SENTENZA
N. 249
ANNO 2009
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
-
Francesco
AMIRANTE
Presidente
-
Ugo
DE SIERVO Giudice
-
Paolo
MADDALENA
"
-
Alfio
FINOCCHIARO
"
-
Alfonso
QUARANTA
"
-
Franco
GALLO
"
-
Luigi
MAZZELLA
"
-
Gaetano
SILVESTRI
"
- Sabino
CASSESE
"
- Maria Rita
SAULLE
"
-
Giuseppe
TESAURO
"
- Paolo Maria
NAPOLITANO
"
- Giuseppe
FRIGO
"
-
Alessandro
CRISCUOLO
"
-
Paolo
GROSSI
"
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli
articoli 181, commi 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12; 183, comma 1; 185, comma 1;
186; 189, commi 1 e 3; 194; 195, comma 1, lettere f), g), l),
m), n), o), p), q) e t), comma 2,
lettere b), e), l), m), n), q) e s)
e comma 4; 196; 197; 199, commi 5, 8, 9 e 10; 200; 201; 202; 203; 204; 205;
206, commi 2 e 3; 207, comma 1; 208, commi 3, 4, 6, 8, 9, 10, 11, 12, da
Visti gli atti di costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri; nonché gli atti di intervento dell’Associazione
Italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia – Onlus), della Biomasse Italia S.p.a.
ed altre;
udito nell’udienza pubblica del 19 maggio 2009 il Giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon
e Franco Mastragostino per
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso, notificato il 24 aprile
2006, depositato il successivo 27 aprile,
In particolare, la ricorrente impugna l’art. 181, comma 7, nella parte in cui prevede che «soggetti economici» o associazioni di categoria rappresentative dei settori interessati, anche con riferimento ad interi settori economici e produttivi, possano stipulare «con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio [...] appositi accordi di programma [...] per definire i metodi di recupero dei rifiuti destinati all’ottenimento di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti», nonché per la fissazione delle modalità e degli adempimenti amministrativi per la raccolta, per la messa in riserva, per il trasporto dei rifiuti, per la loro commercializzazione, anche tramite il mercato telematico, e per i controlli delle caratteristiche, come anche per la determinazione delle caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili e dei prodotti ottenuti nonché delle modalità volte ad assicurare la loro tracciabilità fino all’ingresso nell’impianto di effettivo impiego.
Ad avviso della ricorrente, le richiamate disposizioni opererebbero una «deregolamentazione mascherata del settore», in pieno contrasto con le normative europee più volte ribadite dalle decisioni della Corte di giustizia, giacchè introdurrebbero definizioni di smaltimento e recupero dei rifiuti non conformi con quanto indicato all’art. 1, lettere e) ed f) della direttiva 75/442/CEE (Direttiva del Consiglio relativa ai rifiuti), nonché definizioni di sottoprodotto e di materia prima secondaria (MPS) non coerenti con le indicazioni fornite dalle sentenze della Corte di giustizia europea (sentenze C-418/97, C-419/97 – "arco”; C-9/00 – "Palin Granit C; C-114/01, "Avesta Polarit Chrome” e, in particolare, C-457/02 "Niselli”). A ciò la ricorrente aggiunge la considerazione che il ricorso allo strumento dell’accordo e del contratto di programma, di cui all’art. 181, altererebbe la gerarchia delle fonti del diritto e determinerebbe una lesione dei principi di certezza del diritto, eguaglianza, generalità ed astrattezza delle norme, sostituendo alla disciplina generale una serie indeterminata di accordi applicabili solo agli aderenti.
Per le stesse ragioni, sarebbero costituzionalmente illegittimi i commi 3 e 5 dell’art. 214, nella parte in cui ammettono rispettivamente lo strumento dell’accordo "deregolatorio” per le procedure semplificate di smaltimento dei rifiuti.
Anche l’art. 186 del decreto
impugnato, nella parte in cui introduce un’ipotesi generale di esenzione per le
terre e rocce da scavo, sarebbe in contrasto con la normativa comunitaria, come
dimostrato dall’esistenza di una procedura di infrazione
avviata contro
Le norme impugnate non contrasterebbero solo con le richiamate norme comunitarie e, quindi, con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., ma anche con l’art. 76 Cost., violando la legge delega 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione) che fissa, tra i criteri direttivi (art. 1, comma 8), la «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell’ambiente e di contribuire in tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza» (lettera e) e l’«affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio "chi inquina paga”» (lettera f). Tali violazioni determinerebbero anche una lesione delle competenze regionali in tema di tutela dell’ambiente, di tutela della salute e di governo del territorio, pregiudicando il corretto svolgimento delle funzioni regionali in quelle materie.
Posto che la riforma legislativa operata dal legislatore statale, incidendo su funzioni già attribuite alla Regione, sarebbe viziata sia per violazione della delega che per violazione del diritto comunitario, ne risulterebbe «sconvolto» l’assetto normativo ed amministrativo disegnato dalla legislazione regionale, che verrebbe in molte parti abrogata dall’atto legislativo in questione, creando uno stato di «precarietà» normativa.
Tenuto conto che spetta alla Regione, a tenore dell’art. 117, quinto comma, Cost., dare attuazione alle norme comunitarie e che la supremazia del diritto comunitario deve essere garantita anche attraverso la non applicazione delle norme legislative interne contrastanti con le norme comunitarie self executing, la ricorrente sostiene che sarà tenuta a non applicare nel proprio territorio le norme del decreto impugnato che risultino in contrasto con le norme ad effetto diretto poste dal diritto comunitario derivato e dalle sentenze della Corte di giustizia che di esso forniscono interpretazione, con il risultato di uno stato di «incertezza normativa», non privo di preoccupanti riflessi sulla repressione penale dei reati ambientali legati alla disciplina dei rifiuti. Tale stato di incertezza determinerebbe gravissime conseguenze sugli interessi pubblici alla tutela dell’ambiente, della salute e della sicurezza pubblica.
Sulla base di argomenti analoghi
Con tale atto la ricorrente ha
chiesto, peraltro, la sospensione dell’esecuzione delle norme impugnate, su cui
1.2.– In prossimità
dell’udienza pubblica,
2.– Con ricorso, notificato
l’8 giugno 2006, depositato il successivo 10 giugno,
Preliminarmente, la ricorrente
osserva che la gestione dei rifiuti e gli ambiti strettamente connessi a questo
settore, oggetto delle norme censurate, si caratterizzano per un intreccio di
competenze di diversa natura. Pertanto, la necessità di un approccio basato sul
concorso di competenze – «variamente combinato, quanto a prevalenza e
concorrenza, in ragione dei singoli specifici ambiti normativi» – renderebbe
costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 117 Cost.: l’art. 181,
commi da
Quanto al primo gruppo di norme
(art. 181, commi da
Con riguardo all’art. 189, comma 3,
Quanto, poi, agli artt. da
Ulteriori censure di illegittimità costituzionale vengono poi indicate dalla ricorrente nei confronti delle disposizioni in esame. In specie l’art. 199, comma 8, e l’art. 204, comma 3, secondo periodo, violerebbero l’art. 120, secondo comma, Cost., anche alla luce di quanto previsto dall’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), nella parte in cui conferiscono l’esercizio del potere sostitutivo statale nei confronti delle Regioni al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, anziché all’organo di vertice del Governo nazionale, come esplicitamente richiesto dall’art. 8, comma 1, della legge n. 131 del 2003; l’art. 204, comma 3, secondo periodo, poi, sarebbe lesivo dell’art. 120, secondo comma, Cost., in ragione della totale assenza di garanzie approntate per l’ente sostituendo; l’art. 205, comma 6, sarebbe in contrasto con gli artt. 114 e 117 Cost., in quanto, nel prevedere la necessità per le Regioni di legiferare a seguito di una intesa con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, produrrebbe un anomalo vincolo amministrativo sulla funzione legislativa regionale; i commi 2 e 3 dell’art. 206 violerebbero il principio di leale collaborazione nonché l’art. 118 Cost., consentendo al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di stipulare accordi e contratti di programma con soggetti pubblici e privati o con le associazioni di categoria al fine di promuovere l’utilizzo dei sistemi di certificazione ambientale e di attuare programmi di ritiro dei beni di consumo al termine del loro ciclo di utilità senza coinvolgere in alcun modo le Regioni, e ciò nonostante l’impatto che le attività previste possono avere sul territorio di queste.
Quanto, poi, agli artt. da
A tali censure la ricorrente
aggiunge la considerazione che l’art. 211, quanto al comma 3, sarebbe anche
lesivo degli artt. 118 e 120 Cost., nella parte in cui stabilisce che, in caso
di mancata approvazione da parte della Regione del progetto o della relazione
dell’impianto di ricerca o sperimentazione, l’interessato può rivolgersi
direttamente al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, ponendo
nel nulla qualunque motivazione che
Anche il comma 4 dell’art. 211 sarebbe costituzionalmente illegittimo sotto il profilo della violazione dell’art. 118 Cost. e, in subordine, del principio di leale collaborazione, dal momento che, in contrasto con il principio di sussidiarietà, assegna direttamente al Ministro dell’ambiente la competenza ad autorizzare impianti in caso di rischio di agenti patogeni o di sostanze sconosciute o pericolose dal punto di vista sanitario, senza prevedere alcun coinvolgimento delle Regioni.
Quanto, infine, agli artt. 215 e
216,
Un secondo gruppo di censure viene,
poi, proposto dalla Regione Calabria in riferimento all’art. 76 Cost. sulla
base del rilievo che anche la legge delega n. 308 del 2004 assegna alle Regioni
– attraverso il richiamo alle attribuzioni regionali formalizzate nel testo
costituzionale e nel decreto legislativo 31 agosto 1998, n. 112 (Conferimento
di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti
locali, in attuazione del Capo I della l. 15 marzo 1997, n. 59) – un ruolo ben
più esteso di quello che il decreto legislativo impugnato delinea, in tal modo
intendendo preservare il sistema da normative ipertrofiche statali. In
particolare, la ricorrente ritiene che sia lesivo dell’art. 76 Cost., in
riferimento all’art. 1, comma 8, della citata legge n. 308 del 2004, l’art.
Ad analoghe censure si esporrebbe anche il combinato disposto degli artt. 195, comma 2, lettera b), e 196, comma 1, lettera m), del decreto legislativo n. 152 del 2006, nella parte in cui stabilisce che è di competenza dello Stato «l’adozione delle norme e delle condizioni per l’applicazione delle procedure semplificate di cui agli arti. 214, 215 e 216, ivi comprese le linee guida contenenti la specificazione della relazione da allegare alla comunicazione prevista da tali articoli», mentre è di competenza regionale «la specificazione dei contenuti della relazione da allegare alla comunicazione [...] nel rispetto delle linee guida». Tali previsioni, poste a raffronto con l’art. 19 del d.lgs. n. 22 del 1997, rivelerebbero «1’arretramento della posizione delle Regioni», posto che, ai sensi della lettera m) del comma 1 del predetto art. 19, la competenza delle Regioni avrebbe dovuto riguardare «l’integralità della definizione dei contenuti della relazione da allegare».
Il medesimo vizio di illegittimità costituzionale inficerebbe, poi, anche l’art. 197, comma 1, nella parte in cui, elencando le competenze provinciali, ne avrebbe determinato una illegittima riduzione rispetto a quelle indicate nell’art. 20 del d.lgs. n. 22 del 1997.
Un ulteriore gruppo di censure è poi
rivolto a svariate disposizioni del d.lgs. n. 152 del
La ricorrente ritiene, infatti, che
l’art. 181 del decreto in esame, nella parte in cui disciplina gli accordi di
programma, si porrebbe in contrasto con l’art. 11 della direttiva 2006/12/CE
del 5 aprile 2006, (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa
ai rifiuti), che consente agli Stati membri di dispensare dall’autorizzazione
richiesta «gli stabilimenti o le imprese che provvedono essi stessi allo
smaltimento dei propri rifiuti nei luoghi di produzione» e «gli stabilimenti o
le imprese che recuperano rifiuti», soltanto a condizione che «le autorità
competenti abbiano adottato per ciascun tipo di attività norme generali che
fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l’attività
può essere dispensata dall’autorizzazione» e che «i tipi o le quantità di
rifiuti ed i metodi di smaltimento o di recupero siano tali da rispettare le
condizioni imposte all’articolo 4» della direttiva medesima. In sostanza,
l’art. 181, commi da
In tal modo, le predette disposizioni arrecherebbero anche un pregiudizio diretto nei confronti delle attribuzioni costituzionali delle Regioni sotto due distinti profili.
Sotto un primo profilo, la invalidità della disciplina nazionale per contrasto con il diritto comunitario produrrebbe un’incertezza nei rapporti giuridici analoga, nella sostanza, a quella evidenziata, a proposito della violazione dell’art. 76 della Costituzione. Sotto un secondo profilo, la deregulation imposta dalle disposizioni censurate si tradurrebbe in una deminutio della sfera di attività disciplinabili ad opera del potere legislativo e, dunque, anche da parte del legislatore regionale, titolare di rilevanti poteri nel settore in parola.
Sulla base di analoghi argomenti la ricorrente sostiene anche l’illegittimità costituzionale dei commi 3 e 5 dell’art. 214, relativi alla determinazione delle attività e delle caratteristiche dei rifiuti per l’ammissione alle procedure semplificate.
Costituzionalmente illegittimo per violazione del diritto comunitario sarebbe, poi, anche l’art. 186 del d.lgs n. 152 del 2006, nella parte in cui esclude dalla nozione di rifiuto, in linea generale, le terre e rocce da scavo, in contrasto con l’ampia definizione di rifiuto accolta in sede comunitaria, la quale comprende «qualsiasi sostanza od oggetto [...] di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi» (art. 1, lettera a, della direttiva 2006/12/CE).
La dedotta violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., si rifletterebbe
nuovamente sulle attribuzioni costituzionali delle Regioni, «vuoi per la situazione
di incertezza ingenerata dall’antinomia fra fonte interna e fonte comunitaria,
vuoi per il fatto che l’esclusione delle terre e rocce da scavo dalla
disciplina dei rifiuti si ripercuote negativamente sul potere legislativo
regionale in materia di rifiuti, che viene limitato nella propria portata
oggettiva».
In particolare, la ricorrente censura una serie di disposizioni dell’impugnato decreto per violazione del principio di leale collaborazione.
Fra queste, in primo luogo, viene
impugnato l’art. 181, comma 3, secondo periodo, nella parte in cui stabilisce
che le agevolazioni per le imprese che intendano modificare i propri cicli
produttivi, per ridurre la quantità o la pericolosità dei rifiuti prodotti
ovvero per favorire il recupero di materiali, siano erogate sulla base di
modalità, tempi e procedure fissati con decreto del Ministro delle attività
produttive, «di concerto con i Ministri dell’ambiente e della tutela del
territorio, dell’economia e delle finanze e della salute». Tale disposizione,
infatti, non prevede alcun coinvolgimento delle Regioni, sebbene la finalità
delle agevolazioni renda palese l’incidenza anche su materie altre rispetto alla tutela dell’ambiente quali, ad esempio, la tutela della
salute e l’industria, di competenza rispettivamente concorrente e residuale.
Sulla base della considerazione della sussistenza dell’indicato concorso di
competenze, la ricorrente ritiene che un primo vizio di illegittimità
costituzionale della norma in esame derivi dalla violazione dell’art. 117,
sesto comma, Cost., in ragione della previsione, in essa contenuta,
dell’esercizio del potere regolamentare da parte dello Stato; in subordine, la
norma sarebbe comunque in contrasto con l’art. 117 e con l’art. 119, quinto
comma, Cost. e con il principio della leale collaborazione, per la mancata
previsione dell’intesa con
Anche l’art. 189, comma 1, secondo periodo, del medesimo decreto legislativo sarebbe in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost., nonché, in subordine, con il principio di leale collaborazione, nella parte in cui attribuisce al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio la competenza a dettare norme di organizzazione del Catasto dei rifiuti, omettendo ogni riferimento ad un intervento regionale, peraltro a fortiori necessitato dalla circostanza che le sezioni regionali del catasto hanno sede appunto presso le Regioni.
L’art. 195, comma 1, lettere f) e g), dell’impugnato decreto sarebbe, poi, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui stabilisce che spettino allo Stato, rispettivamente, l’individuazione degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese e la definizione di un piano nazionale di comunicazione e conoscenza ambientale. In entrambi i casi, infatti, nonostante si faccia salvo il rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni, si limita l’intervento delle autonomie territoriali ad un mero parere della Conferenza unificata, anziché prescriversi, come imposto dal principio di leale collaborazione, il raggiungimento di una intesa che orienti l’operato degli organi statali nelle predette attività.
