SENTENZA N. 326
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 13 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale», convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale», promossi con ricorsi della Regione Veneto (nn. 2 ricorsi), della Regione siciliana, della Regione Friuli-Venezia Giulia e della Regione Valle d'Aosta, notificati il 31 agosto, il 5, il 9 e il 10 ottobre 2006, depositati in cancelleria l'11 settembre, l'11, il 12, il 14 e il 19 ottobre 2006 ed iscritti ai nn. 96, 103, 104, 105 e 107 del registro ricorsi 2006.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 24 giugno 2008 il Giudice relatore Sabino Cassese;
uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Andrea Manzi per
Ritenuto in fatto
1. -
L'articolo impugnato (che reca la rubrica «Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza») impone alcuni limiti alle società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza. È stabilito, in particolare, che esse operino esclusivamente con gli enti costituenti ed affidanti, non svolgano prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, non partecipino ad altre società o enti e abbiano oggetto sociale esclusivo. L'articolo contiene anche una disciplina transitoria, che definisce i termini e le modalità della cessazione delle attività non consentite, e commina la nullità ai contratti conclusi in violazione delle nuove norme.
Ad avviso della Regione, il
legislatore statale ha inteso, con le norme impugnate, evitare alterazioni o
distorsioni della concorrenza e assicurare la parità degli operatori, impedendo
che soggetti destinatari dei cosiddetti «obblighi di servizio pubblico», solo
formalmente privatizzati ma soggetti a un'influenza dominante dei pubblici
poteri, possano operare, avvantaggiandosi del regime speciale di cui godono, anche sul libero mercato. Date queste finalità della
disciplina statale, reputa peraltro
2. - Con un secondo ricorso (n.
103 del 2006),
Questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo, oltre che di altre norme dello stesso decreto-legge, è stata sollevata anche dalla Regione siciliana (r. ric. n. 104 del 2006), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia (r. ric. n. 105 del 2006) e dalla Regione Valle d'Aosta (r. ric. n. 107 del 2006).
L'articolo impugnato (che, anche a seguito della conversione, reca la rubrica «Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza») impone alcuni limiti alle società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti, in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza. È stabilito, in particolare, che esse operino esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non svolgano prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, non partecipino - con esclusione delle società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 - ad altre società o enti e abbiano oggetto sociale esclusivo. L'articolo contiene anche una disciplina transitoria, che definisce i termini e le modalità della cessazione delle attività non consentite, e commina la nullità ai contratti conclusi in violazione delle nuove norme.
3. - Il ricorso della Regione
Veneto lamenta la violazione degli artt. 3, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della
Costituzione. Secondo
4. - Il ricorso della Regione
siciliana lamenta la violazione degli artt. 41, primo e terzo comma, e 3 Cost., sotto il duplice profilo della violazione dei principi di
eguaglianza e di ragionevolezza, nonché degli artt. 14, lettera p), e 17,
lettera i), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione
dello Statuto regionale della Regione siciliana). Premette
Secondo
5. - Il ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia lamenta la violazione degli artt. 3, 41, 117 e 119 Cost., nonché dell'art. 4, comma unico, nn. 1, 1-bis, e n. 6, dell'art. 8 e art. 48 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).
Osserva preliminarmente
Il ricorso della Regione è articolato in sei motivi.
5.1. - Con il primo motivo,
Ricorda innanzitutto
Le norme impugnate, secondo la ricorrente, violano inoltre: il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost., dato che vengono trattate in modo diseguale situazioni uguali, nonché i principi di ragionevolezza e proporzionalità; l'art. 41 Cost., in quanto esse precludono l'esercizio del diritto di libera iniziativa economica, il quale, a condizione che non si alteri la concorrenza, vale ugualmente per i soggetti pubblici e privati (e comunque sarebbe leso il diritto di iniziativa dei privati nelle società miste); «il principio di ragionevolezza e di proporzionalità», in quanto le norme impugnate «pongono drastiche limitazioni di capacità dove basterebbe un limite connesso all'eventuale affidamento diretto dei compiti strumentali».
