SENTENZA N. 341
ANNO 2009
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE
Presidente
- Ugo DE SIERVO
Giudice
- Paolo MADDALENA
"
- Alfio FINOCCHIARO
"
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI
"
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI
"
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 61, commi 8, 9, 14, 15, primo periodo, 16, 17, 19, 20,
lettera b) e 21, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, promossi
dalle Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto, dalla Provincia autonoma di
Trento e dalle Regioni Toscana, Valle d’Aosta e Calabria, notificati il 16-17 e
il 20 ottobre 2008, depositati in cancelleria il 22, il 24 e il 29 ottobre
2008, e rispettivamente iscritti ai nn. 67, 69, 70,
71, 74, 84 e 86 del registro ricorsi 2008, e nei giudizi di legittimità costituzionale
dell’art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185
(Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per
ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale), convertito,
con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, modificativo dell’art. 61
del decreto-legge 25 giugno 2008, n 112, convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 agosto 2008 n. 133, promossi dalle Regioni Toscana e Veneto, notificati
il 23 e il 27 marzo 2009, depositati in cancelleria il 27 marzo e il 2 aprile
2009, e rispettivamente iscritti ai nn. 23 e 25 del
registro ricorsi 2009.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 2 dicembre 2009 il Giudice relatore Sabino Cassese;
uditi gli avvocati Gabriele Pafundi per la Regione
Piemonte, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la
Regione Emilia-Romagna e per la Provincia autonoma di Trento, Luigi Manzi per
la Regione Veneto, Lucia Bora per la Regione Toscana, Francesco Saverio Marini
per la Regione Valle d’Aosta, Massimo Luciani e
Giuseppe Naimo per la Regione Calabria e l’avvocato
dello Stato Michele Dipace per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in
fatto
1. – Le Regioni Piemonte
(reg. ric. n. 67 del 2008), Emilia-Romagna (reg. ric. n. 69 del 2008), Veneto
(reg. ric. n. 70 del 2008), Toscana (reg. ric. n. 74 del 2008), Valle d’Aosta
(reg. ric. n. 84 del 2008) e Calabria (reg. ric. n. 86 del 2008), nonché la
Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 71 del 2008) hanno impugnato, fra
l’altro, l’art. 61, commi 8, 9, 14, 15, primo periodo, 16, 17, 19, 20, lettera
b), e 21 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
Le ricorrenti lamentano
tutte la violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione e, con la sola
eccezione della Regione Piemonte e della Provincia autonoma di Trento, la
violazione del principio di leale collaborazione. Con riferimento al ricorso
proposto dalla Provincia autonoma di Trento, la ricorrente deduce altresì la
violazione degli artt. 8, comma 1, numero 1), 9, comma 1, numero 10), 16 e da
69 a 86 (Titolo VI) del decreto del Presidente della
Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi
costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige),
nonché dell’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il
rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché
la potestà statale di indirizzo e coordinamento). Con riferimento al ricorso
della Regione Valle d’Aosta, è dedotta inoltre la violazione dell’art. 48-bis
della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la
Valle d’Aosta), per contrasto con la norma interposta di cui al decreto
legislativo 21 settembre 2000, n. 282 (Norme di attuazione dello statuto
speciale della Regione Valle d’Aosta in materia di potestà legislativa
regionale inerente il finanziamento dell’università e l’edilizia universitaria)
e del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.).
1.1. – La Regione Calabria
ha altresì chiesto la sospensione dell’efficacia delle disposizioni impugnate,
ai sensi dell’articolo 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, come sostituito
dall’articolo 9, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131.
1.2. – Le Regioni Toscana
(reg. ric. n. 23 del 2009) e Veneto (reg. ric. n. 25 del 2009) hanno impugnato
l'art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure
urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per
ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), introdotto
in sede di conversione dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, per contrasto con gli
artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonché con il principio di leale
collaborazione.
2. – L’art. 61 del
decreto-legge n. 112 del 2008 (d’ora in avanti, «art. 61»), nelle parti
censurate dalle ricorrenti, detta la seguente disciplina.
2.1. – Il comma 8 dell’art.
61 (abrogato dall’art. 1, comma 10-quater, lettera b, del decreto-legge 23 ottobre
2008, n. 162, «Interventi urgenti in materia di adeguamento dei prezzi di
materiali da costruzione, di sostegno ai settori dell’autotrasporto,
dell’agricoltura e della pesca professionale, nonché di finanziamento delle
opere per il G8 e definizione degli adempimenti tributari per le Regioni Marche
ed Umbria, colpite dagli eventi sismici del 1997», convertito, con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2008, n. 201) e il comma 7-bis dell’art.
61 (inserito dall’art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008)
hanno ad oggetto la percentuale prevista dall’art. 92, comma 5, del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE). L’art. 92 del Codice dei contratti pubblici riguarda i
corrispettivi, gli incentivi per la progettazione e i fondi a disposizione
delle stazioni appaltanti. Il comma 5, in particolare, prevede che «una somma
non superiore al due per cento dell’importo posto a base di gara di un’opera o
di un lavoro [...] è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le
modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in
un regolamento adottato dall’amministrazione, tra il responsabile del procedimento
e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della
direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori». Il comma
8 dell’art. 61, successivamente abrogato, ha previsto che, a decorrere dal 1°
gennaio 2009, tale percentuale sia destinata solo nella misura dello 0,5 per
cento alla finalità prevista dal Codice dei contratti pubblici, mentre, nella
misura dell’1,5 per cento, venga «versata ad apposito capitolo dell’entrata del
bilancio dello Stato». Il comma 7-bis dell’art. 61, attualmente in vigore, reca
una disposizione del tutto identica, con la sola differenza che esso precisa
che la somma è versata ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello
Stato «per essere destinata al fondo di cui al comma 17» dello stesso articolo
impugnato.
2.2. – Il comma 9 dell’art.
61 dispone che sia versato ad apposito capitolo del bilancio dello Stato il 50
per cento dei compensi spettanti ai dipendenti pubblici per l’attività di
componente o di segretario del collegio arbitrale e per i collaudi svolti in
relazione a contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. La norma precisa
che il predetto importo è riassegnato al fondo di amministrazione per il
finanziamento del trattamento economico accessorio dei dirigenti ovvero ai
fondi perequativi istituiti dagli organi di autogoverno del personale di
magistratura e dell’Avvocatura generale dello Stato ove esistenti.
2.3. – Il comma 14 dell’art.
61 prevede che siano ridotti del 20 per cento, rispetto all’ammontare risultante
alla data del 30 giugno 2008 e a decorrere dalla data di conferimento o rinnovo
degli incarichi, i trattamenti economici complessivi spettanti ai direttori
generali, ai direttori sanitari, ai direttori amministrativi, ed i compensi
spettanti ai componenti dei collegi sindacali delle aziende sanitarie locali,
delle aziende ospedaliere, delle aziende ospedaliero universitarie, degli
istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e degli istituti zooprofilattici.
2.4. – Il comma 15 dell’art.
61 stabilisce che, «fermo quanto previsto dal comma 14», le disposizioni di cui
ai commi 1, 2, 5 e 6 dell’art. 61 non si applicano in via diretta alle Regioni,
alle province autonome, agli enti, di rispettiva competenza, del Servizio
sanitario nazionale e agli enti locali.
2.5. – Il comma 16 dell’art.
61 prevede che le Regioni, entro il 31 dicembre 2008, debbano adottare
«disposizioni, normative o amministrative, finalizzate ad assicurare la
riduzione degli oneri degli organismi politici e degli apparati amministrativi,
con particolare riferimento alla diminuzione dell’ammontare dei compensi e
delle indennità dei componenti degli organi rappresentativi e del numero di
questi ultimi, alla soppressione degli enti inutili, alla fusione delle società
partecipate, al ridimensionamento delle strutture organizzative ed all’adozione
di misure analoghe a quelle previste» nell’art. 61. La disposizione si autoqualifica come principio fondamentale di coordinamento
della finanza pubblica e precisa che i risparmi di spesa derivanti
dall’attuazione di essa, aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal patto di
stabilità interno, concorrono alla copertura degli oneri derivanti
dall’attuazione del successivo comma 19 del medesimo art. 61.
2.6. – Il comma 17 dell’art.
61 stabilisce che le somme provenienti dalle riduzioni di spesa e le maggiori
entrate di cui al medesimo articolo, con esclusione di quelle di cui ai
precedenti commi 14 e 16, sono versate annualmente dagli enti e dalle
amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo
dell’entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate ad un apposito
fondo di parte corrente ed essere destinate alla tutela della sicurezza
pubblica e del soccorso pubblico o al finanziamento della contrattazione
integrativa delle amministrazioni dello Stato, delle agenzie, degli enti
pubblici non economici e delle università. La disposizione non si applica agli
enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle Province
autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale.
2.7. – Il comma 19 dell’art.
61 dispone l’abolizione, per gli anni 2009, 2010 e 2011, della quota di
partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza specialistica
ambulatoriale (cosiddetto ticket), di cui all’art. 1, comma 796, lettera p),
primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2007), salvo che le Regioni non intendano comunque applicarla ai sensi del
successivo comma 21 del medesimo art. 61.
2.8. – Il comma 20 dell’art.
61 provvede alla copertura degli oneri derivanti dall’abolizione del ticket ai
sensi del precedente comma 19 del medesimo articolo. A tal fine, da un lato, il
finanziamento del Servizio sanitario nazionale al quale concorre ordinariamente
lo Stato viene incrementato di 400 milioni di euro su base annua (comma 20,
lettera a). Dall’altro lato, si prevede che le Regioni destinino al proprio
servizio sanitario regionale le risorse provenienti dalle disposizioni di cui
ai commi 14 e 16 dell’art. 61 (comma 20, lettera b, numero 1) e adottino
ulteriori misure di incremento dell’efficienza e di razionalizzazione della
spesa, dirette a realizzare la parte residuale della copertura degli oneri
derivanti dall’abolizione del ticket (comma 20, lettera b, numero 2).
2.9. – Il comma 21 dell’art.
61, infine, stabilisce che le Regioni, «in luogo della completa adozione delle
misure di cui ai commi 14 e 16 ed al comma 2, lettera b), numero 2), possono
decidere di applicare, in misura integrale o ridotta, la quota di
partecipazione abolita ai sensi del comma 19, ovvero altre forme di
partecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria di effetto finanziario
equivalente». Ai fini dell’attuazione di tale disposizione e di quanto previsto
al comma 20, lettera b), dell’art. 61, «il Ministero del lavoro, della salute e
delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle
finanze, comunica alle Regioni, entro il 30 settembre 2008, l’importo che
ciascuna di esse deve garantire ai fini dell’equivalenza finanziaria».
3. – La Regione Piemonte ha
impugnato i commi 8 e 9 dell’art. 61, per contrasto con l’art. 117, commi 4 e
6, e con l’art. 119, comma 1, Cost.
3.1. – La Regione ricorrente
innanzitutto deduce che il comma 8 dell’art. 61, nel disporre che la
percentuale di cui all’art. 92, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del
2006 venga destinata solo nella misura dello 0,5 per cento alla finalità
prevista dal Codice dei contratti pubblici, dovendo per il restante 1,5 per
cento essere invece versata ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio
dello Stato, interviene in un ambito materiale che «inerisce all’organizzazione
amministrativa», che, per le Regioni, rientra nella competenza residuale
regionale. La ricorrente censura anche il comma 9 del medesimo art. 61 e
conclude che tali disposizioni, ove dovessero ritenersi applicabili agli enti
territoriali e alle Regioni, si porrebbero in conflitto con l’art. 117, commi
quarto e sesto, e con l’art. 119, comma primo, della Costituzione.
