SENTENZA N. 193
ANNO 2005
Commento alla decisione di
Gianluca Belfiore
Nuovi orizzonti per l’insindacabilità?
(per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA “
- Annibale MARINI “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati 17 marzo 1998 relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall’on. Nicola Vendola nei confronti del dott. Paolo Foresti, promosso con ricorso della Corte d’appello di Roma, sezione prima civile, notificato il 18 febbraio 2003, depositato in cancelleria il 10 marzo 2003 ed iscritto al n. 6 del registro conflitti 2003.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
udito nell’udienza pubblica del 5 aprile 2005 il Giudice relatore Romano Vaccarella;
udito l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.
Ritenuto in fatto
1.– Nel corso di un processo civile per risarcimento danni, promosso da Paolo Foresti nei confronti del deputato Nicola Vendola, detto Nichi, – conseguente alla pubblicazione sul quotidiano “Il Manifesto” del 27 marzo 1997 di un articolo, a firma del citato deputato, contenente apprezzamenti diffamatori nei confronti del Foresti, all’epoca ambasciatore a Tirana – la Corte d’appello di Roma, sezione prima civile, ha sollevato con ordinanza 16 novembre 2001 (depositata nella cancelleria della Corte il successivo 22 dicembre) conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera adottata in data 17 marzo 1998 (doc. IV-quater, n. 20): delibera secondo la quale le dichiarazioni per le quali è in corso il procedimento civile concernono opinioni espresse dal deputato nell’esercizio delle sue funzioni di parlamentare, con conseguente insindacabilità a norma dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione.
1.1.– La Corte d’appello ricorrente rammenta, in punto di fatto, che Paolo Foresti, con citazione notificata il 29 luglio 1997, aveva convenuto davanti al Tribunale di Roma il deputato Vendola, unitamente al direttore responsabile del quotidiano “Il Manifesto” e alla società cooperativa editrice Il Manifesto, per sentirli condannare al risarcimento dei danni, ed inoltre al pagamento di una somma ulteriore a titolo di riparazione ex art. 12 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), conseguenti alla pubblicazione sul quotidiano “Il Manifesto” del 27 marzo 1997 di un articolo a firma del citato parlamentare nel quale si parlava – sotto il titolo “Profughi e mafiosi” – di «un lestofante del calibro di Paolo Foresti, nostro ambasciatore a Tirana e principale cerniera tra l’Italietta dei predoni e un’Albania da colonia o da protettorato».
Pervenuta la delibera di insindacabilità della Camera dei deputati del 17 marzo 1998, il Tribunale, con sentenza non definitiva del 4 novembre 1999, reputando corretta tale esplicazione del potere della Camera, aveva dichiarato inammissibile la domanda avanzata nei confronti del parlamentare.
Avverso questa sentenza aveva proposto appello il Foresti, chiedendo preliminarmente che fosse sollevato conflitto di attribuzione, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in quanto non ricorrevano i presupposti di diritto per l’applicazione a favore del deputato Vendola dell’immunità di cui all’art. 68 Cost.
1.2.– Tanto premesso, il giudice ricorrente sostiene che, con la citata deliberazione, la Camera dei deputati avrebbe illegittimamente esercitato il proprio potere, immotivatamente affermando l’esistenza di un collegamento funzionale tra le espressioni ritenute diffamatorie dal Foresti e l’attività parlamentare del Vendola.
In particolare, secondo la Corte d’appello, le espressioni contenute nell’articolo a firma del deputato Vendola non sarebbero collegate all’esercizio della funzione parlamentare, ma conterrebbero soltanto pesanti apprezzamenti personali espressi come un qualunque privato cittadino: l’articolo in questione non concernerebbe il dibattito parlamentare che in quei giorni si svolgeva sulla questione albanese, ma si sostanzierebbe in un attacco diretto alla persona del Foresti, e non già alla sua carica istituzionale di ambasciatore italiano a Tirana.
