Sentenza n. 317 del 2006

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SENTENZA N. 317

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                                                BILE                             Presidente 

- Giovanni Maria                                  FLICK                            Giudice

- Francesco                                           AMIRANTE                          "

- Ugo                                                    DE SIERVO                          "

- Paolo                                                  MADDALENA                     "

- Alfio                                                   FINOCCHIARO                   "

- Alfonso                                              QUARANTA                        "

- Franco                                                GALLO                                 "

- Luigi                                                   MAZZELLA                         "

- Gaetano                                              SILVESTRI                           "

- Sabino                                                CASSESE                              "

- Maria Rita                                          SAULLE                                "

- Giuseppe                                            TESAURO                             "

ha pronunciato la seguente                                                         

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 19 settembre 2001, promosso con ricorso del Tribunale di Roma, sezione VII penale, notificato il 9 luglio 2004, depositato in cancelleria il 16 luglio 2004 ed iscritto al n. 11 del registro conflitti 2004.

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

udito nell’udienza pubblica del 4 luglio 2006 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

udito l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1. ¾ Con ricorso depositato il 21 marzo 2003, il Tribunale di Roma, sezione VII penale, nel corso di un procedimento penale instaurato nei confronti del deputato Gianfranco Miccichè per il reato di diffamazione a mezzo stampa in danno del dott. Giancarlo Caselli, Procuratore della Repubblica di Palermo, ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione, adottata dall’Assemblea il 19 settembre 2001 (documento IV-quater, n. 1), con la quale è stato dichiarato, in conformità alla proposta della Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati, che i fatti per i quali è in corso il processo a carico del deputato Miccichè concernono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il giudice ricorrente espone che le dichiarazioni per le quali è in corso il procedimento penale sono state rese dal deputato Miccichè nel corso di una intervista al periodico “Liberal” pubblicata in data 17 settembre 1998. In quell’intervista, il deputato Micciché avrebbe detto, tra l’altro, che il dott. Caselli «è stato mandato in Sicilia per dare una spallata decisiva alla D.C.», ha fatto «solo politica», con processi ai politici che «servono solo a scrivere le verità pagate dei pentiti», perdendo «tempo e denaro» e così senza lottare contro la vera mafia.

Ad avviso del Tribunale ricorrente, la deliberazione della Camera dei deputati sarebbe lesiva delle attribuzioni costituzionali della giurisdizione a causa della mancanza del nesso funzionale tra le opinioni espresse dal deputato Miccichè e l’attività parlamentare.

Secondo il Tribunale di Roma – ad avviso del quale «esula dall’oggetto del presente conflitto sia lo stabilire la natura diffamatoria delle affermazioni contenute nell’articolo in esame sia la possibilità di configurare la scriminante del diritto di cronaca o di critica, nella specie politica» –, per poter definire insindacabile un’opinione espressa da un parlamentare in un’intervista alla stampa non è sufficiente una mera comunanza di tematiche con il dibattito parlamentare, come è insufficiente il semplice collegamento di argomento o di contesto tra attività parlamentare e dichiarazione; occorre, piuttosto, che si riscontri la identità sostanziale di contenuto, nella specie mancante, tra l’opinione espressa in sede parlamentare e quella manifestata nella sede esterna.

Pertanto, il Tribunale chiede che la Corte dichiari che non spetta alla Camera dei deputati affermare che i fatti per i quali è in corso il procedimento penale concernono opinioni espresse dal deputato Miccichè nell’esercizio delle sue funzioni di parlamentare, a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, ed annulli la deliberazione adottata dalla stessa Camera il 19 settembre 2001.

2. ¾ Con ordinanza n. 218 del 2004, depositata il 6 luglio 2004, la Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto proposto dal Tribunale di Roma.

L’ordinanza di ammissibilità, unitamente all’atto introduttivo del giudizio, è stata notificata in data 9 luglio 2004. Il conseguente deposito è stato effettuato il 16 luglio 2004.

3. ¾ Nel giudizio si è costituita la Camera dei deputati, depositando documenti e svolgendo deduzioni, a conclusione delle quali ha chiesto che la Corte dichiari il conflitto inammissibile, irricevibile e improcedibile, e in subordine rigetti il ricorso, dichiarando che spettava alla Camera dei deputati affermare l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse nei confronti del dott. Giancarlo Caselli dal deputato Gianfranco Micciché.

