SENTENZA N. 233
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
-
Francesco AMIRANTE Presidente
-
Ugo DE SIERVO
Giudice
-
Paolo MADDALENA "
-
Alfio FINOCCHIARO "
-
Alfonso QUARANTA "
-
Franco GALLO "
-
Luigi MAZZELLA "
-
Gaetano SILVESTRI "
-
Sabino CASSESE "
-
Maria
Rita SAULLE "
-
Giuseppe TESAURO "
-
Paolo
Maria NAPOLITANO "
-
Giuseppe FRIGO "
-
Alessandro CRISCUOLO "
-
Paolo GROSSI "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli artt. da
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché
gli atti di intervento dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) –
Onlus, della Biomasse Italia S.p.a. ed altre;
udito nell’udienza pubblica del 5 maggio 2009 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi gli avvocati Maria Grazia Bottari Gentile per
Ritenuto
in fatto
1. – Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio
dei ministri l’8 giugno 2006,
Le censure riguardano, tra l’altro, il
settore della «Tutela delle acque dall’inquinamento», oggetto della Sezione II
della Parte III del decreto legislativo.
Nell’ambito di questa sezione
Non mancando, peraltro, richiami alla
"tutela dell’ambiente” (segnatamente con riferimento alle lettere a), b) e f), ed alla
"tutela della salute” (in tal senso, rilevano soprattutto le lettere b), d) ed e), in
via gradata sussisterebbe una concorrenza di
competenze che coinvolgerebbe le tre materie indicate.
Se anche si adottasse la prospettiva
della sussistenza di una concorrenza di competenze, l’enunciazione degli
strumenti potrebbe, al più, essere inquadrata nell’ambito della determinazione
di standards
di tutela (ciò che appare, peraltro, assai problematico), con il che il comma 2
non potrebbe comunque essere considerato immune da vizi, giacché, ove non sia
ravvisabile la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto agli altri,
atto a rendere dominante la relativa competenza legislativa, la redazione di
contenuti normativi richiede la previa intesa con i rappresentanti delle
Regioni.
Altra norma censurata è l’art. 75, comma
1, lettera b), secondo
la quale le Regioni e gli enti locali esercitano le funzioni e i compiti ad
essi spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel
rispetto delle attribuzioni statali.
Tale disposizione è ispirata ad una
concezione del riparto di competenze inconciliabile con il mutato assetto
costituzionale, dal momento che ignora come le funzioni normative delle Regioni
e le funzioni amministrative degli enti locali non possono mai essere
"determinate”, stanti le clausole di cui all’art. 117, quarto comma, ed
all’art. 118, primo comma, Cost., e muove dalla errata tendenza dello Stato a
restare l’ente cui spettano le competenze generali.
Analoghi rilievi riguardano l’art. 87,
il cui comma 1, disponendo che «le Regioni, d’intesa con il Ministero delle
politiche agricole e forestali, designano, nell’ambito delle acque marine
costiere e salmastre che sono sede di banchi e di popolazioni naturali di
molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle richiedenti protezione e miglioramento
per consentire la vita e lo sviluppo degli stessi e per contribuire alla buona
qualità dei prodotti della molluschicoltura direttamente commestibili per
l’uomo», riproduce l’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 11 maggio 1999,
n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento
della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane
e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque
dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), in cui,
però, non era prevista l’intesa con il Ministro delle politiche agricole e
forestali. Trattandosi di competenza già interamente trasferita alle Regioni
(l’art. 1, comma 8, della legge 15 dicembre 2004, n. 308, impone al legislatore
delegato il rispetto delle competenze attribuite alle Regioni dal decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112), appare evidente che lo Stato non può
surrettiziamente riappropriarsene attraverso un atto di codeterminazione, di
cui non si rinviene alcuna giustificazione, né sul piano funzionale né su
quello del sistema costituzionale di ripartizione delle competenze.
Subordinatamente, poi, l’attribuzione ai
Ministri del potere di emanare decreti violerebbe il principio di leale
collaborazione, attesa l’importanza che i decreti ministeriali possono assumere,
tale da richiedere l’intervento di istanze rappresentative delle Regioni ed
enti locali nel procedimento di formazione.
1.1. – Nell’imminenza dell’udienza
2. – Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio
dei ministri il 21 giugno 2006,
Le censure riguardano, tra l’altro, il
settore della «Tutela delle acque dall’inquinamento», oggetto della Sezione II
della Parte III.
