Sentenza n. 151 del 1967
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SENTENZA N. 151

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 376 del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 3 giugno 1966 dal giudice istruttore del Tribunale di Ivrea nel procedimento penale a carico di Cappelletto Raimondo, iscritta al n. 137 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226 del 10 settembre 1966.

Visto l'atto di costituzione di Cappelletto Raimondo;

udita nell'udienza pubblica del 1 dicembre 1967 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

udito l'avv. Giovanni Conso, per il Cappelletto.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il sig. Raimondo Cappelletto, responsabile di atti osceni, era stato prosciolto per totale infermità di mente dal pretore di Ivrea, che contemporaneamente ne aveva ordinato il ricovero, per almeno due anni, in un manicomio giudiziario.

Ricorreva pertanto in appello al Tribunale di Ivrea lamentando fra l'altro di non essere stato mai interrogato e comunque, in mancanza di contestazione del fatto e della notificazione del deposito della perizia, di non esser stato messo in grado di difendersi: poiché il pretore aveva agito applicando l'art. 398 del Codice di procedura penale, di questa norma il Cappelletto denunciava sostanzialmente l'illegittimità costituzionale.

Il giudice istruttore del Tribunale di Ivrea constatava che, nel frattempo, l'art. 398 era stato dichiarato illegittimo perché non prevedeva la contestazione del fatto e l'interrogatorio dell'imputato (sent. 20 aprile 1966 n. 33 della Corte costituzionale); ma, aderendo all'indirizzo seguito dalla Cassazione, riconosceva di non poter dare efficacia retroattiva alla sentenza della Corte costituzionale e dunque di non poter riformare, sotto questo aspetto la pronuncia del pretore.

Sollevava perciò la questione di legittimità costituzionale dell'art. 376 del Codice di procedura penale, che avrebbe consentito a lui, giudice istruttore, come l'art. 398 consentiva al pretore, di dichiarare, senza interrogatorio o contestazione del fatto, non doversi procedere nei confronti del Cappelletto.

L'art. 376 é analogo all'art. 398, che deve ritenersi costituzionalmente illegittimo anche nel punto in cui permette il proscioglimento senza interrogatorio o contestazione del fatto (così l'ordinanza interpreta l'ampio dispositivo della pronuncia della Corte costituzionale); e perciò al giudice istruttore non sembra infondato additare l'urto dell'art. 376 con l'art. 24 della costituzione. Specialmente nei casi di proscioglimento per mancanza di imputabilità a cui segua una misura di sicurezza detentiva, l'assenza di contestazione rivela il contrasto col principio della garanzia di difesa processuale dell'imputato; il cittadino può vedersi ricoverato in un manicomio giudiziario senza che abbia potuto far valere le proprie ragioni e talora perfino, poiché il giudice é perito dei periti, senza esser stato assoggettato a perizia; ma altrettanto accade se il proscioglimento é motivato da legittima difesa e da altra causa di giustificazione: anche in questi casi l'imputato dovrebbe esser posto in grado di difendersi, di dimostrare cioè che non ha commesso il fatto.

2. - La parte privata ha depositato il 2 luglio 1966 le sue deduzioni, che ricalcano quelle del giudice istruttore.

Nella discussione orale essa ha richiamato le sentenze della Corte in cui o si é dichiarata l'incostituzionalità di norme di proceduta penale in quanto consentivano atti istruttori senza contestazione dell'accusa o dell'interrogatorio o si é dichiarata l'infondatezza della questione proprio perché quella o questo erano legislativamente previsti nella prima fase del giudizio o nella fase immediatamente successiva; ha notato, contro una sentenza della Cassazione, come il deposito degli atti ex art. 372 del Codice di procedura penale garantisca la c.d. difesa tecnica, ma non la difesa vera e propria; ha insistito sulla dannosità in un proscioglimento che importa limitazioni alla libertà personale (misure di sicurezza) o comunque riconoscimento implicito della commissione d'un fatto previsto dalla legge come reato: la Cassazione stessa ha riconosciuto l'interesse a impugnare tali pronunce di proscioglimento proprio allo scopo di ottenere il rinvio a giudizio.