La difesa della Camera, riservandosi, preliminarmente, di identificare compiutamente tutte le ragioni di irricevibilità, di inammissibilità e di improcedibilità del conflitto solo dopo avere esaminato gli atti e i documenti depositati dal ricorrente Tribunale di Roma, osserva, nel merito, che il procedimento nei confronti del deputato Miccichè riguarda talune sue opinioni e valutazioni di contenuto schiettamente politico sull’operato del dott. Giancarlo Caselli: in particolare, dichiarazioni concernenti la ritenuta distorsione politica subita dall’attività della Procura di Palermo, a causa delle scelte operate dal capo di quell’Ufficio, dott. Caselli.

Secondo la difesa della Camera, simili opinioni erano state già manifestate, in sede parlamentare ed in atti tipici, prima delle dichiarazioni del deputato Micciché ora in contestazione.

Nella memoria si richiamano, in particolare: un’interrogazione del deputato Forestiere (XII Legislatura, n. 4/05334 del 16 novembre 1994); un’interpellanza del deputato Maiolo (XIII Legislatura, n. 2/01335 del 30 luglio 1998); una dichiarazione di voto del deputato Mancuso del 9 luglio 1998; un’interpellanza con primo firmatario il deputato Sgarbi (XIII Legislatura, n. 2/00252 del 21 ottobre 1996); un’interrogazione del deputato Parenti (XIII Legislatura, n. 3/02499 dell’11 giugno 1998); un’interrogazione del deputato Sgarbi (XIII Legislatura, n. 3/01624 del 28 ottobre 1997); un’interrogazione del deputato Maiolo (XIII Legislatura, n. 3/01517 del 30 settembre 1997); un’interrogazione del deputato Sgarbi (XII Legislatura, n. 3/00009 del 29 aprile 1994); un’interrogazione, ancora, del deputato Sgarbi (XII Legislatura, n. 4/08683 del 21 marzo 1995); un’interpellanza del senatore Novi (XIII Legislatura, n. 2/00445 del 2 dicembre 1997); un’interpellanza del deputato Tassone (XIII Legislatura, n. 2/00783 del 17 novembre 1997); un’interpellanza dei senatori Contestabile e Milio (XIII Legislatura, n. 2/00097 del 15 ottobre 1996); un’interrogazione del deputato Sgarbi (XIII Legislatura, n. 3/02766 del 30 luglio 1998); altra interrogazione del deputato Sgarbi (XIII Legislatura, n. 3/02843 del 15 settembre 1998); un’interrogazione del deputato Sgarbi (XIII Legislatura, n. 3/02476 dell’8 giugno 1998); un’interrogazione del deputato Maiolo (XIII Legislatura, n. 3/01784 del 10 dicembre 1997); un’interrogazione del deputato Fragalà (XIII Legislatura, n. 3/01801 del 15 dicembre 1997); un’interrogazione del deputato Gasparri (XIII Legislatura, n. 3/02201 del 14 aprile 1998); un’interrogazione con primo firmatario il deputato Giuliano (XIII Legislatura, n. 3/01712 del 19 novembre 1997); un’interrogazione del deputato Saponara (XIII Legislatura, n. 4/05613 del 27 novembre 1996); un’interrogazione con primo firmatario il senatore Marini (XIII Legislatura, n. 4/03013 del 20 novembre 1996); un’interrogazione del deputato Gasparri (XIII Legislatura, n. 3/01907 del 28 gennaio 1998); l’illustrazione, da parte del deputato Mancuso, dell’interrogazione n. 2-00950 nella seduta dell’11 marzo 1998.

Questi atti starebbero a dimostrare che la critica parlamentare nei confronti della Procura di Palermo e specificamente del suo capo, dott. Caselli, accusato di aver abusato dei suoi poteri per finalità puramente politiche, è stata a dir poco diffusa, trovando posto in numerosissimi atti di sindacato ispettivo e nelle discussioni parlamentari. Le dichiarazioni extra moenia del deputato Miccichè, pertanto, non avrebbero fatto altro che divulgare all’esterno il contenuto di atti tipici della funzione parlamentare, oltretutto senza espressioni insultanti.