Le dichiarazioni del deputato Vendola, quindi, non sarebbero state rese nell'esercizio dell’attività parlamentare e la delibera adottata dalla Camera dei deputati sarebbe lesiva delle attribuzioni della giurisdizione ordinaria, in quanto il potere conferito dall’art. 68 Cost. sarebbe stato esercitato in modo distorto ed arbitrario.
La Corte d’appello di Roma, pertanto, solleva conflitto di attribuzione ai sensi dell’art. 37 della legge n. 87 del 1953 e chiede a questa Corte di accertare che non spetta alla Camera dei deputati dichiarare la insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Nicola Vendola, e, conseguentemente, di annullare la deliberazione del 17 marzo 1998.
2.– Il conflitto così proposto è stato giudicato ammissibile con ordinanza n. 31 del 2003, regolarmente notificata il 18 febbraio 2003 alla Camera dei deputati, a cura del ricorrente, che ne ha quindi curato il deposito presso la cancelleria di questa Corte il successivo 10 marzo 2003.
3.– A seguito della notifica, si è costituita la Camera dei deputati chiedendo che il conflitto venga dichiarato irricevibile o comunque respinto nel merito.
3.1.– In primo luogo, la Camera rammenta che, ai sensi del combinato disposto degli articoli 26, quarto comma, e 6 del regolamento della Corte costituzionale 16 marzo 1956 (Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale), ciascuna parte deve depositare in cancelleria gli atti e i documenti «in tante copie in carta libera quanti sono i componenti della Corte e le parti» e che «il cancelliere non può ricevere atti e documenti (…) che non siano corredati del necessario numero di copie»; tale norma dimostrerebbe «l’infungibilità del ricorso e dell’ordinanza quale strumento utile a promuovere conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (…) (in quanto) l’utilizzazione della forma dell’ordinanza comporta la violazione del principio della parità delle armi tra le parti del giudizio».
3.2.– Nel merito, osserva la difesa della Camera che, nell’imminenza e subito dopo la manifestazione delle opinioni espresse dal deputato Vendola, vi fu un acceso dibattito parlamentare sulla situazione albanese e sul ruolo dell’ambasciatore Foresti, con particolare riguardo allo scandalo delle c.d. «finanziarie piramidali» ed alle «accuse di oscuri rapporti tra criminalità organizzata italiana e albanese, coperti dal Governo all’epoca insediato a Tirana».
In tale quadro, che ha visto l’intervento in sede parlamentare di numerosi deputati, appartenenti a diversi schieramenti politici, si collocherebbero, con tratto non innovativo, le dichiarazioni del Vendola contenute nell’articolo di stampa in questione.
3.2.1.– In particolare, la difesa della Camera ricorda:
a) le dichiarazioni rese, nella seduta del 4 marzo 1997, dall’on. Brunetti (sul «coacervo di forze politico-mafiose che ha trovato sostegno nel Governo» e sulla «inspiegabile compiacenza» nei confronti degli eventi albanesi);
b) le dichiarazioni rese, nella seduta del 5 marzo 1997, dall’on. Leccese e dall’on. Calzavara (di forte critica all’appoggio italiano al governo Berisha) e dall’on. Danieli (di critica all’ambasciatore Foresti per il sostegno al governo Berisha);
c) le dichiarazioni rese, nella seduta del 22 maggio 1997, dall’on. Mantovani (che sollecitava il Governo a «procedere all’avvicendamento dell’ambasciatore Foresti» per, in tal modo, parzialmente «riparare il danno enorme che il nostro paese e soprattutto il processo democratico di pacificazione dell’Albania ha sicuramente subito») e dall’on. Gramazio;
d) le dichiarazioni rese, nella seduta del 5 giugno 1997, dall’on. Mantovani, dall’on. Lembo e dall’on. Cavaliere, di forte critica all’ambasciatore Foresti che «stava svolgendo una funzione non negli interessi del paese»;
e) le dichiarazioni rese, nella seduta del 12 giugno 1997, dall’on. Gnaga circa «interessi (…) coperti dalla nostra ambasciata di Tirana»;
f) le dichiarazioni rese, nella seduta del 17 giugno 1997, dall’on. Brunetti circa la «lobby mafioso-massonica-affaristica pericolosa che opera in Albania»;
Di qui l’osservazione che «sull’operato dell’ambasciatore Foresti si sono prospettati, in sede parlamentare, gravissimi dubbi» e la conclusione che «le affermazioni contestate all’on. Vendola nulla hanno aggiunto a quanto era già stato detto, forse con toni ancor più duri nella sostanza, nel recinto parlamentare».