La parte ha concluso chiedendo che questa Corte estenda la dichiarazione di incostituzionalità anche agli artt. 395 e 398 del Codice di procedura penale.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 376 del Codice di procedura penale dispone che non si può prosciogliere l'imputato per concessione del perdono giudiziale o per insufficienza di prove o per amnistia se non é stato interrogato o se non gli é stato contestato il fatto in un mandato rimasto senza effetto. Se ne é dedotto che, in tutti gli altri casi di proscioglimento, l'interrogatorio o la contestazione dell'accusa non siano necessari. Contro questa parte della norma, non scritta ma implicita nella proposizione normativa, si dirige essenzialmente l'ordinanza del giudice istruttore d'Ivrea, che vi scorge una violazione del diritto di difesa (art. 24, comma secondo, della costituzione).

La questione é fondata.

Lo stesso legislatore ha riconosciuto, in certi casi, che il proscioglimento può ferire la dignità del cittadino allo stesso modo d'una pronuncia di rinvio a giudizio: perciò ha stabilito che esso sia preceduto da interrogatorio o contestazione del fatto cosicché l'imputato sia messo in condizione di difendersi allo scopo di evitare questo tipo di sentenza (art. 376, ora impugnato, e art. 398 del Codice di procedura penale); per analogo motivo ha sancito l'impugnabilità negli stessi e in altri casi (art. 387 del Codice di procedura penale). Alcune fattispecie, come il proscioglimento per insufficienza di prove, erano già incluse in queste norme al tempo della pubblicazione del Codice; altre sono state aggiunte più tardi con la riforma del 1955: e, quali che ne fossero le conclamate ragioni politico- sociali, non c'é dubbio che fra esse dominava l'esigenza di garantire il diritto di difesa (art. 24 della costituzione).

Ma il legislatore s'é fermato a metà strada. Non ha considerato che la sentenza di proscioglimento in altre ipotesi può contenere o comportare una misura di sicurezza limitatrice della libertà personale (es. il proscioglimento per totale infermità di mente); in alcune, neanch'esse richiamate dall'art. 376, può avere addirittura effetti infamanti, quanto e più dello stesso rinvio a giudizio (es. proscioglimento per intossicazione cronica da alcool o da stupefacenti); in tutte, escluse le pronunciò emesse perché il fatto non sussiste o non é stato commesso dal prevenuto, attribuisce all'imputato un fatto, o non esclude l'attribuzione di un fatto, che può non costituire reato ma tuttavia essere giudicato sfavorevolmente dall'opinione pubblica o comunque dalla coscienza sociale.

Si deve aggiungere che queste sentenze di proscioglimento per loro natura sono atte a cagionare un male almeno temporaneamente irrimediabile: infatti, a differenza dalla pronuncia di rinvio, esse chiudono il giudizio e perciò non consentono una seconda fase nella quale, entro lo stesso grado del giudizio, si possa porre immediato riparo a quel male. É soprattutto per questo che, nell'orbita dell'art. 24 della costituzione, l'imputato, se non viene prosciolto perché il fatto non sussiste o non é stato commesso da lui, deve essere posto in condizione di difendersi tempestivamente, sia che il giudice proceda ad atti istruttori sia che intenda proscioglierlo senza procedervi. Questa Corte ha già osservato (vedi sentenze nn. 33 e 122 del 1966) come la garanzia per una adeguata difesa anche tecnica, nella fase che si chiude con la sentenza istruttoria, sia costituita essenzialmente dalla contestazione dell'accusa e dall'interrogatorio dell'imputato (vedi, oltre che lo stesso art. 376, gli artt. 304, 365, 366, 390, 395 e 398 del Codice di procedura penale). Ne deriva che la norma impugnata, là dove esclude l'obbligatorietà dell'uno e dell'altra, non può non essere dichiarata costituzionalmente illegittima.

Per analoghi motivi (vedi sentenza n. 52 del 1965) ed entro gli stessi limiti, in applicazione dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 395, ultimo comma, e 398, ultimo comma, del Codice di procedura penale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 376 del Giudice di procedura penale nella parte in cui non prevede la contestazione del fatto e l'interrogatorio dell'imputato ai fini del proscioglimento con formula diversa da quella che il fatto non sussiste o non sia stato commesso dall'imputato;

dichiara inoltre, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale degli artt. 395, ultimo comma, e 398, ultimo comma, del Codice di procedura penale nei limiti in cui non prevedono la contestazione del fatto e l'interrogatorio dell'imputato ai fini del proscioglimento con formula diversa da quella che il fatto non sussista o non é stato commesso dall'imputato.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.

 

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

 

Depositata in cancelleria il 15 dicembre 1967.