5.2. - Con un secondo motivo di
ricorso,
Argomenta la ricorrente che non
solo le Regioni e gli enti locali, ma anche lo Stato ed enti pubblici nazionali
hanno costituito società pubbliche o miste per l'esercizio di funzioni
strumentali. Se pure nel merito fosse giustificata una disciplina restrittiva
della capacità contrattuale di determinati tipi di società a partecipazione
pubblica, non lo sarebbe una restrizione della capacità contrattuale ed
operativa delle sole società costituite o partecipate dalle Regioni e dagli
enti locali, «che vengono poste in una condizione di
vera e propria minorità giuridica». Onde è evidente, prosegue
5.3. - Un terzo motivo di ricorso è incentrato sull'illegittimità costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2 e 4, del decreto-legge n. 223 del 2006, come convertito, in quanto lesivo dell'autonomia organizzativa e finanziaria della Regione nella parte in cui vieta «indiscriminatamente alle società pubbliche o miste, costituite o partecipate dalle amministrazioni regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali, di "operare" per soggetti diversi dagli enti costituenti, partecipanti o affidanti, di svolgere "prestazioni" a favore di altri soggetti pubblici o privati, nonché di partecipare ad altre società o enti».
Con riguardo al divieto di
partecipare ad altre società o enti,
5.4. - Uno specifico motivo
riguarda l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3,
del decreto-legge n. 223 del 2006, come convertito, che impone termini per
cessare le attività non consentite e sanzioni per il mancato rispetto dei
divieti. Secondo
In secondo luogo, il terzo periodo, che stabilisce l'inefficacia dei contratti relativi ad attività non cedute o scorporate, sarebbe illegittimo sotto il profilo della contraddittorietà e della irragionevolezza, in relazione a quanto disposto dai due periodi precedenti. Osserva la ricorrente che le società in questione possono «transitoriamente» - per dodici mesi - continuare a svolgere le loro attività; che a tali dodici mesi seguono, in base al secondo periodo, altri diciotto mesi, durante i quali le «attività non consentite» possono essere cedute a terzi o scorporate in una diversa società da cedere sul mercato. Senonché, prosegue la difesa della Regione, quel che dispone il terzo periodo - cioè la cessazione degli effetti dei contratti relativi alle attività non cedute o scorporate nel «termine indicato nel primo periodo» (cioè alla scadenza dei primi dodici mesi) - è del tutto assurdo, poiché le attività cedute o scorporate e, corrispondentemente, quelle non cedute o scorporate, risulteranno soltanto alla fine del periodo di diciotto mesi che le Regioni e gli enti locali hanno a disposizione per provvedere alla cessione o allo scorporo. La norma, dunque, sarebbe, prima ancora che costituzionalmente illegittima, di impossibile applicazione, se non «retroattivamente».
5.5. - Un altro profilo di
illegittimità costituzionale investirebbe il secondo periodo del comma 3, ove
«la facoltà data alle società strumentali di cedere le attività a terzi o di
scorporarle costituendo una società da collocare sul mercato dovesse intendersi
come preclusiva della possibilità di cedere o scorporare tali attività in
favore di altra società regionale o locale, da costituire o esistente, che
operi esclusivamente sul mercato, e non rientri nel campo di applicazione dell'art. 1 3». In effetti, osserva
5.6. - Un ulteriore, autonomo
profilo di irragionevolezza dell'art. 13, comma 4, del decreto-legge n. 223 del
2006, come convertito, per le stesse ragioni di cui al punto precedente,
emerge, secondo
6. - Il ricorso della Regione
Valle d'Aosta lamenta la violazione degli artt. 3 e 117 Cost.,
nonché dell'art. 2, comma 1, lettere a) e b), dello statuto della Regione Valle
d'Aosta di cui alla legge costituzionale 26 gennaio 1948, n. 4 (Statuto
regionale per
Osserva preliminarmente
6.1. - Con il primo motivo di
ricorso,
Secondo
Data, dunque, la palese contraddittorietà tra il fine che l'art. 13 del decreto legge n. 223 del 2006 si propone di perseguire (la tutela della concorrenza) ed i risultati cui esso approda, la norma impugnata viene ad incidere sine titulo in un ambito di competenza normativa che risulta assegnato alla Regione Valle d'Aosta sia dalle previsioni di cui all'art. 2, comma 1, lettera a) e b), dello statuto speciale (che rimettono alla potestà legislativa regionale, rispettivamente, le materie «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale» e «ordinamento de gli enti locali e delle relative circoscrizioni»), sia dal combinato disposto dei commi secondo e quarto dell'art. 117 Cost., a norma dei quali spetta alla potestà legislativa statale soltanto la disciplina dell'«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato».
