SENTENZA N. 151
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 23 luglio 2003 (doc. IV-quater, n. 14) relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore Raffaele Jannuzzi nei confronti del dott. Gian Carlo Caselli e altri, promosso con ricorso del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, notificato il 18 novembre 2005, depositato in cancelleria il 2 dicembre 2005 ed iscritto al n. 42 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di merito.
Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;
udito nell’udienza pubblica del 20 marzo 2007 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
udito l’avvocato Carlo Cester per il Senato della Repubblica.
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 14 febbraio 2005 pervenuta a questa Corte il 2 dicembre 2005, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in ordine alla delibera del Senato della Repubblica, approvata in data 23 luglio 2003 (doc. IV-quater, n. 14), con la quale si è affermato che i fatti per i quali è in corso un procedimento penale a carico del senatore Raffaele Jannuzzi per il reato di diffamazione a mezzo stampa costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle proprie funzioni, e sono pertanto insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
Il giudice premette di procedere penalmente nei confronti del senatore Iannuzzi in relazione al reato di cui agli artt. 595 del codice penale, 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), 61, numero 10 e 99, quarto comma, del cod. pen., perché, quale autore dell’articolo pubblicato sul settimanale “Panorama”, del 22 novembre 2001, dal titolo «Pressione bassa e udienze infinite», lo stesso avrebbe offeso la reputazione del dottor Giancarlo Caselli, all’epoca Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, del dottor Guido Lo Forte, Procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Palermo, del dottor Roberto Scarpinato, Procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Palermo e del dottor Gioacchino Natoli, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, divulgando la tesi secondo cui il processo al senatore Giulio Andreotti, sarebbe stato promosso da tali magistrati dell’ufficio del pubblico ministero, per finalità politiche.
Il giudice ricorrente dà conto, altresì, che un ulteriore capo di imputazione basato sulle medesime norme incriminatrici sopra indicate è formulato in relazione all’articolo pubblicato sul numero del 29 novembre 2001 del suddetto settimanale, e intitolato «Il pentito? Ai pm piace double face», con il quale l’imputato avrebbe offeso la reputazione dei medesimi magistrati Caselli, Lo Forte, Natoli, e del dottor Antonio Ingroia, Sostituto Procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Palermo, affermando che costoro avrebbero commesso abusi e illegalità nella gestione dei collaboratori di giustizia.
Il ricorrente aggiunge che le persone offese hanno proposto querela nei confronti del senatore, nonché del direttore pro-tempore del settimanale Panorama, ritenendo diffamatorie le dichiarazioni riportate in entrambi gli articoli, e che, a séguito della lettera in data 25 marzo 2003 con cui il senatore aveva sottoposto al Senato la questione della applicabilità dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, in relazione ai fatti oggetto dei procedimenti penali a suo carico, il Senato, con la deliberazione del 23 luglio 2003, accogliendo la conforme proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, ha stabilito che le opinioni espresse nei suddetti articoli di stampa sono coperte dalla insindacabilità, in quanto espresse nell'esercizio della funzione parlamentare.
Successivamente a tale deliberazione, prosegue il giudice, il pubblico ministero ha formulato richiesta di archiviazione dei procedimenti in questione.
All’esito dell’udienza fissata ai sensi dell’art. 409 del codice di procedura penale, il ricorrente ritiene di dover sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in relazione alla citata delibera di insindacabilità del Senato.
Il Giudice per le indagini preliminari, affermata la ammissibilità del conflitto, sostiene che tale delibera del Senato si porrebbe in contrasto con la costante giurisprudenza costituzionale, in base alla quale, ai fini del riconoscimento della insindacabilità delle opinioni espresse da un membro del Parlamento, è necessaria la sussistenza del nesso funzionale tra tali opinioni e la funzione parlamentare, nesso che si riscontra allorché sussista una sostanziale identità di contenuto fra l’opinione manifestata in sede parlamentare e quella espressa nella sede esterna.