In tale ambito, appare lesivo delle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite l’art. 75, comma 5, per
violazione dell’art. 119 Cost. La disposizione impone alle Regioni di
assicurare la più ampia divulgazione delle informazioni sullo stato di qualità
delle acque nonché di trasmettere al Dipartimento tutela delle acque interne e
marine dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici
(APAT) i dati conoscitivi e le informazioni relativi all’attuazione del d.lgs.
n. 152 del 2006, e quelli prescritti dalla disciplina comunitaria, secondo le
modalità che verranno indicate con decreto del Ministro dell’ambiente, di
concerto con i Ministri competenti, d’intesa con
Al fine di ottemperare agli obblighi
imposti dalla disposizione in esame, le Regioni devono necessariamente
attivare, con oneri rilevanti a proprio carico, azioni dirette ad effettuare
una serie di indagini conoscitive sullo «stato di qualità delle acque», nonché
azioni dirette al monitoraggio e alla elaborazione dei dati e delle
informazioni acquisite, al fine di poter evidenziare, come richiesto dalla
norma, il livello di attuazione dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, nonché il
rispetto degli obblighi di derivazione comunitaria. Tali obblighi informativi non
appaiono collegati a funzioni proprie delle Regioni, bensì risultano
esplicazione della potestà legislativa riconosciuta allo Stato dall’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost.
L’acquisizione delle informazioni è
infatti finalizzata a consentire un controllo da parte dello Stato sul rispetto
degli standard di tutela ambientali imposti dallo stesso e dalla
Comunità europea, controllo che rappresenta il diretto corollario di quello che
è il nucleo essenziale della materia "tutela ambientale”. Se è vero che detta
materia è "trasversale” e consente, comunque, alle Regioni di curare i propri
interessi funzionalmente collegati con quelli ambientali, è anche vero che
l’attività di rilevazione dei dati e delle informazioni richieste rappresenta
esplicazione del potere statale di controllare il rispetto degli standard di tutela uniformi, individuati
al fine di garantire le esigenze di protezione e tutela dell’ambiente.
L’onerosità dei compiti di rilevamento,
positivamente assunti dalla Regione ricorrente in attuazione del principio di
leale collaborazione, non è assistita dall’individuazione, da parte del
legislatore statale, delle risorse necessarie a farvi fronte, in palese
violazione dell’art. 119 Cost., secondo cui le Regioni hanno «autonomia
finanziaria di entrata e di spesa» (primo comma) e godono di risorse autonome
(secondo comma).
Sul presupposto che per la svolgimento
delle funzioni loro attribuite, Regioni ed enti locali si avvalgono di tributi
ed entrate proprie, da essi stabiliti secondo principi di coordinamento della
finanza pubblica, compartecipazione al gettito di tributi statali riscossi sul
loro territorio e accesso al fondo perequativo per i territori con minore
capacità fiscale, il quinto comma dispone che «per provvedere a scopi diversi
dal normale esercizio delle loro funzioni lo Stato destina risorse aggiuntive»
a favore di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
Ne consegue che, qualora lo Stato
imponga ad enti locali (nella specie le Regioni) di provvedere a scopi diversi
dal normale esercizio delle loro funzioni, deve contestualmente indicare i
mezzi finanziari per farvi fronte. In mancanza, verrebbe vanificata l’essenza
stessa dell’autonomia finanziaria riconosciuta alle Regioni dalla Costituzione,
dovendo le stesse distogliere le entrate destinate a coprire le funzioni
pubbliche loro attribuite per fronteggiare gli oneri derivanti dalle funzioni
diverse ed ulteriori ad esse attribuite dal legislatore statale.
Altra norma censurata è l’art. 77, comma
5, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale
cooperazione.
La disposizione in esame prevede che la
designazione di un corpo idrico artificiale o fortemente modificato e le
relative motivazioni siano esplicitamente menzionate nei piani di bacino (di
emanazione statale). La disposizione appare poco chiara, in particolare sul
significato da attribuire al termine "designazione”. In una prima accezione,
sembrerebbe ricondursi al legislatore statale «l’individuazione del corpo idrico
artificiale o fortemente modificato» attraverso lo strumento del piano di
bacino; in una seconda accezione, il piano di bacino si limiterebbe a riportare
un elenco dei corpi idrici o fortemente modificati, la cui designazione
sarebbe, invece, demandata all’ambito regionale.