6.2. - Un secondo motivo di ricorso assume che le norme recate dall'art. 13 del decreto-legge n. 223 del 2006, come convertito, violino i principi di proporzionalità e di leale collaborazione e, ancora, l'art. 117, secondo e quarto comma, Cost. e l'art. 2, comma 1, lettere a) e b), dello statuto speciale della Regione Valle d'Aosta.
Osserva
Secondo la ricorrente, l'invasione operata dalle norme contestate risulta del tutto sproporzionata rispetto alle modalità attraverso cui viene perseguita la finalità di tutela della concorrenza. La normativa statale censurata, infatti, sacrifica integralmente la competenza regionale a legiferare sulle società costituite o partecipate dalla Regione o dagli enti locali, non lasciando alcuno spazio per l'intervento regolativo della Regione. La violazione del principio di proporzionalità deriverebbe anche da quella del principio di leale collaborazione: a fronte della compressione della competenza normativa in ambiti di loro spettanza, l'intervento legislativo statale non è stato preceduto da meccanismi e procedi menti che mettessero le Regioni in condizione di svolgere qualche forma di partecipazione e di offrire il loro contributo all'elaborazione della disciplina statale. Ciò vale tanto più, secondo la ricorrente, con riferimento alle Regioni ad autonomia speciale.
7. - In tutti i giudizi si è costituita,
per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello
Stato. Essa rileva, preliminarmente, che la legge di conversione n. 248 del
2006 del d.l. n. 223 del
Nel merito di tutti i ricorsi, l'Avvocatura generale dello Stato osserva che le disposizioni impugnate dalle Regioni sono finalizzate a garantire l'esercizio della libera concorrenza, talché esse rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela della concorrenza» (art. 117, comma secondo, lettera e, Cost.). Inoltre, la natura «trasversale» di tale competenza comporta la legittimità dell'intervento del legislatore statale anche su ambiti materiali astrattamente rientranti nella competenza legislativa regionale, sia concorrente sia residuale.
Quanto alla censura delle
Regioni circa il carattere puntuale e di dettaglio della disciplina contenuta
nell'art.
Quanto al ricorso della Regione siciliana, l'Avvocatura generale dello Stato eccepisce: la genericità e, quindi, l'inammissibilità della censura circa il mancato rispetto dei criteri di proporzionalità e adeguatezza; la conformità delle disposizioni impugnate ai principi comunitari in materia di appalti in house e di aiuti di Stato; l'insussistenza della violazione della competenza legislativa esclusiva della Regione in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti regionali», nonché di «servizi di prevalente interesse regionale» (artt. 14, lettera p, e 17, lettera i, dello stat utosiciliano); l'inammissibilità delle censure attinenti alla pretesa violazione dell'art. 3, sotto il profilo del principio di uguaglianza, e dell'art. 41 Cost., attesa la costante giurisprudenza della Corte, sia anteriore alla legge costituzionale n. 3 del 2001 (sentenze nn. 373 e 126 del 1997 e n. 29 del 1995), sia posteriore (sentenza n. 274 del 2003), per cui «le Regioni sono legittimate a denunciare la violazione di norme costituzionali, non relative al riparto di competenze con lo Stato, solo quando tale violazione comporti un'incisione, diretta o indiretta, delle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse»; incisione che, all'evidenza, nel caso di specie non ricorrerebbe affatto.
Quanto al ricorso della Regione
Friuli-Venezia Giulia, l'Avvocatura generale dello Stato eccepisce:
l'infondatezza delle censure fondate sulla supposta violazione della competenza
legislativa regionale, esclusiva o concorrente, in materia di organizzazione
della Regione e degli enti locali, di industria e di commercio; l'infondatezza
o l'inammissibilità delle censure che
8. - In prossimità dell'udienza, le Regioni ricorrenti hanno depositato memorie insistendo sui motivi del ricorso. L'Avvocatura generale dello Stato ha, a sua volta, depositato una memoria unica, ribadendo le precedenti argomentazioni.