Secondo la difesa della Camera, il deputato può giovarsi, ai fini della non sindacabilità delle sue dichiarazioni, dell’attività parlamentare posta in essere sul medesimo tema da altri membri delle Camere. La “paternità” delle dichiarazioni rese intra ed extra moenia non avrebbe alcuna importanza al fine dell’attivazione della garanzia di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione. Se, infatti, il contenuto sostanziale delle dichiarazioni è il medesimo, l’ammissione del sindacato su quelle “esterne” determinerebbe, comunque, un’interferenza su quelle “interne”, e quindi la violazione degli artt. 67 e 68, primo comma, della Costituzione, quale che fosse l’identità del parlamentare dichiarante.

Questa prospettazione si imporrebbe anche in considerazione della funzione dell’insindacabilità, che è quella, oggettiva, di tutelare le istituzioni rappresentative, e non i loro membri.

Inoltre dovrebbe considerarsi che gli atti tipici sopra ricordati provengono, in gran parte, da appartenenti al medesimo gruppo parlamentare del quale fa parte il deputato Miccichè, e la consentaneità ideologica tra appartenenti al medesimo gruppo fa sì che non si possa immaginare una separazione netta fra le attività di parlamentari diversi, ma appartenenti al medesimo gruppo.

Secondo la difesa della Camera, possono aversi tre tipi di opinioni di parlamentari manifestate extra moenia, che debbono ricevere trattamenti diversi: (a) opinioni del tutto estranee alla sfera della politica; (b) opinioni connesse alla sfera della politica, ma estranee alla politica parlamentare; (c) opinioni connesse alla politica parlamentare. Mentre le prime non possono minimamente pretendere alcuna specifica garanzia costituzionale diversa da quelle comuni, e le seconde, a loro volta, sono assoggettate al regime ordinario, in forza del principio di parità di trattamento valorizzato dalle sentenze n. 10 e n. 11 del 2000 della Corte costituzionale, le terze, invece, dovrebbero godere della copertura assicurata dall’art. 68, primo comma, Cost. Ciò perché il fatto che esse siano state manifestate extra anziché intra moenia sarebbe meramente accidentale, e non potrebbe essere alla base di un trattamento deteriore, che porrebbe a rischio l’autonomia del parlamentare. Nella società dell’informazione – si sostiene – i tempi, i mezzi e le modalità della politica e della stessa attività parlamentare sono profondamente mutati, e l’imposizione di una connessione stretta tra singoli atti parlamentari e singole opinioni manifestate all’esterno determinerebbe un’eccessiva formalizzazione, non più corrispondente ai tempi e alle modalità di esercizio del mandato parlamentare. Una volta che si affermi il principio secondo cui le opinioni dei rappresentanti della Nazione sono tutelate anche se manifestate al di fuori del recinto parlamentare, il discrimine tra ciò che deve e ciò che non può essere tutelato non può che stare nella oggettiva connessione delle opinioni con il complessivo contesto parlamentare, e cioè con i contenuti (di volta in volta modificantisi) della politica parlamentare.

4. ¾ In prossimità dell’udienza, la difesa della Camera dei deputati ha depositato una memoria illustrativa.

4.1. ¾ In via preliminare, viene eccepita l’inammissibilità del ricorso, in quanto il Tribunale di Roma avrebbe misurato la sussistenza o meno del nesso funzionale semplicemente su uno stralcio, oltretutto inesatto, delle dichiarazioni rese in sede giornalistica dal deputato Miccichè. L’isolamento di certe frasi o espressioni nel più ampio contesto delle dichiarazioni del parlamentare avrebbe impedito al ricorrente di valutare appieno il collegamento tra queste dichiarazioni e la funzione parlamentare, che può essere apprezzato solo a condizione di avere una completa rappresentazione delle une e delle altre.

Si riprodurrebbe, pertanto, la situazione già esaminata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 79 del 2005, con cui è stata dichiarata l’inammissibilità del conflitto in un caso – ritenuto analogo – nel quale l’atto introduttivo del conflitto non conteneva una compiuta esposizione dei fatti, non riportando le frasi pronunciate dal parlamentare.

In altri termini, il Tribunale ricorrente avrebbe indebitamente isolato alcune frasi (oltretutto inesattamente riportate) dal complessivo contesto delle dichiarazioni extra moenia del deputato Miccichè, e, in tal modo, non riuscirebbe nell’intento di dimostrare la fondatezza delle proprie censure, perché non avrebbe tenuto nel debito conto l’intero dire del menzionato parlamentare, indispensabile oggetto – invece – della valutazione ai fini dell’applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost.

4.2. ¾ Nel merito, la Camera dei deputati ribadisce le conclusioni di non fondatezza del ricorso.