3.2. – Nel giudizio dinanzi
alla Corte si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
proposte censure di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili
o, comunque, non fondate. La difesa erariale ritiene, in primo luogo, che le
norme impugnate non siano lesive delle competenze regionali, risolvendosi in
una «misura contenitiva della spesa pubblica» che è «finalizzata alla redistribuzione
del reddito prodotto da una determinata categoria di cittadini chiamata a
svolgere l’attività prevista» dalle disposizioni censurate. Queste ultime,
pertanto, non investirebbero le competenze regionali, ma il reddito prodotto da
una specifica categoria di professionisti, sulla quale il legislatore
nazionale, «con norma rispettosa del principio di ragionevolezza, ha ritenuto
di incidere in senso ridistributivo nel quadro di riassetto macroeconomico
nazionale».
3.3. – In prossimità
dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria a
completamento e integrazione di quanto sostenuto nell’atto di costituzione,
insistendo affinché il ricorso della Regione Piemonte sia dichiarato
inammissibile o comunque non fondato. Nella memoria la difesa erariale sostiene
che le disposizioni contenute nei commi 8 e 9 dell’art. 61 hanno una «portata
generalizzata», operano «con riferimento alle pubbliche amministrazioni cui si
applica» il decreto-legge n. 112 del 2008 e si riferiscono a «tutti i dipendenti
pubblici rappresentando l’esigenza di assicurare un trattamento uniforme» a
prescindere dall’amministrazione di appartenenza. Tali disposizioni, pertanto,
ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, rientrerebbero nella materia
dell’ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art.
117, lettera l), Cost., e non riguarderebbero la potestà organizzativa delle
Regioni. In aggiunta, la difesa dello Stato rileva che, in base a quanto
previsto dal comma 17 dello stesso art. 61, «gli enti territoriali, gli enti di
competenza regionale e delle province autonome di Trento e Bolzano e gli enti
del servizio sanitario nazionale» non debbono procedere al versamento dei
risparmi di spesa in un apposito capitolo del bilancio dello Stato. Non vi
sarebbe, quindi, violazione dell’art. 119 Cost., dal momento che le economie di
spesa «vanno ad incrementare in termini positivi il bilancio degli enti».
4. – La Regione
Emilia-Romagna ha impugnato i commi 8, 9, 14, 16, 20, lettera b), e 21 dell’art.
61, per contrasto con gli artt. 117, commi terzo e quarto, e 119 della
Costituzione, nonché con il principio di leale collaborazione.
4.1. – La ricorrente, in
primo luogo, sostiene che i commi 8 e 9 dell’art. 61, sono «accomunati dal
fatto di "avocare” allo Stato» una parte delle somme spettanti ai dipendenti
pubblici per attività connesse ai lavori pubblici e una parte delle somme
spettanti ai dipendenti pubblici per l’attività svolta nell’ambito di un
arbitrato o di un collaudo. Tali disposizioni, ove dovessero intendersi
applicabili anche ai dipendenti pubblici regionali, risulterebbero palesemente
lesive dell’autonomia finanziaria regionale, nella parte in cui esse
stabiliscono che le predette somme «affluiscano al bilancio statale invece che
a quello regionale, qualora si tratti di dipendenti regionali o di enti
pararegionali». Ritiene infatti la Regione Emilia-Romagna che lo Stato non
possa, senza violare l’art. 119 Cost., acquisire al proprio bilancio risorse
che provengono (o nel caso degli arbitrati possono provenire) dalla Regione e
che sono dirette a compensare attività svolte da dipendenti regionali per conto
della Regione e in sostituzione della loro normale attività lavorativa.
In secondo luogo, la Regione
Emilia-Romagna censura i commi 14, 16 e 20, lettera b), dell’art. 61, in quanto
con essi lo Stato avrebbe dettato norme di dettaglio in materia di
coordinamento finanziario, lesive dell’autonomia organizzativa e finanziaria
regionale e in contrasto con gli artt. 117, commi terzo e quarto, e 119 Cost.
In particolare, ad avviso della ricorrente, il comma 14, nel disporre una
riduzione del 20 per cento dei trattamenti economici dei direttori generali,
sanitari e amministrativi e dei componenti dei collegi sindacali delle aziende
sanitarie locali, imporrebbe alla Regione un «limite puntuale ad una specifica
voce di spesa» che, secondo il costante orientamento della Corte costituzionale
(e in particolare la sent. n. 157 del
2007), non può essere considerato un principio di coordinamento della
finanza pubblica. La disposizione, infatti, ad avviso della Regione, non ha
carattere transitorio, colpisce una voce minuta di spesa e non lascia margine
di scelta alle Regioni per il conseguimento dell’obiettivo di risparmio.
Gli stessi motivi di censura
sono fatti valere dalla ricorrente con riferimento al comma 16 dell’art. 61.
Secondo la Regione Emilia-Romagna, infatti, tale disposizione, nonostante si autoqualifichi come «principio fondamentale di
coordinamento della finanza pubblica», ha contenuto dettagliato, perché, in
primo luogo, sottrae alle Regioni qualunque margine di scelta in ordine ai
mezzi per la realizzazione dell’obiettivo (diminuzione dell’ammontare dei
compensi e delle indennità dei componenti degli organi rappresentativi e del
numero di questi ultimi); in secondo luogo, lascia alle Regioni un «margine
irrisorio, che implica valutazioni tecniche più che politiche» (soppressione
degli enti inutili, fusione delle società partecipate, ridimensionamento delle
strutture organizzative e adozione di misure analoghe a quelle previste
dall’art. 61). Lo stesso comma 16, così come il successivo comma 20, lettera
b), dell’art. 61 sarebbero inoltre illegittimi, secondo la ricorrente, nella
parte in cui, imponendo la destinazione dei risparmi di spesa alla copertura
degli oneri derivanti dalla abolizione del ticket (disposta dal comma 19
dell’art. 61) condizionano «l’uso che la Regione fa delle proprie risorse
imponendo di destinarle ad un certo settore (nel caso di specie, la sanità)»,
con conseguente lesione dell’autonomia finanziaria regionale.
Infine, la Regione
Emilia-Romagna contesta la legittimità costituzionale del comma 21 dell’art.
61. Secondo la ricorrente, con tale disposizione, lo Stato addosserebbe la
maggior parte delle conseguenze finanziarie dell’abolizione del ticket alle
Regioni, potendo queste ultime «diminuire i tagli di cui ai commi 14, 16 e 20»
solo reintroducendo il ticket, cioè togliendo «ai cittadini un beneficio che il
legislatore statale ha espressamente voluto dare loro». Ciò però violerebbe «il
principio di leale collaborazione e l’art. 119, comma quarto, Cost., cioè il
principio di corrispondenza fra funzioni e risorse, perché dalle norme
impugnate risulta chiaramente che il ticket è considerato dallo Stato stesso
essenziale per il funzionamento del Servizio sanitario nazionale ma la legge
statale lo abolisce senza preoccuparsi di fornire le risorse alternative».
4.2. – Si è costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato. La difesa erariale chiede che le censure
riferite ai commi 8 e 9 dell’art. 61 siano dichiarate inammissibili, per le
stesse ragioni già esposte con riferimento al giudizio promosso dalla Regione
Piemonte. La difesa dello Stato chiede, inoltre, che le altre censure siano
dichiarate non fondate, dal momento che le disposizioni censurate devono essere
valutate nella loro complessità e alla luce del contesto di risanamento della
finanza pubblica in cui si inquadrano, in quanto «fortemente integrate al fine
di sterilizzare gli effetti finanziari derivanti dall’abolizione a livello
nazionale del ticket».
4.3. – In prossimità
dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria a
completamento e integrazione di quanto sostenuto nell’atto di costituzione,
insistendo circa l’inammissibilità o comunque la non fondatezza del ricorso
della Regione Emilia-Romagna. Con riferimento ai commi 8 e 9 dell’art. 61, in
particolare, la difesa erariale propone le medesime argomentazioni dedotte
nella memoria presentata per il giudizio promosso dalla Regione Piemonte. Con
riguardo ai commi 14, 16, 20, lettera b), e 21 dell’art. 61, la difesa erariale
rileva che le norme in questione, innanzitutto, debbono essere valutate
unitariamente nel contesto economico finanziario di risanamento della finanza
pubblica, posto che «sono dirette a evitare gli effetti finanziari negativi per
le Regioni derivanti dall’abolizione a livello nazionale del ticket di 10 euro
per ricetta sulla specialistica». Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, le
norme impugnate «non indicano attività e comportamenti vincolanti per le
Regioni ma una serie di opzioni» che le Regioni stesse «possono liberamente
adottare, potendo esse nella loro autonomia finanziaria trovare altre forme di
finanziamento dei servizi cui è tenuta ad erogare». Le norme in questione,
quindi, rientrerebbero nel potere generale dello Stato di coordinamento della
finanza pubblica e non sarebbero disposizioni di dettaglio, «consentendo alle
Regioni la massima flessibilità di intervento». Ad avviso della difesa
erariale, dunque, l’unico limite delle norme in questione è rappresentato dalla
necessità di garantire l’equivalenza finanziaria delle diverse misure che le
Regioni, nell’ambito dell’autonomia finanziaria loro riconosciuta, intendono
adottare.
4.4. – La Regione
Emilia-Romagna, in prossimità dell’udienza, ha depositato una memoria in
replica alle argomentazioni dedotte dall’Avvocatura generale dello Stato.
Quanto al comma 8 dell’art. 61, la Regione sostiene innanzitutto che,
nonostante la norma sia stata abrogata, la successiva approvazione di altra
disposizione dall’identico tenore (comma 7-bis) consente il trasferimento delle
censure sulla nuova norma. Nel merito, la ricorrente, con riguardo ai commi 8 e
9, da un lato, conferma le censure prospettate nel ricorso e osserva che tali
disposizioni «non riguardano generici "cittadini” o "professionisti”, bensì
dipendenti regionali e incidono su somme date ad essi dalla Regione per
attività svolte per conto della Regione». Dall’altro, rileva che ove si
interpretasse il combinato disposto dei commi 7-bis, 9 e 17 nel senso di
applicare alle Regioni solo la riduzione di incentivi per la progettazione e di
compensi per i dipendenti pubblici, ma non di imporre il versamento delle
relative somme al bilancio dello Stato, «risulterebbero sostanzialmente
soddisfatte le ragioni del ricorso». Con riferimento ai commi 14, 16, 20,
lettera b), e 21 dell’art. 61, la Regione sottolinea, innanzitutto, che la
difesa erariale non ha formulato alcuna replica specifica alle censure
avanzate. Ad avviso della Regione, inoltre, «la possibilità alternativa
"concessa” dal comma 21 non fa venir meno la lesività
delle norme impugnate», poiché tale alternativa, in primo luogo, non esclude
del tutto le misure previste ai commi 14, 16 e 20, lettera b), numero 2) – come
farebbe intendere la formula «in luogo della completa adozione» usata dal
legislatore statale – e, in secondo luogo, è «un’alternativa politicamente
impraticabile e, comunque, vincolata nel suo contenuto, trattandosi pur sempre
di reintrodurre forme di partecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria».
Mancherebbe, perciò, secondo la ricorrente, «la massima flessibilità
d’intervento» delle Regioni prospettata invece dall’Avvocatura generale dello
Stato.