Considerato in diritto
1. -
Le Regioni Veneto, siciliana,
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, con quattro distinti ricorsi, hanno
promosso numerose questioni di legittimità costituzionale in via principale del
decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge 4
agosto 2006, n. 248 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge
4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e
sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica,
nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale),
e, tra queste, dell'art. 13, per violazione dei seguenti parametri
costituzionali: art. 3 (tutte le ricorrenti), art. 41 (Regione siciliana e
Regione Friuli-Venezia Giulia), art. 97 (Regione Veneto), art. 114 (Regione
Veneto), art. 117 (Regione Veneto, Regione Friuli-Venezia Giulia, Regione Valle
d'Aosta), art. 118 (Regione Veneto), art. 119 (Regione Veneto e Regione
Friuli-Venezia Giulia) e art. 120 (Regione Veneto) della Costituzione, artt.
14, lettera p), e 17, lettera i), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946,
n. 455 (Approvazione dello Statuto regionale della Regione siciliana) (Regione
siciliana), artt. 4, n. 1, n. 1-bis e n. 6, 8 e 48 e seguenti della legg e costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) (Regione Friuli-Venezia Giulia),
art. 2, primo comma, lettere a) e b), della legge costituzionale 26 gennaio
1948, n. 4 (Statuto regionale per
L'articolo censurato impone alcune limitazioni alle società partecipate da Regioni ed enti locali per lo svolgimento di funzioni amministrative o attività strumentali alle stesse.
A norma del comma 1, al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società a capitale interamente pubblico o misto - costituite dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza - devono operare esclusivamente con gli enti costituenti ed affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti
A norma del comma 2, le predette società sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.
Il comma 3 detta una disciplina transitoria, per la cessazione delle attività non consentite.
Il comma 4 dispone per i contratti conclusi dopo l'entrata in vigore del decreto-legge, prevedendo la nullità dei contratti conclusi in violazione dei commi 1 e 2.
2. - Riservata a separate pronunce la decisione sulle altre disposizioni contenute nel decreto-legge n. 223 del 2006, sia nel testo originario sia in quello risultante dalle modifiche apportate in sede di conversione dalla legge n. 246 del 2006, vengono all'esame della presente pronuncia le questioni relative all'art. 13.
3. - I ricorsi pongono questioni analoghe; deve, quindi, essere disposta la riunione dei relativi giudizi ai fini di una trattazione unitaria e di un'unica decisione.
4. - Non sono ammissibili le questioni sollevate con riferimento agli artt. 114, 118, 119 e 120 Cost., perché non autonomamente argomentate, quindi generiche.
5. - Non sono ammissibili neanche le questioni sollevate con riferimento ai soli artt. 3 e 41 Cost. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, anche successiva alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), non sono ammissibili le censure prospettate dalle Regioni rispetto a parametri costituzionali diversi dalle norme che operano il riparto di competenze con lo Stato, qualora queste non si risolvano in lesioni delle competenze regionali stabilite dalla Costituzione (sentenze n. 190 del 2008 e, con particolare riferimento all'art. 41 Cost., n. 272 del 2005).
6. - Le censure sollevate dalla Regione Veneto con il ricorso n. 96 del 2006, proposto prima della conversione del decreto-legge, devono intendersi assorbite in quelle, di identico tenore, sollevate con il ricorso n. 103 del 2006.
7. - Successivamente alla proposizione dei ricorsi, i commi 3 e 4 dell'articolo impugnato sono stati modificati dall'art. 1, comma 720, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Le relative modifiche, pur incidendo sui termini di alcune delle censure formulate dalle ricorrenti, non sono tali da determinare la cessazione della materia del contendere.
8. - Le ulteriori questioni, sollevate dalle Regioni in ordine ad altri parametri costituzionali, non sono fondate.
