3 della Costituzione: rispetto alla regola secondo cui "sono di competenza del tribunale per i minorenni tutti i procedimenti penali per i reati commessi dai minori infradiciottenni con la sola eccezione del minorenne coimputato dello stesso reato con un maggiorenne", il sistema adottato dall'art. 98 opererebbe "una gravissima discriminazione di trattamento fra soggetti in situazioni sostanzialmente identiche, sottraendo, senza ragionevoli motivazioni, alcuni di essi al giudice precostituito per tutti in via generale". In secondo luogo, e sempre senza giustificazione, trattandosi di un processo penale, l'art. 98 escluderebbe "qualsiasi garanzia per gli interessati, urtando, così, anche contro l'art. 24 Cost.".
- D) Quest'ultimo profilo di legittimità costituzionale viene ripreso e ben più ampiamente motivato, con riferimento anche ai maggiori degli anni diciotto, dall'ordinanza del Pretore di Ferrara, non meno delle precedenti ancorata alla tesi che ravvisa nelle attività regolate dall'art. 98 della legge n. 685 del 1975 l'esercizio di una giurisdizione penale: infatti, vi si dice, "il procedimento in esame é destinato a sfociare inevitabilmente o nell'esercizio dell'azione penale ovvero nella rinuncia esplicita della potestà punitiva dello Stato", presumendosi nel secondo, come nel primo caso, "l'esistenza di un fatto reato", dato che "la sussistenza accertata di una causa di non punibilità, non solo non esclude l'esistenza di un reato, ma anzi necessariamente la presuppone". Proprio l'incidenza che, per tale ordine di ragioni, "l'attività svolta dal Pretore ha sul diritto di libertà del cittadino, sia nel caso che l'istruttoria sfoci in una declaratoria di improcedibilità, sia nel caso di trasmissione degli atti al pubblico ministero" (mentre la prima eventualità "fa automaticamente scattare il meccanismo di cui agli artt. 99 e 100", nella seconda il pubblico ministero "utilizzerà in modo determinante i risultati conseguiti nell'istruttoria pretorile"), starebbe a dimostrare come l'art. 98, con il non prevedere "che l'istruttoria pretorile e massimamente la perizia debbano essere espletate nel rispetto delle garanzie difensive", violi l'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
- - Si rende, in primo luogo, necessario verificare se la portata dell'art. 98 legge 22 dicembre 1975, n. 685, così come ricostruita nelle ordinanze di rimessione, corrisponda effettivamente alle intenzioni del legislatore, quali si sono tradotte nella normativa che ha profondamente innovato la disciplina concernente l'uso illegittimo di sostanze stupefacenti.
Se é pur vero che l'interpretazione accolta dai giudici a quibus trova altri riscontri nella prassi giudiziaria (senza che, tuttavia, si possa parlare al riguardo di diritto consolidato, stante le notevoli divergenze di opinioni e di indirizzi tuttora in atto) ed innegabili punti di riferimento in taluni momenti, anche significativi, dei complessi, tormentati, lavori preparatoria livello parlamentare (non mancano, tuttavia, i momenti, altrettanto significativi, chiaramente orientati in diversa, contrastante, direzione), va rilevato che non minori argomenti, di ordine letterale, sistematico e storico, militano a favore delle altre possibili interpretazioni, tutte concordi nel negare natura giurisdizionale penale all'intervento del pretore in sede di applicazione dell'art. 98, salvo, poi, a distinguersi tra loro per la varietà delle argomentazioni addotte e per la diversità degli approdi conclusivi (c'é chi vi ravvisa un procedimento amministrativo, chi un provvedimento d'urgenza, chi un procedimento di volontaria giurisdizione).
Anche a voler prescindere dalla tesi che, nettamente contrapponendosi alla configurazione dei "casi di non punibilità della illecita detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale" alla stregua di altrettante cause di non punibilità o di giustificazione o di esclusione della pena, tenderebbe a ravvisare nelle previsioni dell'art. 80 legge n. 685 del 1975 un limite alla configurabilità della fattispecie penale tipica costituita dall'illecita detenzione di sostanze stupefacenti di cui agli artt. 71 e 72 della medesima legge, così da considerare come penalmente irrilevanti i fatti di cui all'art. 80 (invero, il dibattito sulla natura giuridica delle ipotesi di non punibilità introdotte da tale articolo non é meno intenso del dibattito sulla natura degli interventi previsti dall'art. 98), e, quindi, anche a tutto concedere alle premesse di ordine sostanziale date per ferme dall'interpretazione dei giudici a quibus, si deve sottolineare, prima di ogni altra considerazione sull'attendibilità delle impostazioni contrarie ad una ricostruzione dell'art. 98 in termini di giurisdizione penale, come quest'ultima ricostruzione poggi soprattutto su un elemento letterale sicuramente ambiguo.