A sostegno della sussistenza del nesso funzionale, la difesa della Camera richiama l’interrogazione cofirmata dal deputato Miccichè, XIII legislatira, n. 4/08769 del 1° aprile 1997, nella quale si ironizza duramente sulla «grande illusione di mafia sconfitta, suscitata dal frastuono e dalla passerella di molti di coloro che operano o si aggirano nell’ambito dell’antimafia» e si lamenta la «Babele delle rivelazioni dei pentiti». Invoca, inoltre, l’interrogazione dello stesso deputato Micciché, XIII legislatura, n. 3/06609 del 27 novembre 2000, nella quale si censura il comportamento dell’allora sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo Gioacchino Natoli, unitamente a quello del pubblico ministero di Perugia Fausto Cardella, in particolare alla luce di una denuncia, in quanto «risulta, in sostanza dalla descritta denuncia come un pubblico ufficiale, cioè il predetto dottor Natoli, tenuto per legge all’osservanza del principio di legalità, abbia violato tale dovere, clamorosamente manifestando la sua assoluta contrarietà allo sviluppo di quelle attività di indagine che, invece, stante le dichiarazioni di Badalamenti (il quale aveva smentito Buscetta in ordine al suo teorema e alla responsabilità del senatore Andreotti nell’omicidio Pecorelli), bene avrebbero potuto evitare anni di inutili e persecutorie indagini e di un altrettanto inutile dibattimento; si tratta, secondo la denuncia, di una manovra intenzionalmente tendenziosa, diretta ad accreditare la cosiddetta verità nascente dalle artefatte dichiarazioni del collaborante Buscetta, manovra implicante una diretta responsabilità processuale e morale del predetto dottor Natoli e verosimilmente del predetto dottor Cardella».

Nella difesa della Camera si richiamano, inoltre, ulteriori interpellanze ed interrogazioni di altri parlamentari, appartenenti allo stesso gruppo del deputato Miccichè, in cui si imputano al dott. Caselli gravi violazioni  deontologiche ed il perseguimento di finalità non attinenti a interessi oggettivi del suo ufficio.

Ad avviso della Camera, gli atti tipici di funzione degli altri parlamentari appartenenti al medesimo gruppo non possono restare senza influenza nella ricostruzione del nesso funzionale che lega dichiarazione extra e dichiarazione intra moenia.

Quanto alla collocazione temporale delle opinioni manifestate in sede parlamentare, per rapporto a quelle manifestate extra moenia, nella memoria si rileva che la sentenza n. 221 del 2006 di questa Corte, in materia di insindacabilità di consiglieri regionali, avrebbe ribadito che quel che conta non è l’anteriorità degli atti di funzione rispetto alle dichiarazioni extra moenia, bensì il nesso di sostanziale contestualità tra gli uni e le altre. Ad avviso della difesa della Camera, peraltro, l’oggettiva divulgazione all’esterno ben potrebbe essere presente anche quando lo spatium temporis che separa opinioni e divulgazione è notevole.

Considerato in diritto

1. ¾ Il Tribunale di Roma, sezione VII penale, ha sollevato – con ricorso depositato il 21 marzo 2003 – conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione, adottata dall’Assemblea il 19 settembre 2001 (documento IV-quater, n. 1), con la quale è stato dichiarato, in conformità alla proposta della Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati, che i fatti per i quali è in corso il processo a carico del deputato Miccichè per il reato di diffamazione a mezzo stampa in danno del dott. Giancarlo Caselli, Procuratore della Repubblica di Palermo, concernono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Le dichiarazioni per le quali è in corso il procedimento penale sono state rese dal deputato Miccichè nel corso di una intervista al periodico “Liberal” in data 17 settembre 1998. In quell’intervista, il deputato Micciché avrebbe detto, tra l’altro, che il dott. Caselli «è stato mandato in Sicilia per dare una spallata decisiva alla D.C.», che il predetto magistrato ha fatto «solo politica», con processi ai politici che «servono solo a scrivere le verità pagate dei pentiti», perdendo «tempo e denaro» e così senza lottare contro la vera mafia.

2. ¾ Deve, preliminarmente, essere ribadita l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come già ritenuto da questa Corte con l’ordinanza n. 218 del 2004.

