Sentenza n. 258 del 2006

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SENTENZA N. 258

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Annibale                               MARINI                            Presidente

- Franco                                  BILE                                     Giudice

- Giovanni Maria                    FLICK                                        "

- Francesco                             AMIRANTE                               "

- Ugo                                      DE SIERVO                               "

- Romano                                VACCARELLA                        "

- Paolo                                    MADDALENA                          "

- Alfio                                     FINOCCHIARO                        "

- Alfonso                                QUARANTA                             "

- Franco                                  GALLO                                      "

- Luigi                                     MAZZELLA                              "

- Gaetano                                SILVESTRI                                "

- Sabino                                  CASSESE                                   "

- Maria Rita                            SAULLE                                    "

- Giuseppe                              TESAURO                                 "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorti a seguito della delibera del Senato della Repubblica del 28 maggio 2003, relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal senatore Rocco Loreto nei confronti del dott. Matteo Di Giorgio, promossi con n. 2 ricorsi del Tribunale di Potenza – Sezione civile e con ricorso del Tribunale di Potenza – sezione del Giudice dell’udienza preliminare, notificati il 15, 16 e 22 novembre 2004, depositati in cancelleria il 3 e 7 dicembre 2004 ed iscritti, rispettivamente, ai numeri 26, 27 e 28 del registro conflitti 2004.

Visti gli atti di costituzione del Senato della Repubblica;

udito nell’udienza pubblica del 16 maggio 2006 il Giudice relatore Sabino Cassese;

udito l’avvocato Beniamino Caravita di Toritto per il Senato della Repubblica.

Ritenuto in fatto

1. – Con tre distinti ricorsi (r. confl. n. 26, n. 27 e n. 28 del 2004), il Tribunale di Potenza ha sollevato altrettanti conflitti di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione del 28 maggio 2003 con la quale è stata dichiarata – ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione – l’insindacabilità delle dichiarazioni dell’ex senatore Rocco Loreto; dichiarazioni da cui hanno preso origine due giudizi civili e un giudizio penale.

1.1. – Nel primo ricorso (r. confl. n. 26), il Tribunale, in funzione di giudice monocratico civile, riferisce che il dottor Matteo Di Giorgio, magistrato con funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, aveva formulato istanza di sequestro conservativo dei beni rientranti nel patrimonio del sen. Rocco Loreto in vista di una successiva azione per il risarcimento del danno. A sostegno della domanda, il dott. Di Giorgio affermava di avere svolto, all’inizio dell’anno 2000, indagini penali a carico del sen. Loreto, all’epoca Sindaco del Comune di Castellaneta e Senatore della Repubblica, e che da quel momento l’indagato aveva posto in essere una serie di attività dirette a screditarlo, consistenti:

a) nell’averlo definito, nel corso di un comizio tenuto il 7 aprile del 2000, «capocantiere», attribuendogli, altresì, il fatto di aver «reclutato nel suo ufficio e nella sua abitazione alcuni che stanno dando i numeri», e di essere «arruolato nelle file di Forza Italia», aggiungendo che c’è un «miscuglio tra magistratura, polizia giudiziaria e la sezione di Forza Italia»;

b) in due dichiarazioni del 12 e 13 settembre, rese rispettivamente ad una testata giornalistica televisiva nazionale e ad una locale: nella prima, l’attività di indagine era definita «una vendetta giudiziaria annunciata»; nella seconda, si affermava che il dott. Di Giorgio indossava indegnamente la toga, accusandolo di avere parenti e amici nella ASL di Taranto, di essere legato ad un esponente di Forza Italia, di essere autore di «un complotto, mirato a far fuori dalla scena politica esponenti del centro sinistra», programmato con il sindaco di Palagiano, dalla cui casa, secondo un filmato, usciva «furtivamente»;

c) in dichiarazioni rilasciate il 13 e il 14 dello stesso mese a più quotidiani, con le quali si qualificavano «autentiche cazzate» gli arresti e gli avvisi di garanzia posti in essere dal dott. Di Giorgio e si attribuiva all’azione investigativa l’obiettivo di delegittimare il sen. Loreto nel momento della scelta delle candidature per le imminenti elezioni amministrative, riferendosi di voci in ordine ad una possibile candidatura dello stesso magistrato;

d) nell’aver dichiarato, nel corso di un comizio tenuto il 22 ottobre, che il magistrato era indagato presso il Tribunale di Potenza e che nessuno ne aveva chiesto le dimissioni;

e) nella presentazione di un esposto del successivo 26, indirizzato, fra l’altro, al Consiglio superiore della magistratura, in cui si sollecitava la promozione dell’azione disciplinare a carico del Di Giorgio.