Si tratta del passaggio argomentativo che pretenderebbe di ritrovare nel dettato del terzo comma dell'art. 98 ("Il pretore, accertata la sussistenza di una delle cause di non punibilità, dichiara di non doversi procedere"), dettato assolutamente generico quanto alla forma del provvedimento ivi previsto, il richiamo ad un tipo di provvedimento comunque contemplato dal codice di procedura penale, salva la già rilevata incertezza, non risolta né risolubile, sul se tale richiamo riguardi la sentenza istruttoria di non doversi procedere (art. 398, terzo comma, c.p.p.) o il decreto di non doversi promuovere l'azione penale (art. 74, quarto comma, c.p.p.).
Poiché nulla giustificherebbe la presenza nell'ordinamento di un'alternativa tra detta sentenza e detto decreto, nel senso di lasciare al giudice del singolo caso concreto la scelta dell'una piuttosto che dell'altra soluzione, é la stessa pretesa di risalire dall'art. 98, terzo comma, legge n. 685 del 1975 al codice di procedura penale, a risultare irrimediabilmente compromessa dall'esistenza di una così grave incertezza: se il legislatore avesse veramente inteso riferirsi ad un paradigma già presente nell'ordinamento processuale penale, gli sarebbe stato agevole, per non dire inevitabile, precisare il paradigma prescelto. Comunque sia, tutto concedendo anche qui, la mancata specificazione del tipo formale di provvedimento lascia egualmente adito ad interpretazioni dell'art. 98, terzo comma, imperniate su altre ipotesi di richiamo normativo al di fuori del settore processuale penale, per tacere dell'interpretazione che volesse ravvisarvi un provvedimento sui generis, del tutto informale. Piuttosto, sempre restando sul piano della lettera della legge, non va dimenticato che l'art. 98, secondo comma, fa uso dell'espressione "persona interessata" e non dell'espressione "imputato", adoperata, invece, dall'art. 96, quinto comma, con riferimento ai casi in cui la sussistenza di una delle cause di non punibilità ex art. 80 emerga "nel corso di un procedimento penale" e la relativa declaratoria sia emessa dal "giudice" investito di tale processo.
- - Le impostazioni contrarie ad una ricostruzione dell'art. 98 in termini di giurisdizione penale trovano ulteriore valido sostegno nell'attenta analisi della complessa sistematica della legge n. 685 del 1975, che alle tradizionali risposte di ordine repressivo, nucleo centrale della precedente disciplina elaborata dalla legge 22 ottobre 1954, n. 1041, ha abbinato articolate risposte di ordine informativo - educativo, medico-assistenziale, preventivo, curativo e riabilitativo, in consonanza con gli orientamenti emersi a livello internazionale e tradottisi in precisi impegni per il nostro Paese (v., in proposito, legge 5 giugno 1974, n. 412, recante ratifica ed esecuzione della convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo 1961, e del protocollo di emendamento, adottato a Ginevra il 25 marzo 1972, con particolare riguardo agli artt. 36 e 38 della convenzione di New York nei testi emendati dagli artt. 14 e 15 del protocollo di Ginevra).
Al titolo VIII, dedicato alla "repressione delle attività illecite" e suddiviso in due capi (capo I, contenente "disposizioni penali", artt. 71 - 81, con l'importante deroga del più volte ricordato art. 80, e capo II, contenente "disposizioni processuali e di esecuzione", artt. 82 - 84, il quale ultimo, peraltro, concerne il trattamento curativo, assistenziale e riabilitativo dei detenuti abitualmente dediti all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope), fanno seguito tre titoli, rispettivamente dedicati agli "interventi informativi e curativi" (titolo IX, artt. 85 - 89), ai "centri medici e di assistenza sociale" (titolo X, artt. 90 - 94) e, infine, agli "interventi preventivi, curativi e riabilitativi" (titolo XI, artt. 95 - 102).
Gli "interventi del pretore in relazione ai fatti di cui all'art. 80", in quanto previsti dall'art. 98, rientrano, dunque, indiscutibilmente tra gli interventi dell'ultima categoria, ben lontani, anche come collocazione, dalle disposizioni processuali penali racchiuse nel già menzionato secondo capo del titolo VIII: una collocazione che risulta tanto più giustificata e, quindi, certamente non frutto di casualità, non appena si consideri il legame che unisce l'art. 98 all'art. 99, a sua volta strettamente connesso agli artt. 100, 101 e 102, riguardanti tutti l'adozione dei provvedimenti in materia di ricovero ospedaliero o di cure ambulatoriali o domiciliari per le persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti che necessitano di cure mediche e di assistenza.
