SENTENZA N. 96
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 6 febbraio 2003, relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore Raffaele Jannuzzi nei confronti della dottoressa Ilda Boccassini, promosso con ricorso del Tribunale di Napoli, sezione prima civile, notificato il 7 dicembre 2004, depositato in cancelleria il 20 dicembre 2004 ed iscritto al n. 32 del registro conflitti 2004.
Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;
udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2006 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
udito l’avvocato Giovanni Pitruzzella per il Senato della Repubblica.
Ritenuto in fatto1. – Con ricorso del 13 ottobre 2003 (pervenuto alla Corte costituzionale il successivo 3 dicembre), il Tribunale di Napoli, sezione prima civile, ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla delibera adottata il 6 febbraio 2003 (documento IV-quater, n. 9), con la quale, in conformità alla proposta della Giunta delle Elezioni e delle Immunità Parlamentari, approvata, a maggioranza, il 16 ottobre 2002, è stato dichiarato che i fatti oggetto del processo civile, pendente innanzi allo stesso Tribunale, promosso dalla dottoressa Ilda Boccassini nei confronti del senatore Raffaele (detto Lino) Jannuzzi, concernono opinioni espresse da quest’ultimo nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari e sono, quindi, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
Il Tribunale ricorrente ha premesso che, nel predetto giudizio civile, la dottoressa Boccassini, sostituto procuratore della Repubblica di Milano, aveva chiesto (oltre che al citato parlamentare, anche alla Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. e a Carlo Rossella, direttore della rivista settimanale «Panorama») il risarcimento dei danni subiti a seguito della pubblicazione nel settimanale di due articoli a firma Jannuzzi, ritenendoli diffamatori e gravemente lesivi della sua immagine e reputazione di magistrato. Il primo articolo (nel numero della rivista del 20 dicembre 2001), intitolato «Il gioco dei quattro congiurati» e recante il sottotitolo «Un summit a Lugano tra pm italiani, svizzeri e spagnoli. Obiettivo: come incastrare Berlusconi», conteneva una foto riproducente la dottoressa Boccassini e la dottoressa Carla Del Ponte e nel corpo del testo riferiva che in un albergo di Lugano, nel corso della settimana precedente, avevano avuto un incontro la dottoressa Boccassini, la dottoressa Paciotti, parlamentare europeo, la dottoressa Del Ponte e il dottor Castresana, procuratore capo della Procura della Repubblica di Madrid, aggiungendo che «è scontato che i quattro di Lugano collaborano per trovare il modo di arrestare Berlusconi». Nel secondo articolo (nel numero successivo del settimanale), a seguito delle smentite dell’incontro, il senatore Jannuzzi affermava che l’incontro di Lugano era solo un dettaglio perché comunque esiste in Europa «una lobby giudiziaria per incastrare Berlusconi».
Ha precisato il Tribunale che il senatore aveva prodotto la delibera del Senato del 6 febbraio 2003, relativa alla insindacabilità delle opinioni da lui espresse, chiedendo lo stralcio della propria posizione, e che l’attrice invocava invece una pronuncia di merito anche nei confronti dello stesso senatore, sostenendo che, pur in presenza della delibera, il giudice potrebbe ritenere non sussistenti i presupposti per l’applicabilità dell’art. 68, primo comma, Cost., salvo il potere del Senato di sollevare conflitto dinanzi alla Corte costituzionale.
Si legge nell’atto introduttivo del giudizio che costituisce ius receptum (sentenze della Corte Costituzionale n. 375 del 1997 e della Cassazione, Sezioni unite civili, n. 153 del 1999) il principio secondo cui, in presenza della pronuncia del Parlamento in ordine all’insindacabilità, il giudice può solo adeguarsi o sollevare conflitto qualora ravvisi dei vizi nell’esercizio del potere.