Ancor più evidente sarebbe – ad avviso della Regione Calabria – la violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost. e, in subordine, del principio di leale collaborazione determinata dall’art. 195, comma 2, lettera b), in combinato disposto con l’art. 195, comma 4, nella parte in cui prevede che, con un decreto ministeriale, adottato senza alcun intervento di istanze rappresentative delle autonomie territoriali, si adottino le norme e le condizioni per l’applicazione delle procedure semplificate di cui agli artt. 214, 215 e 216.
L’art. 195, comma 1, lettera t), è, poi, impugnato nella parte in cui stabilisce che spetta allo Stato «l’adeguamento della parte quarta del [...] decreto alle direttive, alle decisioni ed ai regolamenti dell’Unione europea», in palese violazione del quinto comma dell’art. 117 Cost., secondo il quale l’adeguamento del diritto interno agli obblighi comunitari spetta allo Stato e alle Regioni in relazione alle rispettive competenze.
Infine, l’art. 212, commi 2 e 3, del medesimo decreto legislativo viene censurato in riferimento agli artt. 114 e 118 Cost., in ragione della composizione del Comitato nazionale dell’albo dei gestori ambientali e delle sezioni regionali e provinciali dell’albo medesimo. In particolare, il comma 2 del predetto art. 212 è censurato nella parte in cui dispone che il citato Comitato nazionale sia composto di diciannove membri, di cui ben sette (compresi Presidente e Vicepresidente) nominati da varie componenti del Governo e soltanto tre dalle Regioni, rendendo in tal modo assolutamente marginale la presenza di queste ultime, nonostante l’albo dei gestori ambientali raccolga i soggetti abilitati a svolgere attività che hanno effetti diretti sul territorio regionale e, soprattutto, che ricadono in ambiti di competenza regionale (sub specie di competenze residuali – commercio ed industria – o di competenze concorrenti – tutela della salute e governo del territorio).
Quanto al comma 3, anch’esso viene censurato per le stesse ragioni, dal momento che le sezioni regionali e provinciali risultano composte in maniera tale da rendere marginale il ruolo delle singole Regioni chiamate a nominare soltanto il vicepresidente, all’interno di un collegio composto di otto membri, tra cui anche uno designato dal Ministro dell’ambiente e del territorio.
2.1.– In prossimità
dell’udienza pubblica,
3.– Con ricorso, notificato
il 12-21 giugno 2006, depositato il successivo 16 giugno, anche
In primo luogo,
In particolare, l’art. 181 è censurato
nella parte in cui stabilisce che il c.d. "recupero dei rifiuti” possa essere
disciplinato mediante accordi di programma di cui provvede a disciplinare le
modalità di stipulazione, approvazione e pubblicazione (comma 7, secondo
periodo e commi da
I rilevati contrasti evidenzierebbero la violazione, da parte del predetto combinato disposto, degli artt. 11 e 76 della Costituzione, che ridonderebbe nella lesione delle competenze regionali in materia di valorizzazione ambientale, di tutela della salute e di governo del territorio, dal momento che i citati accordi di programma dovranno prevedere l’individuazione dei luoghi in cui effettuare il recupero dei rifiuti, andando a vincolare la destinazione urbanistica di tali siti finalizzati al recupero, senza alcun intervento da parte delle Regioni interessate.
Analoghe censure vengono, poi, proposte dalla Regione Toscana in relazione all’art. 183, comma 1, lettera f), nella parte in cui definisce la raccolta differenziata come la «raccolta idonea, secondo criteri di economicità, efficacia, trasparenza ed efficienza, a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee, al momento della raccolta o, per la frazione organica umida, anche al momento del trattamento, nonché a raggruppare i rifiuti di imballaggio separatamente dagli altri rifiuti urbani, a condizione che tutti i rifiuti sopra indicati siano effettivamente destinati al recupero».
La norma censurata, ammettendo la possibilità di procedere al raggruppamento dei rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee, con riferimento alla frazione organica umida, anche in un momento successivo alla raccolta, si porrebbe in contrasto con la normativa comunitaria in materia di rifiuti nonché con la legge delega e, quindi, conseguentemente, con gli artt. 11, 76 e 117 Cost.
La disposizione in esame, infatti,
consentendo una cernita della frazione organica umida al momento del
trattamento del rifiuto, produce – ad avviso della ricorrente – l’effetto di
ottenere un compost di qualità
inferiore rispetto a quello ottenibile con la separazione della frazione
organica umida al momento della raccolta, con la prevedibile riduzione
dell’appetibilità di impiego del materiale così recuperato ed il suo
conseguente afflusso in discarica o verso la termovalorizzazione. In tal modo
essa determinerebbe –prosegue
Per le stesse ragioni, la norma in esame viene ritenuta in contrasto anche con i principi ed i criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del 2004 e, in particolare, con i principi ed i criteri di cui alle lettere e) ed f).
Le richiamate violazioni si rifletterebbero sulle competenze regionali in materia di tutela della salute e di governo del territorio, dal momento che l’aumento dei materiali da conferire in discarica o alla termovalorizzazione determinerebbe evidenti pregiudizi sul potere di pianificazione delle Regioni in tema di impianti per la gestione dei rifiuti, nonché sull’ambiente e sulla salute dell’intera collettività.
Ulteriori censure sono poi rivolte all’art. 185, comma 1, nella parte in cui detta i limiti al campo di applicazione della parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006. Tale norma, infatti, disponendo che «non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto» i rifiuti ivi elencati, si porrebbe in contrasto con la normativa comunitaria, in specie con l’art. 2 della direttiva n. 75/442/CEE. Quest’ultima, infatti, stabilisce che sono escluse dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti solo quelle tipologie di materiali che siano espressamente oggetto di una disciplina speciale, laddove la norma dell’impugnato decreto stabilisce che sono sottratti al regime autorizzatorio e di controllo proprio dei rifiuti tutti quelli elencati nella stessa, anche ove manchi o venga abrogata la specifica disciplina di legge che ne regola la gestione.
Per le stesse ragioni, la norma in
esame violerebbe anche i principi ed i criteri direttivi
di cui all’art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del
Le dedotte violazioni sarebbero lesive delle competenze costituzionali delle Regioni in materia di tutela dell’ambiente, della salute e del governo del territorio, dal momento che molti rifiuti potranno, in base all’applicazione della norma censurata, essere sottratti all’assoggettamento ai poteri di autorizzazione, controllo e pianificazione riconosciuti in capo alle Regioni dalla normativa comunitaria e dalla legislazione nazionale previgente, con evidenti pregiudizi per la sicurezza e la salute dell’intera collettività.
Viene, poi, censurato anche l’art. 186, nella parte in cui sottrae le c.d. "terre e rocce da scavo” alla disciplina in materia di gestione dei rifiuti, in contrasto con la normativa comunitaria in materia di rifiuti (direttiva n. 75/442/CEE come interpretata dalla Corte di giustizia europea con le sentenze rese nelle cause C-418/97 e C-419/97 – "arco; C-9/00 – "Palin Granit”; C-114/01, "Avesta Polarit Chrome”; e C-457/02, "Niselli”); nonché con la legge delega n. 308 del 2004 e, quindi, con gli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost..
Inoltre, per le stesse ragioni, la
norma in esame si porrebbe in contrasto anche con i principi e criteri
direttivi di cui all’art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del
Ulteriori censure sono, poi, prospettate
nei confronti dell’art. 189, commi 1 e 3, nella parte in cui, dettando la
disciplina del c.d. Catasto dei rifiuti, modifica il regime posto dall’art. 11
del d.lgs. n. 22 del
La predetta norma violerebbe,
altresì, i principi e criteri direttivi della legge delega, nella parte in cui
vincolano il legislatore delegato al rispetto dell’assetto normativo ed
amministrativo e al riparto delle competenze vigenti, tenuto conto che
Anche il comma 3 del medesimo art. 189, esonerando i produttori di rifiuti non pericolosi dall’obbligo di comunicare annualmente alle Camere di commercio le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti, si porrebbe in contrasto sia con la normativa comunitaria in materia di rifiuti – ed, in particolare, con gli artt. 6 e 14 della direttiva n. 75/442/CEE, che richiede l’istituzione di un’autorità competente a cui fornire le informazioni di cui all’art. 14 relative a tutti i tipi di rifiuti senza alcuna esclusione – sia con i principi ed i criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004.
Le predette violazioni determinerebbero una lesione delle competenze regionali in materia di tutela della salute e di governo del territorio, tenuto conto che la dispensa delle imprese e degli enti che producono rifiuti non pericolosi dalla comunicazione annuale al Catasto dei rifiuti andrebbe ad incidere sui poteri di autorizzazione, controllo e pianificazione riconosciuti in capo alle Regioni dal combinato disposto della normativa comunitaria e della legislazione nazionale vigente.
Oggetto di censure è, poi, anche l’art. 195 nella parte in cui individua le competenze dello Stato determinando un grave pregiudizio alle attribuzioni delle Regioni, con particolare riferimento all’attività programmatoria e pianificatoria, nonché con vanificazione della competenza regionale in materia di tutela della salute, di governo del territorio, dei servizi pubblici e, quindi, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
In particolare,
Una compressione delle competenze regionali sarebbe conseguente anche alla previsione di cui alla lettera d) del comma 1 dell’art. 196, secondo cui spetta alla competenza delle Regioni, «nel rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente e dalla parte quarta del presente decreto, ivi compresi quelli dell’articolo 195», l’approvazione dei progetti dei nuovi impianti per la gestione dei rifiuti, anche pericolosi, e l’autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti, fatte salve le competenze statali di cui all’art. 195, comma 1, lettera f). Dal combinato disposto di cui agli artt. 195, comma 1, lettera f), e 196, comma 1, lettera d), si desumerebbe che gli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale debbano essere individuati, localizzati e approvati direttamente dallo Stato, senza alcun coinvolgimento della Regione, con conseguente illegittima compressione dei poteri di questa in materia di tutela della salute e governo del territorio.
Anche le lettere b) (in tema di disciplina delle procedure semplificate), e) (sulla determinazione dei criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, ai fini della raccolta e dello smaltimento), l) ( in tema di formulario e regolamentazione del trasporto dei rifiuti), m) (in materia di individuazione delle tipologie di rifiuti che possono essere smaltiti direttamente in discarica) ed s) (sull’individuazione della misura delle sostanze assorbenti e neutralizzanti di cui devono dotarsi gli impianti destinati allo stoccaggio, ricarica, manutenzione, deposito e sostituzione di accumulatori) dell’art. 195, comma 2, sarebbero costituzionalmente illegittime nella parte in cui consentono allo Stato di porre norme di dettaglio in una materia che si intreccia con materie o attribuzioni regionali, quali la tutela della salute, i servizi pubblici e i poteri di pianificazione territoriale, andando a comprimere e pregiudicare indebitamente il potere di pianificazione riconosciuto alle Regioni dalle norme costituzionali e dalla pregressa legislazione in materia ambientale, senza prevedere alcuna forma di intesa.
L’art. 199 sarebbe costituzionalmente illegittimo nella parte in cui disciplina i piani regionali di gestione dei rifiuti e, al comma 9, prevede in capo solo allo Stato e non anche, in via preliminare, alle Regioni, il potere sostitutivo allorquando «le autorità competenti non realizzino gli interventi previsti dal piano regionale nei termini e con le modalità stabilite e tali omissioni possano arrecare un grave pregiudizio all’attuazione del piano medesimo», in violazione degli artt. 117 e 118 Cost., dal momento che si verte su materia che va ad intrecciarsi con settori di competenza regionale quali la tutela della salute, il governo del territorio e la sua pianificazione.
Anche il comma 10 dell’art. 199 del decreto in esame sarebbe, poi, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, da un lato, individua il contenuto dei provvedimenti sostitutivi di cui al comma 9 anche nell’ipotesi in cui il potere sostitutivo ricade nella competenza regionale; dall’altro, nel definire il contenuto di detti provvedimenti, non riprende la disposizione di cui all’art. 22, comma 10, lettera c), del d.lgs. n. 22 del 1997, che consentiva l’introduzione di sistemi di deposito cauzionale obbligatorio dei contenitori. In tal modo il legislatore delegato, oltre a non riconoscere il potere sostitutivo in capo alla Regione, si porrebbe in contrasto con la direttiva comunitaria n. 75/442/CEE, così come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE, nella parte in cui prevede, tra le finalità della normativa sui rifiuti stessi, la prevenzione o la riduzione della produzione e nocività dei rifiuti, posto che la previsione di un deposito cauzionale costituirebbe un ottimo deterrente all’aumento della produzione e nocività dei predetti.
Per le medesime ragioni, l’art. 199, comma 10, si porrebbe in contrasto anche con i principi e criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 e, in particolare, con i principi ed i criteri di cui alle lettere e) ed f).
Da tali violazioni si desumerebbero
anche lesioni delle competenze costituzionali della Regione in materia di
tutela dell’ambiente, della salute e di governo del territorio, dal momento che
la mancata previsione del potere sostitutivo in capo alla Regione e la mancata
previsione dell’obbligo di depositi cauzionali andrebbero inevitabilmente a
pregiudicare le attribuzioni regionali in tema di controllo e pianificazione
del territorio e di tutela sanitaria.
La previsione di una durata minima
quindicennale delle gestioni integrate dei rifiuti urbani si porrebbe in
contrasto con la direttiva comunitaria n. 75/442/CEE, così come modificata
dalla direttiva n. 91/156/CEE, nella parte in cui, all’art. 5,
prevede che gli Stati membri adottino le «misure appropriate per la creazione
di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento, che tenga conto
delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non comportino costi
eccessivi» e che «tale rete deve inoltre permettere lo smaltimento dei rifiuti
in uno degli impianti appropriati più vicini, grazie all’utilizzazione dei
metodi e delle tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione
dell’ambiente e della salute pubblica». Secondo
Oggetto di censure è, poi, anche l’art. 202, nella parte in cui, nel disciplinare l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, stabilisce al comma 1 che «l’Autorità d’ambito aggiudica il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all’art. 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nonché con riferimento all’ammontare del corrispettivo per la gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico e delle precedenti esperienze specifiche dei concorrenti, secondo modalità e termini definiti con decreto dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia». Tale disposizione sarebbe in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., perché inciderebbe sulla competenza regionale in tema di servizi pubblici locali dotati di rilevanza economica, rispetto ai quali lo Stato può porre solo disposizioni di carattere generale, laddove la norma impugnata rinvia ad un decreto ministeriale il compito di dettare una minuziosa disciplina delle procedure da seguire per l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti, senza peraltro prevedere neppure la necessaria intesa con le Regioni.
Anche l’art. 208 dell’impugnato decreto è fatto oggetto di impugnativa da parte della Regione Toscana nella parte in cui, disciplinando la c.d. autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, al comma 10, prevede che «ove l’autorità competente non provveda a concludere il procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica entro i termini previsti al comma 8, si applica il potere sostitutivo di cui all’art. 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112», e cioè il potere sostitutivo dello Stato.
Così disponendo, la citata norma violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto precluderebbe alle Regioni l’esercizio del potere di sostituirsi agli enti locali inadempienti nelle materie di propria competenza. Nel caso di specie, pertanto, si renderebbe necessario l’intervento sostitutivo da parte della Regione Toscana, dal momento che in tale Regione le funzioni amministrative e i compiti in materia di tutela dell’ambiente dagli inquinamenti e di gestione dei rifiuti, delle risorse idriche e della difesa del suolo, conferite alla Regione dal d.lgs. n. 112 del 1998, sono state attribuite agli enti locali (Comuni e Province), con le leggi regionali 1° dicembre 1998, n. 88 (Attribuzione agli Enti locali e disciplina generale delle funzioni amministrative e dei compiti in materia di urbanistica e pianificazione territoriale, protezione della natura e dell'ambiente, tutela dell'ambiente dagli inquinamenti e gestione dei rifiuti, risorse idriche e difesa del suolo, energia e risorse geotermiche, opere pubbliche, viabilità e trasporti conferite alla Regione dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112), e 6 settembre 1999 n. 25 (Delimitazione degli ambiti territoriali ottimali e disciplina delle forme di cooperazione tra Enti locali per l’organizzazione del Servizio idrico integrato e del Servizio di gestione dei rifiuti urbani). Né sussisterebbero esigenze unitarie tali da legittimare, ai sensi dell’art. 118 Cost., l’attribuzione delle funzioni amministrative ad un livello superiore rispetto ai Comuni.