Tenendo presente che le vie di approccio alla applicazione degli artt. 99 - 102 sono tre (ricezione da parte del pretore delle segnalazioni di cui all'art. 96; ricezione da parte del pretore delle segnalazioni di cui all'art. 97; verificarsi dell'ipotesi prevista dal terzo comma dell'art. 98), l'interpretazione sistematica della legge n. 685 del 1975 induce a ravvisare nell'intervento pretorile, quale risulta dal complesso dei tre commi iniziali dell'art. 98, uno dei possibili presupposti cui il legislatore subordina l'adozione, da parte dello stesso pretore, dei provvedimenti contemplati dall'art. 99, non diversamente da quanto avviene allorché gli sia trasmessa una segnalazione ex art. 96 oppure ex art. 97. L'unica differenza tra queste due ipotesi e quella configurata dall'art. 98 sta nel fatto che, mentre le prime si risolvono in sollecitazioni provenienti al pretore da altri soggetti, la terza si risolve in una verifica di legittimazione da lui stesso direttamente operata.
Allorché, infatti, esaminato il rapporto trasmessogli dalla polizia giudiziaria ed accertata la sussistenza di una delle cause di non punibilità previste dai primi due commi dell'art. 80, il pretore dichiara di non doversi procedere, tale declaratoria implica, al medesimo tempo, la costatazione di trovarsi nelle condizioni per provvedere alla stregua dell'art. 99.
- - Tutto ciò consente di asserire che l'intervento di cui all'art. 98 é preordinato in definitiva a verificare con la maggior celerità possibile se, nei casi ai quali fa riferimento il primo dei suoi commi, sussistano o no gli estremi per il concreto esercizio, da parte dello stesso pretore così intervenuto, dei poteri contemplati dall'art. 99. In altre parole, quando l'intervento in questione sfocia nella declaratoria di non doversi procedere per l'accertata sussistenza di una delle cause di non punibilità ivi considerate, può dirsi positivamente superata la fase preliminare, o meglio una delle fasi preliminari alternativamente previste, del procedimento per i "provvedimenti di urgenza del pretore" regolato dall'art. 99 e suscettibile di successivi, più ampi, sviluppi in relazione a quanto disposto dagli artt. 100 e 101, con riferimento agli interventi di una sezione civile specializzata del tribunale, quando destinatari ne siano persone maggiori di età, e del tribunale per i minorenni nei restanti casi.
Chiaramente ricalcato sullo schema dei procedimenti sommari, di cui al titolo I del libro IV del codice di procedura civile, con la conseguente previsione di un'immediata trasmissione degli atti al tribunale competente per l'eventuale modifica o revoca dei provvedimenti adottati d'urgenza dal pretore, il procedimento previsto dall'art. 99, nonché, per quanto riguarda le condizioni necessarie alla sua instaurazione, dagli artt. 96, 97 e 98, risponde a quelle esigenze di pronto e capillare intervento sulle quali insiste la Convenzione di New York, soprattutto dopo gli emendamenti apportati agli artt. 36 e 38 dal protocollo di Ginevra. Fondamentale il ruolo rivestito in proposito dal n. 1 dell'art. 38: "Le parti prenderanno in particolare considerazione l'abuso degli stupefacenti e adotteranno tutte le misure possibili per prevenirlo e per assicurare la pronta diagnosi, cura, correzione, post-cura, riabilitazione e reinserimento sociale delle persone interessate; per tali fini esse coordineranno i loro sforzi".
A riprova del particolare tipo di finalità extrapenali perseguite attraverso gli interventi pretorili di cui agli artt. 98 e 99 legge n. 685 del 1975 non può, infine, non addursi l'attribuzione del potere - dovere di confisca delle sostanze stupefacenti illecitamente detenute al ministro per la sanità (e non al pretore) da parte dell'art. 80, quinto comma. Per contro, nei casi di declaratoria di non punibilità pronunciata "nel corso di un procedimento penale" dal "giudice" competente, sarà ovviamente quest'ultimo a procedere, in forza della generale prescrizione dell'art. 240, secondo comma, c.p., che impone al giudice penale di ordinare, sia in caso di condanna sia in caso di proscioglimento, la confisca delle "cose" la detenzione delle quali costituisce intrinsecamente reato.