Ciò posto, il Tribunale ha sostenuto che il Senato avrebbe erroneamente valutato le condizioni e i presupposti richiesti dall’art. 68, primo comma, Cost., così menomando le attribuzioni dell’autorità giudiziaria. In particolare, ha precisato che, nel caso di specie, oltre a non sussistere alcun atto tipico della funzione parlamentare, mancava il collegamento funzionale con la relativa attività, pur alla luce dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003, che ha accolto una concezione non restrittiva del nesso funzionale, estendendo l’applicabilità della prerogativa ad atti di divulgazione, di critica e di denuncia politica compiuti anche fuori dal Parlamento. Infatti, ha aggiunto il Tribunale, le dichiarazioni in questione erano state rese dal senatore Jannuzzi nell’esercizio dell’attività di giornalista da lui svolta per la rivista “Panorama”, e senza che le stesse avessero alcun legame con la sua funzione parlamentare. In tale qualità, egli aveva fornito la notizia del summit di Lugano, e non si era limitato a riportare la sua opinione, con la conseguenza che non avrebbe potuto sottrarsi alla verifica della verità o meno della notizia fornita. Né il Senato avrebbe potuto esprimere un giudizio di insindacabilità, attinente all’interpretazione e non alla narrazione fattuale di una vicenda.
Quanto, poi, all’innesto, sulla notizia, di un discorso valutativo – contenuto sempre nell’articolo – sul “mandato di cattura internazionale” (recte: mandato di arresto europeo), non è dato comprendere, ha precisato il Tribunale, il collegamento tra il dibattito politico su detto istituto e l’accusa rivolta dal senatore ai predetti pubblici ministeri di essersi riuniti al fine di «congiurare per incastrare l’Onorevole Berlusconi», così come non è dato sapere quale attività parlamentare prodromica o coeva avesse svolto il senatore per sostenere la tesi contraria all’introduzione del mandato di cattura internazionale.
Per tali ragioni, il Tribunale ha chiesto l’annullamento della citata delibera del Senato, disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio nei confronti delle altre parti.
2. – Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza di questa Corte n. 356 del 2004, depositata il 25 novembre 2004.
Il Tribunale di Roma ha provveduto a notificare tale ordinanza, unitamente all’atto introduttivo del giudizio innanzi a questa Corte, al Senato della Repubblica, in data 7 dicembre 2004, e li ha, quindi, depositati il 9 dicembre 2004.
3. – Si è costituito in giudizio, con memoria depositata il 22 dicembre 2004, il Senato della Repubblica, che ha chiesto che la Corte affermi che spettava allo stesso Senato il potere di dichiarare la insindacabilità delle opinioni espresse dal senatore Jannuzzi.
Si rileva nella memoria che la definizione e la identificazione della effettiva ricorrenza del nesso funzionale tra le opinioni espresse e la funzione parlamentare, ai fini della valutazione della operatività della garanzia costituzionale di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione, va, nel tempo, adeguata alle eventualmente mutate condizioni politico-sociali e culturali. In tale processo evolutivo, l’attività di parlamentare e giornalistica andrebbe considerata ormai come parte della più ampia funzione di politico, ed espressione del relativo ruolo istituzionale. Ciò in quanto il mandato parlamentare si esplicherebbe in tutte le occasioni in cui il deputato o il senatore raggiunga il cittadino, illustrando la propria posizione, anche quando ciò avvenga al di fuori dei luoghi deputati all’attività legislativa in senso stretto, estrinsecandosi, quindi, anche attraverso i mezzi di informazione.
In definitiva, sarebbe, secondo la difesa del Senato, inaccettabile che siano ritenute censurabili le opinioni espresse da un parlamentare, volte a sostenere pubblicamente le ragioni della corrente politica di appartenenza, in special modo se già espresse e ribadite in sede parlamentare.