3.2.2.– La deducente indica, inoltre, quali atti ispettivi compiuti dal deputato Vendola – in alcuni casi insieme ad altri deputati del proprio gruppo parlamentare, sia anteriormente che successivamente alla pubblicazione dell’articolo in questione – idonei a rivelare il collegamento con le opinioni espresse extra moenia: 1) una interrogazione parlamentare del 10 ottobre 1996 con cui il parlamentare rilevava «la responsabilità dell’ambasciata d’Italia a Tirana» in relazione all’immigrazione clandestina quale «fenomeno incoraggiato dalla lentezza estenuante dei visti e dei permessi di espatrio»; 2) una mozione del 7 aprile 1997, presentata anche dal Vendola, con cui si lamentavano i «brogli elettorali» che si sarebbero avuti in Albania e si rimproverava al Governo di aver «favorito interventi economici e imprenditoriali più simili a un vero e proprio arrembaggio che non ad aiuti»; 3) una interrogazione del 1° aprile 1997, presentata anche dal Vendola, con cui si chiedeva al Governo di «accelerare la sostituzione dell’ambasciatore italiano a Tirana con un nuovo diplomatico, non compromesso con la politica di aperto sostegno a Berisha ed al suo regime»; 4) una interrogazione del 3 giugno 1997 e una interpellanza del successivo 4 giugno, presentate anche dal Vendola, con le quali, rinnovando la richiesta di rimozione di Foresti, si deplorava il fatto che «la mancata sostituzione di Paolo Foresti dalla sede diplomatica italiana in Albania continua ad essere motivo pregiudicante l’immagine e la linea politica dell’Italia in quel Paese».
3.3.– Ad avviso della Camera, la corrispondenza sostanziale tra gli addebiti così formulati dal deputato Vendola a carico di Paolo Foresti in sede parlamentare e quelli poi circostanziati sulla carta stampata non risulterebbe interrotta dalla «modesta e marginale diversità delle singole parole impiegate»; né, altrimenti, ad avviso della deducente, parrebbe influire negativamente la posteriorità, rispetto alla pubblicazione dell’articolo de quo, di alcuni degli atti tipici indicati, dovendo comunque essere collocate tutte le manifestazioni di pensiero evocate in un medesimo contesto (c.d. contestualità sostanziale), caratterizzato dall’assenza di cesure in ordine al dibattito parlamentare sui temi della situazione albanese e del ruolo rivestito dall’ambasciatore Foresti.
La Camera ritiene inoltre ininfluente, ai fini dell’attivazione della garanzia dell’art. 68, primo comma, Cost., la circostanza che alcuni degli atti parlamentari ispettivi richiamati siano ascrivibili alla paternità di altri deputati, tenuto conto che, «se il contenuto sostanziale delle dichiarazioni è il medesimo, l’ammissione del sindacato su quelle “esterne” determinerebbe comunque un’interferenza con quelle “interne” e quindi la violazione degli artt. 67 e 68, primo comma, Cost., quale che fosse l’identità del parlamentare dichiarante».