- - Interpretato nei sensi che si sono precisati, l'art. 98 legge 22 dicembre 1975, n. 685, sfugge alle censure di incostituzionalità prospettate dai giudici a quibus.
Una volta ricostruito l'intervento predisposto da tale articolo in termini che portano a non ricondurlo nell'ambito dell'attività giurisdizionale penale, viene automaticamente meno la possibilità di ravvisare l'esistenza del contrasto con i vari parametri costituzionali invocati: A) Non con il primo comma dell'art. 25 Cost., perché, solo quando si tratti di una "medesima" competenza nell'ambito di una stessa giurisdizione e, quindi, di una competenza avente identità di oggetto e di effetti, il principio della precostituzione legislativa del giudice é suscettibile di venir messo in crisi dalla presenza di un'alternativa fra più giudici risolubile soltanto a posteriori in forza di una scelta discrezionale operata da organi non legislativi;
- B) Non con gli artt. 3 e 25 Cost., perché la disparità di trattamento fra minori conseguente all'intervento del pretore non può dirsi ingiustificata allorquando quest'intervento, che non coinvolge competenze penali, lascia intatta la giurisdizione penale del tribunale minorile nei confronti di qualsiasi minore non coimputato con maggiorenni in ordine ad un medesimo fatto; mentre la sottrazione del minore al giudizio del tribunale minorile per quanto concerne l'accertamento tecnico sulla personalità fisiopsichica previsto dall'art. 98, secondo comma, della legge n. 685 del 1975, non può dirsi costituzionalmente indebita, rispettando il principio della precostituzione del giudice, qui chiaramente individuato per legge nel pretore, senza che rilevino, ai fini dell'art. 25 Cost., considerazioni come quella sulla maggior convenienza ed idoneità di un accertamento demandato al tribunale per i minorenni; C) Non con gli artt. 3 e 24 Cost., perché la predetta disparità di trattamento fra minori, vista sia sotto il profilo di una deroga alla regola generale in materia di competenza sia sotto il profilo del diritto di difesa, non appare ingiustificata, operando quella regola nel solo settore della giurisdizione penale e ben maggiori dovendo essere in tale settore le garanzie difensive; D) Non sussiste infine, violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost., specificamente considerato, nei confronti sia dei maggiori sia dei minori degli anni diciotto, perché la relativa doglianza, incentrata sul fatto che l'art. 98 non prevede "per l'istruttoria pretorile e massimamente per la perizia" le stesse garanzie di difesa di cui agli artt. 304 e seguenti del codice di procedura penale, postula con evidenza una identità di natura fra l'intervento pretorile ex art. 98 della legge n. 685 del 1975 e l'istruttoria penale, come pure tra l'incarico peritale ex art. 98, secondo comma, di tale legge e la perizia di cui agli artt. 314 e seguenti del codice di procedura penale.
La questione concernente il diritto di difesa nel procedimento in esame richiede, tuttavia, un'indagine più approfondita, in quanto l'art. 24, secondo comma, della Costituzione non riguarda soltanto il settore processuale penale. Del resto, la stessa ordinanza che ha denunciato l'illegittimità costituzionale dell'art. 98 della legge n. 685 del 1975 con diretto ed esclusivo riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost., cioè l'ordinanza del Pretore di Ferrara, non si limita a motivare la denunciata illegittimità sulla base dell'asserita natura giurisdizionale penale dell'intervento pretorile, ma si sofferma anche sulle possibili conclusioni di tale intervento, per sottolineare i pregiudizi che ne deriverebbero al privato interessato, donde l'esigenza di prevenirli esercitando un'adeguata e tempestiva difesa.
Più precisamente, l'ordinanza prospetta l'eventualità, sia pur rara, di un interesse del privato ad evitare la dichiarazione di non doversi procedere ex art. 80, dal momento che questa comporterebbe sempre l'automatica messa in moto del meccanismo di cui agli artt. 99 e 100 anche nei confronti di chi intendesse contestare alla radice la natura della sostanza o il suo grado di tossicità o addirittura il fatto della detenzione. Ancor più di frequente, il privato sarebbe interessato ad evitare la trasmissione degli atti al pubblico ministero, con il conseguente rischio di un'imputazione penale.
Per quanto riguarda la prima eventualità, é agevole rispondere che la declaratoria di non doversi procedere non comporta di per sé alcun pregiudizio. Il diritto di difesa troverà, comunque, spazio nella fase successiva (art. 99: "sentito l'interessato"), prima che il pretore eventualmente adotti i provvedimenti d'urgenza cui l'art. 99 appunto si riferisce. Senza contare che é principio generale, in materia di procedimenti sommari, che l'esercizio del diritto di difesa abbia, di regola, piena estrinsecazione soltanto dopo una prima, immediata, pronuncia.