8.1. - Dette questioni riguardano la lesione, da parte delle disposizioni impugnate, della potestà legislativa regionale in materia di organizzazione degli uffici regionali e degli enti locali, fondata sull'art. 117 Cost. e, per quanto riguarda le Regioni siciliana, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, sulle norme degli statuti speciali (artt. 14, lettera p) e 17, lettera i), del regio decreto legislativo n. 455 del 1946; artt. 4, n. 1, n. 1-bis e n. 6, 8 e 48 e seguenti, della legge costituzionale n. 1 del 1963; art. 2, comma 1, lettere a) e b), della legge costituzionale n. 4 del 1948).
Il parametro costituzionale e le norme statutarie comprendono l'organizzazione dei servizi regionali e i rapporti tra le Regioni e le società, attraverso le quali le Regioni stesse svolgono le loro funzioni. A norma dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, le disposizioni della stessa legge costituzionale, che prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite, si applicano anche alle Regioni a statuto speciale. Ora, mentre la potestà legislativa regionale disciplinata dall'art. 117, quarto comma, è sottoposta solo ai limiti dettati dal primo comma dello stesso articolo, la potestà legislativa delle Regioni a statuto speciale in materia di organizzazione delle società dipendenti, esercenti l'industria o i servizi, deve sottostare agli ulteriori e più severi limiti derivanti dagli artt. 14 e 17 dello statuto della Regione siciliana (rispettivamente, riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente e principi e interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato), dall'art. 4 dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia (principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, norme fondamentali delle riforme economico-sociali, interessi nazionali e delle altre regioni) e dall'art. 2 dello statuto della Regione Valle d'Aosta (principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica, interessi nazionali, norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica).
Di conseguenza, si può fare esclusivo riferimento all'art. 117 Cost., in quanto la potestà legislativa da esso conferita assicura una autonomia più ampia di quella prevista dagli statuti speciali. La questione può dunque essere affrontata in termini unitari.
8.2. - Va premesso che non è
idonea a escludere un'eventuale lesione della potestà legislativa regionale la
previsione contenuta nell'art. 1, comma 1-bis, del decreto-legge n.
8.3. - Le disposizioni impugnate definiscono il proprio ambito di applicazione non secondo il titolo giuridico in base al quale le società operano, ma in relazione all'oggetto sociale di queste ultime. Tali disposizioni sono fondate sulla distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività d'impresa di enti pubblici. L'una e l'altra possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse. Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza.
Le disposizioni impugnate mirano a separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione. Non è negata né limitata la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative, rimediando a una frequente commistione, che il legislatore statale ha reputato distorsiva della concorrenza.
Ciò premesso, occorre valutare sia l'oggetto della disciplina, sia la sua finalità.
8.4. - Dal primo punto di vista, le disposizioni in esame riguardano l'attività di società partecipate dalle Regioni e dagli enti locali. Si tratta di un oggetto che può rientrare nella materia dell'organizzazione amministrativa, di competenza legislativa regionale, o, al pari delle previsioni in materia di contratti, pure contenute nell'articolo impugnato, nella materia dell'«ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
L'ambito di tale ultima materia è stato precisato da questa Corte. Essa ha affermato che la potestà legislativa dello Stato comprende gli aspetti che ineriscono a rapporti di natura privatistica, per i quali sussista un'esigenza di uniformità a livello nazionale; che essa non è esclusa dalla presenza di aspetti di specialità rispetto alle previsioni codicistiche; che essa comprende la disciplina delle persone giuridiche di diritto privato; che in essa sono inclusi istituti caratterizzati da elementi di matrice pubblicistica, ma che conservano natura privatistica (sentenze nn. 159 e 51 del 2008, nn. 438 e 401 del 2007 e n. 29 del 2006).
La disciplina censurata non rientra nella materia dell'organizzazione amministrativa perché non è rivolta a regolare una forma di svolgimento dell'attività amministrativa. Essa rientra, invece, nella materia - definita prevalentemente in base all'oggetto - «ordinamento civile», perché mira a definire il regime giuridico di soggetti di diritto privato e a tracciare il confine tra attività amministrativa e attività di persone giuridiche private.
8.5. - Dal secondo punto di vista, le disposizioni impugnate hanno il dichiarato scopo di tutelare la concorrenza.