I commi successivi riconoscono
competenze in capo alle Regioni, tali da far propendere per la seconda
interpretazione (il comma 6 prevede che le Regioni possano motivatamente
stabilire termini diversi per i corpi idrici che presentano condizioni tali da
non consentire il raggiungimento dello stato di "buono”; il comma 7 prevede che
le Regioni possano stabilire obiettivi di qualità ambientale meno rigorosi per
taluni corpi idrici, qualora ricorrano alcune particolari condizioni), tuttavia
la norma appare, nella sostanza, ambigua. L’interpretazione secondo la quale la
designazione del corpo idrico compete allo Stato porterebbe in capo allo stesso
un’attività strettamente finalizzata a politiche di uso del territorio, per
loro stessa natura riconducibili alla materia del "governo del territorio”,
riservata dall’art. 117, comma terzo, Cost., alla legislazione concorrente.
Anche volendo configurare un’avocazione
da parte dello Stato, per esigenze di unitarietà, delle funzioni amministrative
di competenza delle Regioni, la norma non si sottrarrebbe a censure di
illegittimità costituzionale: l’assunzione in sussidiarietà, quale deroga al
sistema di competenze disegnato dalla Costituzione, deve infatti sottostare al
principio di leale collaborazione, che impone che la funzione venga
amministrata attraverso accordi ed intese con le Regioni. Detto principio non
trova riconoscimento nella norma impugnata, dal momento che la designazione del
corpo idrico non è subordinata ad intese con i livelli regionali, ma, al
contrario, è ricondotta unilateralmente nell’ambito della competenza statale.
Viene, inoltre, censurato l’art. 87,
comma 1, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
La disposizione prevede che le Regioni,
d’intesa con il Ministero delle politiche agricole e forestali, designino,
nell’ambito delle acque marine costiere e salmastre che sono sede di banchi e
di popolazioni naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle richiedenti
protezione e miglioramento, per consentire la vita e lo sviluppo degli stessi e
per contribuire alla buona qualità dei prodotti della molluschicoltura
direttamente commestibili per l’uomo.
La norma, avendo la duplice finalità di
assicurare che le acque marine e salmastre, sede di popolazioni naturali di
molluschi bivalvi e gasteropodi, rispondano ai requisiti di qualità richiamati
dal successivo art. 88, e di assicurare la buona qualità dei prodotti della
molluschicoltura direttamente commestibili per l’uomo, coinvolge interessi
diversi, affidati ora alla tutela del legislatore statale (tutela
dell’ambiente), ora alla legislazione concorrente (tutela della salute), ora
alla legislazione residuale delle Regioni (agricoltura).
Il nucleo centrale della materia
"agricoltura” è individuabile nella produzione di vegetali ed animali destinati
all’alimentazione, quindi non sembra compatibile, con il riparto delle
competenze delineato dal Titolo V della Parte II della Costituzione, la
subordinazione della designazione regionale delle acque marine ai fini della
molluschicoltura ad un’intesa con i livelli statali.
La competenza regionale esclusiva nella
materia dell’agricoltura è altresì incompatibile in riferimento alle materie
riconducibili alla legislazione concorrente (tutela della salute e
dell’alimentazione), laddove compete allo Stato la sola fissazione dei principi
fondamentali e non anche determinazioni di dettaglio, quale è invece quella di
designazione delle acque che ottemperano ai requisiti di qualità (indicati come
standard uniformi dallo Stato) e che
possono, pertanto, essere destinate alla molluschicoltura, in quanto disciplina
operativa e di dettaglio, il cui esercizio è riconducibile all’ambito
regionale.
