Sentenza n. 156 del 2010

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SENTENZA N. 156

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Francesco                    AMIRANTE                                    Presidente

-           Ugo                             DE SIERVO                                      Giudice

-           Paolo                           MADDALENA                                       "

-           Alfio                            FINOCCHIARO                                     "

-           Alfonso                       QUARANTA                                           "

-           Franco                         GALLO                                                    "

-           Luigi                            MAZZELLA                                            "

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             "

-           Sabino                         CASSESE                                                "

-           Maria Rita                   SAULLE                                                  "

-           Giuseppe                     TESAURO                                               "

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          "

-           Paolo                           GROSSI                                                   "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1-bis, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, promosso dalla Regione Campania con ricorso notificato il 3 ottobre 2009, depositato in cancelleria il 7 ottobre 2009 ed iscritto al n. 81 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 13 aprile 2010 il Giudice relatore Sabino Cassese;

uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Campania e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – La Regione Campania, con ricorso del 3 ottobre 2009, depositato il 7 ottobre 2009 (reg. ric. n. 81 del 2009), ha impugnato l’art. 9, comma 1-bis, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, per violazione degli artt. 3, primo comma, anche sotto il profilo della ragionevolezza, 24, primo comma, 97, primo comma, 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione.

2. – La disposizione impugnata prevede che «le somme dovute da una regione commissariata ai sensi dell’articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, nei confronti di un’amministrazione pubblica di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono regolate mediante intervento del tesoriere con delegazione di pagamento ai sensi degli articoli 1268 e seguenti del codice civile, che si determina automaticamente al momento del riconoscimento del debito da parte dell’amministrazione debitrice, da effettuare entro trenta giorni dall’istanza dell’amministrazione creditrice. Decorso tale termine senza contestazioni puntuali da parte della pubblica amministrazione debitrice, il debito si intende comunque riconosciuto nei termini di cui all’istanza».

3. – La Regione Campania afferma in via preliminare di non ritenersi inclusa tra le Regioni destinatarie della norma impugnata. La Regione, infatti, rileva di essere stata commissariata in base alla delibera del Consiglio dei ministri del 28 luglio 2009, concernente la «Nomina del Presidente pro-tempore della Regione Campania quale commissario ad acta per il risanamento del servizio sanitario regionale, a norma dell’articolo 4 del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico−finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222», e non, come previsto dalla norma censurata, in base all’art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005). Ciò nonostante, la Regione Campania si considera legittimata, al pari di qualunque altra Regione, a proporre il presente ricorso, in quanto potenziale destinataria della disposizione impugnata.

3.1. – La Regione Campania sostiene, in primo luogo, che la norma censurata produce l’effetto di spostare dall’amministrazione regionale al tesoriere la competenza a disporre – oltre che ad effettuare concretamente – il pagamento delle somme di cui la Regione risulti debitrice nei confronti di altre pubbliche amministrazioni. Tale disposizione lederebbe l’autonomia finanziaria regionale assicurata dall’art. 119 Cost. e la potestà legislativa in materia di organizzazione dei propri procedimenti garantita dall’art. 117, quarto comma, Cost., né potrebbe essere qualificata come principio di coordinamento della finanza pubblica.

3.2. – Ad avviso della Regione, in secondo luogo, risulterebbero violati il principio di ragionevolezza e quello di buon andamento dell’amministrazione (art. 97, primo comma, Cost.), perché la disposizione impugnata «discrimina alcuni creditori rispetto ad altri» e per «l’assenza di ragioni giustificatrici della norma e l’evidenza del suo carattere controproducente». Tali violazioni si rifletterebbero in ulteriori lesioni delle competenze regionali costituzionalmente garantite, considerato che l’autonomia finanziaria e l’autonomia organizzativa della Regione sono compresse senza ragionevoli giustificazioni di efficienza amministrativa.

3.3. – La ricorrente, in terzo luogo, sostiene che la disposizione, laddove prevede che il riconoscimento del debito da parte della Regione commissariata debba effettuarsi entro trenta giorni dall’istanza della amministrazione creditrice, non avrebbe la natura di principio fondamentale, in quanto applicabile solo alle Regioni commissariate e soltanto nei rapporti tra amministrazioni. Esso, quindi, lederebbe, in modo irragionevole e discriminatorio, l’autonomia organizzativa della Regione, nonché «la generale autonomia di cui essa gode almeno al pari di tutti gli altri soggetti dell’ordinamento, e che gode anch’essa di tutela costituzionale».