3.4.– Ciò premesso, la deducente auspica che i principî formulati nelle sentenze numero 10 e numero 11 del 2000 conducano la Corte a precisare il proprio indirizzo interpretativo – condivisibilmente fondato sull’esclusione del «nesso funzionale» quando le dichiarazioni extra moenia siano riferibili genericamente alla «attività politica intesa in senso lato» – estendendo la copertura dell’art. 68, primo comma, Cost. alle «opinioni connesse alla politica parlamentare», posto che «il fatto ch’esse siano state manifestate extra anziché intra moenia è meramente accidentale»: dal principio per cui le opinioni dei rappresentanti della Nazione sono tutelate anche se manifestate fuori del recinto parlamentare, discenderebbe che «il discrimine tra ciò che deve e ciò che non può essere tutelato non può che stare nella oggettiva connessione delle opinioni con il complessivo contesto parlamentare».
4.– Nell’imminenza della pubblica udienza, la Camera ha depositato una memoria nella quale – ricordati gli atti parlamentari tipici (sintetizzati sub 3.2.1. e 3.2.2.) ai quali si riallacciano le affermazioni del deputato Vendola che hanno originato il presente giudizio – si ribadisce, in primo luogo, l’esigenza di non escludere l’applicabilità dell’art. 68 primo comma, Cost., quando vi sia sostanziale coincidenza delle dichiarazioni extra moenia con quelle rese in sede parlamentare da altro membro delle Camere.
L’immunità, infatti, è istituto che tutela le Camere, e non i loro membri, e contrasta con tale sua oggettiva funzione il consentire che l’autorità giudiziaria sindachi nel merito la dichiarazione resa in sede parlamentare sol perché esternata fuori dal Parlamento da un membro delle Camere diverso dal suo autore originario.
Aggiunge la difesa della Camera che questa Corte – se si è di recente espressa, in senso contrario, sulla questione appena esposta (sentenza n. 347 del 2004) – non ha mai preso esplicita posizione sulla questione, decisiva nel caso di specie, dell’appartenenza al medesimo gruppo parlamentare sia dell’autore originale delle dichiarazioni sia di chi le ha sostanzialmente riprodotte extra moenia: questione che, quand’anche non si aderisse alla tesi della sufficienza della sola sostanziale corrispondenza oggettiva con atti tipici posti in essere da qualsiasi atto parlamentare, presenta l’esigenza di farsi carico del ruolo che al gruppo parlamentare, comunque lo si voglia definire, il diritto positivo attribuisce come «uno dei modi, se non il principale, di organizzazione delle forze politiche in seno al Parlamento (…), come il riflesso istituzionale del pluralismo politico» (sentenza n. 298 del 2004; n. 49 del 1998).
A riprova del fatto che «gli atti tipici di funzione degli altri parlamentari appartenenti al gruppo non possono restare senza influenza alcuna sulla ricostruzione del nesso funzionale tra le dichiarazioni extra moenia e quelle intra moenia», la difesa della Camera cita le norme del regolamento della Camera le quali – imposto ad ogni deputato l’obbligo di aderire ad un gruppo (art. 14, comma 3) – prevedono che sulla discussione delle linee generali di un progetto di legge intervenga un deputato per gruppo (art. 83, comma 1); che un deputato per gruppo possa formulare dichiarazioni di voto (art. 85, comma 7), contemplando come residuale l’ipotesi del dissenso del singolo membro dal gruppo; che l’interrogazione a risposta immediata possa essere presentata da un deputato per ciascun gruppo, tramite il Presidente del gruppo; la rilevanza delle interrogazioni presentate da un gruppo su altre interrogazioni vertenti su altre materie; la fungibilità tra presentatore dell’interrogazione e altro membro del gruppo ai fini della replica (art. 135-bis, commi 2, 3, 4; 135-ter, commi 2 e 4). Tali norme presuppongono che il coordinamento e la condivisione dell’azione istituzionale, che è la ragione d’essere del gruppo parlamentare, non possono essere privi di rilevanza ai fini della sussistenza del nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare e quelle espresse intra moenia da altri esponenti del medesimo gruppo.