Oggetto di censure è, poi, anche
l’art. 212, nella parte in cui, in relazione all’albo nazionale dei gestori
ambientali, prevede, ai commi 2 e 3, un aumento del numero dei componenti
statali nel Comitato nazionale e delle organizzazioni sindacali e delle
categorie economiche relativamente alle sezioni regionali o provinciali dello
stesso albo, in contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione. Infatti,
prevedendo una diminuzione del peso dei rappresentanti regionali in seno al
Comitato nazionale e alle sezioni regionali, risulterebbero lese le prerogative
delle Regioni in materia di tutela della salute e di governo del territorio, in
considerazione delle importanti funzioni svolte dall’albo in materia di
procedure semplificate per la gestione dei rifiuti di cui agli artt. 214 e ss.
del testo unico dell’ambiente, che attribuiscono alla sezione regionale
dell’albo, anziché alle Province, funzioni istruttorie ed autorizzatorie
in materia di autosmaltimento e recupero dei rifiuti.
Le suddette violazioni si
ripercuoterebbero sulle competenze delle Regioni in materia di tutela
dell’ambiente, di tutela della salute e di governo del territorio, dal momento
che una serie di categorie di rifiuti verrebbero, con detti accordi di
programma, dispensate dall’assoggettamento ai poteri di autorizzazione,
controllo e pianificazione riconosciuti in capo alle Regioni dal combinato
disposto della normativa comunitaria e della legislazione nazionale previgente,
con pregiudizi per la sicurezza dell’intera collettività. In particolare,
sarebbe evidente la lesione delle competenze pianificatorie
delle Regioni nell’ipotesi in cui gli accordi di programma prevedano
l’individuazione dei luoghi ove effettuare il recupero dei rifiuti, così
vincolando la destinazione urbanistica dei siti destinati al recupero senza
alcun intervento da parte delle Regioni interessate.
3.1.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le censure proposte dalla Regione Toscana siano dichiarare inammissibili o, comunque, infondate.
Quanto alle censure sollevate nei
confronti degli artt. 181, commi da
Egualmente infondate sarebbero le censure mosse nei confronti dell’art. 183, comma 1, lettera f), tenuto conto del fatto che tale norma si limiterebbe a dettare delle definizioni, individuando operazioni comunque (nei fatti) possibili, connotando il raggruppamento dei rifiuti come raccolta differenziata solo ove raggiunga determinati standard qualitativi.
Ancora da rigettare sarebbero le
censure sollevate nei confronti dell’art. 185, comma
Anche l’esclusione delle terre e rocce da scavo dall’ambito di applicazione della disciplina dei rifiuti non contrasterebbe con la normativa comunitaria tenuto conto, in primo luogo, della pendenza di un contenzioso comunitario sulla previgente disciplina, e poi anche del fatto che detta esclusione riguarderebbe esclusivamente progetti di opere sottoposti a valutazione di impatto ambientale (VIA), nei quali il riutilizzo dei materiali di scavo troverebbe una sua ragion d’essere nella completezza del progetto e nell’esistenza di uno o più soggetti responsabili della sua realizzazione.
Quanto, poi, all’art. 189, commi 1 e 3, la disciplina dettata in tema di catasto dei rifiuti sarebbe costituzionalmente legittima, trattandosi di un ufficio statale la cui organizzazione non potrebbe che spettare a regolamenti d’organizzazione ministeriali; mentre l’esenzione della denuncia per rifiuti non pericolosi costituirebbe, nel rispetto delle norme comunitarie, uno strumento utile e praticabile per le imprese e le amministrazioni statali, atto ad evitare un inutile onere.
In tema di individuazione
degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti, poi, gli artt. 195, comma
1, lettera f), comma 2, lettere b), e), 1), m)
ed s), e 196, comma 1, lettera d), nel prevedere una semplice
audizione della Conferenza unificata e non un’intesa con
Infondate sarebbero anche le censure
mosse: nei confronti dell’art. 199, commi 9 e 10, dal momento che le norme in
esame non derogherebbero alla disciplina generale del potere sostitutivo ed
alla possibilità delle Regioni di regolare in modo autonomo la sostituzione di
enti locali attributari di compiti nel settore dello
smaltimento dei rifiuti; in relazione agli artt. 201, comma 6, e 203, comma 2,
lettera c), in tema di affidamenti quindicennali, posto che la disciplina in
essi contenuta avrebbe carattere dispositivo indicando solo un principio
direttivo finalizzato ad ottenere stabili gestioni; in riferimento all’art.
202, comma 1, considerato che il potere ministeriale ivi previsto inerisce alla
determinazione dei criteri generali di gestione di un servizio ambientale in
funzione delle regole generali della concorrenza, regole non suscettibili di
differenziazione; nei confronti dell’art. 208, comma
3.2.– Nel giudizio è intervenuta l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia – Onlus), la quale, sia nell’atto di intervento che nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, ha chiesto che vengano accolte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Toscana.
3.3.– In prossimità
dell’udienza pubblica,
4.– Con ricorso, notificato
il 12-27 giugno 2006, depositato il successivo 15 giugno,
In particolare, vengono in primo
luogo censurati gli artt. 181, commi da
Tali norme stabiliscono, peraltro,
la legittimazione a concorrere all’elaborazione dei contenuti di rilevanti
discipline solo di alcune categorie sociali, a discapito di altre, con la
ritenuta conseguente violazione dei principi di eguaglianza e certezza del
diritto. Dette previsioni – ad avviso della ricorrente – sarebbero, altresì, in
contrasto con la normativa comunitaria.
Tali contrasti con la normativa comunitaria si rifletterebbero negativamente sulle amministrazioni regionali e locali poste nelle condizioni di operare o in violazione delle norme introdotte, ma nel rispetto di quelle comunitarie, ovvero di essere esposte a pronunciamenti negativi in sede comunitaria.
Per analoghe ragioni si determinerebbe anche una violazione dei principi e criteri direttivi della legge delega n. 308 del 2004.
Anche l’art. 186 del d.lgs. n. 152 del 2006 è, poi, censurato dalla ricorrente per contrasto con la normativa comunitaria. Infatti, detta norma, nella parte in cui esclude dalla normativa sui rifiuti le terre e le rocce da scavo, ripeterebbe sostanzialmente quanto già affermato in precedenti leggi oggetto di procedure di infrazione comunitaria avviate nei confronti dell’Italia per contrasto con le direttive n. 75/442/CEE e n. 91/156/CEE.
Viene, inoltre, impugnato dalla
Regione Piemonte l’art. 195 nella parte in cui stabilisce, al comma 1, lettera f),
l’accentramento a livello ministeriale delle attività pianificatorie
nell’individuazione degli impianti di recupero e smaltimento di preminente interesse
nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese,
individuazione che avviene «sentita
Anche le disposizioni di cui al comma 1, lettere 1), n), e q), del medesimo art. 195 –che riguardano, rispettivamente, l’individuazione degli obiettivi di qualità dei servizi, le linee guida per la definizione delle gare d’appalto e dei capitolati, i criteri per l’organizzazione della raccolta differenziata – sarebbero riconducibili, in quanto riferite al sistema di gestione dei servizi relativi ai rifiuti, alla competenza legislativa regionale in tema di servizi pubblici locali, nonché alla potestà organizzativa degli enti gestori. Esse sarebbero, pertanto, costituzionalmente illegittime, da un lato, in relazione all’individuazione degli obiettivi di qualità, non essendo prevista in ordine ad essi alcuna forma di partecipazione né delle Regioni né delle autonomie locali; dall’altro, in relazione agli altri aspetti, in quanto non sarebbe evocabile il solo titolo di competenza statale in tema di tutela della concorrenza. Tale materia sarebbe, infatti, riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano l’affidamento dei servizi nei limiti degli strumenti di intervento disposti in una relazione «ragionevole e proporzionata rispetto agli obiettivi attesi». Essa inoltre si intreccerebbe con una pluralità di altri interessi, come, nel caso in esame, con quelli inerenti alla disciplina del servizio pubblico locale di gestione dei rifiuti.
Le disposizioni di cui al comma 1, lettere m) ed o), del medesimo art. 195, nella parte in cui attribuiscono al Ministero dell’ambiente il compito di definire i criteri generali per l’elaborazione dei piani regionali e degli ambiti territoriali ottimali e le linee guida per la cooperazione fra enti locali, nonché i criteri per le aree non idonee (lettera p), sarebbero costituzionalmente illegittime per contrasto con i principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, in quanto determinerebbero un accentramento di poteri a livello ministeriale non sorretto dalla legge di delega e non giustificato da esigenze di trattamento unitario degli interessi coinvolti.
I medesimi rilievi vengono proposti
nei confronti della «speculare dettagliata disciplina posta agli articoli da
Viene, inoltre, censurato l’art. 199, comma 9, nella parte in cui prevede un potere sostitutivo del Ministro dell’ambiente per le omissioni rispetto ai contenuti del piano regionale, in contrasto con l’art. 120 Cost., con i principi costituzionali di sussidiarietà e leale collaborazione nonché di omogeneità ed unicità di cui alla legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), oltre che con il principio di ragionevolezza, affidando ad un soggetto diverso dall’ente regionale titolare della programmazione il potere di intervenire per garantire l’adempimento degli obblighi previsti dagli atti di programmazione regionale.
Anche gli artt. da
4.1.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le censure proposte dalla Regione Piemonte siano dichiarare inammissibili o comunque infondate.
La difesa erariale osserva, in linea preliminare, che il carattere trasversale della materia della tutela dell’ambiente, se da un lato legittima la possibilità delle Regioni di provvedere attraverso la propria legislazione esclusiva o concorrente in relazione a temi che hanno riflessi sulla materia ambientale, dall’altro non costituisce limite alla competenza esclusiva dello Stato a stabilire regole omogenee nel territorio nazionale per procedimenti e competenze che attengono alla tutela dell’ambiente ed alla salvaguardia del territorio.
4.2.– Nel giudizio è
intervenuta l’Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature (WWF Italia – Onlus), che, sia con l’atto
di intervento che con la memoria depositata in prossimità dell’udienza
pubblica, ha chiesto che vengano accolte le questioni di legittimità
costituzionale sollevate dalla Regione Piemonte. Sono,
altresì, intervenute
5.– Con ricorso, notificato il 9
giugno 2006, depositato il successivo 15 giugno,
La richiamata norma violerebbe, conseguentemente, i principi inerenti ai rapporti fra fonti statali e fonti regionali, i quali escludono l’operatività delle fonti regolamentari statali nelle materie di competenza regionale, tra le quali va incluso l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani.
La ricorrente sostiene, inoltre, che
anche i commi da
Per le predette ragioni,
5.1.– Nel giudizio è intervenuta l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia – Onlus), chiedendo che vengano accolte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Valle d’Aosta.
5.2.– In prossimità
dell’udienza pubblica,
6.– Con ricorso, notificato il 13
giugno 2006, depositato il successivo 16 giugno,
In primo luogo, la ricorrente impugna l’art. 181, comma 7, nella parte in cui disciplina gli accordi di programma, operando una «deregolamentazione mascherata del settore», in pieno contrasto con le normative europee più volte ribadite dalle decisioni della Corte di giustizia.
A ciò la ricorrente aggiunge la considerazione che il ricorso allo strumento dell’accordo e del contratto di programma, di cui all’art. 181, altererebbe la gerarchia delle fonti del diritto e determinerebbe una lesione dei principi di certezza del diritto, eguaglianza, generalità ed astrattezza delle norme, sostituendo alla disciplina generale una serie indeterminata di accordi applicabili solo agli aderenti.
Per le stesse ragioni, sarebbero costituzionalmente illegittimi i commi 3 e 5 dell’art. 214, nella parte in cui ammettono rispettivamente lo strumento dell’accordo "deregolatorio” per le procedure semplificate di smaltimento dei rifiuti e richiamano il d.m. 5 febbraio 1998 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22) per la fase transitoria, in attesa della fissazione delle nuove regole.
Anche l’art. 186 del decreto
impugnato, nella parte in cui introduce un’ipotesi generale di esenzione per le
terre e rocce da scavo, sarebbe in contrasto con la normativa comunitaria, come
dimostrato dall’esistenza di una procedura di infrazione
avviata contro
Le norme impugnate non contrasterebbero solo con le richiamate norme comunitarie e quindi, con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., ma anche con l’art. 76 Cost., violando la legge delega n. 308 del 2004 che fissa, tra i criteri direttivi (art. 1, comma 8), la «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie […]» (lettera e) e l’«affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio "chi inquina paga”» (lettera f). Tali violazioni determinerebbero anche una lesione delle competenze regionali in tema di tutela dell’ambiente, di tutela della salute e di governo del territorio, pregiudicando il corretto svolgimento delle funzioni regionali in quelle materie.
Posto che spetta alla Regione, a tenore dell’art. 117, quinto comma, Cost., dare attuazione alle norme comunitarie e che la supremazia del diritto comunitario, confortata dalla sentenza n. 170 del 1984, deve essere assicurata anche attraverso la disapplicazione delle norme legislative interne contrastanti con le norme comunitarie self executing, la ricorrente sostiene di non dover applicare nel proprio territorio le norme del decreto impugnato che risultino in contrasto con le norme ad effetto diretto poste dal diritto comunitario derivato e dalle sentenze della Corte di giustizia che di esso forniscono interpretazione, con il risultato di uno stato di «gravissima incertezza normativa» non privo di preoccupanti riflessi sulla repressione penale dei reati ambientali.
Sulla base di argomenti analoghi
In tal modo essa sarebbe
illegittima, nella sua prima parte, per il fatto di prevedere un atto di
indirizzo e coordinamento in una materia regionale, la cui legittimità – dopo
la riforma costituzionale del 2001 – deve ritenersi esclusa dall’art. 8, comma
6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3).
Inoltre, tale atto non sarebbe adottato previa intesa con
Anche la seconda parte della citata norma sarebbe illegittima, oltre che per le suddette ragioni, per violazione della legge delega, posto che essa introduce, innovando, il potere dello Stato di dettare linee-guida per la perimetrazione degli ambiti territoriali ottimali ed indebolisce il ruolo delle Regioni (art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004), con conseguente menomazione delle competenze regionali.
Del pari sarebbe costituzionalmente
illegittima la previsione, di cui alla lettera o) del comma 1 dell’art. 195, nella parte in cui attribuisce allo Stato
«la determinazione, d’intesa con
6.1.– Nel giudizio è intervenuta l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia – Onlus), chiedendo, sia nell’atto di intervento che nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, che vengano accolte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Umbria.
6.2.– In prossimità
dell’udienza pubblica,
7.– Con un secondo ricorso,
notificato il 13 giugno 2006, depositato il successivo 16 giugno,
Ritiene, tuttavia, che altre
disposizioni della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 siano
costituzionalmente illegittime ed in particolare, in primo luogo, l’art. 195,
commi 1 e 2, nella parte in cui definisce i compiti riservati allo Stato in
materia di rifiuti dopo la riforma costituzionale di cui alla legge
costituzionale n. 3 del 2001, riscrivendo l’art. 18 del d.lgs. n. 22 del
Anche la lettera g) del richiamato
art. 195, comma 1, nella parte in cui riserva allo Stato «la definizione, nel
rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni, di un piano nazionale
di comunicazione e conoscenza ambientale [...] sentita
Analoghe censure vengono poi rivolte
alla lettera n) del comma 1 dell’art. 195, nella parte in cui
attribuisce allo Stato «la determinazione, relativamente all’assegnazione della
concessione del servizio per la gestione integrata dei rifiuti, d’intesa con
La ricorrente ritiene, pertanto, che la previsione di un simile potere statale appare lesiva anche dei canoni di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza, che costituiscono limite all’intervento del legislatore statale in materia di servizi pubblici locali in nome della tutela della concorrenza: non sarebbero infatti identificabili le ragioni per le quali sia necessario attrarre al centro, in sussidiarietà, funzioni lato sensu normative che avrebbero l’unico scopo di rendere omogenei criteri di formulazione dei bandi di gara che invece andrebbero modulati in considerazione della specificità delle concrete situazioni, nel pieno rispetto delle regole generali stabilite dalla legislazione comunitaria, statale e regionale.