3.4. – La Regione, in quarto luogo, dubita della legittimità costituzionale del meccanismo di silenzio-assenso previsto dalla norma censurata per il riconoscimento del debito da parte della Regione commissariata, in quanto violerebbe primariamente «il diritto della Regione di disciplinare “il significato delle proprie azioni e determinazioni amministrative”, garantito dall’art. 117, quarto comma, Cost.». La norma, inoltre, lederebbe l’art. 3, primo comma, Cost., comprimendo l’autonomia privata della Regione commissariata in modo discriminatorio rispetto a tutte le altre Regioni e le altre pubbliche amministrazioni. Risulterebbero manifestamente non rispettati, ad avviso della Regione, anche i principi di autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost. e di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, primo comma, Cost., in quanto l’amministrazione regionale sarebbe esposta al «rischio di una enorme pluralità di richieste di pagamento da parte di enti locali o di altri enti, alle quali essa dovrebbe far fronte distraendo i propri uffici dal lavoro ordinario, per non incorrere nel riconoscimento del debito». Il meccanismo di silenzio-assenso previsto dalla norma impugnata violerebbe, inoltre, l’art. 24, primo comma, Cost., precludendo alla Regione commissariata «di far valere in un momento successivo l’infondatezza della pretesa creditoria». La ricorrente sostiene, inoltre, di essere pienamente legittimata a ricorrere avverso tutte queste violazioni, poiché di esse la Regione sarebbe «vittima diretta».

3.5. – Secondo la Regione Campania, infine, la previsione che il debito possa essere riconosciuto ove le contestazioni non siano puntuali finirebbe «per attribuire a chi dovrebbe applicare la norma – cioè alla stesso tesoriere – il giudizio sulla sufficienza e sulla fondatezza delle contestazioni», con violazione del diritto della Regione alla difesa giurisdizionale (art. 24, primo comma, Cost.).

4. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’infondatezza del ricorso. Ad avviso della difesa dello Stato, la norma impugnata si colloca nell’ambito di una serie di disposizioni volte a garantire la tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, rispondendo così «alla primaria esigenza del legislatore nazionale di dare attuazione alle disposizioni comunitarie in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali». È al fine di assicurare il raggiungimento di tale obiettivo che la norma prevede, per le Regioni sottoposte a commissariamento, meccanismi più stringenti per il riconoscimento e la liquidazione dei crediti delle amministrazioni. Questi meccanismi, «lungi dal comprimere l’autonomia organizzativa della Regione nella gestione dei propri pagamenti, rispond[ono] ad esigenze di coordinamento della finanza pubblica e a esigenze di tutela dei livelli essenziali delle prestazioni».

5. – Il 23 marzo 2010 la Regione Campania ha depositato memoria illustrativa di replica a quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri nel proprio atto di costituzione. La ricorrente rileva, innanzitutto, che la norma impugnata risulta estranea alle esigenze di attuazione del diritto comunitario in materia di ritardi di pagamento di cui alla direttiva 2000/35/CE, in quanto la disposizione «attiene solo ai rapporti tra amministrazioni, cioè a debiti che raramente avranno il proprio titolo in transazioni commerciali». La Regione ribadisce, poi, che la disposizione impugnata neppure può trovare la propria base costituzionale nella competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, poiché essa «ha carattere dettagliato, autoapplicativo e non lascia alcun margine di scelta alle Regioni sugli strumenti con i quali conseguire il (presunto) fine di coordinamento». Inoltre, la norma non sarebbe diretta a limitare una spesa della Regione o delle amministrazioni pubbliche in generale, bensì a «prevedere una anomala procedura di spesa regionale, con il risultato illegittimo di privare la Regione della capacità di gestire la propria spesa». Infine, la ricorrente contesta l’invocazione della competenza statale a determinare i livelli essenziali delle prestazioni.

6. – Il 23 marzo 2010 l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato memoria illustrativa, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile e, comunque, non fondato. Quanto alla ammissibilità, la difesa dello Stato rileva che la Regione, per poter proporre la questione di costituzionalità, «deve essere titolare dell’interesse a ricorrere che abbia i requisiti di concretezza, di attualità e di immediatezza e che, perciò, tale interesse non possa essere solo potenziale o solo astrattamente configurabile». Dalla non applicabilità della norma impugnata alla Regione Campania – attualmente commissariata in base a procedura diversa da quella indicata dalla disposizione – deriverebbe «l’insussistenza ab origine della materia del contendere».