Considerato in diritto
1.– La Corte d’appello di Roma – investita dell’appello promosso da Paolo Foresti avverso la sentenza non definitiva con la quale il Tribunale di Roma aveva dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti del deputato Nicola (Nichi) Vendola, in adesione alla delibera adottata dalla Camera dei deputati in data 17 marzo 1998 (doc. IV-quater, n. 20) che aveva qualificato come esercizio delle funzioni parlamentari le affermazioni contenute in un articolo apparso il 27 marzo 1997 sul quotidiano “Il Manifesto” – ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla citata delibera, chiedendone l’annullamento in quanto invasiva delle attribuzioni dell’autorità giudiziaria.
Ad avviso della Corte d’appello, infatti, la Camera dei deputati avrebbe fatto non corretta applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost., qualificando come esercizio della funzione parlamentare l’affermazione – contenuta nell’articolo intitolato “Profughi e mafiosi” – secondo la quale «sotto l’ombrello dell’impostura e della mala informazione possiamo persino proteggere (con l’incredibile avallo del sempre più incredibile sottosegretario Fassino) un lestofante del calibro di Paolo Foresti, nostro ambasciatore a Tirana e principale cerniera tra l’Italietta dei predoni e un’Albania da colonia o da protettorato».
In particolare, a giudizio della Corte d’appello, immotivatamente sarebbe stato ritenuto sussistente il collegamento funzionale di tali affermazioni con l’attività parlamentare del Vendola: ed infatti, da un lato, nella frase in questione sarebbero ravvisabili «soltanto pesanti apprezzamenti personali espressi come un qualunque privato cittadino» e, dall’altro lato, non vi sarebbe alcun collegamento tra il dibattito parlamentare sulla questione albanese e la qualifica di “lestofante” riferita al Foresti non «come ad esponente della istituzione, ma ad un singolo individuo accusato di rapporti non chiari con le mafie locali e non quindi di una conduzione politica come espressione della politica estera del governo stesso».
Di qui la proposizione del conflitto di attribuzioni avverso la delibera di insindacabilità del 17 marzo 1998, che sarebbe stata adottata in assenza dei presupposti richiesti dall’art. 68, primo comma, Cost., con conseguente lesione delle attribuzioni dell’autorità giudiziaria.
2.– Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione di irricevibilità del conflitto proposta, nell’atto di costituzione in giudizio, dalla Camera dei deputati.
Come la stessa difesa della Camera non manca di ricordare, questa Corte ha più volte affermato che l’utilizzazione della forma dell’ordinanza, in luogo di quella del ricorso, per sollevare il conflitto di attribuzioni non ne determina l’irricevibilità (né l’inammissibilità) quando l’atto «abbia i requisiti di sostanza del ricorso» (da ultimo, sentenza n. 298 del 2004); né v’è ragione per rivedere una giurisprudenza che fa applicazione in quello costituzionale di un principio generale del processo.
E’ appena il caso di rilevare, peraltro, che l’utilizzazione della forma dell’ordinanza non implica, di per sé , l’inosservanza delle prescrizioni di cui all’art. 6 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, e che – anche a voler prescindere dal rilievo che tale inosservanza non è, nella specie, nemmeno dedotta ma solo arguita come conseguenza naturale e necessitata dell’adozione dell’ordinanza in luogo del ricorso – l’asserita violazione del cit. art. 6 non risulta aver in alcun modo pregiudicato, o reso meno agevole, l’attività difensiva della Camera resistente. Ciò è dimostrato dal carattere meramente astratto della denunciata violazione del principio di eguaglianza e del principio di parità fra le parti del giudizio: principio che non consente di addossare oneri squilibrati alle parti di un medesimo giudizio, ma che certamente è male invocato quando si sostiene che la difesa della Camera, se ricorrente, si sobbarca all’onere di produrre numerose copie del ricorso laddove l’autorità giudiziaria, quando è ricorrente, si sottrae a tale “difficoltà materiale”. La par condicio non ha nulla a che vedere con una fattispecie che richiederebbe, nell’auspicio della difesa della Camera, una applicazione (non tanto rigorosa, quanto) rigidamente letterale dell’art. 6 cit. da parte della cancelleria della Corte nel sanzionare una irregolarità formale, pur se non idonea a pregiudicare in qualsiasi modo la controparte.