5. – La Regione Veneto, con
un primo ricorso (reg. ric. n. 70 del 2008), ha impugnato i commi 8, 9, 14, 19,
20, lettera b), e 21 dell’art. 61, per contrasto con gli artt. 117, terzo
comma, e 119 della Costituzione. Con successivo ricorso (reg. ric. n. 25 del
2009), la Regione Veneto ha altresì impugnato l’art. 18, comma 4-sexies, del
decreto-legge n. 185 del 2008, introdotto in sede di conversione dalla legge n.
2 del 2009, che ha inserito il comma 7-bis dell’art. 61, per violazione degli
artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonché del principio di leale
collaborazione.
5.1. – Con il primo ricorso,
la Regione Veneto censura, innanzitutto, i commi 8 e 9 dell’art. 61, che, ad
avviso della ricorrente, ove fossero ritenuti applicabili anche nei confronti
delle Regioni e degli enti locali, concreterebbero una grave violazione
dell’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost. Tali disposizioni,
infatti, secondo la Regione Veneto, non soltanto stabiliscono «vincoli puntuali
e significativi alle voci di spesa dei bilanci regionali», ma dispongono anche
«unilateralmente che le risorse intercettate dalle norme confluiscano nel
bilancio statale». I commi 14, 19, 20 e 21 dell’art. 61 presentano poi tutti,
ad avviso della ricorrente, «i medesimi profili di contrasto al dettato
costituzionale». Essi dettano una disciplina che, intervenendo in materie di
potestà legislativa concorrente (tutela della salute e coordinamento della
finanza pubblica), ha un «carattere estremamente dettagliato», che appare
«particolarmente evidente laddove essa determina in una percentuale fissa la
riduzione dei trattamenti economici spettanti ai direttori e ai componenti dei
collegi sindacali delle aziende sanitarie locali (comma 14)». Ne consegue, ad
avviso della ricorrente, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. A ciò
si aggiunge anche la violazione dell’art. 119 Cost., perché il comma 14
«introduce un limite puntuale ad una singola voce di spesa», mentre i
successivi commi 19, 20 e 21 risultano lesivi dell’autonomia finanziaria
regionale sotto il profilo delle entrate, cioè relativamente al «reperimento
delle risorse da destinare alla gestione di un settore» quale quello della tutela
della salute. Con tali disposizioni, infatti, il legislatore statale
pretenderebbe di «imporre alle Regioni i mezzi con i quali realizzare un
contenimento della spesa sanitaria», in particolare «imponendo che l’importo di
manovra individuato dallo Stato si realizzi mediante misure di partecipazione
al costo delle prestazioni sanitarie ad esclusione di ogni altra modalità».
5.2. – Con il secondo
ricorso, la Regione Veneto osserva che, in pendenza del precedente reg. ric. n.
70 del 2008, il comma 8 dell’art. 61 è stato abrogato ad opera dell’art. 1,
comma 10-quater, del decreto-legge n. 162 del 2008. Successivamente, tuttavia,
l’art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008, introdotto in
sede di conversione dalla legge n. 2 del 2009, ha sostanzialmente reintrodotto
la misura di contenimento della spesa che era stata originariamente prevista
dal comma 8 dell’art. 61. Pertanto, «in ragione della sostanziale
reintroduzione, nel nuovo comma 7-bis dell’art. 61 del decreto-legge n. 112 del
2008, e quindi in una disposizione formalmente nuova, di una misura già oggetto
di ricorso regionale, la Regione Veneto ha ritenuto necessario tornare ad
adire» la Corte costituzionale, impugnando il predetto art. 18, comma 4-sexies,
del decreto-legge n. 185 del 2008.
La Regione ricorrente
preliminarmente precisa di voler proporre la questione di legittimità
costituzionale sulla base di una interpretazione da essa prospettata come
possibile. La Regione Veneto pertanto impugna la disposizione censurata ove
quest’ultima dovesse ritenersi applicabile anche alle Regioni e nella parte in
cui essa dispone tale applicazione.
Nel merito, la Regione
Veneto ritiene che la disciplina dettata dalla disposizione censurata si ponga
innanzitutto in contrasto con l’art. 117 Cost., dal momento che la disciplina
degli incentivi alla progettazione, non rientrando in alcuna delle materie di
cui all’art. 117, secondo comma, spetta alla Regione, almeno per quanto attiene
alle Regioni che si trovino in posizione di stazione appaltante. Né potrebbe
invocarsi, in senso contrario, la competenza legislativa statale in materia di
coordinamento della finanza pubblica, dal momento che la norma censurata,
prevedendo in modo esaustivo strumenti e modalità per il perseguimento di
obiettivi di riequilibrio finanziario, non rispetta le condizioni indicate
dalla giurisprudenza costituzionale per potersi qualificare come principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.
La Regione ricorrente
lamenta, poi, la violazione della propria autonomia finanziaria, sancita
dall’art. 119 Cost. Tale autonomia risulterebbe lesa in quanto la disposizione
censurata prevede vincoli «puntualissimi e significativi» alla spesa dei
bilanci regionali e, per di più, dispone «unilateralmente che le risorse sottratte
alla loro originaria finalità confluiscano in un capitolo del bilancio
statale».
Si ipotizza, ancora, la
violazione del principio di leale collaborazione, in quanto, in un ambito non
esclusivamente devoluto alla competenza esclusiva statale, sarebbe mancato il
coinvolgimento delle Regioni sia al momento di introdurre l’innovazione
legislativa, sia in ordine alla «programmazione della determinazione della
destinazione delle risorse sottratte ai corrispettivi e agli incentivi di
programmazione».
La ricorrente deduce,
infine, la violazione dei principi di cui agli artt. 3, 97 e 118 Cost., dal
momento che la norma impugnata, riducendo enormemente l’importo dell’incentivo,
finisce irragionevolmente per negare la stessa possibilità di realizzare la
finalità per cui tale incentivo è stato previsto. Ciò rappresenterebbe,
inoltre, una violazione dell’autonomia organizzativo-amministrativa
delle Regioni e una turbativa del buon andamento della pubblica
amministrazione.
5.3. – Si è costituito in
entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
Relativamente al primo
ricorso, la difesa erariale ha chiesto che le censure riferite ai commi 8 e 9
dell’art. 61 siano dichiarate inammissibili e le censure relative ai commi 14,
19, 20, lettera b), e 21 siano dichiarate non fondate, per le stesse ragioni
esposte dalla difesa erariale con riferimento ai giudizi promossi
rispettivamente dalla Regione Piemonte e dalla Regione Emilia-Romagna. Con riguardo
al secondo ricorso, la difesa erariale ha chiesto che ne venga dichiarata la
non fondatezza, dal momento che la disposizione impugnata, nel modificare il
Codice dei contratti pubblici con una «disciplina di carattere generale che
impatta su tutti i dipendenti pubblici cui la stessa è applicabile», «non è
suscettibile di attuazione differenziata a seconda dei comparti». Essa
costituisce un «intervento da ricondurre alla materia ordinamento civile», di
competenza legislativa esclusiva statale, e non è attribuibile alla potestà
organizzativa delle Regioni.
5.4. – In prossimità
dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria a
completamento e integrazione di quanto sostenuto nell’atto di costituzione,
insistendo circa l’inammissibilità o comunque la non fondatezza del primo
ricorso della Regione Veneto. Con riferimento ai commi 8 e 9 dell’art. 61, in
particolare, la difesa erariale propone le medesime argomentazioni dedotte
nelle memorie presentate per i giudizi promossi dalla Regione Piemonte e dalla
Regione Emilia-Romagna.
5.5. – La Regione Veneto, in
prossimità dell’udienza, ha depositato due memorie illustrative. La prima si
riferisce al giudizio promosso con il secondo ricorso. La Regione, in
particolare, sostiene che la tesi dell’Avvocatura generale dello Stato non può
essere accolta, poiché, anche se la norma impugnata «intercetta la disciplina
del rapporto di lavoro» di dipendenti pubblici, «decurtando una delle voci del
loro corrispettivo, il cd. incentivo alla progettazione-direzione, è
altrettanto vero che ciò non basta ad escludere una competenza regionale sul
punto». Ad avviso della Regione, in base alla giurisprudenza costituzionale
(sono citate le sentenze
n. 401 del 2007 e n. 282 del 2002),
andrebbe escluso che ogni disciplina tesa a regolare e vincolare l’opera di
dipendenti pubblici, rientri per ciò stesso nella materia dell’ordinamento
civile, riservata allo Stato. La competenza esclusiva statale in detta materia,
infatti, potrebbe essere legittimamente invocata qualora siano in gioco profili
che attengono alla regolamentazione civilistica di aspetti afferenti al vincolo
negoziale, tali perciò da richiedere necessariamente un trattamento uniforme
sul territorio nazionale. La norma impugnata, inoltre, si caratterizzerebbe
«per un grado di dettaglio tale da non poter certo essere qualificata quale
"principio fondamentale”» di coordinamento della finanza pubblica. La Regione,
dunque, «rivendica un proprio spazio di autonoma scelta in materia di
determinazione della percentuale di incentivo» prevista a favore dei soggetti
di cui all’art. 92, comma 5, del Codice dei contratti pubblici.
La seconda memoria si
riferisce al giudizio promosso con il primo ricorso, per la parte riguardante
l’art. 61. La Regione, in primo luogo, si sofferma sul comma 9, riconoscendo
che tale disposizione «intercetta» la disciplina del rapporto di lavoro dei
dipendenti pubblici, ma ritenendo che «ciò non sembra possa bastare ad
escludere una competenza regionale sul punto». In particolare, ad avviso della
ricorrente, l’Avvocatura generale dello Stato non avrebbe spiegato per quale
ragione «la disciplina – rectius, più nello
specifico, la determinazione – di specifiche e particolarissime voci di
compenso, che – sembra opportuno ricordare – sono del tutto aggiuntive rispetto
al corrispettivo base spettante al dipendente pubblico, non possa esser rimessa
alle singole Regioni, sulla base di un’autonoma valutazione di costi-benefici, esigenze-risorse-obiettivi». Il comma 9, perciò, altro non
sarebbe che una disposizione in materia di coordinamento della finanza
pubblica, e dunque illegittima perché di dettaglio e non qualificabile come
principio fondamentale. La Regione, in secondo luogo, prende in esame il comma
14, lamentandone la illegittimità in quanto la norma, nel fissare vincoli
puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle Regioni e degli
enti locali, si imporrebbe alle Regioni senza lasciare ad esse alcun margine di
alternativa. La ricorrente, in terzo luogo, si sofferma sui commi 19, 20,
lettera b), e 21 dell’art. 61, rispondendo alle argomentazioni dedotte
dall’Avvocatura generale dello Stato al riguardo. Le norme impugnate, ad avviso
della Regione, anche se sorrette da finalità di contenimento della spesa
pubblica, si muovono nell’ambito materiale concorrente della «tutela della
salute» e, dato «il loro grado di dettaglio e l’efficacia autoapplicativa
che le contraddistingue», non possono essere qualificate come principi
fondamentali.
6. – La Provincia autonoma
di Trento ha impugnato i commi 14 e 15, primo periodo, dell’art. 61, per
violazione dei seguenti parametri costituzionali: artt. 8, comma 1, numero 1),
9, comma 1, numero 10), 16 e da 69 a 86 (Titolo VI)
del d.P.R. n. 670 del 1972 (Approvazione del testo
unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige); art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra
atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà
statale di indirizzo e coordinamento); art. 117, terzo comma, e 119 Cost., come
estesi alle autonomie speciali dall’art. 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione).