Con riguardo al merito, la difesa dello Stato ribadisce che la norma censurata va ricondotta nell’ambito di una serie articolata di disposizioni dirette a garantire la tempestività dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, «al fine di ridurre i possibili oneri a carico delle imprese e sanare i debiti pregressi attraverso l’avvio di un processo di liquidazione dei residui cumulati nel passato». La disposizione impugnata, pertanto, oltre ad attuare le previsioni comunitarie di cui alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali del 29 giugno 2000, 2000/35/CE, rappresenta un «principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica». A tal fine, sostiene l’Avvocatura generale dello Stato, la norma doveva necessariamente prevedere, per le Regioni commissariate, «meccanismi più incisivi» che, data la particolare situazione finanziaria di tali enti, garantissero una tempestiva riscossione dei crediti da parte delle altre amministrazioni, «anche allo scopo di assicurare il regolare funzionamento dei servizi pubblici essenziali». La norma sarebbe inoltre circoscritta entro confini, anche temporalmente, delineati, vista la correlazione della disposizione alla circostanza, e perciò alla durata, del commissariamento previsto per il risanamento del servizio sanitario.

Considerato in diritto

1. – La Regione Campania ha promosso, in relazione agli artt. 3, primo comma, anche sotto il profilo della ragionevolezza, 24, primo comma, 97, primo comma, 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1-bis, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.

Ad avviso della Regione Campania, la norma impugnata violerebbe, innanzitutto, l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in quanto travalicherebbe le competenze dello Stato nello stabilire i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica e lederebbe la potestà legislativa esclusiva delle Regioni di organizzare i propri procedimenti. La disposizione violerebbe anche l’autonomia finanziaria regionale in materia sia di entrate che di spesa garantita dall’art. 119 Cost. La norma, inoltre, sarebbe contraria all’art. 3, primo comma, Cost., sia sotto il profilo della ragionevolezza, per «l’assenza di ragioni giustificatrici […] e l’evidenza del suo carattere controproducente», sia sotto il profilo dell’uguaglianza, perché discriminerebbe le Regioni commissariate rispetto alle altre Regioni e pubbliche amministrazioni nel riconoscimento dei propri debiti verso altre amministrazioni. Sarebbe leso, poi, l’art. 24, primo comma, Cost., in riferimento al diritto delle Regioni commissariate a far valere in via giudiziaria l’infondatezza della pretesa creditoria vantata nei loro confronti da altre amministrazioni e in quanto la disposizione impugnata di fatto attribuisce «a chi dovrebbe applicare la norma – cioè allo stesso tesoriere – il giudizio sulla sufficienza e sulla fondatezza delle contestazioni». Vi sarebbe, infine, una violazione dell’art. 97, primo comma, Cost., poiché la norma minerebbe il buon andamento delle Regioni commissariate.

2. – Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, ad avviso della quale la norma censurata non si applicherebbe alla Regione Campania. La Regione, infatti, è attualmente commissariata in base a una disposizione (articolo 4 del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159 – Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222) diversa da quella richiamata dalla norma impugnata (articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005»).

3. – L’eccezione non è fondata.

Come più volte ribadito da questa Corte, «le questioni di legittimità costituzionale delle leggi devono essere proposte, in via principale, entro il termine di decadenza fissato dall’art. 127 Cost.; dal che discende che la lesione della sfera di competenza lamentata dalla ricorrente presuppone la sola esistenza della legge oggetto di censura, a prescindere dal fatto che essa abbia avuto concreta attuazione, ed essendo sufficiente che essa sia, ancorché non immediatamente, applicabile» (sentenze n. 141 del 2010 e n. 133 del 2006). L’interesse della ricorrente, pertanto, sussiste indipendentemente dal fatto che la norma impugnata abbia avuto o meno applicazione nella Regione Campania. E ciò a prescindere dalla circostanza che le due previsioni legislative – quella di cui all’art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004, indicata dalla disposizione censurata, e quella di cui all’art. 4 della legge n. 159 del 2007, in base al quale la Regione Campania è stata commissariata nel luglio 2009 – non solo si sovrappongono, senza escludersi a vicenda, ma costituiscono un corpo unico. Se così non fosse, non si spiegherebbe perché la disposizione impugnata si sia limitata a richiamare la legge n. 311 del 2004 e successive modificazioni, senza riferirsi espressamente anche alla norma del 2007.