Egualmente, la lettera o) del citato
comma 1 dell’art. 195, nella parte in cui attribuisce
allo Stato «la determinazione, d’intesa con
Anche l’art. 202, commi 1 e
In particolare, il comma 4 del predetto art. 202 determinerebbe una lesione dell’art. 117, quarto e sesto comma, Cost., nella parte in cui, prevedendo il conferimento in comodato, ai gestori aggiudicatari del servizio, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali in proprietà degli enti locali, senza prevedere l’accollo al gestore degli oneri e della passività, lederebbe le attribuzioni comunali ed il principio di equilibrio finanziario, non consentendo ai Comuni di stabilire un canone a carico del gestore con cui recuperare i costi relativi agli investimenti effettuati.
La ricorrente censura, inoltre, l’art. 204, comma 3, nella parte in cui regola, attraverso meccanismi particolarmente complessi e macchinosi, l’esercizio del potere sostitutivo del Presidente della Giunta regionale in tema di gestioni esistenti del servizio di gestione dei rifiuti. Tale previsione, infatti, costituisce, secondo la ricorrente, una invasione della sfera di competenza residuale della Regione in tema di servizi pubblici locali, tenuto conto che in essa sono fatte oggetto di disciplina le attività regionali di vigilanza, di controllo e di sostituzione dei soggetti incaricati dei servizi pubblici locali.
Anche l’art. 207, comma 1, è poi impugnato dalla Regione Emilia-Romagna, nella parte in cui attribuisce all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti il compito di "garantire” e "vigilare” in merito all’osservanza dei principi ed al perseguimento delle finalità di cui alla parte quarta del presente decreto, con particolare riferimento all’efficienza, all’efficacia, all’economicità ed alla trasparenza del servizio.
Detta previsione sarebbe costituzionalmente illegittima, in primo luogo, perché essa attribuirebbe all’Autorità di vigilanza il compito di operare in materia di servizi pubblici locali, in aperta violazione della competenza regionale residuale; poi, perché l’attrazione al centro delle funzioni amministrative regionali, in assenza di giustificati motivi, costituirebbe violazione del principio di sussidiarietà; ancora, in quanto la centralizzazione di tali funzioni segnerebbe un ulteriore eccesso di delega, risolvendosi nell’attribuzione allo Stato di una competenza nuova rispetto all’elenco di cui al d.lgs. n. 112 del 1998.
L’art. 214, comma 9, è inoltre
impugnato nella parte in cui estende alle denunce, alle comunicazioni ed alle
domande disciplinate dalle precedenti norme di semplificazione sulle procedure
gli istituti della dichiarazione di inizio di attività e del silenzio assenso,
di cui ai novellati artt. 19 e 20 della legge n. 241 del
Inoltre, il meccanismo introdotto da tale disposizione creerebbe una situazione di assoluta incertezza ed impossibilità di svolgere controlli efficaci ex post, interferendo con l’esercizio delle funzioni poste a carico delle amministrazioni regionali e locali, con grave pregiudizio per gli interessi ambientali e di tutela della salute gravanti sulla Regione. Da qui la denunciata illegittimità costituzionale della predetta norma per violazione degli artt. 3, 97 e 117 Cost.
E’, infine, censurato l’art. 215, nella parte in cui attribuisce all’albo nazionale dei gestori ambientali, sezione regionale, competenze relative all’iscrizione delle imprese che effettuano la comunicazione di inizio di attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi nel luogo di produzione dei rifiuti stessi (c.d. autosmaltimento), alla verifica dei presupposti e alla vigilanza sul rispetto delle norme tecniche.
La ricorrente sostiene che, in tal modo, la citata norma violerebbe i criteri ed i principi direttivi della legge delega – che impone al legislatore di mantenere il riparto delle funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo delineato dalla normativa vigente – in quanto attribuisce al citato albo nazionale funzioni spettanti, in base all’art. 32 del d.lgs. n. 22 del 1997, alle Province le quali vedrebbero così ridimensionato il loro ruolo, in violazione altresì del riparto delle competenze amministrative fissato dal d.lgs. n. 112 del 1998.
7.1. Nel giudizio è intervenuta l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia – Onlus), chiedendo che vengano accolte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Emilia-Romagna.
7.2.– In prossimità dell’udienza
pubblica,
8.– Con ricorso
(reg. ric. n. 75 del 2006), depositato in cancelleria il 17 giugno 2006,
In particolare, la
ricorrente sostiene che gli artt. 181, commi da
Verrebbero, infatti, in tal modo definiti lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti in maniera non conforme con quanto indicato nella direttiva n. 75/442/CEE (art. 1, lettere e ed f), nonché verrebbero fornite altrettante definizioni di sottoprodotto e di materia prima secondaria (MPS) ancora una volta non coerenti con le indicazioni fornite dalle citate sentenze della Corte di giustizia europea (punto 1).
Le norme in questione, con il pretesto di una semplificazione amministrativa, finirebbero per ridurre l’area di applicazione della disciplina dei rifiuti e per eliminare i controlli, attraverso una ridefinizione delle sostanze soggette a regolamentazione ed una «deregolamentazione» della disciplina dei metodi di recupero dei rifiuti, sostituita da procedure «contrattate».
In questo contesto, il ricorso allo strumento degli accordi di programma previsti dall’art. 181 determinerebbe la sostituzione di una «fonte» contrattata alla disciplina normativa, alterando la gerarchia delle fonti del diritto e ledendo i principi di certezza del diritto, uguaglianza, generalità ed astrattezza delle norme.
Per le stesse ragioni risulterebbero costituzionalmente illegittimi anche i commi 3 e 5 dell’art. 214, nella parte in cui ammettono lo strumento dell’accordo «deregolatorio» per le procedure semplificate di smaltimento di rifiuti e in cui richiamano il d.m. 5 febbraio 1998 per la fase transitoria.
Anche nel caso
dell’art. 186, nella parte in cui reca una generale ipotesi di esenzione per le
terre e rocce da scavo rispetto all’applicazione della parte quarta del
decreto, sarebbe palese il contrasto con la normativa comunitaria, trattandosi
di un’esclusione generalizzata, analoga a quella contenuta nella legge n. 443
del 2001, oggetto di una procedura di infrazione contro lo Stato italiano.
Le norme in oggetto, poi, finirebbero per ledere direttamente le competenze costituzionali della Regione in materia di tutela dell’ambiente, tutela della salute e governo del territorio, pregiudicando il corretto svolgimento delle funzioni regionali in quelle materie. Ciò in quanto la materia «rifiuti» si collocherebbe in un contesto, in cui gli interessi ambientali si sovrappongono a quelli della tutela del territorio, nonché della tutela igienico-sanitaria e della sicurezza della popolazione. Sicché, non potrebbe riconoscersi allo Stato il titolo a legiferare senza limiti in base alla competenza riconosciutagli dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Le norme in
oggetto, nella sostanza, sconvolgerebbero l’attento assetto normativo e amministrativo
disegnato dalla legislazione regionale, che verrebbe in molte parti abrogata
dall’atto legislativo in questione.
Analoghe considerazioni varrebbero, a giudizio della ricorrente, anche con riferimento all’art. 189, comma 3, che riguarda l’obbligo di comunicare annualmente alle Camere di commercio le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto di attività di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti e l’esenzione delle imprese ed enti che producono rifiuti non pericolosi. L’ambito di applicazione di tale obbligo verrebbe infatti delimitato restrittivamente, esentando le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi.
8.1.– E’ intervenuta in giudizio l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia – Onlus), la quale, con atto depositato il 28 agosto 2006 e con memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, ha chiesto l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.
9.– Con ricorso,
depositato in cancelleria il 23 giugno 2006 (reg. ric. n. 80 del 2006),
Quanto all’art. 181, comma da
Tali norme determinerebbero una diretta violazione delle competenze regionali, dal momento che la disciplina dei rifiuti avrebbe riflessi normativi sulla materia dell’ambiente, del governo del territorio, della tutela igienico-sanitaria e della sicurezza della popolazione.
Peraltro, le attività di recupero dovrebbero svolgersi sui territori delle Regioni, senza che sia stata prevista da parte del legislatore delegato una forma di partecipazione di queste ultime ai processi decisionali di definizione ed esecuzione del contenuto degli accordi.
Il legislatore delegato avrebbe dunque
violato la legge delega n. 308 del 2004 che, all’art. 1, comma
9.1.– E’ intervenuta in giudizio
l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia – Onlus), la quale, con atto
depositato il 6 settembre 2006 e nella memoria depositata in prossimità
dell’udienza pubblica, ha chiesto l’accoglimento delle questioni sollevate
dalla ricorrente.
10.– Con ricorso depositato in
cancelleria il 21 giugno 2006 (reg. ric. n. 78 del 2006),
Quanto all’art.
181, comma da
Verrebbero, infatti, in tal modo
definiti lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti in
maniera non conforme con quanto indicato nella direttiva n. 75/442/CEE (art. 1,
lettere e ed f), nonchè fornite
altrettante definizioni di sottoprodotto e di materia prima secondaria (MPS)
ancora una volta non coerenti con le indicazioni fornite dalle sentenze della
Corte di giustizia europea.
Le norme in questione, con il pretesto di una semplificazione amministrativa, finirebbero per ridurre l’area di applicazione della disciplina dei rifiuti e per eliminare i controlli, attraverso una ridefinizione delle sostanze soggette a regolamentazione restrittiva ed una «deregolamentazione» della disciplina dei metodi di recupero dei rifiuti, sostituita da procedure «contrattate».
Per le stesse ragioni risulterebbero costituzionalmente illegittimi anche i commi 3 e 5 dell’art. 214, nella parte in cui ammettono lo strumento dell’accordo «deregolatorio», per le procedure semplificate di smaltimento di rifiuti, ed allorchè richiamano il d.m. 5 febbraio 1998 per la fase transitoria.
Anche nel caso
dell’art. 186 – nella parte in cui reca una generale ipotesi di esenzione per
le terre e rocce da scavo, rispetto all’applicazione della parte quarta del
decreto in esame – sarebbe palese il contrasto con la normativa comunitaria,
trattandosi di un’esclusione generalizzata, analoga a quella contenuta nella
legge n. 443 del 2001, oggetto di una procedura di infrazione contro lo Stato
italiano.
Le norme in oggetto, poi, finirebbero per ledere direttamente le competenze costituzionali della Regione in materia di tutela dell’ambiente, tutela della salute e governo del territorio, pregiudicando il corretto svolgimento delle funzioni regionali in quelle materie. Ciò in quanto la materia «rifiuti» si collocherebbe in un contesto in cui gli interessi ambientali si sovrappongono a quelli della tutela del territorio, nonché della tutela igienico-sanitaria e della sicurezza della popolazione. Sicché, non potrebbe riconoscersi allo Stato il titolo a legiferare "senza limiti” in base alla competenza riconosciutagli dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Analoghe considerazioni varrebbero, a giudizio della ricorrente, anche con riferimento all’art. 189, comma 3, che riguarda l’obbligo di comunicare annualmente alle Camere di commercio le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto di attività di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento (c.d. MUD, ossia il «modello unico» introdotto dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70 recante «Norme per la semplificazione degli adempimenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza pubblica, nonché per l'attuazione del sistema di ecogestione e di audit ambientale») e la disposta esenzione delle imprese ed enti che producono rifiuti non pericolosi.
10.1. – E’ intervenuta in giudizio l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia – Onlus), la quale, con atto depositato il 31 agosto 2006 e con successiva memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, ha chiesto l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.
10.2.– In
prossimità dell’udienza pubblica,
11.–
Quanto all’art.
181, comma da
Verrebbero, infatti, in tal modo
definiti lo smaltimento ed il recupero in maniera non
conforme con quanto indicato nella direttiva n. 751/442/CEE (art. 1, lettere e)
e f), nonchè fornite altrettante definizioni
di sottoprodotto e di materia prima secondaria (MPS) ancora una volta non
coerenti con le indicazioni fornite dalle sentenze della Corte di giustizia
europea.
Le norme in questione, con il pretesto di una semplificazione amministrativa, finirebbero per ridurre l’area di applicazione della disciplina dei rifiuti e per eliminare i controlli, attraverso una ridefinizione delle sostanze soggette a regolamentazione restrittiva ed una «deregolamentazione» della disciplina dei metodi di recupero dei rifiuti, sostituita da procedure «contrattate».
Per le stesse ragioni risulterebbero costituzionalmente illegittimi anche i commi 3 e 5 dell’art. 214, nella parte in cui ammettono lo strumento dell’accordo «deregolatorio», per le procedure semplificate di smaltimento di rifiuti, ed allorchè richiamano il d.m. 5 febbraio 1998 per la fase transitoria.
Anche nel caso dell’art. 186 – nella parte in cui reca una generale ipotesi di esenzione per le terre e rocce da scavo, rispetto all’applicazione della parte quarta del decreto in esame – sarebbe palese il contrasto con la normativa comunitaria, trattandosi di un’esclusione generalizzata, analoga a quella contenuta nella legge n. 443 del 2001, oggetto di una procedura di infrazione contro lo Stato italiano.
Quanto, poi, all’art. 205, che disciplina le misure per incrementare la raccolta differenziata, la ricorrente sostiene che detta norma costituirebbe una norma di dettaglio in materia di competenza regionale, con violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost.
11.1.– E’ intervenuta in giudizio l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia – Onlus), chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente.
11.2.– Con
memoria depositata il 28 aprile 2009,
12.– Con
ricorso depositato in cancelleria il 21 giugno 2006 (reg. ric. n. 79 del 2006),
Quanto all’art.
181, commi da
Gli accordi di programma, infatti, consentirebbero, in materia di rifiuti, di derogare al sistema normativo previgente, istituendo una contrattazione diretta tra soggetti economici ed amministrazione statale, idonea ad escludere dal regime dei rifiuti e dalle relative procedure di autorizzazione e di controllo tutta una serie di materiali o sostanze – fra le quali le materie prime secondarie – che nella legislazione vigente e nel diritto comunitario (direttiva n. 75/442/CEE, così come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE) vi sarebbero assoggettati.
Per tali ragioni, a giudizio della ricorrente, le norme contenute nei commi 7, 8, 9, 10 e 11 dell’art. 181, si porrebbero in contrasto anche con i principi e criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del 2004 e, in particolare con quelli indicati alle lettere e) ed f).
In tale contesto, la denunciata violazione degli artt. 11 e 76 Cost. si ripercuoterebbe anche sulle competenze costituzionali della Regione, dal momento che la materia dei rifiuti si colloca in una zona in cui si intersecano gli aspetti tipicamente ambientali, di competenza dello Stato e gli aspetti di tutela del territorio, di tutela igienico-sanitaria e di sicurezza della popolazione, di competenza regionale.
La ricorrente censura, in particolare, l’art. 183, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale, nel definire la «raccolta differenziata», contemplerebbe la possibilità di procedere al raggruppamento dei rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee, anche con riferimento alla frazione organica umida, in momento successivo alla raccolta, in contrasto con la normativa comunitaria in materia nonché con la legge delega e, quindi, con gli artt. 11, 76 e 117 della Cost.
La disciplina esaminata, oltre a violare gli artt. 11 e 76 Cost., determinerebbe un’illegittima compressione delle competenze costituzionali della Regione in materia di tutela dell’ambiente, tutela della salute e governo del territorio, dal momento che, aumentando i materiali da conferire in discarica o alla termovalorizzazione, provocherebbe un pregiudizio al potere di programmazione delle Regioni, a detrimento della sicurezza e salute della popolazione.
Anche l’art. 185, comma 1, violerebbe gli artt. 11, 76 e 117 Cost., trattandosi di norma che limita il campo di applicazione della parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006, escludendovi anche alcuni tipi di rifiuti che, a norma della disciplina comunitaria, per poter essere sottratti alla normativa sui rifiuti, avrebbero dovuto essere assoggettati a specifiche discipline di settore.
Di qui il contrasto anche con i principi e criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, alle lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004.
Anche in relazione
all’art. 186, nella parte in cui sottrae le terre e rocce da scavo alla
disciplina dei rifiuti, sarebbe palese il contrasto con la normativa
comunitaria e con i criteri dettati dal legislatore attraverso la legge n. 308
del
Le richiamate violazioni si ripercuoterebbero in modo lesivo sulle competenze costituzionali della Regione in materia di tutela dell’ambiente, tutela della salute e governo del territorio.