Neppure sembrano invocabili i principi
di sussidiarietà ed adeguatezza di cui all’art. 118, primo comma, Cost., nella
loro attitudine ascensionale, in base ai quali lo Stato può riservare a sé
funzioni amministrative (e conseguentemente legislative) in deroga al riparto
delle competenze individuato dal Titolo V della Parte II della Costituzione,
difettando le condizioni di proporzionalità e ragionevolezza, giacché, pur
contemplando la norma una concertazione tra livello regionale e statale, non è
ravvisabile un ragionevole fondamento tale da giustificare l’esigenza di un
esercizio unitario della stessa, soprattutto tenendo conto del contesto
normativo in cui la norma è collocata; tanto più che l’art. 84, comma
Va evidenziato, infine, che l’art. 87
modifica l’art. 14 del d.lgs. n. 152 del 1999 (normativa che viene abrogata dal
decreto legislativo oggetto di impugnazione), che, in un quadro costituzionale
in cui le competenze regionali erano indubbiamente inferiori a quelle
desumibili dall’attuale 117 Cost., non subordinava l’esercizio della funzione
regionale ad intese con i livelli statali.
2.1. – Nel giudizio promosso dalla
Regione Toscana si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che illustra le
ragioni per cui le doglianze della Regione dovranno essere disattese.
Relativamente alla tutela delle acque
dall’inquinamento, la difesa erariale replica alle censure relative all’art.
75, comma 5, sulla divulgazione delle informazioni sullo stato di qualità delle
acque, assumendo che tale obbligo è di diretta derivazione comunitaria. Il
riordino delle funzioni comporta il necessario trasferimento delle risorse nell’ambito
delle varie materie considerate dal legislatore delegato, e le informazioni
possono essere acquisite e diffuse con mezzi a basso costo (indicatori
biologici invece che chimici, internet
in luogo di pubblicazione a stampa).
La doglianza in ordine
all’individuazione dei corpi idrici artificiali o fortemente modificati (art.
77, comma 5) sarebbe inammissibile per genericità e indeterminatezza, oltre che
per il fatto che i criteri di individuazione non possono che essere omogenei su
tutto il territorio nazionale.
Riguardo all’art. 87, comma 1 – che
prevede la designazione, da parte delle Regioni, d’intesa con il Ministero
delle politiche agricole e forestali, delle acque marine costiere e salmastre
richiedenti protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo dei
molluschi – la doglianza non sarebbe fondata, poiché l’intesa con il Ministro
si pone solo nella prima fase di individuazione, restando affidata alla
competenza regionale l’integrazione e la modifica in via ordinaria degli elenchi.
2.2. – Nel giudizio ha presentato atto
di intervento ad adiuvandum
l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, la quale, poste alcune
premesse sulla legislazione italiana in materia ambientale e sull’esercizio
della delega legislativa, passa ad esaminare le questioni di legittimità delle
norme denunciate dalla Regione ricorrente, senza tuttavia svolgere
considerazioni in merito alle specifiche disposizioni in tema di tutela delle
acque dall’inquinamento.
2.3. – Nell’imminenza dell’udienza,
3. – Con ricorso notificato al
Presidente del Consiglio dei ministri il 27 giugno 2006,
Le censure riguardano, tra l’altro, gli
artt. da
Rispetto al quadro legislativo già
operante, si riscontrano significative innovazioni, non giustificate da
esigenze di coordinamento ed anzi apportatrici di elementi di contraddizione ed
incoerenza ed improntate ad un accentramento di compiti, anche di limitata
gestione, nella sede ministeriale, determinandosi compressione del ruolo delle
Regioni e delle autonomie locali. Il principio dell’unitarietà fonda la
competenza statale ove siano ravvisabili esigenze di uniformità e omogeneità
strategica, con la definizione di standard,
pur sempre con il contemperamento delle procedure di leale collaborazione e
intesa per la codeterminazione dei contenuti interessanti anche l’ambito di
competenza regionale.
3.1. – Nel giudizio promosso dalla
Regione Piemonte, si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso
per la inammissibilità o infondatezza della questione.
Hanno poi spiegato intervento
4. – Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio
dei ministri il 13 giugno 2006,
Le censure riguardano, tra l’altro, il
settore della «Tutela delle acque dall’inquinamento», oggetto della Sezione II
della Parte III del decreto legislativo.
L’art. 74 reca le definizioni rilevanti
nella materia, e tra queste il comma 1, lettera ff), definisce "scarico”
qualsiasi immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel
sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla natura inquinante, e pur
sottoposta a preventivo trattamento di depurazione. In questo modo,
l’immissione non deve più essere «diretta tramite condotta».