Non può essere accolta in proposito l’eccezione, avanzata dalla difesa della Camera dei deputati, basata sul rilievo che l’atto introduttivo del presente giudizio sarebbe privo dei necessari requisiti formali, per la mancanza di una compiuta esposizione dei presupposti di fatto del conflitto.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa della resistente, l’atto introduttivo del conflitto riporta sia il testo integrale delle dichiarazioni rese dal deputato Micciché nell’intervista al periodico “Liberal”, pubblicata il 17 settembre 1998, sia l’esatto tenore dell’imputazione per la quale è stata disposta la citazione a giudizio del predetto parlamentare.

Che l’imputazione contestata al deputato Micciché non riporti tutte le frasi pronunciate dal medesimo, ma soltanto alcuni stralci delle medesime, tratte dal più ampio contesto, non significa che vi sia stata, nel caso, una libera rielaborazione ad opera dell’autorità giudiziaria ricorrente tale da impedire l’accertamento del nesso funzionale tra le frasi pronunciate nel corso dell’intervista e gli eventuali atti parlamentari tipici di cui le frasi stesse potrebbero essere la divulgazione esterna.

3. ¾ Nel merito, il ricorso è fondato.

Va qui ribadita la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, per l’esistenza di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare e l’espletamento delle sue funzioni di membro del Parlamento, è necessario che tali dichiarazioni possano essere identificate come espressione dell’esercizio di attività parlamentari (cfr., tra le più recenti, sentenze n. 10 e n. 11 del 2000, n. 164, n. 176 e n. 193 del 2005). Indipendentemente dall’eventuale contenuto diffamatorio di tali dichiarazioni, il compito di questa Corte è limitato alla verifica se esse, ancorché rese al di fuori della sede istituzionale, siano collegate ad attività proprie del parlamentare; costituiscano, cioè, espressione della sua funzione o ne rappresentino il momento di divulgazione all’esterno (sentenza n. 508 del 2002 e n. 235 del 2005).

Nel caso in esame, neppure nella delibera di insindacabilità e nella proposta della Giunta per le autorizzazioni è possibile rinvenire un riferimento ad atti tipici del parlamentare. In proposito, la proposta della Giunta, alla quale rinvia la delibera di insindacabilità, contiene solo un generico richiamo al collegamento fra le dichiarazioni del deputato Miccichè e il «contesto politico-parlamentare», giacché «le tematiche della giustizia, del modo in cui essa è amministrata e del ruolo di taluni magistrati è oggetto ormai da diversi anni di un vastissimo dibattito in tutto il Paese e soprattutto nelle sedi politico-parlamentari», ivi rilevandosi come «l’onorevole Miccichè abbia legittimamente esercitato il suo diritto di critica come parlamentare in ordine a questioni di indubbio rilievo pubblico, nel quadro di quelle attività che possono senz’altro definirsi prodromiche o conseguenti agli atti tipici del mandato parlamentare».

A tale proposito, non può che ribadirsi che il «contesto politico» o comunque l’inerenza a temi di rilievo generale dibattuti in Parlamento, entro cui tali dichiarazioni si possano collocare, non vale in sé a connotarle quali espressive della funzione, ove esse, non costituendo la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell’esercizio delle proprie attribuzioni, siano non già il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto, a garanzia delle prerogative delle Camere, dall’insindacabilità), ma una ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell’esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall’art. 21 della Costituzione (sentenza n. 51 del 2002).

La difesa della Camera, a sostegno della sussistenza del nesso funzionale, richiama l’interrogazione cofirmata dal deputato Micciché, XIII Legislatura, n. 4/08769 del 1° aprile 1997 e l’interrogazione dello stesso deputato Miccichè, XIII legislatura, n. 3/06609 del 27 novembre 2000.

La seconda interrogazione (quella del 27 novembre 2000) non assume rilievo, in quanto posta in essere dal deputato Miccichè in data posteriore alle dichiarazioni oggetto del presente giudizio (cfr., da ultimo, sentenza n. 260 del 2006).

Ma anche il primo di tali atti, l’unico in ipotesi rilevante, in quanto anteriore alle dichiarazioni al periodico “Liberal”, non è idoneo a giustificare l’insindacabilità, perché non si riscontrano i due elementi che debbono contemporaneamente ricorrere affinché possa dirsi sussistente il nesso funzionale: il legame temporale fra l’attività parlamentare e l’attività esterna, di modo che questa assuma una finalità divulgativa della prima; la sostanziale corrispondenza di significato tra opinioni espresse nell’esercizio di funzioni parlamentari e atti esterni, non essendo sufficienti né una mera comunanza di argomenti né un mero contesto politico cui esse possano riferirsi (sentenze n. 28 e n. 176 del 2005, n. 221 e n. 258 del 2006).