In particolare, la delibera del Senato censurata colliderebbe con tale giurisprudenza, dal momento che non esisterebbe alcun elemento da cui desumere la sussistenza di una corrispondenza sostanziale tra gli articoli di stampa oggetto delle querele e le opinioni espresse dal senatore Jannuzzi in specifici atti parlamentari; pertanto, mancando ogni nesso con le funzioni parlamentari, la condotta del senatore non sarebbe coperta dall’immunità di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione e dovrebbe, quindi, rientrare nella cognizione riservata al sindacato giurisdizionale.
Conseguentemente, il Giudice per le indagini preliminari solleva conflitto di attribuzione e chiede a questa Corte sia di dichiarare «che non spettava al Senato della Repubblica la valutazione della condotta addebitabile al senatore Jannuzzi Raffaele, in quanto estranea alla previsione di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione », sia di annullare la delibera del Senato.
2. – Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con l’ordinanza n. 416 del 2005 di questa Corte, depositata il 3 novembre 2005.
3. – Il ricorrente ha provveduto a notificare tale ordinanza ed il ricorso introduttivo al Senato della Repubblica il 18 novembre, e li ha depositati presso la cancelleria di questa Corte il 2 dicembre 2005.
4. – Con atto depositato il 6 dicembre 2005 si è costituito in giudizio il Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, chiedendo che questa Corte affermi la spettanza al Senato del potere di dichiarare insindacabili le opinioni espresse dal senatore Iannuzzi, e che, in ogni caso, ritenga le opinioni stesse insindacabili.
La difesa del Senato ripercorre l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in punto di insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare, sottolineando che la Corte è chiamata a svolgere «una funzione di garanzia sia dell’autonomia della Camera di appartenenza del parlamentare, sia della sfera di attribuzione dell’autorità giurisdizionale».
In quest’ottica, sarebbe necessario rifuggire da «una definizione stringente del concetto di nesso funzionale, preferendo verificarne la ricorrenza caso per caso», «poiché è caratteristica tipica dell’attività di bilanciamento […] l’intrinseca dinamicità, ovvero la capacità di adattare i termini della ponderazione alle modificazioni sociali, culturali e politiche eventualmente implicate».
Su questo terreno, la difesa del Senato auspica un «salto interpretativo» della giurisprudenza costituzionale, volto a ritenere sussistente il nesso funzionale «in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino, illustrando la propria posizione».
Ciò, «alla luce dell’evoluzione che ha subito la figura del politico-giornalista, e più in generale l’attività politica tout court», per la quale l’attività di giornalista andrebbe stimata «come parte della più ampia attività […] di politico ed espressione, per quanto atipica, del relativo ruolo istituzionale».
In questo senso, deporrebbe anche l’art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), che, nel dichiarare applicabile l’art. 68 della Costituzione ad ogni attività di denuncia politica connessa alla funzione di parlamentare, avrebbe recepito la esigenza di adeguare la garanzia dell’insindacabilità «alle nuove caratteristiche assunte dallo svolgimento di attività politica».
5. – In prossimità dell’udienza pubblica, il Senato della Repubblica ha depositato memoria, con la quale ha riprodotto testualmente sia le argomentazioni già svolte nell’atto di costituzione, sia le conclusioni ivi formulate.
Considerato in diritto
1. – Il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal giudice per le indagini preliminari ricorrente pone il quesito se spettava al Senato della Repubblica deliberare, nella seduta del 23 luglio 2003 (documento IV-quater, n. 14), che i fatti per i quali è in corso il procedimento penale nei confronti del senatore Raffeale Iannuzzi, al quale è contestato il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa in danno di alcuni magistrati di Palermo, riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, come tali insindacabili ai sensi del primo comma dell’art. 68 della Costituzione.
In particolare, il senatore avrebbe diffamato, quale autore dell’articolo pubblicato sul settimanale “Panorama”, del 22 novembre 2001, dal titolo «Pressione bassa e udienze infinite», il dottor Giancarlo Caselli, all’epoca Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, il dottor Guido Lo Forte, Procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Palermo, il dottor Roberto Scarpinato, Procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Palermo e il dottor Gioacchino Natoli, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, divulgando la tesi secondo cui il processo al senatore Giulio Andreotti sarebbe stato promosso da tali magistrati dell’ufficio del pubblico ministero, per finalità politiche.