In corso di causa, aggiunge il Tribunale, il sen. Loreto eccepiva che le sue dichiarazioni erano state rese nell’esercizio delle funzioni parlamentari e il Senato della Repubblica, conformemente alle motivazioni contenute nella relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, ne deliberava l’insindacabilità.

Tanto premesso, il ricorrente sostiene che dal confronto tra le interrogazioni parlamentari richiamate nella deliberazione del Senato e le dichiarazioni ritenute offensive risulterebbe solo una mera e generica comunanza di tematiche, che non giustificherebbe l’insindacabilità in base ai principi enunciati dalla Corte costituzionale riguardo all’attività di divulgazione di atti parlamentari. Pertanto, ritenuta la sussistenza della lesione della sfera di attribuzioni dell’autorità giudiziaria, chiede che, affermata la non spettanza al Senato della Repubblica del potere di dichiarare l’insindacabilità delle opinioni espresse dall’ex senatore Loreto, sia annullata la deliberazione del 28 maggio 2003.

1.2. – Con il secondo ricorso (r. confl. n. 27), lo stesso giudice ha sollevato analogo conflitto nei confronti della suddetta delibera, nell’ambito di due successivi giudizi civili, riuniti, introdotti dal dott. Di Giorgio. Il primo concernente l’azione di merito per ottenere la condanna del sen. Loreto al risarcimento dei danni posti alla base del ricorso per sequestro conservativo di cui al conflitto di attribuzione che precede. Il secondo avente ad oggetto, in via principale, l’accertamento della simulazione delle donazioni di beni immobili effettuate dal sen. Loreto a favore della moglie e da questa a favore dei figli e, in via subordinata, la dichiarazione di inefficacia nei propri confronti, ex art. 2901 del codice civile, dei suddetti atti.

Il giudice ricorrente precisa che il sen. Loreto aveva eccepito l’improcedibilità delle azioni per effetto della deliberazione senatoriale del 28 maggio 2003. Ritiene che tale delibera precluda ogni accertamento relativo alla illiceità del comportamento del sen. Loreto, argomentando in ordine alla stretta connessione tra l’azione cautelare, di cui al primo conflitto, e quelle successivamente proposte.

1.3. – Con il terzo ricorso (r. confl. n. 28), il Tribunale di Potenza, in funzione di Giudice per l’udienza preliminare, ha promosso conflitto di attribuzione avverso la stessa delibera, nell’ambito di un procedimento penale a carico del sen. Loreto. Riferisce che il Pubblico Ministero aveva chiesto il rinvio a giudizio per rispondere: a) del reato di calunnia in danno del dott. Di Giorgio, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, per averlo accusato (in due esposti indirizzati alla Procura della Repubblica di Potenza, rispettivamente in data 9 novembre 2000 e 17 gennaio 2001) di aver preteso da un imprenditore locale l’esecuzione di lavori edilizi in una villa di proprietà della moglie, pagandoli un decimo del loro valore, minacciando l’imprenditore e assicurandogli che non avrebbe svolto indagini a suo carico; b) del reato di violenza privata aggravata, per avere, abusando della sua funzione di Sindaco del Comune di Castellaneta, costretto il già citato imprenditore a rendere dichiarazioni false ed infamanti in danno del dott. Di Giorgio, con la minaccia di non fargli più svolgere lavori per il Comune. Nel corso del giudizio, aggiunge il ricorrente, interveniva la deliberazione del Senato.