6.1. – Premette la
ricorrente di avere impugnato le disposizioni censurate a titolo cautelativo,
per l’ipotesi cioè in cui il comma 15 dell’art. 61, il quale esclude
l’applicabilità alle province autonome dei commi 1, 2, 5 e 6 dello stesso
articolo, lasciando però «fermo quanto previsto dal comma 14», dovesse
intendersi nel senso che quest’ultimo comma si riferisca invece anche alle
province autonome. In tal caso, l’applicazione alle province autonome della
prevista riduzione dei compensi dei direttori generali, dei direttori sanitari
e dei direttori amministrativi, nonché dei componenti dei collegi sindacali
delle strutture sanitarie, risulterebbe, ad avviso della ricorrente,
costituzionalmente illegittima.
Verrebbe lesa, in primo
luogo, la competenza provinciale a disciplinare l’organizzazione delle
strutture sanitarie, prevista dagli artt. 8, comma 1, numero 1), e 9, comma 1,
numero 10), dello Statuto, che attribuiscono alla provincia, rispettivamente,
potestà legislativa esclusiva in tema di «ordinamento degli uffici provinciali
e del personale ad essi addetto» e potestà legislativa concorrente in materia
di «igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e ospedaliera». In
particolare, secondo la ricorrente, la diretta applicazione alle province
autonome della disposizione statale censurata, relativa alla riduzione dei
compensi dei vertici amministrativi delle strutture sanitarie, violerebbe
l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, in base al quale la legislazione
provinciale «deve essere adeguata ai principi e norme costituenti limiti
indicati dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale e recati da atto legislativo dello
Stato entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell’atto medesimo nella
Gazzetta Ufficiale o nel più ampio termine da esso stabilito», restando «nel
frattempo applicabili le disposizioni legislative regionali e provinciali
preesistenti».
La Provincia autonoma di
Trento, in secondo luogo, osserva che essa provvede al finanziamento della
spesa sanitaria nel proprio territorio senza alcun apporto a carico del
bilancio dello Stato. In tali circostanze, secondo la ricorrente sarebbe
«irragionevolmente e immotivatamente lesiva dell’autonomia provinciale
l’imposizione di precisi limiti di spesa da parte dello Stato in un ambito nel
quale la Provincia non dipende dalle risorse del bilancio statale».
Infine, la ricorrente rileva
che la limitazione contenuta nel comma 14 risulterebbe in ogni caso
illegittima, anche ove alla Provincia dovessero applicarsi le stesse regole che
riguardano il rapporto fra lo Stato e le Regioni a statuto ordinario. Tale
limitazione, infatti, non avendo carattere transitorio, colpendo una minuta
voce di spesa e non lasciando margine di scelta per il conseguimento
dell’obiettivo di risparmio, non potrebbe qualificarsi come principio di
coordinamento della finanza pubblica e, in base ad un costante orientamento
della giurisprudenza costituzionale, risulterebbe pertanto in contrasto con gli
artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.
6.2. – Si è costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
non fondata. Secondo la difesa erariale, la disposizione censurata non viola la
competenza della Provincia di Trento in materia di ordinamento del personale e
in tema di igiene e sanità, trattandosi di norme di coordinamento della finanza
pubblica.
6.3. – In prossimità
dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria a
completamento e integrazione di quanto sostenuto nell’atto di costituzione,
insistendo circa l’inammissibilità o comunque la non fondatezza del ricorso
della Provincia autonoma di Trento. La difesa erariale rileva che le norme
impugnate «essendo finalizzate a coprire gli oneri connessi alla spesa
sanitaria, non si ritengono applicabili alla provincia di Trento». Ad avviso
dell’Avvocatura generale dello Stato, dunque, poiché la Provincia provvede al
finanziamento della spesa sanitaria «senza alcun apporto a carico del bilancio
dello Stato», essa può provvedere autonomamente all’individuazione delle
«modalità per la copertura degli oneri del servizio sanitario provinciale nel
suo complesso, ivi compreso l’ammontare dei compensi degli organi delle azione
sanitarie».
6.4. – La Provincia autonoma
di Trento, in prossimità dell’udienza, ha depositato una memoria illustrativa
in cui ribadisce le censure proposte con l’atto introduttivo del giudizio.
Nella memoria, in particolare, viene sottolineato che il comma 15 dell’art. 61
individua un complesso ampio di soggetti rispetto ai quali i commi 1, 2, 5 e 6
non trovano applicazione in alcun modo, ma ciò non comporta che tutte le altre
disposizioni debbano applicarsi sia alle Regioni che alle Province autonome. Al
contrario, posto che le norme non eccettuate sono destinate a trovare
applicazione nei confronti delle Regioni, per quanto riguarda le Province autonome
spetterà ad esse di valutare, come per la generalità delle norme statali di
disciplina della materia, se esse comportino o meno, secondo le regole
statutarie, l’adeguamento della disciplina provinciale, ferma restando la
possibilità per lo Stato di contestare, ove lo ritenga e nei termini previsti,
il mancato adeguamento. La precisazione «fermo quanto previsto dal comma 14»,
contenuta nel comma 15, «non può che essere intesa nel senso di mantenere ferma
la disposizione nell’ambito di applicazione che risulta dal suo testo diretto».
Le norme censurate, d’altro canto, ad avviso della ricorrente e come
prospettato dalla stessa Avvocatura generale dello Stato, non sono applicabili
nei confronti della Provincia autonoma di Trento. A tale conclusione, del resto,
porterebbe anche un’«interpretazione costituzionalmente orientata» della norma.
La ricorrente chiede alla Corte, dunque, di sancire che i commi 14 e 15
dell’art. 61 non si applicano alla Provincia autonoma di Trento o in subordine,
ove essi fossero invece ritenuti applicabili alla Provincia autonoma, di
dichiararne l’illegittimità costituzionale per le ragioni dedotte nel ricorso.
7. – La Regione Toscana ha
impugnato, con un primo ricorso, il comma 8 dell’art. 61 e, con un successivo ricorso,
l’art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008, introdotto in
sede di conversione dalla legge n. 2 del 2009, per contrasto con l’art. 117
Cost.
7.1. – Nel primo ricorso, la
Regione Toscana innanzitutto precisa di impugnare il comma 8 dell’art. 61 per
l’ipotesi in cui questa Corte dovesse ritenere corretta una determinata
interpretazione di tale disposizione. La ricorrente sostiene, infatti, che il
predetto comma 8 debba essere considerato, in base a quanto disposto dal
successivo comma 17, non applicabile alle Regioni. Tuttavia, la Regione Toscana
ritiene possibile anche una diversa e «più restrittiva» interpretazione, in
base alla quale la riduzione della percentuale diretta ad incentivare il
personale interno coinvolto nella progettazione e nel collaudo potrebbe invece
ritenersi applicabile anche alle Regioni, restando queste soltanto esentate, ai
sensi del comma 17, dall’obbligo di versare le maggiori entrate derivanti da
tale riduzione al bilancio statale. Se, pertanto, il comma 17 dell’art. 61
escludesse le Regioni non già dall’applicazione della riduzione dell’incentivo
prevista dal comma 8, ma solo dall’obbligo di versare allo Stato le conseguenti
maggiori entrate, allora la disposizione censurata violerebbe, secondo la
ricorrente, la potestà legislativa esclusiva regionale in materia di
organizzazione amministrativa. La lesione dell’autonomia organizzativa
regionale deriverebbe in particolare dalla circostanza che la prevista
riduzione dell’incentivo inciderebbe negativamente sulla progettazione interna
delle stazioni appaltanti, che verrebbero pertanto costrette ad affidare
all’esterno le attività di progettazione e di collaudo, con inevitabile
aggravio dei costi.
7.2. – Con il secondo
ricorso, la Regione Toscana impugna il predetto art. 18, comma 4-sexies, del
decreto-legge n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del 2009, che ha
inserito il comma 7-bis dell’art. 61, proponendo in relazione ad esso le
medesime censure presentate con riferimento alla norma impugnata con il precedente
ricorso.
7.3. – Si è costituito in
entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato. In relazione al primo ricorso
(reg. ric. n. 74 del 2008), la difesa erariale ha chiesto che le proposte
censure di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o,
comunque, non fondate, per le stesse ragioni esposte con riferimento al
giudizio promosso dalla Regione Piemonte. Con riguardo al secondo ricorso, la
difesa dello Stato ha chiesto che ne venga dichiarata la non fondatezza, per le
ragioni esposte con riferimento al secondo giudizio promosso dalla Regione
Veneto (reg. ric. n. 25 del 2009).
7.4. – In prossimità
dell’udienza, la Regione Toscana ha depositato una memoria illustrativa unica
per i due ricorsi. Ad avviso della ricorrente, le norme impugnate non sono
applicabili alle Regioni, per il rispetto della loro autonomia organizzativa e
finanziaria. Nel rispondere alle argomentazioni dedotte dall’Avvocatura
generale dello Stato nell’atto di costituzione, la Regione sottolinea di non
aver mai contestato che la percentuale dell’incentivo di progettazione sia
determinata dallo Stato, al fine di garantire una uniformità di trattamento tra
tutti i dipendenti pubblici. La Regione contesta, invece, il fatto che, sulla
percentuale del 2 per cento, la norma impugnata imponga «un limite di
utilizzabilità, perché l’1,5 per cento deve necessariamente restare nel
capitolo di bilancio» regionale. Sarebbe perciò lesivo dell’autonomia organizzativa
delle Regioni non poter usare somme stanziate per gli incentivi. Ove riferito
anche alle Regioni, quindi, «l’obbligo di articolare l’incentivo del 2 per
cento in due parti dando lo 0,5 per cento per la progettazione svolta
internamente dal personale regionale e trattenendo l’1,5 per cento, determina
una violazione dell’art. 117 Cost. per interferenza con le competenze delle
Regioni in tema di organizzazione amministrativa e di disciplina del
personale». Secondo la ricorrente, in base alla giurisprudenza costituzionale,
la compressione degli spazi entro cui possono esercitarsi le competenze
legislative e amministrative di Regioni e Province autonome, specialmente in
tema di organizzazione e personale, potrebbe derivare soltanto da un intervento
legislativo statale diretto a stabilire principi fondamentali in materia di
coordinamento della finanza pubblica. Ma le norme impugnate, ad avviso della
Regione, non hanno la natura di principio fondamentale, poiché «non pongono
obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, né criteri e obiettivi cui
dovrà attenersi la Regione, ma contengono un precetto puntuale, dettagliato,
immediatamente applicabile, che individua una specifica voce di spesa del
bilancio regionale da limitare».
8. – La Regione Valle d’Aosta
ha impugnato il comma 17 dell’art. 61, lamentando la violazione dell’art.
48-bis della legge cost. n. 4 del 1948 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta),
per contrasto con la norma interposta di cui al d.lgs. n. 282 del 2000 (Norme
di attuazione dello statuto speciale della Regione Valle d’Aosta in materia di
potestà legislativa regionale inerente il finanziamento dell’università e
l’edilizia universitaria), nonché la lesione dell’autonomia finanziaria e
legislativa della Regione e dei principi di leale collaborazione e di
ragionevolezza.