Parimenti, egli avrebbe diffamato, tramite l’articolo pubblicato sul numero del 29 novembre 2001 del suddetto settimanale, e intitolato «Il pentito? Ai pm piace double face», i medesimi magistrati Caselli, Lo Forte, Natoli, e il dottor Antonio Ingroia, Sostituto Procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Palermo, affermando che costoro avrebbero commesso abusi e illegalità nella gestione dei collaboratori di giustizia.
Il giudice ricorrente ritiene insussistenti i presupposti dell’insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione, mancando il nesso funzionale con alcun atto parlamentare del senatore avente ad oggetto i fatti di cui alla dichiarazione.
2. – Deve preliminarmente essere ribadita l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come già ritenuto da questa Corte con l’ordinanza n. 416 del 2005.
3. – Nel merito, il ricorso è fondato.
Al fine di verificare la sussistenza del cosiddetto “nesso funzionale”, alla quale è subordinata la prerogativa dell’insindacabilità prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione, questa Corte è chiamata ad accertare se le affermazioni oggetto del procedimento penale a carico del senatore si ricolleghino ad attività proprie del parlamentare e a discernere le opinioni riconducibili alla libera manifestazione del pensiero, garantita ad ogni cittadino nei limiti generali della libertà di espressione, da quelle che riguardano l’esercizio della funzione parlamentare (tra le molte, sentenze n. 65 del 2007, n. 246 del 2004, n. 11 e n. 10 del 2000).
Non può pertanto essere condivisa la tesi sviluppata dalla difesa del Senato della Repubblica, per la quale il «mandato elettorale si esplica in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino» tramite i “mezzi di informazione”, in particolare esercitando l’attività di giornalista.
Questa Corte, al contrario, ribadisce la piena sindacabilità di dichiarazioni che non costituiscono la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell’esercizio delle proprie attribuzioni e, quindi, il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto, a garanzia delle prerogative delle Camere, dall’insindacabilità), ma che rappresentano una ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell’esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dalla Costituzione (sentenze n. 96 del 2007 e n. 260 del 2006).
L’operatività di tale principio non è suscettibile di essere condizionata in relazione alla attività giornalistica, ove i limiti costituzionalmente ammissibili all’esercizio del diritto di cronaca e del diritto di critica debbono essere oggettivamente definiti e non possono invece dipendere dallo status di colui che li esercita.
Né possono essere tratti argomenti contrari, dall’art. 3 della L. 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), poiché già con la sentenza n. 120 del 2004 questa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale di tale norma, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 68, primo comma, e 117 della Costituzione, escludendo che essa abbia ampliato l’ambito dell’immunità garantita ai parlamentari dall’art. 68, primo comma, della Costituzione, quale risultava dalla propria giurisprudenza (si veda anche la sentenza n. 347 del 2004).
Ora, il solo atto espressivo della funzione parlamentare che viene menzionato nella relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato (doc. IV-quater, n. 14) è l’interrogazione presentata dal senatore Milio al Ministro della Giustizia in data 4 novembre 1999, concernente le «tante vicende processuali iniziate dalla Procura della Repubblica di Palermo nell’ultimo decennio».
Tale atto, quale che ne sia il contenuto, non può tuttavia essere invocato a favore del senatore imputato, poiché proviene da altro parlamentare (tra le molte, sentenze n. 452 del 2006, n. 146 del 2005 e n. 347 del 2004).
In difetto di ulteriori elementi, si deve escludere che le dichiarazioni oggetto del procedimento penale a carico del senatore Iannuzzi siano assistite dalla garanzia dell’insindacabilità prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione, sicché, così ritenendo, il Senato della Repubblica ha menomato le attribuzioni costituzionali del giudice ricorrente.
La relativa delibera di insindacabilità deve pertanto essere annullata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spettava al Senato della Repubblica deliberare che i fatti per i quali è in corso il procedimento penale nei confronti del senatore Raffaele Iannuzzi, di cui al ricorso in epigrafe, riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi del primo comma dell’art. 68 della Costituzione;
annulla, per l'effetto, la deliberazione di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 23 luglio 2003 (documento IV-quater, n. 14).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2007.