4. – Sono, invece, inammissibili le censure prospettate in merito agli artt. 24, primo comma, e 97, primo comma, Cost., trattandosi di parametri non invocabili nel giudizio di costituzionalità in via principale promosso da una Regione perché, nella fattispecie, le violazioni lamentate non comportano una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, né ridondano sul riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni (ex multis, sentenza n. 52 del 2010).

5. – Nel merito, la questione è fondata.

5.1. – La disposizione impugnata riguarda il pagamento di somme da parte di pubbliche amministrazioni, vale a dire l’ultima delle quattro fasi generalmente previste per la procedura di spesa (impegno, liquidazione, ordinazione, pagamento). La norma, pertanto, deve essere inquadrata nell’ambito del bilancio e della contabilità delle Regioni, riconducibile alla materia «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica», di competenza concorrente tra Stato e Regioni ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.

In tale settore, la legislazione statale di principio sulla contabilità regionale è stata dettata con il decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell'articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208), che agli artt. 18 e 19 regola gli impegni e il pagamento delle spese pubbliche, limitandosi a stabilire che gli impegni e i pagamenti non eccedano i rispettivi stanziamenti di bilancio. Le disposizioni statali hanno trovato attuazione, nella Regione Campania, con la legge regionale 30 aprile 2002, n. 7 (Ordinamento contabile della Regione Campania articolo 34, comma 1, d.lgs. 28 marzo 2000, n. 76). In particolare, gli artt. 34 e seguenti di tale legge dettano puntuali previsioni sulla liquidazione, sull’ordinazione e sul pagamento delle spese da parte dell’amministrazione regionale, con specifico riguardo alla verifica della esigibilità dei crediti e alla successiva ordinazione delle spese impartita al tesoriere. 

5.2. – Secondo la giurisprudenza di questa Corte, le norme statali recanti principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica possono «porre obiettivi di riequilibrio della medesima», non debbono prevedere «in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenze n. 284 e n. 237 del 2009) e debbono lasciare alle Regioni «la possibilità di scegliere in un ventaglio di strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi» (sentenze n. 341 e n. 237 del 2009).

5.3. – La disposizione impugnata, invece, non detta principi, ma prevede modalità di pagamento delle spese dettagliate sia sotto il profilo organizzativo, sia sotto l’aspetto procedurale. Essa trasforma il tesoriere in ordinatore del pagamento, modifica la sequenza delle fasi del procedimento di spesa e inserisce in questa un atto dell’amministrazione creditrice: regola, quindi, in modo esaustivo l’intera procedura, determinando sia obiettivi, sia strumenti, senza lasciare alcuna scelta alla Regione. Ne discende la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

6. – Né può affermarsi, come sostenuto dalla Avvocatura generale dello Stato, che la norma censurata sia rivolta ad attuare la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 giugno 2000, 2000/35/CE, recepita con il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 (Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali).

La norma impugnata disciplina, infatti, rapporti tra Regioni commissariate e amministrazioni pubbliche, mentre la direttiva 2000/35/CE riguarda le «transazioni commerciali», riferite a contratti tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, in cui almeno una delle due parti sia un soggetto privato.

Nel rendere più celeri i pagamenti tra amministrazioni pubbliche, la disposizione stessa, inoltre, sottrae alle Regioni commissariate risorse finanziarie potenzialmente destinate a soggetti privati, con esito opposto a quello indicato dalla direttiva comunitaria e rendendo, quindi, la norma anche irragionevole.

La disposizione censurata, infine, prevedendo l’intervento diretto del tesoriere, introduce un meccanismo non contemplato dalla direttiva 2000/35/CE. Questa individua, quali strumenti diretti a contrastare i casi di ritardo di pagamento, gli interessi e la riserva di proprietà.

7. – Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura dedotti dalla ricorrente.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1-bis, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1-bis, del suddetto decreto-legge n. 78 del 2009, promosse dalla Regione Campania, in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 97, primo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 aprile 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2010.