Ciò premesso, il giudice sostiene che – alla luce della giurisprudenza della Corte, secondo cui la irresponsabilità deriva dalla identificabilità della dichiarazione come espressione di attività parlamentare e non dal semplice collegamento di argomento o di contesto – la sfera di attribuzione garantita all’autorità giudiziaria dall’art. 101 della Costituzione è stata illegittimamente menomata dalla delibera senatoriale. Il sen. Loreto non avrebbe espresso opinioni, ma avrebbe posto in essere comportamenti materiali – astrattamente qualificabili come calunnia e violenza privata –, non riconducibili ad atti parlamentari tipici, né aventi la funzione di divulgarli. Agli esposti indirizzati dal sen. Loreto all’autorità giudiziaria non potrebbe essere attribuita la qualifica di opinioni; infatti, osserva il rimettente, l’autorità giudiziaria non può essere destinataria di opinioni, ma di notizie concernenti fatti penalmente rilevanti. Né, ad avviso del ricorrente, i termini della questione sarebbero mutati per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 3, comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato). Infine, il giudice sottolinea che la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, nella relazione del 14 maggio 2003, aveva ritenuto, con motivazione condivisibile, di non potere ravvisare l’insindacabilità nelle condotte poste in essere dal sen. Loreto; insindacabilità che l’Assemblea aveva riconosciuto senza motivare. Conclusivamente, chiede si affermi che non spetta al Senato della Repubblica dichiarare la insindacabilità delle opinioni espresse dall’ex senatore Loreto.

2. – Con ordinanze n. 311, n. 312 e n. 313 del 2004, la Corte ha dichiarato ammissibili i conflitti.

3. – Il Senato della Repubblica si è costituito, chiedendo che tutti e tre i ricorsi siano dichiarati inammissibili e infondati e, in prossimità della data fissata per l’udienza, ha depositato memoria per ciascuno dei conflitti.

3.1. – Con riferimento ai primi due ricorsi, sostiene che le interrogazioni – concernenti la Procura di Taranto o l’operato del direttore generale della ASL della stessa città – sono indirettamente riferibili al dott. Di Giorgio. Richiama, poi, ulteriori interrogazioni – rispetto a quelle prese in considerazione nella relazione della Giunta – con l’obiettivo di mettere in evidenza il collegamento tra di loro e con le dichiarazioni rilevanti nei giudizi civili. In particolare, ritiene che possano essere considerate «contestualmente espresse» due interrogazioni successive alle esternazioni. In conclusione, secondo il Senato, sussiste la «riconducibilità ad un unico filo conduttore, da un lato, della pluralità di atti tipici, dall’altro, della pluralità dei fatti-fonte». Conseguentemente, le dichiarazioni oggetto dei procedimenti civili si pongono «in un rapporto di continuum logico-temporale» rispetto all’indagine parlamentare sulle relazioni tra sanità, magistratura e politica nella provincia di Taranto.

Quanto al terzo ricorso – nell’ambito della stessa linea difensiva – il Senato ritiene che la peculiarità del “caso Loreto” consista nella riconducibilità della complessa vicenda ad «un unico filo conduttore»; come sarebbe dimostrato dalla decisione unitaria adottata dall’Assemblea e relativa, anche, a fatti-fonte per i quali il collegamento funzionale appariva meno incisivo o dubbio.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di Potenza, con tre distinti ricorsi, ha sollevato altrettanti conflitti di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione del 28 maggio 2003 con la quale è stata dichiarata – ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione – l’insindacabilità delle dichiarazioni dell’ex senatore Rocco Loreto, dalle quali sono scaturiti due giudizi civili e un giudizio penale.

1.1. – Il primo ricorso è relativo ad un giudizio, per sequestro conservativo dei beni del sen. Rocco Loreto, introdotto dal dott. Matteo Di Giorgio, magistrato con funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, in vista di una successiva azione per il risarcimento del danno a causa del discredito cagionatogli da dichiarazioni del sen. Loreto rese in comizi, alla televisione e alla stampa, nonché da un esposto da quest’ultimo presentato al Consiglio superiore della magistratura.

Secondo il Tribunale, dal confronto tra le interrogazioni parlamentari e le dichiarazioni ritenute offensive, risulterebbe solo una mera e generica comunanza di tematiche, che non giustifica l’insindacabilità secondo i principi enunciati dalla Corte costituzionale in ordine all’attività di divulgazione di atti parlamentari.

1.2. – Con il secondo ricorso, lo stesso giudice – nell’ambito di due giudizi civili riuniti, successivamente introdotti dal dott. Di Giorgio e strettamente connessi con la suddetta azione cautelare – ha sollevato analogo conflitto.

1.3. – Il terzo ricorso ha riguardo ad un procedimento penale, nel corso del quale era stato chiesto il rinvio a giudizio del sen. Loreto per rispondere: a) del reato di calunnia in danno del dott. Di Giorgio, avendolo accusato di fatti di reato nei confronti di un imprenditore locale in due esposti indirizzati alla Procura della Repubblica di Potenza; b) del reato di violenza privata aggravata in danno del già citato imprenditore, per averlo costretto a rendere dichiarazioni false ed infamanti relativamente al dott. Di Giorgio.