Sono stati così modificati il concetto
di "scarico”, quale risultante dall’art. 2, comma 1, lettera bb),
del d.lgs. n. 152 del 1999, e la sua distinguibilità
dal concetto di "rifiuto”, viceversa costituito da reflui di cui il detentore
si disfi senza versamento diretto nei corpi ricettori, con avvio allo
smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto comunque non
canalizzato. La norma in esame, dunque, rimette in discussione il difficile
rapporto tra normativa sulle acque e normativa sui rifiuti, limitando in
sostanza l’applicazione di questa – i rifiuti liquidi sono in tal modo
sottratti alla normativa sui rifiuti e assimilati agli scarichi idrici: l’art.
8 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva
91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e
della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio),
esclude dal proprio ambito di applicazione le acque di scarico – e riducendo i
controlli sui casi di introduzione di sostanze nei corpi ricettori in assenza
di condotta.
Tale innovazione, oltre ad essere
irragionevole (con violazione dell’art. 3 Cost.), contrasterebbe con la legge
delega, sia per il fatto stesso di essere un’innovazione (il Governo aveva meri
compiti di «riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni
legislative nei seguenti settori e materie») sia perché diminuisce la tutela
dell’ambiente e della salute (mentre l’art. 1, comma 8, lettera a), della legge delega n. 308 del 2004
pone come principio direttivo la garanzia della salvaguardia, della tutela e
del miglioramento della qualità dell’ambiente, della protezione della salute
umana).
Ne consegue una menomazione della
posizione regionale, in primo luogo perché è il territorio stesso della Regione
che viene danneggiato dal fatto che i rifiuti liquidi siano sottratti alla
normativa sui rifiuti e assimilati agli scarichi idrici, con conseguente
lesione della posizione regionale di rappresentante generale degli interessi
della popolazione stanziata su quel territorio; in secondo luogo, l’attività
legislativa ed amministrativa che
L’art. 74, comma 1, lettera h), introduce nella definizione di acque
reflue industriali il criterio "qualitativo” in sostituzione di quello della
"provenienza” di cui all’art. 2, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 152
del 1999. Ciò costituisce un oggettivo passo indietro nella tutela delle acque
dall’inquinamento, tale da determinare gravi complicazioni applicative.
Inoltre, la nuova norma non rispetta neppure la definizione prevista dall’art.
2 della direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane. E’
dunque ravvisabile violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., del principio
di ragionevolezza e, per le stesse ragioni sopra esposte, dell’art. 76 della
Costituzione. Attraverso tali violazioni, la norma lede le prerogative
regionali, per le ragioni esposte in relazione all’art. 74, comma 1, lettera ff).
L’art. 74, comma 1, lettera n), innova la definizione di agglomerato
di cui all’art. 2, comma 1, lettera m),
del d.lgs. n. 152 del 1999, facendo riferimento alle attività produttive
(invece che alle attività economiche) e all’imprecisato concetto di "fognatura
dinamica”. Anche tale norma risulta di difficile applicazione, con conseguente
pregiudizio per la tutela dell’ambiente, e inoltre è in contrasto con la
definizione di agglomerato stabilita dall’art. 2 della direttiva 91/271/CEE.
Essa, dunque, violerebbe (per le ragioni viste nel punto precedente) gli artt.
3, 76, e 117, primo comma, Cost., arrecando lesione alle prerogative regionali
in materia di competenza della Regione.
L’art. 74, comma 1, lettera oo), e comma 2,
lettera qq),
fornisce due definizioni di «valore limite di emissione»; la seconda è conforme
a quella fornita dall’art. 2, n. 40, della direttiva 2000/60/CE, mentre la
lettera oo)
aggiunge, irragionevolmente, una seconda e diversa definizione, che determina
incertezza del diritto e difficoltà interpretative ed applicative: tale norma,
dunque, risulta in contrasto con gli artt. 117, primo comma, Cost., e, in
quanto la difficoltà applicativa si possa tradurre in una diminuita tutela
dell’ambiente, con la legge delega e con l’art. 76 Cost. (per le ragioni viste
in precedenza). Tali violazioni pregiudicano la tutela del territorio regionale
e l’efficienza dell’azione regionale di tutela ambientale, per cui, per le
ragioni sopra viste, si traducono in una lesione della competenza regionale.
L’art. 74, comma 2, lettera ee), definisce "sostanze pericolose” le «sostanze o
gruppi di sostanze tossiche, persistenti e bio-accumulabili
e altre sostanze o gruppi di sostanze che danno adito a preoccupazioni
analoghe». Come è evidente, la norma dà una definizione di sostanze pericolose
così generica da risultare fuorviante e di nessuna utilità sotto il profilo
applicativo. E’ vero che tale definizione corrisponde a quella di cui all’art.