8.1. – Premette la Regione
ricorrente che, nel recare disposizioni di attuazione dello Statuto speciale
per la Valle d’Aosta, adottate seguendo il particolare procedimento previsto
dallo statuto stesso, il d.lgs. n. 282 del 2000 ha attribuito alla Regione
Valle d’Aosta la potestà legislativa e amministrativa in materia di
finanziamento dell’Ateneo di cui al comma 120 dell’art. 17 della legge 15
maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa
e dei procedimenti di decisione e di controllo), cioè l’Università della Valle
d’Aosta. In tale quadro, la ricorrente afferma che il comma 17 dell’art. 61,
«nel prevedere il versamento ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio
dello Stato delle somme provenienti dalle riduzioni di spesa disposte dal
medesimo articolo, ove ritenuto applicabile all’Università della Valle d’Aosta,
risulta lesivo delle competenze legislative e amministrative in materia di
finanziamento all’Ateneo valdostano, attribuite alla Regione Valle d’Aosta dal
d.lgs. n. 282 del 2000 in attuazione dell’art. 48-bis dello Statuto speciale
valdostano». Ritiene infatti la Regione ricorrente che la disposizione
censurata, nella parte in cui non esclude dal proprio ambito di applicazione
l’Università della Valle d’Aosta, contrasti con un decreto di attuazione dello
statuto speciale valdostano, che «non può essere derogato o tacitamente
abrogato da una legge ordinaria dello Stato o da un atto ad essa equiparato che
sia adottato senza osservare il peculiare procedimento previsto dall’art.
48-bis dello Statuto». Ne deriva la violazione di quest’ultima disposizione,
nonché del principio di leale collaborazione.
Osserva inoltre la Regione
ricorrente che, essendo il finanziamento dell’Università valdostana
prevalentemente a carico del bilancio regionale, l’applicazione della
disposizione censurata avrebbe l’effetto di «trasformare le riduzioni di spesa
o le maggiori entrate dell’Ateneo valdostano […] in un irragionevole e
illegittimo trasferimento di risorse economiche dalla Regione allo Stato». Ciò
lederebbe l’autonomia legislativa e finanziaria della Regione, nonché il
principio di ragionevolezza, traducendosi appunto in una «irragionevole
sanzione nei confronti del principale finanziatore […] di un ente […] con un
bilancio in attivo, in ragione di una sana ed efficiente gestione
economico-finanziaria».
8.2. – Si è costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità
costituzionale sia dichiarata non fondata. La difesa erariale precisa che
l’Università della Valle d’Aosta, unitamente ad altre università non statali,
risulta finanziata dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della
ricerca ed è ricompresa nell’ambito delle amministrazioni pubbliche di cui al
conto economico consolidato annualmente elaborato dall’ISTAT. Ne deriva,
secondo l’Avvocatura generale dello Stato, che la disposizione censurata non è
lesiva dell’autonomia statutaria della Regione ricorrente, in quanto
l’Università della Valle d’Aosta, risultando inclusa nel novero delle
amministrazioni pubbliche del conto economico consolidato, è sottoposta
all’applicazione della norma censurata.
9. – La Regione Calabria ha
impugnato, chiedendone la previa sospensione, l’art. 61, con censure riferite
specificamente ai commi 14, 16, 19, 20, lettera b), e 21, per violazione degli
artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., nonché del principio di leale
collaborazione.
9.1. – La ricorrente censura
la complessiva disciplina risultante dai predetti commi dell’art. 61, la quale,
da un lato, prevede l’abolizione della quota di partecipazione al costo per le
prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale (cosiddetto ticket) e,
dall’altro lato, dispone che, ai fini della copertura dei relativi oneri
finanziari, le Regioni adottino misure di incremento dell’efficienza e
razionalizzazione della spesa, fra cui quelle di cui ai commi 14 e 16, ovvero,
in alternativa, introducano, in forma integrale o ridotta, il ticket abolito
dal comma 19 o altre forme di partecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria
di equivalente effetto finanziario.
Ad avviso della Regione,
tale disciplina attiene, in maniera trasversale, alle materie della tutela
della salute e del coordinamento della finanza pubblica, entrambe rientranti
nella potestà legislativa concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
In tali materie, quindi, il legislatore statale deve limitarsi alla definizione
dei principi fondamentali della materia, senza invece dettare, come secondo la
ricorrente avverrebbe nel caso in esame – in particolare ad opera dei commi 14,
16, 20 e 21 – «disposizioni puntuali e di dettaglio», che producono una
invasione della competenza legislativa regionale asseritamente
acuita, anziché ridimensionata, dalla previsione di una serie di misure
alternative rimesse alla scelta della Regione.
In secondo luogo, la Regione
ritiene che la disciplina censurata leda l’autonomia finanziaria regionale
sancita dall’art. 119 Cost. L’abolizione del ticket, prevista dal comma 19, e
le già menzionate disposizioni (commi 14, 16, 20 e 21) che fissano «in maniera
estremamente e irragionevolmente puntuale le misure finanziarie per il
reperimento delle risorse sostitutive» di tale fonte di finanziamento,
concreterebbero infatti una «evidente invasione dell’autonomia finanziaria
regionale».
Infine, secondo la Regione
ricorrente, la disciplina impugnata violerebbe anche il principio di leale
collaborazione, che impone la predisposizione di meccanismi di confronto fra
Stato e Regioni. In particolare, la ricorrente richiama la sentenza n. 203 del
2008, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la
questione di legittimità costituzionale della norma introduttiva del ticket ora
abolito, nel presupposto che tale disposizione fosse stata preceduta, con il
cosiddetto patto per la salute, da una intesa fra Stato e Regioni, con
conseguente osservanza del principio di leale collaborazione. Ritiene pertanto
la Regione Calabria che, così come l’introduzione del ticket è stata
considerata legittima solo in ragione della previa intesa fra Stato e Regioni,
allo stesso modo una simile intesa deve considerarsi condizione di legittimità
costituzionale di norme che aboliscono, o comunque «incidono in radice», sul
ticket stesso. Ne consegue l’illegittimità costituzionale della disciplina
censurata, e in particolare dei commi dal 19 al 21 e di quelli da essi
richiamati, per violazione del principio di leale collaborazione. Aggiunge
inoltre la Regione che per effetto delle disposizioni impugnate, in base alle
quali alcune Regioni potrebbero abolire il ticket facendo ricorso alle misure
di razionalizzazione della spesa indicate dal legislatore statale, mentre altre
Regioni potrebbero reintrodurre il ticket con propria determinazione, si
verrebbe a creare una «disomogeneità, da Regione a Regione, del regime di
compartecipazione economica per le prestazioni di assistenza specialistica
ambulatoriale». Ciò rappresenterebbe una situazione opposta a quella che ha
indotto la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 203 del
2008, a dichiarare la non fondatezza della questione di legittimità
costituzionale della norma che ha introdotto il ticket.
9.2. – Si è costituita in
giudizio, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’Avvocatura generale
dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia
dichiarata non fondata. Secondo il resistente, l’impianto normativo censurato
consente in realtà alle Regioni di esercitare la «massima flessibilità di
intervento», potendo ciascuna Regione decidere di «dosare varie leve
disponibili» (diverse tipologie di risparmi di spesa o reintroduzione del
ticket), «a seconda delle politiche che riterrà più opportuno attuare sul
proprio territorio». Ad avviso della difesa erariale, lo Stato non avrebbe in
alcun modo invaso spazi di autonomia regionale costituzionalmente garantiti.
9.3. – In prossimità
dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria a
completamento e integrazione di quanto sostenuto nell’atto di costituzione,
insistendo circa l’inammissibilità o comunque la non fondatezza del ricorso
della Regione Calabria. La difesa erariale, in particolare, sostiene le
medesime argomentazioni dedotte nelle memorie presentate per i giudizi promossi
dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Regione Veneto.
Considerato
in diritto
1. – Le Regioni Piemonte
(reg. ric. n. 67 del 2008), Emilia-Romagna (reg. ric. n. 69 del 2008), Veneto
(reg. ric. n. 70 del 2008), Toscana (reg. ric. n. 74 del 2008), Valle d’Aosta
(reg. ric. n. 84 del 2008) e Calabria (reg. ric. n. 86 del 2008), nonché la
Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 71 del 2008), impugnano i commi 8,
9, 14, 15, primo periodo, 16, 17, 19, 20, lettera b), e 21 dell’art. 61 del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico,
la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica
e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133 (d’ora in avanti, «art. 61»). La Regione Calabria ha
altresì chiesto la sospensione dell’efficacia delle disposizioni impugnate, ai
sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, come sostituito dall’art.
9, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131. Le Regioni Toscana e Veneto, con
successivi ricorsi (reg. ric. rispettivamente n. 23 e n. 25 del 2009) censurano
inoltre l’art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185
(Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per
ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), introdotto
in sede di conversione dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che a sua volta ha
inserito il comma 7-bis nel testo dell’art. 61 (d’ora in avanti, la
disposizione censurata con i reg. ric. nn. 23 e 25
del 2009 è sinteticamente indicata come «comma 7-bis dell’art. 61»).
La trattazione delle
questioni di legittimità costituzionale relative alle suddette disposizioni
viene qui separata da quella delle altre questioni, promosse con i medesimi
ricorsi, che devono essere riservate ad altre pronunce.
I giudizi, così separati e
delimitati, in considerazione della loro connessione oggettiva, devono essere
riuniti, per essere decisi con un’unica pronuncia.
2. – Ciò premesso, ai fini
dell’ordine della loro trattazione, le censure proposte dalle ricorrenti vanno
suddivise in quattro gruppi, in ragione della omogeneità e della reciproca
connessione delle norme cui esse si riferiscono. Il primo gruppo include le
censure relative ai commi 7-bis, 8 e 9 dell’art. 61, proposte dalle Regioni
Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana. Il secondo è dato dalle censure
prospettate dalla Regione Valle d’Aosta con riferimento al comma 17 dell’art.
61. Il terzo gruppo riguarda le censure relative ai commi 14, 16, 19, 20,
lettera b), e 21 dell’art. 61, prospettate dalle Regioni Emilia-Romagna, Veneto
e Calabria. Il quarto, infine, si riferisce alle censure prospettate dalla
Provincia autonoma di Trento relativamente ai commi 14 e 15 dell’art. 61.
3. – Le Regioni Piemonte,
Emilia-Romagna, Veneto e Toscana hanno impugnato i commi 7-bis, 8 e 9 dell’art.
61, deducendo la violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonché del
principio di leale collaborazione.
3.1. – Va premesso che le
disposizioni censurate si inquadrano nel contesto di una manovra di risanamento
della finanza pubblica di ampio respiro, imperniata sull’applicazione di
numerose misure di contenimento della spesa corrente, fra cui sono da
comprendersi quelle imposte dall’art. 61 a carico di tutte le amministrazioni
inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione. In
questo quadro, le norme impugnate concorrono alla realizzazione dei predetti
obiettivi di contenimento e razionalizzazione della spesa, imponendo una
riduzione delle somme che, in aggiunta alla retribuzione, sono corrisposte, a
titolo di incentivo o di compenso, a talune particolari categorie di dipendenti
pubblici, per lo svolgimento di specifiche attività.
In particolare, il comma 8
dell’art. 61 si riferisce all’incentivo, «non superiore al due per cento dell’importo
posto a base di gara di un’opera o di un lavoro», che, ai sensi dell’art. 92,
comma 5, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE), «è ripartit[o], per ogni
singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di
contrattazione decentrata e assunti in un regolamento adottato
dall’amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati
della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei
lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori». Il censurato comma 8
dell’art. 61, a decorrere dal 1° gennaio 2009, ha ridotto tale percentuale,
disponendo che essa possa essere destinata solo nella misura dello 0,5 per
cento alla finalità di incentivo prevista dal codice dei contratti pubblici,
dovendo invece, nella misura dell’1,5 per cento, essere «versata ad apposito
capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato». Il legislatore ha in séguito
abrogato la disposizione impugnata (con l’art. 1, comma 10-quater, lettera b),
del decreto-legge n. 162 del 2008), salvo reintrodurre, in un momento ancora
successivo (con l’art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008), una
disposizione identica a quella abrogata, che è attualmente contenuta nel
vigente comma 7-bis dell’art. 61.