Anche l’art. 189,
commi 1 e
La ricorrente deduce, ancora, l’illegittimità dell’art. 195, comma 1, lettera f); comma 2, lettere b), e),1), m) e s), nonché dell’art. 196, comma 1, lettera d), per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
La disciplina che risulterebbe dal combinato disposto degli artt. 195 e 196, infatti, produrrebbe una notevole limitazione dell’autonomia regolamentare delle Regioni, in violazione degli artt. 117 e 118 della Cost.
In particolare, il pregiudizio dell’autonomia regionale si renderebbe manifesto in relazione all’attività di programmazione del «ciclo» rifiuti, con conseguente pregiudizio dell’autonomia regionale in materia di tutela dell’ambiente, della salute, di governo del territorio e di gestione dei servizi pubblici.
Le censure, di costituzionalità riguardano, in primo luogo, la
disposizione contenuta nella lettera f) del comma 1 dell’art. 195, nella
parte in cui attribuisce allo Stato «l’individuazione, nel rispetto delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni, degli impianti di recupero e di
smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese». Tale individuazione, a giudizio della
Regione Marche, avverrebbe sulla base di una «mera audizione» della Conferenza
unificata di cui all’art. 8, d.lgs. n. 281 del 1997, e non previa intesa con
Analoga limitazione delle attribuzioni regionali determinerebbe l’art. 196, comma 1, lettera d), che riconosce in capo alla «competenza delle regioni, nel rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente e dalla parte quarta del presente decreto, ivi compresi quelli di cui all’articolo 195 [...] d), l’approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti, anche pericolosi e l’autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti, fatte salve le competenze statali di cui all’art. 195, comma 1, lettera f)». Ciò in quanto dal combinato disposto delle citate disposizioni risulterebbe che gli impianti di recupero e di smaltimento d’interesse nazionale possono essere individuati ed approvati direttamente dallo Stato senza alcun coinvolgimento delle Regioni, ancora una volta comprimendo illegittimamente le funzioni di queste in materia di salute, ambiente e governo del territorio.
Illegittime sarebbero pure le disposizioni contenute nelle lettere b), e), 1), m) e s) dell’art. 195, comma 2, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
Si tratterebbe di un’elencazione di competenze in favore dello Stato che consentirebbe al medesimo di porre norme di dettaglio in materie connesse con le attribuzioni regionali in tema di tutela della salute, di gestione di servizi pubblici, di pianificazione e programmazione del territorio. Ciò fino al punto di pregiudicare il potere di programmazione e disciplina riconosciuto invece alle Regioni, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
La ricorrente censura, poi, l’art. 199,
commi 9 e 10, per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
La norma in esame disciplina i piani regionali di gestione dei rifiuti, attribuendo al solo Stato ed in particolare al Ministro dell’ambiente il potere sostitutivo nel caso in cui «le autorità competenti non realizzino gli interventi previsti dal piano regionale nei termini e con le modalità stabiliti e tali omissioni possano arrecare un grave pregiudizio all’attuazione del piano medesimo».
Tale previsione – quanto al comma 9 – sarebbe in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., poiché, trattandosi di potere da esercitare rispetto ad enti locali e su materie di competenza regionale, esso avrebbe dovuto essere riconosciuto, in via preliminare, alle Regioni.
Contrasterebbe, poi, con gli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost. anche il successivo comma 10, poiché, da un lato, individuerebbe il contenuto dei provvedimenti sostitutivi anche nell’ipotesi in cui il potere sostitutivo sia di competenza regionale; dall’altro, nell’individuare tale contenuto, non richiamerebbe la disposizione di cui all’art. 22, comma 10, lettera c), del d.lgs. n. 22 del 1997, che consentiva l’introduzione di sistemi di deposito cauzionale obbligatorio dei contenitori.
Tale disposizione sarebbe, dunque, in contrasto anche con la direttiva comunitaria n. 75/442/CEE (come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE), nella parte in cui prevede, tra le finalità che la normativa sui rifiuti deve perseguire, la prevenzione o la riduzione della produzione e nocività dei medesimi. La soppressione della costituzione di un deposito cauzionale, che pur rappresentava un deterrente all’aumento della produzione e della nocività dei rifiuti, rappresenterebbe un motivo di lesione e compressione dell’autonomia finanziaria delle Regioni, con incidenza diretta sulle risorse economiche di cui queste potranno disporre.
L’art. 199, comma 10, si porrebbe dunque anche in contrasto con i principi e criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004, secondo cui la normativa italiana avrebbe dovuto uniformarsi a quella comunitaria.
Sarebbe, infatti, evidente che la violazione dei criteri di delega si ripercuote in questo caso sulle competenze costituzionali della Regione in materia di tutela dell’ambiente, tutela della salute e governo del territorio, con conseguente violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
L’ art. 201, comma 6, del decreto impugnato violerebbe, poi, gli artt. 11, 76, 117, 118 Cost., nella parte in cui, in tema di servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, stabilisce che la durata dell’affidamento del servizio non debba essere inferiore a quindici anni. Tale previsione violerebbe, infatti, apertamente la disciplina contenuta nella citata direttiva comunitaria n. 75/442/CEE (come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE), la quale, all’art. 5, impone agli Stati membri di adottare le «misure appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento, che tenga conto delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi» e che «tale rete deve inoltre permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, grazie all’utilizzazione dei metodi e delle tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica».
La concessione di un’autorizzazione per la durata di quindici anni, al contrario, non consentirebbe di perseguire il descritto obiettivo di tenere conto delle tecnologie più aggiornate e di utilizzare i metodi più idonei a garantire un alto grado di protezione ambientale e della salute pubblica.
Per le medesime ragioni l’art. 201, comma 6, contrasterebbe anche con i principi e criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del 2004 e, in particolare, con quelli di cui alle lettere e) ed f), in violazione degli artt. 11 e 76 Cost.
Quanto all’art.
202, comma
La disposizione prevede che «ove l’autorità competente non provveda a concludere il procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica entro i termini previsti al comma 8, si applica il potere sostitutivo di cui all’art. 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112».
Il potere sostitutivo ivi previsto contrasterebbe con gli artt. 117 e 118 Cost. in quanto lederebbe il potere delle Regioni di sostituirsi agli enti inadempienti nelle materie di propria competenza. Il caso esaminato sarebbe, appunto, fra questi, trattandosi di materia che va ad intrecciarsi con altre di competenza regionale quali, ad esempio, la tutela della salute e il governo del territorio.
Anche l’art. 212,
commi 2 e
Tali disposizioni, infatti, a giudizio della ricorrente, attraverso la riduzione della rappresentanza regionale, violerebbero le prerogative attribuite alle Regioni in materie ad esse attribuite dalla normativa costituzionale (tutela dell’ambiente, della salute e governo del territorio), in quanto i rappresentanti delle Regioni non avrebbero la possibilità di condizionare la definizione delle linee guida in materia di smaltimento e recupero dei rifiuti.
Viene, altresì, dedotta l’illegittimità
costituzionale dell’art. 214, commi 2 e 3, nella parte in cui prevede la
possibilità di stipulare accordi di programma per la disciplina delle procedure
semplificate, per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
A giudizio della Regione Marche, la previsione di tali accordi nella materia delle citate procedure semplificate si pone in contrasto con la normativa comunitaria in materia di rifiuti, nonché con la legge delega e, conseguentemente, con gli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.
Tali accordi, infatti, consentirebbero di derogare al sistema normativo previgente, istituendo una contrattazione diretta tra privati ed amministrazione statale idonea ad escludere dal regime dei rifiuti e dalle relative procedure di autorizzazione e controllo una serie di materiali o sostanze, che nella legislazione vigente e nel diritto comunitario invece vi sono assoggettati, in contrasto con la direttiva comunitaria n. 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE.
Per gli stessi motivi, poi, l’art. 214, comma 3, inoltre, si pone in contrasto con i principi e criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004.
Infine, la ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 215, commi 1, 3 e 4, e 216, commi 1, 3 e 4, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
Tali articoli, nel disciplinare le procedure semplificate di trattamento dei rifiuti con riferimento alle attività di auto-smaltimento ed alle operazioni di recupero, attribuiscono alla sezione regionale dell’albo nazionale dei gestori ambientali le funzioni che la precedente legislazione attribuiva alle Province (artt. 32 e 33 del d.lgs. n. 22 del 1997).
A giudizio della ricorrente, tale scelta di sottrarre alla competenza provinciale la tenuta ed il controllo delle comunicazioni di inizio delle attività di smaltimento e recupero dei rifiuti nelle procedure semplificate sarebbe del tutto irrazionale ed illogica, in quanto l’attribuzione del potere di controllo a un soggetto e il potere sanzionatorio ad un altro soggetto, non potrebbe certo soddisfare alcuna esigenza di semplificazione. Per tale via, la disciplina di cui agli artt. 215 e 216 del testo unico violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost. sottraendo alla Regione «importanti funzioni in materia di tutela della salute e del governo del territorio».
12.1.– E’ intervenuta in giudizio
l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia – Onlus), la quale, con atto
depositato il 6 settembre 2006 e con memoria depositata in prossimità
dell’udienza pubblica, ha chiesto l’accoglimento delle questioni sollevate
dalla ricorrente.
12.2.– In
prossimità dell’udienza pubblica,
13.– Con ricorso
depositato in cancelleria il 20 giugno 2006 (reg. ric. n. 76 del 2006),
In particolare, con riguardo all’art. 181, la ricorrente assume che tale norma realizzi in realtà una vera e propria deregolamentazione della materia, affidando l’intera disciplina del recupero dei rifiuti ad accordi di programma, privi dei caratteri della generalità ed astrattezza. Tale strumento negoziale viene, poi, richiamato dall’art. 214, comma 3, per le procedure semplificate in materia di smaltimento dei rifiuti non pericolosi, che quindi risulterebbero attribuite all’esclusiva competenza del Ministro dell’ambiente. Non solo: tale articolo, al comma 5, farebbe anche espresso rinvio al d.m. del 5 febbraio 1998, di cui si prevede un’applicabilità in via transitoria, malgrado tale decreto fosse stato all’origine di una procedura d’infrazione dinanzi alla Corte di giustizia europea, conclusasi con la sentenza di condanna dello Stato italiano del 7 ottobre 2004 – C103/02.
Sarebbe, pertanto, evidente che le Regioni, alle quali la legislazione statale precedente, ed in particolare il d.lgs. n. 22 del 1997, aveva riconosciuto potestà regolamentare in materia, sia pure nell’ambito dei principi generali fissati dallo Stato, risulta completamente esautorate di ogni potere nell’ambito del recupero dei rifiuti e delle citate procedure semplificate, non essendo peraltro prevista alcuna forma di partecipazione o di consenso regionale alla stipulazione dei suddetti accordi.
Ad avviso della Regione, poi, l’art. 183, comma 1, escluderebbe espressamente dall’applicazione delle disposizioni di cui alla parte quarta del decreto i sottoprodotti delle imprese (comprese le ceneri di pirite e le polveri di ossido di ferro), sottraendo in tal modo alcuni materiali altamente inquinanti al regime di autorizzazioni e controlli previsto dalla legislazione precedente.
Analogamente, il successivo art. 186 stabilisce che le terre e le rocce da scavo, nonché i residui della lavorazione della pietra non costituiscono rifiuti e sono, perciò, «esclusi, dall’ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto», anche se contaminati, purché non contengano una concentrazione di inquinanti superiore a determinati limiti massimi.
La ricorrente assume, poi, anche che il comma 3 dell’art. 189, imponendo l’obbligo di comunicare annualmente alle Camere di commercio le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti unicamente ai produttori di «rifiuti pericolosi», finirebbe per esonerare da tale obbligo coloro che producono rifiuti non pericolosi, oltre che gli imprenditori agricoli con un volume di affari annuo non superiore ad ottomila curo.
Il complesso di queste disposizioni si tradurrebbe, dunque, in una sostanziale riduzione delle garanzie imposte a tutela dell’ambiente e del territorio dalla normativa comunitaria e statale di recepimento, le quali prescrivevano in materia di rifiuti una disciplina più rigorosa.
Le disposizioni censurate,
quindi, violerebbero gli artt. 76, 117 e 118 Cost., tenuto conto proprio della
limitazione alle numerose e pregnanti competenze riconosciute alle Regioni
nella materia in questione, nonché del contrasto con i principi e criteri
direttivi fissati dalla legge delega n. 308 del 2004.
13.1.– E’ intervenuta in giudizio
l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia – Onlus), la quale, con atto
depositato il 28 agosto 2006 e con memoria depositata in prossimità
dell’udienza pubblica, ha chiesto l’accoglimento delle questioni sollevate
dalla ricorrente.
13.2.– In prossimità dell’udienza
pubblica,
Considerato in diritto
1.– Con i ricorsi indicati in epigrafe,
le Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Emilia-Romagna,
Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata hanno complessivamente
impugnato, per la parte che qui interessa e ognuna con specifico riferimento a
taluno di essi, gli articoli 181, commi 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12; 183,
comma 1; 185, comma 1; 186; 189, commi 1 e 3; 194; 195, commi 1, lettere f),
g), l), m), n), o), p), q) e t),
comma 2, lettere b), e), l), m), n), q)
e s) e comma 4; 196; 197; 199, commi 5, 8, 9 e 10; 200; 201; 202; 203;
204; 205; 206, commi 2 e 3; 207, comma 1; 208, commi 3, 4, 6, 8, 9, 10, 11, 12,
15-20; 209, commi 2-5 e 7; 210; 211, commi 2-5; 212, 214, commi 2, 3, 5 e 9;
215 e 216, commi 1, 3-7, 10-15, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
recante «Norme in materia ambientale» (di qui in avanti: Codice dell’ambiente),
in riferimento agli artt. 3, 11, 42, 43, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120
Cost., nonché all’art. 2, lettera b), dello statuto speciale per
Stante la loro connessione oggettiva, i
suddetti ricorsi devono essere riuniti ai fini di un’unica pronuncia.
2.– Preliminarmente, va riservata ad
altre pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità
costituzionale sollevate con i medesimi ricorsi.
Devono, inoltre, essere dichiarati
inammissibili gli interventi in giudizio sia dell’Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature
(WWF Italia – Onlus), che di Biomasse Italia s.p.a,
Società Italiana Centrali Termoelettriche, Ital Green
Energy s.r.l., ed Energie Tecnologie Ambiente s.p.a., in applicazione del
principio secondo cui il giudizio di legittimità costituzionale in via
principale deve svolgersi «esclusivamente fra soggetti titolari di potestà
legislativa, fermi restando per i soggetti privi di tale potestà i mezzi di
tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad
altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte
in via incidentale» (ex multis sentenza n. 405 del
2008).
Ancora in via preliminare, va dichiarata
l’inammissibilità delle censure sollevate dalla Regione Umbria con riferimento
all’art. 195, comma 1, lettere m) ed o), ed all’art. 202, comma
6, non essendo indicate nella delibera di autorizzazione ad impugnare della
Giunta regionale.
3.– Successivamente alla proposizione dei ricorsi, alcune delle disposizioni censurate sono state in parte modificate ed in parte abrogate dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, (Ulteriori disposizioni correttive del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), dall’art. 4-quinquies del decreto-legge 3 novembre 2008, n. 171 (Misure urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 205, e dall’art. 20, comma 10-sexies, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), nel testo introdotto dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2.
Alla luce delle predette sopravvenienze
legislative, alcune Regioni in parte hanno rinunciato ad alcune censure, in
parte hanno dichiarato la propria carenza di interesse alla pronuncia.
In particolare,
Le restanti Regioni, con separate
memorie, hanno insistito nel richiedere la pronuncia di illegittimità
costituzionale.
4.– Preliminare rispetto anche ad una eventuale pronuncia di cessazione della materia del
contendere è l’esame dei profili di ammissibilità delle censure proposte.
Secondo la giurisprudenza di questa
Corte, ai fini della dichiarazione di cessazione della materia del contendere,
è necessario che le norme abrogate non abbiano prodotto effetti durante il
periodo della loro vigenza (ex multis,
sentenze n. 74
del 2009, n.
439 e n. 289
del 2008), non essendo sufficiente che esse siano state in via transitoria
in vigore.
Nel caso in esame, alcune delle
disposizioni impugnate, di seguito più specificamente indicate, risultano
essere state in vigore fino alle successive modifiche ed integrazioni.