2.1.– Nel merito, il ricorso dell’autorità giudiziaria è fondato.
2.2.– Nella relazione all’assemblea della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio si afferma essere «evidente che il deputato Vendola ha agito nella sua veste parlamentare esercitando un legittimo diritto di critica e che la stessa parola “lestofante”, riferita al dottor Foresti, si iscrive non con riferimento alla sua individualità, ma a lui come esponente della istituzione, e cioè dell’ambasciata italiana», deducendone che «l’epiteto, ingiurioso in sé e per sé considerato, è diretto a innervare un durissimo attacco alla conduzione politica dell’ambasciata come espressione della politica estera del Governo».
La Corte d’appello ha ritenuto immotivata tale delibera, essendosi la Camera limitata ad esprimere una valutazione circa il carattere lato sensu politico delle affermazioni del deputato Vendola: carattere politico che, come ricorda (e consente) la difesa della Camera, non è idoneo da solo a giustificare l’immunità di cui all’art. 68, primo comma, Cost. secondo l’ormai risalente e costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 28 del 2005).
2.3.– La difesa della Camera ha sollecitato una pronuncia di rigetto del conflitto osservando che: a) una serie di atti ispettivi del deputato Vendola dimostrerebbe l’esistenza del nesso funzionale tra la funzione parlamentare così esercitata e le affermazioni in questione; b) ad analogo risultato condurrebbero – nell’auspicata revisione dell’indirizzo recentemente espresso dalla Corte, revisione suggerita da un’adeguata considerazione di tutte le esigenze contemplate dalla lettera e dalla ratio dell’art. 68, primo comma, Cost. – numerosi atti parlamentari tipici posti in essere, con sostanziale contestualità e corrispondenza di contenuti, da altri deputati; c) a fortiori, una adeguata considerazione del ruolo assegnato, dal vigente regolamento della Camera, ai gruppi parlamentari impone di ritenere che l’immunità di cui all’art. 68, primo comma, Cost., non possa negarsi al parlamentare che riproduca extra moenia dichiarazioni rese da altro deputato, appartenente al medesimo gruppo, nell’esercizio intra moenia delle sue funzioni.
2.3.1.– Pregiudiziale ad ogni altra è la questione della sussistenza di un nesso funzionale tra gli atti tipici del deputato Vendola, indicati dalla difesa della Camera, e le dichiarazioni contenute nell’articolo apparso su “Il Manifesto” del 27 marzo 1997.
Premesso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 28 del 2005), tale nesso sussiste quando è ravvisabile «una sostanziale corrispondenza di significato» tra gli uni e le altre, è agevole rilevare che di sostanziale corrispondenza non può certamente parlarsi con riguardo agli atti ispettivi del deputato Vendola: né in quello (l’unico) anteriore al 27 marzo 1997 (nell’interrogazione del 10 ottobre 1996 si imputa all’ambasciata che la lentezza nel rilascio dei visti incoraggia l’immigrazione clandestina), né in quelli posteriori indicati dalla difesa della Camera (aventi ad oggetto ora l’appoggio del Governo italiano ora anche quello dell’ambasciata italiana al governo Berisha) è dato riscontrare altro che una generica comunanza tematica (la situazione albanese e la politica estera italiana), mentre il loro oggetto è sostanzialmente diverso da quello di cui all’articolo apparso su “Il Manifesto”, nel quale si imputa al Paolo Foresti, dandogli del “lestofante”, di essere la “cerniera tra l’Italietta dei predoni e un’Albania da colonia o da protettorato”.