Il comma 9 dell’art. 61
riguarda, invece, i compensi spettanti ai dipendenti pubblici per arbitrati o collaudi.
La norma dispone che sia versato direttamente ad apposito capitolo del bilancio
dello Stato il 50 per cento dei compensi spettanti ai dipendenti pubblici per
l’attività di componente o di segretario del collegio arbitrale e per i
collaudi svolti in relazione a contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture. La disposizione precisa che il predetto importo è riassegnato al
fondo di amministrazione per il finanziamento del trattamento economico
accessorio dei dirigenti ovvero ai fondi perequativi istituiti dagli organi di
autogoverno del personale di magistratura e dell’Avvocatura generale dello
Stato ove esistenti.
3.2. – Deve essere
innanzitutto dichiarata cessata la materia del contendere con riguardo alle
censure proposte, in relazione al comma 8 dell’art. 61, dalle Regioni Piemonte
ed Emilia-Romagna, nonché dalle Regioni Veneto e Toscana. La disposizione
censurata, applicabile «a decorrere dal 1° gennaio 2009», è stata infatti
abrogata prima che essa potesse esplicare alcun effetto. Né può disporsi, in
ragione dell’intervallo di tempo trascorso fra l’abrogazione della norma
impugnata (comma 8 dell’art. 61) e la successiva introduzione di diversa
disposizione dal contenuto identico (comma 7-bis dell’art. 61), il
trasferimento sulla seconda delle censure proposte dalle ricorrenti con
riferimento alla prima.
3.3. – Le Regioni Toscana e
Veneto hanno proposto autonome questioni di legittimità costituzionale riferite
al comma 7-bis dell’art. 61.
Entrambe le ricorrenti
deducono, innanzitutto, la violazione dell’art. 117 Cost. Esse ritengono che le
disposizioni censurate, ove dovessero ritenersi applicabili anche agli
incentivi corrisposti dalle Regioni ai propri dipendenti, interverrebbero in un
ambito materiale riservato alle Regioni, perché relativo all’organizzazione
amministrativa regionale (Regione Toscana), o perché, comunque, non
riconducibile ad alcuna delle materie di cui all’art. 117, secondo comma,
Cost., senza, peraltro, che la disciplina impugnata, in ragione del suo
carattere dettagliato, possa ritenersi espressione della potestà legislativa
statale di dettare principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica (Regione Veneto).
La Regione Veneto, sempre
nell’ipotesi in cui le norme impugnate si ritenessero applicabili alle Regioni,
lamenta, inoltre, la violazione dell’art. 119 Cost. L’autonomia finanziaria
regionale risulterebbe lesa perché il legislatore statale avrebbe imposto
«vincoli puntuali e significativi alle voci di spesa dei bilanci regionali» e,
soprattutto, avrebbe disposto «unilateralmente che le risorse intercettate
dalle norme confluiscano nel bilancio statale».
La Regione Veneto deduce,
ancora, la violazione degli artt. 3 (sotto il profilo della ragionevolezza), 97
e 118 Cost., in quanto l’eccessiva riduzione dell’importo corrisposto al
dipendente finirebbe per negare la stessa finalità incentivante dello
strumento, comprimendo anche «l’autonomia organizzativo-amministrativa»
delle Regioni e «turbando il buon andamento della pubblica amministrazione».
Infine, secondo la Regione
Veneto sarebbe altresì leso il principio di leale collaborazione, in quanto,
«in un ambito non esclusivamente devoluto alla competenza esclusiva statale,
[sarebbe] mancato il coinvolgimento delle Regioni sia al momento di introdurre
l’innovazione legislativa, sia in ordine alla programmazione della
determinazione della destinazione delle risorse sottratte ai corrispettivi e
agli incentivi di programmazione».
3.3.1. – Le questioni di
legittimità costituzionale del comma 7-bis dell’art. 61, proposte dalla Regione
Veneto in relazione agli artt. 3, 97 e 118 Cost., sono inammissibili.
Quanto alla violazione
dell’art. 118 Cost., la censura è motivata in modo del tutto generico, non
indicando la ricorrente quali competenze amministrative regionali
risulterebbero lese per effetto della disposizione censurata.
Quanto alle censure riferite
agli artt. 3 e 97 Cost., la ricorrente non adduce una sufficiente motivazione
circa il modo in cui l’asserita violazione di tali parametri costituzionali
ridondi in una lesione delle proprie competenze legislative, amministrative o
finanziarie (sentenze nn.
233, 234,
249 e 254 del 2009).
3.3.2. – La questione di
legittimità costituzionale del comma 7-bis dell’art. 61, proposta dalla Regione
Veneto in relazione all’art. 119 Cost., non è fondata.
Va preliminarmente ricordato
che la Regione Veneto ha prospettato la censura in esame a titolo cautelativo,
per l’ipotesi in cui la disposizione dovesse ritenersi applicabile anche agli
incentivi corrisposti dalle Regioni ai propri dipendenti, specificamente
lamentando, in tal caso, che le risorse regionali alle quali fa riferimento la
norma impugnata confluiscano nel bilancio statale. In realtà, il comma 7-bis
dell’art. 61 deve essere interpretato alla luce del successivo comma 17 del
medesimo articolo. La prima disposizione stabilisce, infatti, che la somma pari
all’1,5 per cento della percentuale prevista dall’art. 92, comma 5, del decreto
legislativo n. 163 del 2006, deve essere versata ad apposito capitolo del
bilancio statale «per essere destinata al fondo di cui al comma 17» dello
stesso articolo, il quale, tuttavia, precisa che l’obbligo del versamento ad
apposito capitolo del bilancio dello Stato «non si applica agli enti
territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di
Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale». Alla luce di tale
disciplina, deve quindi ritenersi che la disposizione censurata sia applicabile
anche agli enti territoriali nella parte in cui prevede la riduzione dal 2 per
cento allo 0,5 per cento dell’incentivo che può essere corrisposto ai
dipendenti ai sensi dell’art. 92, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del
2006, ma deve escludersi che essa sia applicabile agli enti territoriali nella parte
in cui impone l’obbligo di versare ad apposito capitolo del bilancio dello
Stato le riduzioni di spesa derivanti da tale misura (cioè l’1,5 per cento).
Pertanto, non risultando applicabile alle Regioni l’obbligo di versare allo
Stato le somme non più dovute ai dipendenti regionali, non si produce l’effetto
lesivo dell’autonomia finanziaria regionale paventato dalle ricorrenti,
consistente nella acquisizione al bilancio dello Stato di risorse regionali
dirette a compensare attività svolte da dipendenti regionali.
3.3.3. – Le questioni di
legittimità costituzionale del comma 7-bis dell’art. 61, proposte dalle Regioni
Toscana e Veneto in relazione all’art. 117 Cost., non sono fondate.
Va preliminarmente osservato
che l’interpretazione più sopra prospettata, secondo la quale non è applicabile
alle Regioni l’obbligo di versare al bilancio statale le somme risparmiate in
virtù della disposizione censurata, esclude l’effetto lesivo di quest’ultima
con riferimento all’autonomia finanziaria delle Regioni, ma non con riferimento
alla loro autonomia legislativa, dal momento che la riduzione dell’incentivo,
disposta dalla norma impugnata, si applica indubbiamente anche ai dipendenti
regionali.
Occorre, pertanto,
verificare se il comma 7-bis dell’art. 61, nella parte in cui si applica ai
dipendenti regionali, intervenga effettivamente in materia di organizzazione
amministrativa regionale o, comunque, in un ambito materiale rimesso alla
potestà legislativa esclusiva o concorrente delle Regioni.
Questa tesi, sostenuta dalle
ricorrenti, non può essere condivisa.
I trattamenti economici
incentivanti oggetto della disciplina censurata si riferiscono, infatti, allo
svolgimento di attività disciplinate dal codice dei contratti pubblici, alcune
delle quali (in particolare, direzione dei lavori e collaudo) sono state
ricondotte da questa Corte alla fase di esecuzione del rapporto contrattuale e,
quindi, alla materia «ordinamento civile» (sentenza n. 401 del
2007, in particolare nn. 6.8. e 23.2. del
Considerato in diritto). Né pare convincente l’argomento sviluppato nella
memoria della Regione Toscana, la quale, per un verso, riconosce che la
percentuale dell’incentivo in questione debba essere fissata dallo Stato, ma,
per altro verso, contesta il fatto che, sulla percentuale del 2 per cento, la
norma impugnata imponga «un limite di utilizzabilità, perché l’1,5 per cento
deve necessariamente restare nel capitolo di bilancio» regionale. In realtà,
per le Regioni, le quali non sono tenute a versare la quota dell’1,5 per cento
al bilancio statale, l’effetto prodotto dalla disposizione censurata è
sostanzialmente identico a quello che si sarebbe determinato qualora lo Stato,
esercitando un potere che la stessa Regione Toscana ad esso riconosce, avesse
semplicemente ridefinito la percentuale massima dell’incentivo in questione,
fissandola nella misura dello 0,5 per cento. Per tali ragioni, devono ritenersi
non fondate le questioni di legittimità costituzionale del comma 7-bis
dell’art. 61 proposte, in relazione all’art. 117 Cost., dalle Regioni Toscana e
Veneto.
3.3.4. – Da ciò deriva anche
la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale del comma 7-bis
dell’art. 61, proposta dalla Regione Veneto in relazione al principio di leale
collaborazione. Tale principio non può trovare applicazione, infatti, in un
ambito che risulta rimesso alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in
materia di ordinamento civile.
3.4. – Le Regioni Piemonte,
Emilia-Romagna e Veneto hanno proposto questioni di legittimità costituzionale
del comma 9 dell’art. 61, deducendo la violazione degli artt. 117 (Piemonte) e
119 Cost. (Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto). Quanto, in particolare,
all’asserita lesione dell’autonomia finanziaria regionale, secondo le
ricorrenti la disposizione censurata, sempre ove ritenuta applicabile alle
somme spettanti ai dipendenti pubblici regionali per attività da questi svolte
nell’ambito di un arbitrato o di un collaudo, avrebbe imposto «vincoli puntuali
e significativi alle voci di spesa dei bilanci regionali» e, soprattutto,
avrebbe disposto «unilateralmente che le risorse intercettate dalle norme
confluiscano nel bilancio statale» (Regione Veneto), «consentendo allo Stato di
acquisire al proprio bilancio risorse che provengono dalla Regione e che sono
dirette a compensare attività svolte da dipendenti regionali per conto della
Regione e in sostituzione della loro normale attività lavorativa» (Regione
Emilia-Romagna).
3.4.1. – Le questioni di legittimità
costituzionale del comma 9 dell’art. 61, proposte dalla Regione Piemonte con
riferimento agli artt. 117 e 119 Cost. sono inammissibili, perché generiche. La
ricorrente si limita infatti a riportare il testo della disposizione denunciata
e ad indicare i parametri asseritamente lesi, senza
esplicitare alcuna argomentazione a sostegno dell’ipotizzata illegittimità
costituzionale.
3.4.2. – Le questioni di
legittimità costituzionale del comma 9 dell’art. 61, proposte dalle Regioni
Emilia-Romagna e Veneto con riferimento all’art. 119 Cost., non sono fondate.
Come in precedenza chiarito
(al paragrafo 3.3.2), il comma 17 dell’art. 61 stabilisce che l’obbligo di
versare al bilancio dello Stato le somme provenienti dalle riduzioni di spesa
previste dalle disposizioni del medesimo articolo, fra le quali è da
comprendersi anche quella di cui al censurato comma 9, non si applica agli enti
territoriali. Conseguentemente, deve anche in questo caso, come in quello
relativo al comma 7-bis dell’art. 61, escludersi che la norma impugnata abbia
effetto lesivo dell’autonomia finanziaria delle ricorrenti.