2, n. 29, della direttiva 2000/60/CE, ma compito del legislatore nazionale è
appunto quello di integrare le norme delle direttive e renderle applicabili.
Ciò non è avvenuto per il concetto di "sostanze pericolose”, e le difficoltà
applicative su questo punto pregiudicano, come è facilmente intuibile, la
migliore tutela dell’ambiente; né tale pregiudizio è interamente superabile in
virtù degli elenchi di sostanze nocive che, a vari fini, sono previsti da
singoli atti normativi statali, perché la tutela dell’ambiente necessita di una
precisa definizione generale, al fine, ad esempio, di far fronte alle nuove
sostanze pericolose. Anche in questo caso, dunque, sarebbero violati l’art. 3
Cost. e, in virtù della diminuita tutela dell’ambiente, l’art. 76 Cost., con
pregiudizio sull’attività regionale in materia (per le ragioni viste in
precedenza).
4.1. – Nel giudizio promosso dalla
Regione Liguria ha presentato atto di intervento ad adiuvandum l’Associazione italiana per
il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) – Onlus.
4.2. – Nell’imminenza dell’udienza
5. – Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio
dei ministri il 23 giugno 2006,
Le censure riguardano, tra l’altro, il
settore della «Tutela delle acque dall’inquinamento», oggetto della Sezione II
della Parte III.
In tale ambito, appare lesivo delle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite l’art. 75, comma 5, per
violazione dell’art. 119 Cost.: la disposizione pone a carico della Regione una
serie di obblighi di informazione sullo stato di qualità delle acque, nonché
l’obbligo di trasmettere al «Dipartimento tutela acque interne e marine» i dati
conoscitivi e le informazioni relative all’attuazione dello stesso decreto
legislativo. Questi obblighi informativi presuppongono una attività di
rilevazione e monitoraggio delle acque indubbiamente costosa che, riconducibile
alla materia della tutela dell’ambiente, è demandata dalla Costituzione alla
competenza esclusiva dello Stato, dove nella sostanza le Regioni agiscono come
meri «bracci operativi dello Stato». Con la disposizione in esame, invece, sono
stati attribuiti alle Regioni compiti e funzioni che non sono loro propri,
senza che sia stata loro riconosciuta la destinazione di specifiche ed
aggiuntive risorse finanziarie.
L’art. 77, comma 5, appare illegittimo
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., e del principio di leale
cooperazione.
La norma dispone che «la designazione di
un corpo idrico artificiale o fortemente modificato e la relativa motivazione
siano esplicitamente menzionate nei piani di bacino e sono riesaminate ogni sei
anni». Di seguito il comma 5 riconosce alle Regioni la possibilità di definire
un corpo idrico artificiale o fortemente modificato in presenza delle
condizioni individuate nella norma medesima (lettere a e b).
Non è escluso che «l’individuazione del
corpo idrico artificiale o fortemente modificato» sia effettuata dallo Stato.
Se così fosse, si ricondurrebbe in capo allo stesso un’attività finalizzata a
politiche di «governo del territorio», come tali riservate, dall’art. 117,
terzo comma, Cost., alla legislazione concorrente Stato-Regione, e rispetto
alla quale compete allo Stato la sola fissazione dei principi fondamentali.
L’art. 87, comma 1, appare illegittimo
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
La disposizione prevede che le Regioni,
d’intesa con il Ministero delle politiche agricole e forestali, designino,
nell’ambito delle acque marine costiere e salmastre che sono sede di banchi e
di popolazioni naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle richiedenti
protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo degli stessi e
per contribuire alla buona qualità dei prodotti della molluschicoltura
direttamente commestibili per l’uomo.
La finalità della disposizione –
assicurare la qualità dei prodotti commestibili – porta a ritenere che la norma
incida su diversi interessi ora di competenza della legislazione statale
(tutela dell’ambiente), ora della legislazione concorrente (tutela della
salute), ora della legislazione residuale delle Regioni (agricoltura).