Quanto all'ipotesi di trasmissione degli atti al pubblico ministero, nessun pregiudizio deriva di per sé alla persona interessata, sia perché al diritto di difesa sarà data la dovuta esplicazione non appena avranno avuto inizio le indagini del pubblico ministero, sia perché, una volta negata la natura di atti processuali penali agli atti compiuti ai sensi dell'art. 98, si determina una situazione non dissimile da quella che si determina allorquando il giudice civile o amministrativo, in applicazione dell'art. 3 c.p.p., fa rapporto al pubblico ministero in ordine ad eventuali reati emersi nel corso del relativo giudizio, trasmettendogli le informazioni e gli atti occorrenti. A ben guardare, anche la trasmissione degli atti, cui si richiama l'articolo 98, quarto comma, legge 22 dicembre 1975, n. 685, si traduce essenzialmente in un inoltro alla Procura della Repubblica da parte del pretore del rapporto a lui inizialmente inviato dagli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria convinti di trovarsi dinanzi ad uno dei casi di non punibilità riconducibili all'art. 80, allorché tale convincimento non venga condiviso dal pretore.
Sintetizzando, il particolare procedimento previsto dall'art. 98 non ha, in nessun caso, effetti decisori. Nulla vi riveste carattere di definitività, tutto vi si presenta come interlocutorio, sfociando sempre e comunque in atti di semplice impulso lungo o l'una o l'altra delle due direzioni rispettivamente indicate dal terzo e dal quarto comma dell'art. 98, atti di impulso che lasciano ogni cosa impregiudicata. Il che - stando al principio, costante nella giurisprudenza di questa Corte (v., ad esempio, le sentenze n. 77 del 1968
e n. 267 del 1974), secondo cui le garanzie volute dall'art. 24 Cost. vanno riferite esclusivamente ai procedimenti giurisdizionali che abbiano contenuto decisorio, non rilevando la precedente mancanza di contraddittorio quando gli effetti decisori si determinano soltanto in un secondo tempo nella sede competente - basterebbe ad escludere in partenza qualsiasi possibilità di ravvisare un contrasto con l'art. 24, secondo comma, Cost. nella normativa che regola un procedimento come quello in questione.
Va, tuttavia, rilevato che la lettera dell'art. 98, secondo comma, non esclude affatto ogni e qualsiasi forma di contraddittorio. Tanto durante l'assunzione delle "necessarie informazioni", quanto in occasione dell'accertamento tecnico, relativo anche "alla personalità fisiopsichica del detentore", questi potrà essere sentito sia dal pretore sia dal perito. Né é da considerarsi precluso l'intervento del difensore e del consulente tecnico di parte (v., ad esempio, le sentenze n. 111 del 1972 e n. 202
del 1975 di questa Corte). Il secondo comma dell'art. 98 riecheggia per una parte i contenuti dell'art. 689,commi primo e quarto, c.p.c., espressamente richiamati dall'art. 702 c.p.c. per il procedimento relativo ai provvedimenti di urgenza: infatti, nel regolare la fase dedicata ai provvedimenti immediati nei procedimenti di denuncia di nuova opera e di danno temuto, l'art. 689 c.p.c. prevede per il giudice l'assunzione "quando occorre (delle) necessarie informazioni" (primo comma), a prescindere dalla citazione delle parti interessate, e la possibilità di "farsi assistere da un consulente tecnico e demandargli singole indagini" (quarto comma). Come si vede, i riferimenti non mancano nella legislazione ordinaria preesistente, cosicché ben si può risalire, salve ovviamente le modalità specifiche dell'art. 98 (fra cui la non previsione di una citazione formale degli interessati e l'obbligatorietà dell'incarico peritale), agli insegnamenti ormai collaudati della giurisprudenza e della dottrina processual-civilistiche.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 98 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalle ordinanze emesse il 12 febbraio 1976 dal Pretore di Venezia e il 19 luglio 1977 dal Tribunale di Sondrio;
2) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 98 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, dalle ordinanze emesse il 6 marzo 1976 dal Pretore di Livorno, il 14 giugno 1976 dal Tribunale per i minorenni di Bologna, il 6 novembre 1976 dal Pretore di Ferrara e il 30 aprile 1981 (in numero di due) dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Rovigo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 luglio 1982.
Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giuseppe CONSO.
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 29 luglio 1982.