4. – La Regione Valle
d’Aosta ha impugnato il comma 17 dell’art. 61, per l’ipotesi in cui esso
dovesse interpretarsi nel senso di imporre anche all’Università della Valle
d’Aosta l’obbligo di versare al bilancio dello Stato le somme provenienti
dall’applicazione delle misure di contenimento della spesa previste dal
medesimo art. 61.
Secondo la ricorrente, ciò
rappresenterebbe innanzitutto una violazione delle competenze legislative e
amministrative in materia di finanziamento dell’Ateneo valdostano, che sono
attribuite alla Regione Valle d’Aosta dall’art. 1 del decreto legislativo 21
settembre 2000, n. 282 (Norme di attuazione dello statuto speciale della
Regione Valle d’Aosta in materia di potestà legislativa regionale inerente il
finanziamento dell’università e l’edilizia universitaria), il quale è stato
adottato, in applicazione dell’art. 17, comma 121, della legge 15 maggio 1997,
n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei
procedimenti di decisione e di controllo) in base al procedimento previsto, per
l’emanazione delle norme di attuazione dello statuto, dall’art. 48-bis della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle
d’Aosta). La norma censurata, pertanto, intervenendo in un ambito materiale
(finanziamento all’ateneo valdostano) che spetta alla Regione Valle d’Aosta in
virtù di una disposizione attuativa dello statuto, violerebbe, per il tramite
di tale norma interposta, l’art. 48-bis dello statuto stesso. Sarebbe poi leso,
ad avviso della ricorrente, il principio di leale collaborazione, in quanto la
disposizione censurata inciderebbe «negativamente sul finanziamento dell’Ateneo
valdostano, senza alcun coinvolgimento della Regione Valle d’Aosta». La
ricorrente deduce, infine, la lesione dell’autonomia finanziaria regionale e
del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., dal momento che
l’applicazione della norma censurata all’Università della Valle d’Aosta, che è
prevalentemente finanziata dalla Regione, si tradurrebbe «in un irragionevole e
illegittimo trasferimento di risorse economiche dalla Regione allo Stato».
Le questioni sono fondate.
Le censure prospettate dalla
ricorrente devono essere esaminate alla luce del peculiare regime giuridico
dell’Università della Valle d’Aosta, la cui intera disciplina è connotata da
forme di intesa e collaborazione fra Stato e Regione Valle d’Aosta, con
particolare riguardo al finanziamento dell’ateneo. L’art. 17, commi 120 e 121,
della legge n. 127 del 1997, nel consentire nel territorio valdostano
l’istituzione di una università non statale promossa o gestita da enti e da
privati, ha infatti dettato una disciplina in base alla quale: a)
l’autorizzazione al rilascio di titoli di studio universitari aventi valore
legale è concessa all’Università della Valle d’Aosta con decreto del Ministro
dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, previa intesa con la
Regione autonoma della Valle d’Aosta; b) i contributi dello Stato sono
determinati annualmente con decreto del Ministro dell’università e della
ricerca scientifica e tecnologica, previa intesa con la Regione autonoma della
Valle d’Aosta; c) la potestà legislativa in materia di finanziamento all’ateneo
valdostano è attribuita alla Regione Valle d’Aosta «ai sensi dell’articolo
48-bis dello statuto speciale per la Valle d’Aosta», cioè mediante un decreto
legislativo di attuazione dello Statuto stesso, il cui schema è «elaborat[o] da una commissione paritetica composta da sei
membri nominati, rispettivamente, tre dal Governo e tre dal Consiglio regionale
della Valle d’Aosta e [è] sottopost[o] al parere del consiglio stesso». Secondo
tale procedimento è stato approvato il d.lgs. n. 282 del 2000, in base all’art.
1 del quale «la Regione autonoma Valle d’Aosta emana norme legislative in
materia di finanziamento» dell’Università della Valle d’Aosta.
In questo quadro, la
disposizione censurata dispone unilateralmente, e senza alcuna forma di
coinvolgimento della Regione Valle d’Aosta, l’acquisizione al bilancio statale
di somme provenienti dall’applicazione di misure di contenimento che si
riferiscono a voci di spesa che sono finanziate anche con risorse poste a
carico del bilancio regionale. In tal modo, la norma impugnata, da un lato,
viola il principio di leale collaborazione, e, dall’altro lato, lede la potestà
legislativa in materia di finanziamento dell’ateneo che è attribuita alla
Regione Valle d’Aosta da un decreto di attuazione dello statuto, cui la
costante giurisprudenza di questa Corte riconosce forza prevalente su quella
delle leggi ordinarie (sentenze nn.
159 e 132
del 2009, n.
341 del 2001, n. 212 del 1994 e n. 20 del 1956).
Deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale del comma 17 dell’art.
61, nella parte in cui si applica all’Università della Valle d’Aosta.
5. – Le Regioni
Emilia-Romagna, Veneto e Calabria hanno impugnato i commi 14, 16, 19, 20,
lettera b), e 21 dell’art. 61, deducendo la violazione degli artt. 117 e 119
Cost., nonché del principio di leale collaborazione. In particolare, la Regione
Emilia-Romagna ha impugnato i commi 14 e 16 dell’art. 61, per ciascuno di essi
prospettando la violazione degli artt. 117 e 119 Cost.; ha inoltre censurato il
comma 20, lettera b), dell’art. 61, per violazione dell’art. 119 Cost.; ha
infine impugnato il comma 21 dell’art. 61, per violazione dell’art. 119 Cost. e
del principio di leale collaborazione. La Regione Veneto ha censurato i commi
14, 19, 20, lettera b), e 21, per ciascuno di essi deducendo la violazione
degli artt. 117 e 119 Cost. La Regione Calabria ha impugnato i commi 14, 16,
19, 20, lettera b), e 21 dell’art. 61, in ordine a ciascuno di essi lamentando
la lesione degli artt. 117 e 119 Cost., nonché del principio di leale
collaborazione.
5.1. – L’analisi delle
censure prospettate dalle ricorrenti deve essere preceduta da una sintetica
ricostruzione del quadro normativo.
Le disposizioni impugnate
sono infatti strettamente collegate l’una all’altra e, nel loro complesso, sono
dirette a realizzare un unico risultato. Esse mirano a consentire alle Regioni,
con il concorso finanziario dello Stato, di abolire, a beneficio degli utenti
dei rispettivi servizi sanitari regionali, la quota di partecipazione al costo
per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale per gli assistiti
non esentati (d’ora in avanti «ticket»), prevista dall’art. 1, comma 796,
lettera p), primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria 2007). Ai fini della copertura degli oneri derivanti
dall’abolizione del ticket (disposta, per gli anni 2009-2011, dal comma 19
dell’art. 61), il legislatore, per un verso, incrementa di una quota pari a 400
milioni di euro su base annua il livello del finanziamento del Servizio
Sanitario Nazionale al quale lo Stato concorre ordinariamente (art. 61, comma
20, lettera a), mentre, per altro verso, dispone che la parte residuale della
copertura dell’abolizione del ticket debba essere assicurata dalle Regioni, le
quali possono, a tal fine, ricorrere a diversi strumenti.
In primo luogo, in base al
comma 20, lettera b), numero 1), le Regioni «destinano, ciascuna al proprio
servizio sanitario regionale, le risorse provenienti dalle disposizioni di cui
ai commi 14 e 16» dell’art. 61: in particolare, il comma 14 prevede una
riduzione del 20 per cento dei trattamenti economici di dirigenti e sindaci di
strutture sanitarie, mentre il comma 16 prevede l’adozione di misure normative
o amministrative «finalizzate ad assicurare la riduzione degli oneri degli
organismi politici e degli apparati amministrativi» («con particolare riferimento
alla diminuzione dell’ammontare dei compensi e delle indennità dei componenti
degli organi rappresentativi e del numero di questi ultimi, alla soppressione
degli enti inutili, alla fusione delle società partecipate, al
ridimensionamento delle strutture organizzative ed all’adozione di misure
analoghe a quelle previste nel presente articolo»). In secondo luogo, in base
al comma 20, lettera b), numero 2), le Regioni «adottano ulteriori misure di
incremento dell’efficienza e di razionalizzazione della spesa». Infine, la
disciplina censurata prevede anche che le Regioni, ai sensi del comma 21
dell’art. 61, in luogo della «completa adozione» delle misure più sopra
indicate, possano «decidere di applicare, in misura integrale o ridotta», il
ticket, «ovvero altre forme di partecipazione dei cittadini alla spesa
sanitaria di effetto finanziario equivalente».
5.2. – Con riferimento alla
disciplina più sopra illustrata, le Regioni ricorrenti lamentano, innanzitutto,
la violazione dell’art. 117 Cost. Tutte le disposizioni impugnate, infatti,
detterebbero una disciplina puntuale e di dettaglio in ambiti materiali di
potestà legislativa concorrente (tutela della salute e coordinamento della
finanza pubblica), nei quali lo Stato può adottare esclusivamente norme di
principio.
Viene dedotta, in secondo
luogo, la lesione dell’art. 119 Cost., in quanto ciascuna delle norme impugnate
introdurrebbe, ad avviso delle ricorrenti, limiti puntuali a singole voci di
spesa. Esse, inoltre, condizionerebbero l’uso delle risorse regionali,
imponendo la destinazione dei risparmi conseguiti a copertura dell’abolizione
del ticket e, scaricando sulle Regioni le conseguenze finanziarie di tale
abolizione, inciderebbero negativamente sull’autonomia finanziaria regionale
anche sotto il profilo delle entrate, per giunta violando il principio di
corrispondenza fra funzioni e risorse di cui al quarto comma dell’art. 119
Cost.
Le Regioni Emilia-Romagna e
Calabria deducono, infine, la violazione del principio di leale collaborazione.
Tale violazione, secondo la Regione Emilia-Romagna, deriverebbe dalla
circostanza che il legislatore statale, abolendo il ticket senza provvedere
all’integrale copertura finanziaria, avrebbe costretto le Regioni a realizzare
i risparmi di spesa indicati puntualmente dallo Stato, oppure a reintrodurre il
ticket, in quest’ultimo caso dovendosi però assumere la responsabilità di
togliere ai cittadini un beneficio loro accordato dallo Stato. La Regione
Calabria asserisce invece che questa Corte, con la sentenza n. 203 del
2008, avrebbe dichiarato non fondata la questione di legittimità
costituzionale, allora proposta nei confronti della norma che aveva introdotto
il ticket, sul rilievo che tale disposizione era stata adottata in attuazione
di un protocollo di intesa fra Stato e Regioni. La ricorrente ne trae la
conseguenza che anche la disciplina censurata, la quale incide sul ticket,
avrebbe dovuto prevedere forme di intesa con le Regioni. La mancanza di tale
intesa, unita alla circostanza che l’intervento statale è suscettibile di
determinare una «disomogeneità, da Regione a Regione, del regime di
compartecipazione economica per le prestazioni di assistenza specialistica
ambulatoriale», rappresenterebbe, secondo la ricorrente, una violazione del
principio di leale collaborazione.
5.3. – Le questioni non sono
fondate.
5.3.1. – Le censure proposte
in relazione agli artt. 117 e 119 Cost. possono essere affrontate
congiuntamente. L’intera disciplina impugnata, infatti, in quanto
complessivamente rivolta a permettere l’abolizione del ticket, individuando le
relative modalità di copertura, ha palesemente una finalità di coordinamento
finanziario, in un settore rilevante della spesa pubblica come quello sanitario.