In un quadro siffatto, la circostanza che il senatore Jannuzzi avesse firmato gli articoli di cui si tratta evidenzierebbe l’intento di connotarli come strumento di divulgazione politica di opinioni maturate in merito alla introduzione nell’ordinamento processualpenalistico del mandato di cattura internazionale. Tali opinioni erano state espresse attraverso la critica dell’atteggiamento assunto sul punto da alcuni esponenti politici dell’opposizione, con particolare riferimento alle contestazioni sollevate da costoro nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri dell’epoca, surrettiziamente inferendo la sussistenza di un nesso fra la disapprovazione giuridica e politica dell’istituto e le vicissitudini politiche dell’onorevole Berlusconi.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Napoli, sezione prima civile, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione adottata dall’Assemblea il 6 febbraio 2003 (documento IV-quater, n. 9), con la quale è stato dichiarato, in conformità alla proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, adottata a maggioranza, che i fatti per i quali è in corso il processo civile per risarcimento dei danni promosso nei confronti del senatore Raffaele (detto Lino) Jannuzzi dalla dottoressa Ilda Boccassini, concernono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, e sono, quindi, insindacabili, a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
2. – Deve, preliminarmente, essere ribadita l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come già ritenuto da questa Corte con l’ordinanza n. 356 del 2004.3. – Nel merito, il ricorso è fondato.
Va, al riguardo, richiamata la giurisprudenza costituzionale che ha, anche di recente, ribadito che, per la esistenza di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un deputato o senatore e l’espletamento delle sue funzioni, è necessario che tali dichiarazioni siano identificabili come espressione dell’esercizio di attività parlamentari. Peraltro, il «contesto politico» o comunque l’inerenza a temi di rilievo generale dibattuti in Parlamento, entro cui le dichiarazioni del parlamentare si possano collocare, non vale in sé a connotarle quali espressive della relativa funzione, ove esse, non costituendo la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell’esercizio delle proprie attribuzioni, siano non già il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto, a garanzia delle prerogative delle Camere, dall’insindacabilità), ma una ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell’esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall’art. 21 della Costituzione (sentenze n. 317 e n. 260 del 2006).
Nella specie, risulta completamente carente il requisito della sostanziale corrispondenza di significato tra opinioni espresse nell’esercizio di funzioni parlamentari e atti esterni – richiesto per la configurabilità di siffatto nesso dalla giurisprudenza costituzionale, la quale ha precisato che non sono sufficienti allo scopo né una mera comunanza di argomenti né un mero contesto politico cui esse possano riferirsi (sentenza n. 317 del 2006, già citata, e, in precedenza, sentenze n. 258 del 2006, n. 176 e n. 28 del 2005).
Infatti, la difesa del Senato non ha individuato un atto tipico riconducibile al senatore, tale da costituire il presupposto delle dichiarazioni da lui rese extra moenia in articoli giornalistici, e si limita a fare riferimento genericamente ad opinioni maturate, nell’ambito della sua corrente politica di appartenenza, in merito alla introduzione nell’ordinamento processualpenalistico del mandato di arresto europeo, senza considerare che oggetto del procedimento civile di risarcimento danni dal quale ha avuto origine il presente conflitto sono essenzialmente le accuse, rivolte dal senatore attraverso gli articoli di stampa in questione, alla dottoressa Boccassini (ed agli altri magistrati sopra menzionati) di essersi riuniti al fine di trovare il modo di «incastrare l’Onorevole Berlusconi». A fronte di tale accusa, l’aspetto valutativo dell’istituto del «mandato di cattura internazionale» acquista un rilievo solo marginale, certamente inidoneo a configurare un nesso tra l’esercizio delle funzioni parlamentari del senatore Iannuzzi e le dichiarazioni di cui si tratta.
In definitiva, fa difetto il nesso causale tra le dichiarazioni rese all’esterno del Parlamento dal senatore e l’esercizio delle sue funzioni di membro del Parlamento.
Deve, pertanto, concludersi che le predette dichiarazioni non rientrano nell’esercizio della funzione parlamentare e non sono garantite dall’insindacabilità. Conseguentemente, l’impugnata delibera del Senato della Repubblica ha violato l’art. 68, primo comma, della Costituzione, ledendo le attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente, e deve, quindi, essere annullata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spettava al Senato della Repubblica deliberare che le dichiarazioni rese dal senatore Raffaele (detto Lino) Jannuzzi, per le quali pende dinanzi al Tribunale di Napoli, sezione prima civile, il giudizio di cui al ricorso indicato in epigrafe, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
annulla, per l’effetto, la delibera di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica il 6 febbraio 2003 (documento IV-quater, n. 9).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2007.