2.4.– La difesa della Camera, nel mentre sollecita una revisione in termini generali dell’indirizzo espresso dalla sentenza n. 347 del 2004 (cfr. anche la sentenza n. 164 del 2005) fondandosi sul sindacato cui sarebbero indirettamente sottoposti atti tipici della funzione parlamentare sol perché esternati extra moenia da altro parlamentare, osserva che questa Corte non ha mai avuto occasione di pronunciarsi sul caso (costituente una species dell’altro) del parlamentare che esterni l’oggetto di atto tipico di altro membro del suo gruppo.
Questa Corte ha già avuto modo, qualificando atto parlamentare la missiva indirizzata al proprio capo-gruppo da un parlamentare, di ravvisare nei gruppi parlamentari “il riflesso istituzionale del pluralismo politico” (sentenza n. 298 del 2004): tanto premesso, la difesa della Camera sostiene che, coerentemente, la Corte dovrebbe dedurne che, come nell’ambito dell’attività istituzionale intra moenia l’appartenenza al medesimo gruppo consente perfino la fungibilità tra i membri del gruppo stesso in quanto contribuiscono tutti all’azione politico-istituzionale comune, così il membro del gruppo che esterni extra moenia quanto altro membro ha espresso nel recinto parlamentare lo farebbe – sulla base di un rapporto più intenso di quello con un qualsiasi altro parlamentare – relativamente ad atti tipici nei quali si esprime un’azione politico-istituzionale che è del gruppo, e che, quindi, è anche sua propria.
2.5.– Le due ipotesi – nelle quali si articola il caso della riproduzione extra moenia di dichiarazioni altrui – hanno tuttavia in comune un elemento che, in quanto logicamente preliminare, impedisce in questa sede – oltre che il sollecitato riesame della prima e più generale questione (riproduzione di atti di un qualsiasi altro parlamentare) –l’esame della specifica questione riguardante l’appartenenza (dell’autore originario e dell’esternatore extra moenia) al medesimo gruppo parlamentare: entrambe le ipotesi, infatti, richiedono che vi sia, quanto meno ed in ogni caso, una sostanziale corrispondenza tra le dichiarazioni rese extra moenia e quelle rese – da un altro qualsiasi parlamentare ovvero da altro parlamentare del medesimo gruppo – intra moenia.
2.5.1.– Di corrispondenza sostanziale non può parlarsi (così come per gli atti tipici del deputato Vendola) neanche con riguardo ad atti tipici posti in essere da altri parlamentari, appartenenti o non al medesimo gruppo politico del Vendola: così quando oggetto di censura è la politica albanese del Governo italiano (seduta 4 marzo 1997, on. Brunetti; seduta 5 marzo 1997, on. Leccese e Calzavara) o genericamente la «lobby mafioso-massonica-affaristica che opera in Albania» (seduta 17 giugno 1997, on. Brunetti) o il Foresti per l’appoggio dato al governo Berisha (seduta 5 marzo 1997, on. Danieli; seduta 22 maggio 1997, on. Mantovani e Gramazio) o il Foresti perché svolgeva una «funzione non negli interessi del paese» (seduta 5 giugno 1997) ovvero ancora, infine, l’ambasciata italiana (seduta 12 giugno 1997).
In tutti questi atti – e, come si è detto, la circostanza è dirimente, nel caso di specie, essendo superfluo occuparsi del logicamente successivo problema della eventuale rilevanza del rapporto con altri parlamentari, di altro o del medesimo gruppo – è ravvisabile soltanto una generica comunanza tematica costituita dalla linea politica seguita (ora dal Governo italiano ora dall’ambasciatore) nella “gestione” della situazione albanese, ma non anche una sostanziale corrispondenza con l’oggetto dell’articolo di stampa, incentrato sul ruolo attribuito al Foresti – “lestofante” – di essere la «principale cerniera tra l’Italietta dei predoni e un’Albania da colonia o da protettorato».
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spetta alla Camera dei deputati deliberare che i fatti, per i quali è in corso il procedimento civile promosso dal sig. Paolo Foresti contro il deputato Nicola (Nichi) Vendola, riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
annulla, per l’effetto, la deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 17 marzo 1998 (documento IV-quater, n. 20).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2005.