Questa Corte ha così delimitato la «tutela della concorrenza»: la titolarità della relativa potestà legislativa consente allo Stato di adottare misure di garanzia del mantenimento di mercati già concorrenziali e misure di liberalizzazione dei mercati stessi; queste misure possono anche essere volte a evitare che un operatore estenda la propria posizione dominante in altri mercati; l'intervento statale può consistere nell'emanazione di una disciplina analitica, la quale può influire su materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni; spetta alla Corte effettuare un rigoroso scrutinio delle relative norme statali, volto ad accertare se l'intervento normativo sia coerente con i principi della concorrenza, e se esso sia proporzionato rispetto a questo fine (sentenze nn. 63 e 51 del 2008 e nn. 421, 401, 303 e 38 del 2007).
L'obiettivo delle disposizioni impugnate è quello di evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali. Dunque, la disciplina delle società con partecipazione pubblica dettata dalla norma statale è rivolta ad impedire che dette società costituiscano fattori di distorsione della concorrenza. Essa rientra, quindi, nella materia - definita prevalentemente in base al fine - della «tutela della concorrenza».
8.6. - Si può riassuntivamente affermare che le disposizioni impugnate sono riconducibili alla competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile, in quanto volte a definire i confini tra l'attività amministrativa e l'attività d'impresa, soggetta alle regole del mercato, e alla competenza legislativa esclusiva in materia di tutela della concorrenza, in quanto volte a eliminare distorsioni della concorrenza stessa.
8.7. - Ai fini della riconducibilità della disciplina contestata alla tutela della concorrenza, resta da valutare, indipendentemente da valutazioni di merito sul suo contenuto, la proporzionalità di tale disciplina e, quindi, la sua idoneità a perseguire finalità inerenti alla tutela della concorrenza (sentenze nn. 452 e 401 del 2007). Questo scrutinio va operato distintamente per le varie previsioni dell'articolo impugnato.
Vengono in considerazione, in primo luogo, quelle che impediscono alle società in questione di operare per soggetti diversi dagli enti territoriali soci o affidanti, imponendo di fatto una separazione societaria, e obbligandole ad avere un oggetto sociale esclusivo. Esse mirano ad assicurare la parità nella competizione, che potrebbe essere alterata dall'accesso di soggetti con posizioni di privilegio in determinati mercati. Da questo punto di vista, esse non appaiono irragionevoli, né sproporzionate rispetto alle esigenze indicate.
Va valutato, in secondo luogo, il divieto di detenere partecipazioni in altre società o enti. Esso è complementare rispetto alle altre disposizioni considerate. É volto, infatti, a evitare che le società in questione svolgano indirettamente, attraverso proprie partecipazioni o articolazioni, le attività loro precluse. La disposizione impugnata vieta loro non di detenere qualsiasi partecipazione o di aderire a qualsiasi ente, ma solo di detenere partecipazioni in società o enti che operino in settori preclusi alle società stesse. Intesa in questi termini, la norma appare proporzionata rispetto al fine di tutela della concorrenza.
Infine, le ulteriori disposizioni, che dettano una disciplina transitoria e dispongono in ordine ai contratti conclusi successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge, costituiscono sanzione e complemento delle disposizioni finora considerate e, a loro volta, regolano non irragionevolmente la fase di adeguamento alla nuova disciplina da parte delle società destinatarie di essa.
per questi motivi
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale», convertito, c on modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sollevata dalle Regioni Veneto, siciliana, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con i ricorsi in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale della stessa norma sollevata dalle Regioni siciliana e Friuli-Venezia Giulia, in riferimento all'art. 41 Cost., con i ricorsi in epigrafe;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale della stessa norma sollevata dalle Regioni Veneto e Friuli-Venezia Gi ulia, in riferimento all'art. 119 Cost., con i ricorsi in epigrafe;
4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale della stessa norma sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 114, 118 e 120 Cost., con i ricorsi in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, sollevata dalle Regioni Veneto, siciliana, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, con i ricorsi in epigrafe, con riferimento all'art. 117 Cost.; agli artt. 14, lettera p), e 17, lettera i), dello statuto della Regione siciliana; agli artt. 4, n. 1, n. 1-bis e n. 6, 8 e 48 e seguenti dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia; e all'art. 2, comma 1, lettere a) e b), dello statuto della Regione Valle d'Aosta.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 luglio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'1 agosto 2008.