Secondo il giudice, il sen. Loreto non avrebbe espresso opinioni, ma posto in essere comportamenti materiali, neanche astrattamente riconducibili ad atti parlamentari tipici, né, tantomeno, aventi la funzione di divulgarli. Aggiunge che agli esposti indirizzati all’autorità giudiziaria non può essere attribuita la qualifica di opinioni, atteso che la stessa autorità è destinataria di notizie concernenti fatti di rilevanza penale e non di opinioni.

2. – Va disposta la riunione dei ricorsi che, avendo ad oggetto la stessa delibera parlamentare in relazione a fatti concernenti gli stessi soggetti, possono essere decisi con unica pronuncia.

3. – Preliminarmente, deve essere confermata l’ammissibilità dei conflitti, sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come già ritenuto da questa Corte nelle ordinanze n. 311, n. 312 e n. 313 del 2004.

4. – Nel merito, i ricorsi sono fondati.

4.1. – Questa Corte deve verificare la sussistenza del nesso funzionale tra le dichiarazioni rese dal senatore Loreto all’esterno del Parlamento e l’esercizio da parte sua di un’attività parlamentare.

È orientamento consolidato che tale nesso sussista ove ricorrano due elementi: il legame temporale fra l’attività parlamentare e l’attività esterna, di modo che questa assuma una finalità divulgativa della prima; la sostanziale corrispondenza di significato tra opinioni espresse nell’esercizio di funzioni parlamentari e atti esterni, non essendo sufficiente né una mera comunanza di argomenti (sentenze n. 221 del 2006 e n. 28 del 2005), né un mero contesto politico cui esse possano riferirsi (sentenza n. 176 del 2005).

Non può essere, pertanto, condivisa l’argomentazione centrale della difesa del Senato, secondo cui la peculiarità dei conflitti in argomento sarebbe ravvisabile – a prescindere dal legame temporale tra l’attività parlamentare e le dichiarazioni esterne – nella «riconducibilità ad un unico filo conduttore … della pluralità di atti tipici…[e] della pluralità dei fatti-fonte»; con la conseguenza che le dichiarazioni oggetto dei procedimenti giudiziari si porrebbero «in un rapporto di continuum logico-temporale» rispetto agli interventi parlamentari del sen. Loreto concernenti l’intreccio di rapporti tra sanità, magistratura e politica nella provincia di Taranto. Ove si accedesse a tale prospettazione, si finirebbe con il rendere evanescenti il legame temporale e la corrispondenza di significato tra l’attività parlamentare e le dichiarazioni rese all’esterno, intaccando proprio il nesso funzionale richiesto dalla costante giurisprudenza di questa Corte.

4.2. – Nei conflitti in esame, non si riscontrano i due elementi che debbono contemporaneamente ricorrere affinché possa dirsi sussistente il nesso funzionale.

Occorre verificare l’esistenza del legame temporale e se l’attività esterna sia caratterizzata da una sostanziale corrispondenza di significato con l’attività parlamentare.

4.3. – Il contesto temporale tra divulgazione e atto tipico non può ritenersi sussistente tra i comizi (tenuti il 7 aprile e il 22 ottobre 2000), le interviste (rese tra il 12 e 14 settembre 2000) e gli esposti (presentati il 26 ottobre, il 9 novembre 2000 e il 17 gennaio 2001), da una parte, e, dall’altra, le interrogazioni parlamentari presentate oltre dieci giorni dopo (n. 4-22051 e n. 4-22052, 1° febbraio 2001) l’ultima delle suddette esternazioni. Conseguentemente, è escluso il carattere divulgativo di tali esternazioni rispetto alle interrogazioni in esame.

4.4. – Quanto al rapporto tra le menzionate esternazioni e le interrogazioni presentate alcuni anni o circa un anno prima (n. 4-6506, n. 4-13220, n. 4-14270, n. 4-14271, n. 4-14272, n. 4-14281, n. 4-14295, n. 4-15000 e n. 4-15346, tra il 24 ottobre 1995 e il 26 maggio 1999), va osservato che, fra le une e le altre, vi è una distanza di tempo talmente ampia da escludere la «sostanziale contestualità» tra di esse (sentenza n. 221 del 2006) e da far ritenere, invece, che le prime si inseriscano in una generica situazione di contrasti politico-giudiziari protratti nel tempo.