Escludendo, pertanto, che la sola
vigenza delle norme, poi abrogate o modificate in misura rilevante, nel periodo
transitorio, sia indice della loro avvenuta applicazione, occorre verificare,
in concreto, se sussistono i presupposti per una declaratoria di cessazione
della materia del contendere.
5.– Molteplici sono le censure formulate
dalle ricorrenti con riferimento alla pretesa violazione di norme delle
direttive comunitarie in materia di rifiuti – e quindi alla violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., da un lato, e dell’art.
76 Cost., dall’altro – poiché la legge delega avrebbe individuato, fra i
principi e criteri direttivi, quello della «piena e coerente attuazione delle
direttive comunitarie».
Questa Corte ha, in più occasioni, ribadito
il principio secondo cui non sono ammissibili le censure prospettate dalle
Regioni rispetto a parametri costituzionali diversi dalle norme che operano il
riparto di competenze con lo Stato, qualora queste non si risolvano in lesioni
delle competenze regionali stabilite dalla Cost. (fra le tante: sentenze n. 190 e n. 326 del 2008).
Pertanto, le censure dedotte con riferimento alla normativa comunitaria, senza
adeguata motivazione circa l’asserita lesione delle proprie sfere di
competenza, vanno dichiarate inammissibili, restando impregiudicato il
potere-dovere delle amministrazioni regionali di non applicare le norme
incompatibili con le disposizioni di direttive comunitarie provviste di effetto
diretto, alla stregua di una costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 170 del 1984
e n. 168 del 1991).
6.– In particolare, viene
censurato l’art. 181, commi da
Del pari si deduce la violazione
dell’art. 76 Cost., con riferimento all’art. 1, comma 8, della legge delega 15
dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e
l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta
applicazione), il quale prevede la «piena e coerente attuazione delle direttive
comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell’ambiente e di
contribuire in tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle
imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza» (lettera e),
e l’«affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di
correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del "chi
inquina paga”» (lettera f).
Le norme hanno ad oggetto la possibilità
di disciplinare con accordi di programma i metodi di recupero dei rifiuti (art.
181, commi da
Le ricorrenti denunciano la violazione
delle competenze regionali in materia di tutela del territorio, di tutela
igienico-sanitaria e di sicurezza della popolazione, con motivazioni generiche
o assertive, con conseguente manifesta inammissibilità delle questioni.
6.1.– Le questioni concernenti
l’individuazione dei materiali sottratti alla disciplina dei rifiuti (terre e
rocce da scavo: art. 186; emissioni costituite da effluenti gassosi, scarichi
idrici, rifiuti radioattivi, ed altri materiali tassativamente indicati: art.
185, comma 1 – Marche e Toscana, Calabria, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo,
Puglia e Campania), nonché la definizione di talune operazioni, quali la
"raccolta differenziata” (art. 183, comma 1, lettera f) – Marche e
Toscana), oltre che della nozione di sottoprodotto e materia prima secondaria
per attività metallurgiche (artt. 183, 194 e 212 – Piemonte), sono prospettate
in riferimento alla normativa comunitaria, senza tuttavia addurre una sufficiente
motivazione circa le modalità attraverso le quali la dedotta lesione
ridonderebbe sulle sfere di competenza regionale. Gli argomenti spesi, per un
verso sono generici, per l’altro non attengono al riparto delle competenze,
perché ancorati ad un situazione di "incertezza”
normativa ovvero all’irragionevolezza delle soluzioni adottate, sicché essi non
sfuggono alla declaratoria di inammissibilità.
6.2.– L’art. 189, comma 3, che esonera
talune imprese o enti che producono rifiuti non pericolosi dall’obbligo di
comunicazione annuale alle Camere di commercio di quantità e caratteristiche
dei rifiuti medesimi, è censurato con riferimento agli artt. 6 e 14 della
direttiva n. 75/442/CEE, che imporrebbero l’istituzione di un’autorità
competente a cui fornire le predette informazioni, in ordine a tutti i tipi di
rifiuti (Calabria, Umbria, Liguria, Toscana, Campania, Abruzzo, Puglia e
Marche).
Anche in questo caso, alla valutazione
nel merito della compatibilità comunitaria osta l’inammissibilità della
questione, in quanto la motivazione in ordine alla lesione della competenza
regionale è generica, essendosi le ricorrenti limitate ad affermare che la
dispensa dalla comunicazione annuale al Catasto dei rifiuti andrebbe ad
incidere sui poteri di autorizzazione, controllo e pianificazione propri delle
Regioni.
6.3.– La questione proposta in relazione
all’art. 199, comma 10 (Marche, Toscana e Piemonte), il quale, individuando il
contenuto dei provvedimenti sostitutivi del Ministro dell’ambiente, non
contemplerebbe più (come viceversa l’art. 10, lettera c, del d.lgs. n.
22 del 1997) la costituzione di un deposito cauzionale, riguarda l’asserito
contrasto con le finalità perseguite dalle direttive comunitarie di prevenzione
e riduzione della produzione e nocività dei rifiuti. Le argomentazioni sottese
alle censure risultano, ancora una volta, generiche e non consentono, quindi,
di affrontare il merito, non potendosi che dichiararne l’inammissibilità.
6.4.– Allo stesso modo, deve dichiararsi
l’inammissibilità della questione proposta in riferimento all’art. 201, comma
6, e 203, comma 2, lettera c) (Marche e Toscana), nella parte in cui
impongono una durata non inferiore a quindici anni per la gestione del servizio
di gestione integrata dei rifiuti urbani da parte dei soggetti affidatari, in
contrasto con l’obiettivo comunitario di tenere conto delle tecnologie più
aggiornate e di utilizzare i metodi più idonei a garantire un alto grado di
protezione ambientale e della salute pubblica. Anche in questo caso, infatti,
non si dà conto dell’incidenza di tale violazione sulle sfere di competenza
regionali.
7.– Nello stesso ambito vanno collocate
quelle censure, che attengono ad altri parametri non relativi al riparto delle
competenze, in riferimento alle quali non sono forniti
argomenti a sostegno della incidenza della pretesa violazione degli stessi
sulle sfere di attribuzione regionali.
Si tratta delle questioni sollevate
dalle Regioni Umbria e Piemonte con riguardo agli artt. 181, commi da
Ancora sotto il medesimo profilo,
risulta inammissibile la censura rivolta dalla Regione Emilia-Romagna nei
confronti dell’art. 214, comma 9, nella parte in cui estende alle denunce, alle
comunicazioni ed alle domande disciplinate dalle precedenti norme di
semplificazione sulle procedure gli istituti della dichiarazione di inizio di
attività e del silenzio assenso, di cui ai novellati artt. 19 e 20 della legge 7 agosto 1990 n. 241 (Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi), per violazione degli artt. 3, 97 e 117 Cost.
Si deduce, a tal proposito, che la
norma in esame, violando i richiamati principi di buon andamento ed imparzialità
dell’amministrazione, delineerebbe una situazione di assoluta incertezza ed
impossibilità di svolgere controlli efficaci ex post, intervenendo in un
ambito procedimentale riservato alla disciplina regionale. In questo caso è
evidente come la ricorrente non fornisca alcun argomento atto a dimostrare la
pretesa interferenza con l’esercizio delle funzioni attribuite alle
amministrazioni regionali e locali.
8.– Altro gruppo di censure
inammissibili concerne tutte quelle ipotesi in cui le ricorrenti, prospettando
la questione di legittimità costituzionale in relazione ad alcune norme, dal
contenuto del tutto eterogeneo, non hanno specificato i termini entro i quali
le singole disposizioni di riferimento abbiano violato i parametri
costituzionali invocati. In questo caso, infatti, la carenza di ogni
collegamento fra le argomentazioni svolte in ricorso e le singole disposizioni
normative non consente alla Corte di procedere ad una verifica di compatibilità
costituzionale funzionale alla pronuncia caducatoria
richiesta.
8.1.–
Le censure sono manifestamente
inammissibili, in quanto coinvolgono in maniera indifferenziata gli artt. da
8.2.– Analogamente deve concludersi per
la questione sollevata dalla Regione Calabria, con riguardo all’art. 197, comma
1, nella parte in cui contiene l’elenco delle competenze provinciali. Anche in
questo caso, infatti, le norme censurate sono esaminate in maniera
indifferenziata, senza che venga in alcun modo specificato come le singole
disposizioni contrastino con il parametro costituzionale indicato.
8.3.– Inammissibili sono pure le
questioni sollevate dalle Regioni Calabria, Toscana, Marche, Piemonte,
Emilia-Romagna e Valle D’Aosta con riferimento agli artt. 200, 201, 202 e 203,
nella parte in cui disciplinano il servizio di gestione integrata dei rifiuti
urbani, attraverso l’individuazione di ambiti territoriali ottimali e
l’istituzione di Autorità di ambito, cui vengono assegnate le funzioni relative
all’organizzazione, all’affidamento ed al controllo del servizio di gestione
integrata dei rifiuti e la formulazione del contratto di servizio.
Le norme impugnate violerebbero l’art.
117 Cost. e l’art. 2, lettera b), dello statuto
speciale della Regione Valle d’Aosta, in quanto inciderebbero, attraverso
disposizioni di dettaglio, su materie di competenza regionale, quale quella del
servizio pubblico locale di gestione dei rifiuti urbani, di competenza
regionale residuale.
Si tratta evidentemente di una censura
generica, in quanto rivolta ad una serie di norme, anche eterogenee, senza
individuare in che modo ed in quali parti esse ledano la richiamata competenza
regionale.
8.4.– A conclusioni non dissimili deve
pervenirsi in relazione alla questione, sollevata dalla Regione Calabria,
inerente agli artt. 208, commi 3, 4, 6, 8, 9, 11, 12, da
8.5.– Da ultimo, nello stesso ambito va
collocata la censura, sollevata dalla Regione Calabria, in riferimento agli
artt. da
9.– Alcune questioni devono ugualmente
essere dichiarate inammissibili, in quanto le ricorrenti, pur individuando con
precisione la norma impugnata, non forniscono una motivazione sufficiente in
ordine alla fondatezza delle censure. In questo caso, infatti, difettano i
requisiti minimi che consentano l’esame del merito delle questioni, rendendo
quindi impossibile ogni controllo di costituzionalità.
9.1.– In primo luogo, viene in rilievo
la censura proposta dalla Regione Calabria sull’art. 181, commi da
9.2.– A medesima conclusione si perviene
con riguardo agli artt. 181, commi da
9.3.– Infine, inammissibile – perché del tutto priva di motivazione – risulta la
questione sollevata dalle Regioni Calabria, Piemonte e Valle d’Aosta, con
riferimento agli artt. 203 e 204, come conseguenza della pretesa illegittimità
costituzionale dell’art. 202.
10.– L’esame delle questioni per le
quali non può pervenirsi ad una pronuncia di merito deve proseguire in
riferimento a quelle censure che attengono alla denuncia di meri inconvenienti
di fatto, derivanti dall’applicazione delle norme impugnate e, appunto perché
tali, inidonei a configurare un contrasto della disposizione impugnata con il
parametro costituzionale invocato.
Si tratta delle questioni inerenti
all’art.
11.– Può a questo punto affrontarsi
l’esame delle questioni che consentono una valutazione di merito.
Va premesso, sul punto, che la
disciplina dei rifiuti si colloca, per giurisprudenza di questa Corte, nell’àmbito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di
competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve
intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme
sull’intero territorio nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni
alla cura di interessi funzionalmente collegati con
quelli propriamente ambientali (ex multis,
sentenze n. 62
del 2008).
Pertanto, anche nel settore dei rifiuti,
accanto ad interessi inerenti in via primaria alla tutela dell’ambiente,
possono venire in rilievo interessi sottostanti ad altre materie, per cui la
«competenza statale non esclude la concomitante possibilità per le Regioni di
intervenire [...]», ovviamente nel rispetto dei livelli
uniformi di tutela apprestati dallo Stato (sentenza n. 62 del
2005, altresì, sentenze n. 247 del 2006,
n. 380 e n. 12 del 2007).
La disciplina ambientale, che scaturisce
dall’esercizio di tale competenza esclusiva dello Stato, viene a funzionare
come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in
altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun
modo peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato (sentenza n. 378 del
2007).
La disciplina dei rifiuti, peraltro, in
quanto rientrante principalmente nella tutela dell’ambiente e, dunque, in una
materia che, per la molteplicità dei settori di intervento, assume una
struttura complessa, riveste un carattere di pervasività
rispetto anche alle attribuzioni regionali. Di conseguenza, ogniqualvolta sia
necessario verificare, come nella specie, la legittimità costituzionale di
norme statali che abbiano disciplinato il fenomeno della gestione dei rifiuti,
è necessario valutare se l’incidenza della normativa
sulle materie regionali immediatamente contigue sia tale da compromettere il
riparto costituzionale di cui al titolo V della parte II della Costituzione,
oltre il limite della adeguatezza, rispetto alla citata finalità di fissazione
dei livelli di tutela uniformi.
12.– Ciò premesso in via generale, viene
in rilievo l’esame delle singole questioni, in relazione alle
quali andrà anche valutata la possibile cessazione della materia del
contendere, in riferimento alla persistenza o meno dell’interesse alla
pronuncia, alla stregua della giurisprudenza costituzionale sopra richiamata.
La disposizione impugnata si porrebbe,
altresì, in contrasto con gli artt. 117, sesto comma, e 119, Cost., in ragione
della previsione, in essa contenuta, dell’esercizio del potere regolamentare da
parte dello Stato, in materie non riconducibili alla competenza esclusiva
statale.
Va al riguardo osservato, in via
preliminare, che l’art. 181 è stato sostituito dall’art. 2, comma 18, del
d.lgs. n. 4 del 2008, che ha determinato l’abrogazione della disposizione
censurata e, quindi, della previsione delle agevolazioni alle imprese che
intendano modificare i propri cicli produttivi, per ridurre la quantità o la
pericolosità dei rifiuti prodotti, ovvero per favorire il recupero di
materiali.
Orbene, è necessario tener conto del fatto
che, nel tempo di vigenza della disposizione impugnata, non risultano
essere stati adottati provvedimenti di competenza esclusiva statale,
previsti dalla norma quali presupposti per l’erogazione delle agevolazioni
gravanti sul Fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica, di cui agli
artt. 14 e seguenti della legge 17 febbraio 1982, n. 46. Tale evenienza è di
per sé sola idonea a dimostrare come non si siano concretamente prodotti
effetti durante il periodo di vigenza, sicché la richiamata abrogazione,
evidentemente satisfattiva, consente di giungere ad
una pronuncia di cessazione della materia del contendere.
13.–
Ad avviso della Regione Calabria,
inoltre, la stessa norma sarebbe in contrasto con l’art. 117, sesto comma,
Cost., nonché con il principio di leale collaborazione, poiché attribuirebbe al
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio la competenza a dettare
norme di organizzazione del Catasto dei rifiuti, omettendo ogni riferimento ad
un intervento regionale, peraltro a fortiori necessitato dalla
circostanza che le Sezioni regionali del Catasto hanno sede, appunto, presso le
Regioni.
Le Regioni Toscana e Marche, poi,
deducono la violazione, da parte della medesima norma, anche degli artt. 117 e
118 Cost., in quanto il legislatore nazionale non avrebbe previsto il
coinvolgimento delle Regioni attraverso l’intesa con
Le questioni non sono fondate.
Quanto alla dedotta violazione dell’art.
76 Cost., sotto il profilo dell’eccesso di delega, va osservato che,
contrariamente all’assunto delle ricorrenti, già l’art. 18 del d.lgs. n. 22 del
1997 prevedeva, alla lettera h), che fosse di competenza dello Stato «la
riorganizzazione e la tenuta del Catasto nazionale dei rifiuti». Pertanto la
norma censurata non contrasta né con il riparto di competenze delineato nella
normativa richiamata dalla legge delega, né con gli artt. 117 e 118 Cost.
Infatti, è evidente che, per espressa previsione normativa, il Catasto dei
rifiuti intende garantire la formazione di un quadro conoscitivo unitario e costantemente
aggiornato dei dati raccolti, anche ai fini della pianificazione delle attività
di gestione dei rifiuti. In tal senso, quindi, le funzioni svolte da tale
istituto sono prodromiche alla fissazione di livelli uniformi di tutela dell’ambiente, di esclusiva
competenza statale.