Di conseguenza, per valutarne la legittimità, tanto in relazione all’art. 117
Cost., quanto con riferimento all’art. 119 Cost., risulta decisivo verificare
se tale disciplina si mantenga sul piano delle norme di principio e della
indicazione di complessivi obiettivi di riequilibrio finanziario, lasciando
alle Regioni sufficienti margini di autonomia circa i mezzi necessari per la
realizzazione degli obiettivi stessi.
Sotto tale profilo, le
disposizioni censurate lasciano alle Regioni sufficienti margini di scelta.
Innanzitutto, le Regioni non sono tenute ad abolire il ticket. Esse possono
decidere di continuare ad applicarlo integralmente. Oppure possono decidere di
ridurre il ticket, anziché abolirlo. Ancora, possono decidere di sostituire il
ticket con «altre forme di partecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria di
effetto finanziario equivalente». In tutte queste ipotesi, le Regioni non sono
obbligate alla «completa adozione» delle misure di contenimento della spesa asseritamente lesive dell’autonomia legislativa e
finanziaria regionale. Ciò significa che esse possono applicare in modo
parziale le misure di riduzione della spesa indicate dalle disposizioni
impugnate, oppure possono applicare alcune di esse e non altre, o, ancora,
possono applicare in modo parziale soltanto alcune delle misure indicate dal
legislatore. Va considerato, inoltre, che, anche qualora le Regioni, scegliendo
di abolire il ticket, siano tenute ad applicare in modo completo le
disposizioni censurate, tuttavia queste ultime, almeno in alcuni casi,
prevedono comunque margini di flessibilità e di autonomia. Il comma 16
dell’art. 61, ad esempio, prevede un generico obbligo delle Regioni di
assicurare la riduzione degli oneri degli organismi politici e degli apparati
amministrativi, indicando alcune più specifiche misure, ma facendo anche
riferimento a «ulteriori misure analoghe a quelle previste nel presente
articolo». Analogamente, il comma 20, lettera b), dell’art. 61, stabilisce che,
ai fini della copertura degli oneri derivanti dall’abolizione del ticket, le
Regioni «adottano ulteriori misure di incremento dell’efficienza e di
razionalizzazione della spesa».
Da tutto ciò deriva che le
disposizioni impugnate, ove correttamente considerate nel loro insieme e in
relazione al risultato finale che esse si prefiggono di raggiungere, non si
pongono in contrasto con gli artt. 117 e 119 Cost., in quanto non prevedono «in
modo esaustivo e puntuale strumenti o modalità per il perseguimento» di
obiettivi di riequilibrio finanziario (sentenza n. 284 del
2009), ma lasciano alle Regioni la possibilità di scegliere in un ventaglio
di «strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi» (sentenza n. 237 del
2009).
5.3.2. – Con riguardo
all’asserita violazione del principio di leale collaborazione, deve osservarsi
che questa Corte ha effettivamente riconosciuto che l’introduzione di un ticket
fisso in tutto il territorio nazionale è stata correttamente preceduta da una
intesa fra Stato e Regioni, con cui le parti hanno convenuto «di omogeneizzare
le forme di compartecipazione alla spesa in funzione di una maggiore
appropriatezza delle prestazioni» (si veda la sentenza n. 203 del
2008). Da ciò non può tuttavia trarsi come conseguenza che la disciplina
attualmente censurata, nel consentire una differenziazione delle forme di compartecipazione
alla spesa, senza prevedere alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni, violi
il principio di leale collaborazione. In primo luogo, le norme impugnate non
contraddicono l’omogeneità delle forme di compartecipazione alla spesa, dal
momento che esse si limitano a consentire una contenuta variabilità
dell’importo del ticket fra Regione e Regione, pur sempre entro una soglia
massima fissata dallo Stato. In secondo luogo, e soprattutto, non può ritenersi
in contrasto con il principio di leale collaborazione una disciplina che, sotto
lo specifico profilo qui considerato, amplia e non comprime l’autonomia delle
Regioni. Queste ultime, per effetto delle disposizioni censurate, possono
applicare, ridurre o abolire un ticket che, in precedenza, erano invece tenute
ad applicare. Il fatto che il legislatore statale, nel rispetto del principio
di leale collaborazione, abbia acquisito l’intesa delle Regioni per introdurre
una norma che pone un limite alla loro autonomia (il ticket fisso su tutto il
territorio nazionale), non significa che una analoga intesa sia necessariamente
richiesta anche per la rimozione, sia pur condizionata, di tale limite.
6. – La Provincia autonoma
di Trento ha impugnato il combinato disposto dei commi 14 e 15 dell’art. 61. La
seconda disposizione è infatti censurata nella parte in cui dovesse intendersi
nel senso di imporre alle Province autonome l’applicazione della prima. La
ricorrente lamenta, oltre alla violazione degli artt. 117 e 119 Cost.,
nell’ipotesi in cui tali disposizioni costituzionali si ritenessero estendibili
alla Provincia, anche la lesione di altri parametri. In primo luogo, gli artt.
8, comma 1, numero 1), 9, comma 1, numero 10), e 16 del decreto del Presidente
della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle
leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige), in quanto la disciplina censurata violerebbe la potestà legislativa
esclusiva della Provincia di Trento in tema di «ordinamento degli uffici
provinciali e del personale ad essi addetto» e la potestà legislativa
concorrente in materia di «igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria
e ospedaliera». In secondo luogo, viene dedotta la violazione del Titolo VI del d.P.R. n. 670 del 1972,
che disciplina l’autonomia finanziaria delle Province autonome, la quale
sarebbe irragionevolmente lesa mediante «l’imposizione di precisi limiti di
spesa da parte dello Stato in un ambito nel quale la Provincia non dipende
dalle risorse del bilancio statale», dal momento che al finanziamento della
spesa sanitaria nel proprio territorio la Provincia autonoma di Trento provvede
«senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato», come previsto
dall’art. 34, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica). Infine, ad avviso della ricorrente, la disposizione
censurata lederebbe anche l’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n.
266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e
provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento). In base a
quest’ultima norma, infatti, anche qualora la disciplina censurata dovesse
ritenersi idonea a vincolare la Provincia ai sensi dello statuto, in ogni caso
essa non potrebbe avere immediata applicazione, potendo comportare soltanto un
obbligo di adeguamento entro sei mesi, restando ferma, nel frattempo, la
disciplina provinciale preesistente.
La questione avente ad oggetto
il comma 14 dell’art. 61 è fondata.
Le risorse provenienti dalla
riduzione dei compensi di dirigenti e sindaci delle strutture sanitarie,
prevista dalla disciplina impugnata, devono essere destinate dalle Regioni al
finanziamento dei rispettivi servizi sanitari regionali, per finanziare
l’eventuale abolizione del ticket. Come in precedenza chiarito (al paragrafo
5.3.1), il censurato comma 14 dell’art. 61 è strettamente connesso con le altre
disposizioni contenute nel medesimo articolo, insieme alle quali esso è diretto
a consentire alle Regioni di abolire o ridurre il ticket, in precedenza fissato
dal legislatore statale, alla condizione che le Regioni stesse concorrano con
lo Stato alla copertura dei relativi oneri. Pertanto, se considerata alla luce
del più complessivo sistema normativo in cui risulta inserita, tale
disposizione costituisce legittimo esercizio del potere dello Stato di dettare
principi fondamentali di coordinamento finanziario.
Ma a simili conclusioni non
può pervenirsi nello specifico caso della Provincia autonoma di Trento, la
quale provvede interamente al finanziamento del proprio servizio sanitario
provinciale, «senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato» (art. 34,
comma 3, della legge n. 724 del 1994). In tale diverso e peculiare contesto,
l’applicazione alla Provincia autonoma di Trento del comma 14 dell’art. 61 non
risponderebbe alla funzione che la misura in questione assolve per le altre
Regioni. Dal momento che lo Stato non concorre al finanziamento del servizio sanitario
provinciale, né quindi contribuisce a cofinanziare una eventuale abolizione o
riduzione del ticket in favore degli utenti dello stesso, esso neppure ha
titolo per dettare norme di coordinamento finanziario che definiscano le
modalità di contenimento di una spesa sanitaria che è interamente sostenuta
dalla Provincia autonoma di Trento. Per tali ragioni, del resto, la stessa
Avvocatura generale dello Stato ha prospettato, nella memoria, una
interpretazione secondo la quale non deve ritenersi applicabile alla Provincia
autonoma di Trento la disciplina censurata. Peraltro, poiché il tenore
letterale di quest’ultima non consente di raggiungere un tale risultato in via
interpretativa, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale del comma 14
dell’art. 61, nella parte in cui si applica alla Provincia autonoma di Trento.
Tale dichiarazione di illegittimità costituzionale, essendo basata sulla
violazione del sistema statutario del Trentino-Alto Adige, deve estendere la
sua efficacia anche alla Provincia autonoma di Bolzano.
L’accoglimento, nei termini
più sopra prospettati, della questione di legittimità costituzionale riferita
al comma 14 dell’art. 61, priva inoltre la ricorrente dell’interesse ad
impugnare il comma 15, primo periodo, del medesimo articolo, la questione di
legittimità costituzionale del quale deve, pertanto, dichiararsi inammissibile.
7. – Avendo la Corte deciso
il merito del ricorso, non vi è luogo a provvedere in ordine alla istanza di
sospensione delle disposizioni impugnate, formulata dalla Regione Calabria.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi e riservata a separate pronunce la decisione delle altre
questioni di legittimità costituzionale promosse dalle Regioni Piemonte,
Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Valle d’Aosta e Calabria, nonché dalla
Provincia autonoma di Trento con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, comma 17, del decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133, nella parte in cui si applica all’Università della Valle
d’Aosta;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, comma 14, del decreto-legge
n. 112 del 2008, nella parte in cui si applica alle Province autonome di Trento
e di Bolzano;
dichiara la cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 61, comma 8, del decreto-legge n. 112 del
2008, proposte dalle Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma
4-sexies, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il
sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in
funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, proposta, in relazione
all’art. 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato
in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma
4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008, proposte, in relazione all’art.
117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Veneto, con i ricorsi indicati
in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18,
comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008, proposta, in relazione al
principio di leale collaborazione, dalla Regione Veneto, con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma
9, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in relazione all’art. 119 della
Costituzione, dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto con i ricorsi indicati in
epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61, commi
14 e 16, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in relazione agli artt.
117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma
20, lettera b), del decreto-legge n. 112 del 2008, proposta, in relazione
all’art. 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma
21, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposta, in relazione all’art. 119
della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla Regione
Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61, commi
14, 19, 20, lettera b), e 21, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in
relazione agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto, con il
ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61,
commi 14, 16, 19, 20, lettera b), e 21, del decreto-legge n. 112 del 2008,
proposte, in relazione agli artt. 117 e 119 della Costituzione, nonché al
principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 4-sexies, del
decreto-legge n. 185 del 2008, proposte, in relazione agli artt. 3, 97 e 118
della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61,
comma 9, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in relazione agli artt.
117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato
in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 61,
comma 15, primo periodo, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposta dalla
Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe, in relazione
agli artt. 117 e 119 della Costituzione, agli artt. 8, comma 1, numero 1), 9,
comma 1, numero 10), 16 e da 69 a 86 (Titolo VI) del
decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione
del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per
il Trentino-Alto Adige), nonché all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo
1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e
provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento).
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE,
Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il
30 dicembre 2009.