Per un verso, infatti, difetta il medesimo contesto temporale tra atto tipico e divulgazione extra moenia, il primo risalendo ad oltre un anno prima.

Per l’altro verso, l’interrogazione del 1° aprile 1997 – riguardante genericamente la «grande diffusione di mafia sconfitta, suscitata dal frastuono e dalla passerella di molti di coloro che operano o si aggirano nell’antimafia» e la «Babele delle rivelazioni dei pentiti», senza alcun apprezzamento critico nei confronti del dott. Giancarlo Caselli, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo – ha un oggetto sostanzialmente diverso da quello di cui alle dichiarazioni apparse su “Liberal”, in cui si imputa proprio al dott. Caselli, nella sua qualità, di essere stato «mandato in Sicilia per dare una spallata decisiva alla D.C.», di avere fatto «solo politica», con processi ai politici che «servono solo a scrivere le verità pagate dei pentiti», perdendo «tempo e denaro» e così senza lottare contro la vera mafia.

Si deve, pertanto, concludere che le espressioni usate dal deputato Micciché, per le quali è stato instaurato il procedimento penale all’origine del presente conflitto, non trovano corrispondenza in alcun atto o intervento parlamentare dello stesso deputato.

La difesa della Camera, invero, sia nella memoria di costituzione che in quella depositata in prossimità dell’udienza, ha richiamato numerosi atti tipici (interrogazioni ed interpellanze) di altri parlamentari, molti dei quali appartenenti al medesimo gruppo del deputato Miccichè, a dimostrazione di quanto fosse diffusa la critica parlamentare nei confronti della Procura di Palermo e specificamente del suo capo, dott. Caselli, accusato di aver abusato dei suoi poteri per finalità puramente politiche. E sostiene che il deputato potrebbe giovarsi, ai fini della non sindacabilità delle sue dichiarazioni, dell’attività parlamentare posta in essere sul medesimo tema da altri membri delle Camere, tanto più in un caso di appartenenza al medesimo gruppo parlamentare.

Tale tesi non può essere condivisa.

Questa Corte ha già chiarito che la verifica del nesso funzionale tra dichiarazioni rese extra moenia ed attività tipicamente parlamentari, nonché il controllo sulla sostanziale corrispondenza tra le prime e le seconde, devono essere effettuati con riferimento alla stessa persona, mentre «sono irrilevanti gli atti di altri parlamentari» (sentenze n. 260 del 2006, n. 146 del 2005 e n. 347 del 2004).

La circostanza che gli altri parlamentari, ai cui atti si collegherebbero le dichiarazioni oggetto del giudizio penale, appartengono allo stesso gruppo del deputato Micciché, non può influire sull’estensione della garanzia a soggetti diversi da quello cui si riferisce la delibera di insindacabilità.

E’ vero che le guarentigie previste dall’art. 68 sono poste a tutela delle istituzioni parlamentari nel loro complesso e non si risolvono in privilegi personali dei deputati e dei senatori. Da questa esatta rilevazione non si può trarre, tuttavia, la conseguenza che, come afferma la difesa della Camera dei deputati, esista una tale fungibilità tra i parlamentari iscritti allo stesso gruppo da produrre effetti giuridici sostanziali nel campo della loro responsabilità civile e penale per le opinioni espresse al di fuori delle Camere: «l’art. 68, primo comma, Cost. non configura una sorta di insindacabilità di gruppo, per cui un atto o intervento parlamentare di un appartenente ad un gruppo fornirebbe copertura costituzionale per tutti gli altri iscritti al gruppo medesimo» (sentenza n. 249 del 2006).

4. ¾ Deve quindi concludersi che la Camera dei deputati, nel deliberare l’insindacabilità delle dichiarazioni di cui si tratta, ha violato l’art. 68, primo comma, della Costituzione e ha leso in tal modo le attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente.

La deliberazione di insindacabilità deve essere, pertanto, annullata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava alla Camera dei deputati affermare che le dichiarazioni rese dal deputato Gianfranco Miccichè, oggetto del procedimento penale pendente davanti al Tribunale di Roma, VII sezione penale, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

            annulla, di conseguenza, la delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 19 settembre 2001 (documento IV-quater, n. 1).

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2006.