14.– Le Regioni Marche e Toscana hanno,
poi, impugnato gli artt. 195, comma 1, lettera f);
comma 2, lettere b), e), l), m) e s), e 196,
comma 1, lettera d); quanto alle altre ricorrenti,
Si tratterebbe di norme che
attribuiscono allo Stato «l’individuazione, nel rispetto delle attribuzioni
costituzionali delle regioni, degli impianti di recupero e di smaltimento di
preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo
sviluppo del Paese», nonché di una serie di altre competenze, che
consentirebbero al medesimo di emanare norme di dettaglio in materie connesse con
le attribuzioni regionali in tema di tutela della salute, di gestione di
servizi pubblici, di pianificazione e programmazione del territorio, in
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
Secondo le Regioni Calabria, Toscana e
Piemonte sarebbe violato, altresì, il principio di
leale collaborazione, in quanto le norme per l’individuazione degli impianti di
interesse nazionale, nonostante facciano salvo il rispetto delle attribuzioni
costituzionali delle Regioni, limiterebbero l’intervento delle autonomie territoriali
ad un mero parere della Conferenza unificata, anziché prevedere il
raggiungimento di una intesa che orienti l’operato degli organi statali nelle
predette attività.
Non solo, ma a giudizio della Regione
Emilia-Romagna, le disposizioni in oggetto violerebbero anche l’art. 76 Cost. e
le attribuzioni regionali, delineando una serie di competenze ulteriori,
rispetto a quelle attribuite allo Stato dal d.lgs. n. 22 del
Tuttavia, la constatazione del
significativo lasso di tempo nel quale la disposizione censurata è stata in
vigore insieme alla considerazione dell’immediata precettività
della stessa non consentono di ritenere che di essa non sia stata fatta
applicazione ed impediscono di giungere ad una pronuncia di cessazione della materia
del contendere.
Nel merito, le questioni, unitariamente
trattate per l’analogia del tessuto normativo censurato, non sono fondate.
Le norme impugnate riguardano, quanto
all’art. 195, comma 1: l’individuazione degli impianti
di recupero e smaltimento di preminente interesse nazionale (lettera f);
il piano nazionale di comunicazione e di conoscenza ambientale (lettera g);
i criteri generali, differenziati per i rifiuti urbani e per i rifiuti
speciali, ai fini dell’elaborazione dei piani regionali e la determinazione
delle linee-guida per gli ambiti territoriali ottimali (lettera m); le
linee guida per la definizione delle gare d’appalto per l’assegnazione della
concessione del servizio per la gestione integrata dei rifiuti (lettera n);
le linee guida inerenti le forme e i modi della cooperazione fra gli enti
locali anche con riferimento alla riscossione della tariffa sui rifiuti urbani
ricadenti nell’ambito territoriale ottimale (lettera o).
Occorre precisare a tal proposito che,
quanto alle lettere f) e g), il legislatore ha espressamente
previsto una clausola di "salvezza” «nel rispetto delle attribuzioni
costituzionali delle regioni», oltre ad una necessaria interlocuzione con
In primo luogo, quanto alla disciplina
dell’individuazione degli impianti di recupero e smaltimento di preminente
interesse nazionale (lettera f), non risulta violata la competenza
regionale in tema di «approvazione dei progetti di nuovi impianti per la
gestione dei rifiuti e l’autorizzazione alle modifiche degli impianti
esistenti» di cui all’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 22 del 1997, avendo
quest’ultimo ad oggetto, in armonia con l’art. 117 Cost., i soli impianti
territorialmente localizzati e non quelli di «preminente interesse nazionale».
Sicché priva di fondatezza appare la censura relativa alla violazione dell’art.
76 Cost.
Inoltre, proprio per il fatto che si
tratta di impianti di «preminente interesse nazionale», la valutazione relativa
alla loro individuazione deve necessariamente essere attribuita allo Stato, in
coerenza con il principio di sussidiarietà, in vista dell’obiettivo del
soddisfacimento dell’esigenza unitaria di una dislocazione strategica dei
medesimi impianti sull’intero territorio nazionale. In tale prospettiva, è
infondata anche la dedotta violazione del principio di leale collaborazione,
tenuto conto che la norma impugnata prevede che la predetta funzione di
individuazione degli impianti sia esercitata «sentita
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi
in riferimento alle censure proposte nei confronti della previsione della
competenza statale in tema di predisposizione di un piano nazionale di
comunicazione e conoscenza ambientale (lettera g). Tale attribuzione,
infatti, non determina alcuna lesione delle sfere di competenza regionale, in
quanto non impedisce alle Regioni di predisporre propri piani territoriali
sulla base dei quali, peraltro, solo lo Stato può provvedere a definire – «nel
rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni» e «sentita
Del pari infondate sono le censure sollevate, in
relazione all’art. 76 Cost., nei confronti dell’attribuzione allo Stato del
compito di determinare i criteri generali differenziati per i rifiuti urbani e
per i rifiuti speciali, ai fini dell’elaborazione dei piani regionali dei
rifiuti nonché le linee guida per gli ambiti territoriali ottimali (lettera m).
Va infatti osservato, a tal proposito, che già l’art.
18, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 22 del 1997, attribuiva una
simile competenza allo Stato, e che tale attribuzione è in linea con l’esigenza
di una individuazione dei predetti criteri generali uniforme ed omogenea sul
territorio nazionale, incidendo i medesimi sia sulla materia del governo del
territorio di competenza regionale concorrente, in ordine alla quale spetta
allo Stato dettare i principi fondamentali, sia sulla materia di competenza
statale esclusiva della tutela dell’ambiente. A tal proposito occorre, inoltre,
osservare che, non essendo possibile individuare una materia prevalente alla
quale ricondurre la norma impugnata, la previsione del raggiungimento di
un’intesa con
Anche la previsione della competenza
statale in tema di linee guida per la definizione delle gare d’appalto per la
concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti (lettera n),
poi, non determina alcuna lesione delle sfere di competenza regionale, tenuto
conto che essa, attenendo, fra l’altro, all’identificazione dei «requisiti di
ammissione delle imprese e dei relativi capitolati» alle gare, costituisce
esercizio della competenza statale in tema di tutela della concorrenza, e si
rivela in armonia con il principio di leale collaborazione, quanto alle
inevitabili interferenze con la materia dei servizi pubblici locali (alla quale
deve ricondursi la disciplina del servizio di gestione integrata dei rifiuti)
di competenza regionale residuale, nella parte in cui stabilisce che la
determinazione delle predette linee guida deve avvenire d’intesa con
Sulla base dei medesimi argomenti
devono, infine, respingersi le censure mosse nei confronti della
attribuzione allo Stato della competenza a determinare le linee guida
inerenti alle forme ed ai modi della cooperazione fra gli enti locali anche con
riferimento alla riscossione della tariffa sui rifiuti urbani ricadenti
nell’ambito territoriale ottimale (lettera o). Si tratta, infatti, di
previsione che, pur incidendo su ambiti di competenza regionale, quali quello della promozione delle forme di cooperazione
fra gli enti locali e quello dei servizi pubblici locali, è finalizzata a
soddisfare l’esigenza di individuazione dei criteri più idonei a garantire
l’efficiente espletamento del servizio in tutto il territorio nazionale, nel
pieno rispetto del principio di leale collaborazione, mediante la previsione
della previa intesa con
Le medesime censure sono, poi, rivolte
da alcune ricorrenti anche in relazione alla previsione dell’attribuzione allo
Stato della competenza ad indicare i criteri generali relativi alle
caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di
smaltimento dei rifiuti (lettera p), nonché ad adeguare la parte quarta
del decreto in esame alle direttive, alle decisioni ed ai regolamenti
dell’Unione europea (lettera t). Anche in tal caso deve giungersi ad una
pronuncia di infondatezza, considerato che, da un lato, la determinazione dei
criteri generali per l’individuazione delle caratteristiche delle aree non
idonee alla localizzazione degli impianti non risulta lesiva di alcuna
competenza regionale, costituendo esercizio della competenza statale a dettare
i principi fondamentali in tema di governo del territorio (lettera p),
dall’altro, il compito di adeguare le norme della parte quarta del decreto
impugnato alla normativa comunitaria non può che spettare allo Stato,
nell’esercizio delle proprie competenze.
Alle medesime conclusioni deve
pervenirsi con riguardo alle censure sollevate dalle Regioni Calabria, Marche e
Toscana con riferimento all’art. 195, comma 2, lettere
b), e), l), m), n), q) ed s),
variamente impugnate, anche in combinato con l’art. 195, comma 4, e con l’art.
196, comma 1, lettera m), poiché si tratta di norme che non determinano
l’attribuzione impropria di competenze allo Stato, ma provvedono ad individuare
gli ambiti tecnici in relazione ai quali si dà attuazione ai livelli uniformi
di tutela dell’ambiente.
Si tratta, infatti, di: determinazione
dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per
l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti
speciali ai rifiuti urbani (lettera e); definizione del modello e dei
contenuti del formulario e regolamentazione del trasporto dei rifiuti (lettera l);
individuazione delle tipologie di rifiuti che possono essere smaltiti in
discarica (lettera m); adozione di un modello uniforme del registro di
cui all’art. 190 e delle modalità di tenuta dello stesso (lettera n);
adozione delle norme tecniche, delle modalità e delle condizioni di utilizzo
del prodotto ottenuto mediante compostaggio (lettera q); individuazione
delle sostanze assorbenti e neutralizzanti, previamente sperimentate da
università o istituti specializzati (lettera s).
Quanto, in particolare, alla lettera b),
in tema di adozione di norme e condizioni per l’applicazione delle procedure
semplificate di cui agli artt. 214, 215 e 216, impugnata anche in combinato con
l’art. 195, comma 4, e con l’art. 196, comma 1, lettera m) –
indipendentemente dalla compatibilità comunitaria di tali procedure –
l’asserita violazione delle attribuzioni regionali è manifestamente priva di
fondamento, trattandosi di un ambito normativo riconducibile, in via
prevalente, alla competenza statale esclusiva in tema di tutela dell’ambiente,
con conseguente esclusione della necessità di qualunque forma di coinvolgimento
delle autonomie territoriali.
15.– Le Regioni Toscana, Marche e
Piemonte hanno, inoltre, impugnato l’art. 199, comma 9,
nella parte in cui attribuisce allo Stato ed in particolare al Ministro
dell’ambiente il potere sostitutivo nel caso in cui «le autorità competenti non
realizzino gli interventi previsti dal piano regionale» di gestione dei rifiuti
«nei termini e con le modalità stabiliti e tali omissioni possano arrecare un
grave pregiudizio all’attuazione del piano medesimo». A giudizio delle ricorrenti
tale norma sarebbe in contrasto con gli artt. 117, 118 e 120 Cost., avendo ad oggetto l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato
rispetto ad enti locali e su materie di competenza regionale, in ambiti cioè
nei quali esso avrebbe dovuto essere riconosciuto, in via preliminare, alle
Regioni.
La questione è fondata.
Questa Corte ha da
tempo affermato che deve desumersi da quanto previsto dall’art. 118
Cost. – il quale attribuisce in via di principio ai Comuni, in tutte le
materie, le funzioni amministrative, ma riserva la possibilità che esse, per
assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite, sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, ai livelli territoriali di
governo di dimensioni più ampie – anche la previsione di «eccezionali
sostituzioni di un livello ad un altro di governo per il compimento di
specifici atti o attività, considerati dalla legge necessari per il
perseguimento degli interessi unitari coinvolti, e non compiuti tempestivamente
dall’ente competente» (sentenza n. 43 del
2004). In questa prospettiva, si è anche precisato che non può farsi
discendere dall’art. 120, secondo comma, Cost. una riserva a favore della legge
statale di ogni disciplina del potere sostitutivo, dovendosi viceversa
riconoscere che «la legge regionale, intervenendo in materie di propria
competenza e nel disciplinare, ai sensi dell’art. 117, terzo e quarto comma, e
dell’art. 118, primo e secondo comma, Cost., l’esercizio di funzioni
amministrative di competenza dei Comuni, preveda anche poteri sostitutivi in
capo ad organi regionali, per il compimento di atti o attività obbligatorie,
nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell’ente competente, al fine
di salvaguardare interessi unitari che sarebbero compromessi dall’inerzia o
dall’inadempimento medesimi» (sentenza n. 43 del
2004).
La norma impugnata, nella specie,
prevede l’intervento sostitutivo dello Stato nel caso in cui le autorità
competenti (Comuni, Province e, per quanto attiene ai rifiuti urbani, le c.d.
Autorità d’ambito, alle quali partecipano necessariamente gli enti locali) non
realizzino gli interventi di cui al piano regionale di gestione dei rifiuti,
nei termini e con le modalità ivi stabilite, con grave pregiudizio per
l’attuazione dello stesso. Si tratta, dunque, di una ipotesi
di sostituzione statale che si attiva direttamente in caso di inerzia degli
enti locali in riferimento ad un ambito di competenza regionale costituito
dall’attuazione del piano regionale, senza che le Regioni, competenti
all’adozione del piano, siano poste nella condizione di esercitare il proprio
potere sostitutivo, con conseguente lesione delle relative attribuzioni.
16.–
La questione non è fondata.
A partire dalla sentenza n. 43 del
2003, questa Corte ha precisato che l’art. 120, secondo comma, Cost.
«prevede solo un potere sostitutivo straordinario, in capo al Governo, da
esercitarsi sulla base dei presupposti e per la tutela degli interessi ivi
esplicitamente indicati, mentre lascia impregiudicata l’ammissibilità e la
disciplina di altri casi di interventi sostitutivi, configurabili dalla
legislazione di settore, statale o regionale, in capo ad organi dello Stato o
delle Regioni o di altri enti territoriali, in correlazione con il riparto
delle funzioni amministrative da essa realizzato e con le ipotesi specifiche
che li possano rendere necessari».
Nella specie, gli interventi sostitutivi
oggetto delle norme impugnate non sono riconducibili all’ambito di operatività
dell’art. 120 Cost., non essendo connessi ad alcuna delle ipotesi di emergenza
istituzionale di particolare gravità ivi contemplate
(il mancato rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, il pregiudizio
per l’incolumità e la sicurezza pubblica nonché per l’unità giuridica ed
economica, il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali), tali da giustificarne l’attribuzione in via esclusiva
al Governo: sicché deve ritenersi priva di fondamento l’asserita lesione della
predetta norma costituzionale nella parte in cui assegna esclusivamente al
Governo l’esercizio del solo potere ivi previsto. Né può, comunque, accogliersi
la censura di violazione delle garanzie prescritte a tutela dell’ente
inadempiente, in relazione a quanto previsto dall’art.
204, comma 3, secondo periodo, considerato che, al di là della inconferenza del parametro invocato, la norma impugnata
reca modalità procedimentali finalizzate a porre il predetto ente – a sua volta
operante in via sostitutiva – nelle condizioni di provvedere, evitando la
sostituzione.
17.–
La questione è fondata.
A tal proposito occorre ricordare che,
tenuto conto che è la legge regionale che, nel disciplinare l’esercizio di
funzioni amministrative di competenza dei Comuni nelle materie di propria
competenza, può prevedere anche poteri sostitutivi in capo ad organi regionali
per il compimento di atti o attività obbligatorie, nel caso di inerzia o di
inadempimento da parte dell’ente competente, è egualmente solo ad essa che
spetta provvedere a regolare dettagliatamente modalità e termini di esercizio
del proprio potere sostitutivo.
Nella specie, la norma statale impugnata
prevede un termine entro il quale i Presidenti delle Giunte regionali, in caso
di inerzia delle Autorità d’ambito, devono nominare un commissario ad acta per l’adozione di provvedimenti per disporre i
nuovi affidamenti del servizio di gestione dei rifiuti, nel rispetto delle
disposizioni di cui alla medesima parte quarta del decreto n. 152 del 2006.
Tale previsione, avendo ad oggetto la disciplina puntuale di modalità e tempi di
esercizio del potere sostitutivo della Regione nei confronti degli enti locali
in una materia, quella della gestione del servizi pubblico locale di gestione
dei rifiuti, di competenza regionale, lede la relativa competenza legislativa
regionale.
18.– Ancora
La questione è fondata.
La sottoposizione a vincoli
procedimentali dell’esercizio della competenza legislativa regionale in tema di
individuazione di maggiori obiettivi di riciclo e recupero dei rifiuti, che la
stessa norma statale impugnata attribuisce ad essa, determina evidentemente una
lesione della sfera di competenza regionale, posto che questa Corte ha già
affermato che l’esercizio dell’attività legislativa sfugge alle procedure di
leale collaborazione (sentenza n. 159 del
2008).