D’altra parte, le affermazioni fatte nei comizi, nelle interviste e negli esposti in questione non costituiscono divulgazione delle interrogazioni ora menzionate, non ricorrendo corrispondenza di significato.

Difatti, nel gruppo di interrogazioni in esame, il sen. Loreto, da un lato, lamentava l’avvenuta nomina del direttore generale della ASL di Taranto in mancanza dei requisiti previsti dalla legge e, dall’altro, chiedeva di conoscere quali provvedimenti ispettivi si intendessero intraprendere nei confronti delle locali Procure della Repubblica che avrebbero dovuto indagare sulla nomina e sull’operato del direttore della ASL.

Invece, le esternazioni del sen. Loreto rilevanti nei giudizi civili riferivano episodi, diversi e non collegati a quelli oggetto delle interrogazioni, tutti sostanzialmente intesi ad avvalorare l’ipotesi di una persecuzione giudiziaria ai suoi danni; a loro volta, quelle rilevanti nel processo penale imputavano al dott. Di Giorgio condotte relative all’esecuzione di lavori edilizi in una villa della moglie e, quindi, del tutto prive di connessione con le vicende, riferite negli atti parlamentari, concernenti la nomina e l’operato del direttore della ASL di Taranto.

4.5. – Un più stretto legame temporale sussiste rispetto ad altre tre interrogazioni, presentate nel gennaio e nel giugno del 2000, di cui due sole evocavano il dott. Di Giorgio. Tuttavia, le dichiarazioni rilevanti nei giudizi pendenti dinanzi al Tribunale ricorrente non possono ritenersi esternazioni divulgative di tali interrogazioni.

Nella prima interrogazione (27 gennaio 2000, n. 4-17933), il sen. Loreto riferiva che le dimissioni dei componenti il Consiglio comunale di Palagiano, all’indomani delle elezioni amministrative tenutesi nell’anno 1997, erano collegate alla protesta contro la magistratura tarantina per aver questa effettuato un anomalo sequestro di atti del medesimo Consiglio.

Nella seconda (7 giugno 2000, n. 4-19525), il sen. Loreto richiamava, facendola propria, una precedente interrogazione presentata dal sen. Bucciero (n. 4-04963 del 21 marzo 1997, già riproposta dallo stesso, con la n. 4-15394 del 28 maggio 1999), concernente i motivi dell’astensione del dott. Di Giorgio in un procedimento avente ad oggetto alcune denunce presentate nei confronti del direttore generale della ASL di Taranto.

Nella terza (20 giugno 2000, n. 4-19727), riferiva genericamente dei pretesi rapporti del dott. Di Giorgio con un esponente politico, per favorire il quale un altro magistrato – ex uditore del primo – avrebbe fatto sequestrare alcuni atti presso il Comune di Palagiano.

Dato il loro contenuto, anche questi ultimi atti parlamentari attengono a circostanze diverse e non collegate rispetto a quelle, sopra descritte, oggetto dei giudizi civili e penali pendenti dinanzi al Tribunale ricorrente.

4.6. – In conclusione, per nessuna delle dichiarazioni rese all’esterno del Parlamento sussiste il nesso funzionale con l’esercizio dell’attività parlamentare. Dai riferimenti del sen. Loreto al preteso poco limpido operato della magistratura tarantina e alle sue connivenze con la politica emerge una generica comunanza di argomenti con le interrogazioni parlamentari, di per sé insufficiente a garantire l’immunità.

Le dichiarazioni e i comportamenti del sen. Loreto non rientrano, pertanto, nell’esercizio della funzione parlamentare e non sono garantiti dall’insindacabilità. Conseguentemente, l’impugnata delibera del Senato ha violato l’art. 68, primo comma, Cost., ledendo le attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente, e deve essere annullata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara che non spettava al Senato della Repubblica affermare che i fatti per i quali pendono due procedimenti civili e uno penale a carico del senatore Rocco Loreto davanti al Tribunale di Potenza, di cui ai ricorsi indicati in epigrafe, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

annulla, per l’effetto, la delibera di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 28 maggio 2003.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2006.

F.to:

Annibale MARINI, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2006.