19.– Ulteriore questione di legittimità
costituzionale è promossa dalla Regione Calabria in relazione all’art. 206,
commi 2 e 3. La ricorrente sostiene che tale norma, nella parte in cui prevede
che il Ministro dell’ambiente possa stipulare accordi e contratti di programma
con soggetti pubblici e privati per promuovere l’utilizzo dei sistemi di
certificazione ambientale e di attuazione dei programmi di ritiro dei beni di
consumo al termine del loro ciclo di utilità, senza alcun coinvolgimento delle
Regioni, violi il principio di leale collaborazione, nonché l’art. 118 Cost.,
tenuto conto dell’impatto che le attività previste possono avere sul territorio
di queste.
La questione non è fondata.
L’asserita violazione delle attribuzioni
regionali è priva di fondamento, trattandosi di un ambito normativo, quello inerente
alla disciplina degli accordi e contratti di programma finalizzati a promuovere
l’impiego, su tutto il territorio nazionale, di tecniche volte ad assicurare
livelli più elevati di tutela dell’ambiente (mediante la promozione
dell’utilizzo dei sistemi di certificazione ambientale nonché del ritiro dei
beni di consumo al termine del ciclo di utilità), riconducibile, in via
prevalente, alla competenza statale esclusiva in tema di tutela dell’ambiente,
con conseguente esclusione della necessità di forme di coinvolgimento delle
autonomie territoriali.
Né, d’altra parte, risulta violato
l’art. 118 Cost., tenuto conto che è con la stipulazione dei predetti accordi e
contratti che vengono fissati gli standard di tutela dell’ambiente
connessi all’impiego delle tecniche richiamate, sicché l’attribuzione agli
organi statali della relativa competenza obbedisce all’esigenza unitaria di
assicurare che detti livelli siano uniformemente rispettati sull’intero
territorio nazionale.
20.–
A parere della ricorrente detta norma
violerebbe: l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto l’Autorità opererebbe in
materia di servizi pubblici locali, in aperta violazione della competenza
regionale residuale; l’art. 76 Cost e le attribuzioni
regionali ivi richiamate, in quanto l’attribuzione alla predetta Autorità delle
suindicate funzioni sarebbe avvenuta in violazione della legge di delega,
risolvendosi nel riconoscimento in capo allo Stato di una competenza "nuova”
rispetto all’elenco di cui al d.lgs. n. 112 del
Va al riguardo osservato, in via
preliminare, che l’art. 207, comma 1, è stato abrogato
dall’art. 1, comma 5, del decreto legislativo 8 novembre 2006, n. 284
(Disposizioni correttive e integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152,
recante norme in materia ambientale). In considerazione di tale intervenuta
abrogazione, satisfattiva delle pretese avanzate, la
ricorrente, con memoria depositata in data 6 maggio
Orbene, tenuto conto del fatto che, nel
limitato periodo di vigenza della norma impugnata, non risulta che ad essa sia
stata data applicazione, e che – come sostenuto dalla medesima ricorrente –
l’intervenuta abrogazione della stessa è pienamente satisfattiva,
deve dichiararsi cessata la materia del contendere.
21.– Le Regioni Marche e Toscana hanno,
poi, promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 208, comma 10,
nella parte in cui, in materia di autorizzazione unica per i nuovi impianti di
smaltimento e di recupero dei rifiuti, prevede che, «ove l’autorità competente
non provveda a concludere il procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica
entro i termini previsti al comma 8, si applica il potere sostitutivo di cui
all’art. 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112». Le ricorrenti
ritengono che detta norma violi gli artt. 117 e 118 Cost., in
quanto escluderebbe il potere delle Regioni di sostituirsi agli enti
inadempienti in materie di propria competenza, quali quelle del governo del
territorio e della tutela della salute, interferenti con la tutela
dell’ambiente.
La questione non è fondata, nei termini
di seguito precisati.
La censura muove, infatti, da un erroneo
presupposto interpretativo, secondo il quale la norma impugnata interverrebbe a
disciplinare il potere sostitutivo dello Stato in caso di inerzia, nella
conclusione del procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica per i nuovi
impianti, da parte di autorità competenti riconducibili agli enti locali,
escludendo che le Regioni, titolari di proprie competenze in tema di governo
del territorio e di tutela della salute, possano esercitare preventivamente il
proprio potere sostitutivo.
Al contrario, la norma impugnata si
inserisce nell’ambito della disciplina di un articolato procedimento all’esito
del quale è attribuito alla Regione il compito di approvare il progetto ed autorizzare
la realizzazione e la gestione dell’impianto. Tale procedimento è puntualmente
disciplinato al fine di assicurare che il rilascio dell’autorizzazione avvenga
sulla base di una complessa istruttoria finalizzata a garantire, in attuazione
delle indicazioni della normativa comunitaria, la regolarità della messa in
esercizio dei predetti impianti «proprio in considerazione dei valori della
salute e dell’ambiente che si intendono tutelare in modo omogeneo sull’intero
territorio nazionale» (sentenze n. 62 del 2008,
n. 173 del 1998;
si vedano, altresì, le sentenze n. 194 del 1993
e n. 307 del
1992). Per questo motivo – ed in considerazione della necessità che si
giunga in termini di tempo ragionevoli ad una verifica relativa alla sussistenza
o meno dei requisiti prescritti per la messa in opera degli impianti – la norma
stabilisce che l’istruttoria, che deve svolgersi mediante convocazione di
apposita conferenza dei servizi cui partecipano i responsabili degli uffici
regionali competenti ed i rappresentanti delle autorità d’ambito e degli enti
locali interessati nonché con l’eventuale ausilio delle Agenzie regionali per
la protezione dell’ambiente, si concluda entro centocinquanta giorni dalla
presentazione della domanda con il rilascio dell’autorizzazione o con il
diniego motivato della stessa da parte dell’ente competente, e cioè della
Regione. E’ perciò in sostituzione di quest’ultima – ed a protezione dei
richiamati interessi costituzionali – che l’art. 208, comma 10, prescrive l’operatività
dei poteri sostitutivi statali di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 112 del 1998,
senza con ciò escludere l’esercizio, da parte delle Regioni, di un proprio
potere sostitutivo, inerente alle proprie competenze, in ordine
all’espletamento delle singole fasi del procedimento istruttorio.
22.– L’art. 211, comma 3, è impugnato
dalla Regione Calabria, per violazione degli artt. 118 e 120 della Cost. Tale
norma, a parere della ricorrente, nella parte in cui stabilisce che, in caso di
mancata approvazione o autorizzazione da parte della Regione, nei termini di
tempo prescritti, del progetto o della realizzazione di un impianto di ricerca
o sperimentazione, l’interessato può rivolgersi direttamente al Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio, porrebbe nel nulla qualunque
motivazione che
La questione non è fondata.
Anche in tal caso, la disposizione
impugnata si colloca nell’ambito della disciplina del procedimento di
autorizzazione alla realizzazione ed all’esercizio di
impianti di ricerca e sperimentazione per il quale sono stabiliti, al ricorrere
di specifiche condizioni, termini di tempo ridotti rispetto a quelli previsti
per la generalità degli impianti, proprio in ragione della rilevanza degli
stessi in vista della protezione dell’ambiente. Orbene, la possibilità
accordata dalla norma censurata all’interessato di adire direttamente
l’amministrazione centrale nell’eventualità che
23.– Le Regioni Marche, Toscana e
Calabria impugnano l’art. 212, commi 2 e
Sulla base di analoghe argomentazioni
In via preliminare occorre considerare
che l’art. 212, comma 3, è stato modificato dal citato
dall’art. 2, comma 30, del d.lgs. n. 4 del 2008 e che tale modifica risulta
pienamente satisfattiva delle richieste regionali, in
quanto a seguito di essa i componenti di designazione regionale costituiscono
la maggioranza in seno ai predetti organi. La disposizione censurata, peraltro,
non ha potuto avere medio tempore applicazione, in ragione del fatto che
lo stesso art. 212, al comma
Deve, pertanto, dichiararsi cessata la
materia del contendere in relazione alle questioni aventi ad oggetto l’art.
212, comma 3.
Le questioni proposte nei confronti
dell’art. 212, comma 2, non sono fondate.
Sia il Comitato nazionale che le sezioni
regionali e provinciali sono organi dell’albo nazionale dei gestori ambientali,
le cui competenze sono essenzialmente costituite dalla verifica della sussistenza
dei requisiti prescritti dalla legge per lo svolgimento delle attività di
raccolta, trasporto, commercio ed intermediazione dei rifiuti, nonché di
gestione degli impianti di smaltimento e di recupero degli stessi, da parte
delle imprese che chiedano l’iscrizione al medesimo albo, in vista del
principale obiettivo della garanzia del rispetto, da parte delle predette
imprese, dei livelli omogenei di tutela dell’ambiente, in tutto il territorio
nazionale. Detti organi operano, pertanto, in funzione del soddisfacimento
delle predette esigenze unitarie, in un ambito riconducibile alla
materia della tutela dell’ambiente, di competenza esclusiva statale, sicché la
riduzione del numero dei componenti di derivazione regionale all’interno dei
medesimi non determina alcuna lesione delle sfere di competenza regionale,
neanche con riferimento alla richiamata definizione delle linee guida in
materia di smaltimento e recupero dei rifiuti, tenuto conto che tale
definizione non rientra fra i compiti dell’albo.
24.–
Tale disposizione, a
parere della ricorrente, contrasterebbe con l’art. 76 Cost. in
quanto violerebbe i criteri e principi direttivi della legge di delega –
che impone al legislatore di mantenere il riparto delle funzioni amministrative
tra i diversi livelli di governo delineato dalla normativa vigente –
attribuendo al citato albo nazionale funzioni spettanti alle Province in base
all’art. 32 del d.lgs. n. 22 del 1997, le quali vedrebbero in tal modo
ridimensionato il loro ruolo, in violazione altresì del riparto delle
competenze amministrative fissato dal d.lgs. n. 112 del 1998.
Le Regioni Toscana e
Marche promuovono, infine, questione di legittimità costituzionale degli artt.
215, commi 1, 3 e 4, e 216, commi 1, 3 e 4, nella parte in cui, dettando
disposizioni con riferimento alle attività di auto-smaltimento ed alle operazioni
di recupero, attribuiscono alla sezione regionale dell’albo nazionale dei
gestori ambientali le funzioni che la precedente legislazione attribuiva alle
province (artt. 32 e 33 del d.lgs. n. 22 del 1997), e sottraggono, quindi, alla
competenza provinciale la tenuta ed il controllo delle comunicazioni di inizio
delle attività di smaltimento e recupero dei rifiuti nelle procedure
semplificate.
Tali norme sarebbero,
pertanto, in contrasto con l’art. 117 Cost., perché sottrarrebbero alla Regione
importanti funzioni in materia di tutela della salute e di governo del
territorio.
Sulla base di
analoghe argomentazioni,
A tal riguardo occorre osservare che le
modifiche apportate dal suddetto art. 2, commi 33-38, del d.lgs. n. 4 del 2008,
alle norme impugnate risultano effettivamente idonee a soddisfare le richieste
delle Regioni ricorrenti, in quanto provvedono ad attribuire nuovamente alle
Province le competenze che le norme impugnate avevano loro sottratto in favore
della sezione regionale dell’albo. Anche in tale caso si deve, altresì,
rilevare che le disposizioni impugnate non hanno potuto avere medio tempore applicazione,
tenuto conto che lo stesso art. 212, al comma
Sulla base dei richiamati argomenti
deve, pertanto, dichiararsi cessata la materia del contendere in riferimento
alle questioni proposte nei confronti degli artt. 215 e 216, commi 1, 3 e 4.
25.– Avendo
PER QUESTI MOTIVI
riuniti i giudizi,
riservata a separate pronunce la decisione delle altre
questioni di legittimità costituzionale promosse, nei confronti del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dalle Regioni
Calabria, Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Abruzzo,
Basilicata, Campania, Marche, Puglia e Liguria;
dichiara inammissibile l’intervento spiegato nei giudizi
indicati in epigrafe dalla Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature – (WWF Italia –
Onlus), e da Biomasse Italia s.p.a., Società Italiana Centrali Termoelettriche
– SICET s.r.l., Ital Green Energy S.r.l. ed E.T.A.
Energie Tecnologiche Ambiente s.p.a.;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 199, comma
9, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui attribuisce al Ministro
dell’ambiente il potere sostitutivo nel caso in cui «le autorità competenti non
realizzino gli interventi previsti dal piano regionale» di gestione dei rifiuti
«nei termini e con le modalità stabiliti e tali omissioni possano arrecare un
grave pregiudizio all’attuazione del piano medesimo»;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 204, comma
3, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui disciplina l’esercizio del
potere sostitutivo del Presidente della Giunta regionale in tema di gestioni
esistenti del servizio di gestione dei rifiuti;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 205, comma
6, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui assoggetta ad una previa
intesa con il Ministro dell’ambiente l’adozione delle leggi con cui le Regioni
possono indicare maggiori obiettivi di riciclo e di recupero dei rifiuti;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 195, comma 1, lettere m) ed o), e
dell’art. 202, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento
agli artt. 76, 117, 118 e 119 Cost., dalla Regione Umbria;
dichiara inammissibili
le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 181, commi da
dichiara inammissibili
le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 183, comma 1, 185, comma
1, 186, 194 e 212 del d. lgs. n. 152 del 2006,
proposte, in riferimento agli artt. 11, 76 e 117 della Costituzione, dalle
Regioni Marche, Toscana, Calabria, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia,
Campania, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibile
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 189, commi 1 e 3, del
d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 11, 76 e 117 della
Costituzione, dalle Regioni Calabria, Umbria, Liguria, Toscana, Campania,
Abruzzo, Puglia e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibile
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 199, comma 10, del d.lgs.
n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 11, 76 e 117 della
Costituzione, dalle Regioni Marche, Toscana e Piemonte, con i ricorsi indicati
in epigrafe;
dichiara inammissibili
le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 201, comma 6, e 203, comma
2, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli
art. 11, 76 e 117 della Costituzione, dalle Regioni Marche e Toscana, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili
le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 181, commi da
dichiara inammissibili
le questioni di legittimità costituzionale degli artt. da
dichiara inammissibili
le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 181, commi 5-12, 181,
commi 7-11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3, 199, comma 5, 203 e 204, 214,
commi 3 e 5, 215, commi 3 e 6, 216, commi 3-7 e 10-15, del d.lgs. n. 152 del
2006, proposte, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, dalle Regioni
Puglia, Abruzzo, Campania, Calabria, Valle d’Aosta e Piemonte, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili
le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
dichiara cessata
la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità
costituzionale dell’art. 181, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del
2006, proposta, in riferimento agli artt. 117, sesto comma, e 119 della
Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria,
con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara cessata
la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità
costituzionale dell’art. 207, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in
riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni
Emilia-Romagna, Toscana e Marche con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara cessata
la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale
dell’art. 212, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposta dalle Regioni
Marche, Toscana e Calabria, in riferimento agli artt. 114, 117 e 118 della
Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara cessata
la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 215 e dell’art. 216, commi 1, 3 e 4, del d.lgs. n. 152
del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76 e 117 della Costituzione,
dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 189, comma 1, del
d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della
Costituzione, dalle Regioni Calabria, Toscana e Marche, con i ricorsi indicati
in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 195, comma 1,
lettere f), g), l), m), n)¸ o), p),
q) e t); comma 2, lettere b), e), l), m),
n), q) ed s), comma 4, e dell’art. 196, comma 1, lettere d)
ed m), del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt.
76, 117 e 118 ed al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Marche,
Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Calabria ed Umbria, con i ricorsi indicati
in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 199, comma 8, e
204, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in
riferimento all’art. 120, secondo comma, della Costituzione, dalla Regione
Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 206, commi 2 e 3,
del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento al principio di leale
collaborazione nonché all’art. 118 della Costituzione, dalla Regione Calabria,
con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 208, comma 10, del
d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 117 e 118 della
Costituzione, dalle Regioni Marche e Toscana, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 211, comma 3, del
d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 118 e 120 della
Costituzione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non
fondate le questione di legittimità costituzionale dell’art. 212, comma 2, del
d.lgs. n. 152 del 2006, proposte dalle Regioni Marche, Toscana e Calabria, in
riferimento agli artt. 114, 117 e 118 della Costituzione, con i ricorsi
indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16
luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE,
Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il
24 luglio 2009.