La materia dell’agricoltura comprende
tutto ciò che «ha a che fare con le produzioni di vegetali ed animali destinati
all’alimentazione». Questa impostazione, nel caso di specie, risulta anche
confermata dall’individuazione del Ministero delle politiche agricole e
forestali quale Ministro competente all’intesa. Ne consegue l’illegittimità
costituzionale di una previsione che impone la necessaria intesa tra le Regioni
e il Ministero delle politiche agricole e forestali in una materia
riconducibile alla competenza residuale delle Regioni.
5.1. – Nel giudizio ha presentato atto
di intervento ad adiuvandum
l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, la quale, poste alcune
premesse sulla legislazione italiana in materia ambientale, e sull’esercizio
della delega legislativa, passa ad esaminare le questioni di legittimità delle
norme denunciate dalla Regione ricorrente, senza tuttavia svolgere
considerazioni in merito alle specifiche disposizioni in tema di tutela delle
acque dall’inquinamento.
5.2. – Nell’imminenza dell’udienza
Relativamente all’art. 75, comma 5,
resterebbe l’attualità della questione, giacché, pur essendo nel frattempo
intervenuto il decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116 (Attuazione della
direttiva 2006/7/CE relativa alla gestione della qualità delle acque di
balneazione e abrogazione della direttiva 76/160/CEE), che ha dato attuazione
alla direttiva 2006/7/CE sulla gestione delle acque di balneazione, l’ambito di
applicazione di quest’ultima normativa è solo in piccola parte sovrapponibile
con l’oggetto del d.lgs. n. 152 del 2006, dato che riguarda specificamente
l’ambito delle acque superficiali oggetto di balneazione, mentre
La norma impugnata, però, per il suo
generico riferimento alla «più ampia divulgazione delle informazioni sullo
stato di qualità delle acque», e soprattutto alla trasmissione dei dati
conoscitivi «sull’attuazione della Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006»,
implica l’attribuzione alla Regione di specifici e ulteriori compiti di
monitoraggio e rilevazione, non sostenuti dalla destinazione di risorse
aggiuntive di cui l’art. 119, quinto comma, Cost., che fa carico allo Stato ove
si tratti di perseguire scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni.
Con riferimento all’art. 77, comma 5,
anch’esso solo marginalmente interessato dal d.lgs. n. 116 del 2008, che si
riferisce alla "designazione” di corpo idrico artificiale o fortemente
modificato, si rileva nella memoria che, pur vertendosi
in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, è riscontrabile
un’intrinseca e forte incidenza in ambiti legislativi regionali (governo del
territorio, infrastrutture, agricoltura, sviluppo socio-economico): ambiti in
cui lo Stato non ha il potere di allocare funzioni amministrative, senza il
rispetto dei principi di sussidiarietà e adeguatezza richiesti dall’art. 118
Cost., con l’accentramento di una funzione per la quale risultano più che
adeguati i livelli di governo regionale.
La finalità dell’art. 87, comma 1,
anch’essa solo marginalmente interessata dal d.lgs. n. 116 del 2008, è quella
di assicurare la qualità di prodotti commestibili, tant’è vero che è coinvolto
non il Ministero dell’ambiente, ma quello delle politiche agricole e forestali.
Pur se nella disciplina concorrono aspetti ambientali, il principio della
prevalenza comporta la riconduzione della disciplina ad ambiti materiali come
agricoltura, pesca, acquacoltura, di potestà legislativa residuale delle
Regioni. In tale prospettiva è illegittima la previsione dell’intesa con un
organo statale, in relazione ad una funzione amministrativa allocata in capo
alle Regioni, intesa che, in caso di disaccordo, condizionerebbe addirittura l’an della funzione
legislativa. La giurisprudenza della Corte costituzionale – che, in materia di
pesca, data la complessità e polivalenza della attività, ha stabilito la
necessità di momenti di reciproco coinvolgimento istituzionale e coordinamento
dei livelli di governo – non toglie che, per il principio di sussidiarietà e
adeguatezza, debba essere prima individuato il livello di governo ottimale per
l’attribuzione della funzione, potendo individuarsi solo in un secondo tempo
idonee modalità collaborative.
L’allocazione delle funzioni
amministrative, nello spirito dell’art. 118 Cost., tende a favorire i livelli
più vicini al cittadino. Se, per esigenze unitarie, la funzione debba essere
allocata a livello superiore, occorre garantire uno strumento di coinvolgimento
partecipativo dei livelli di governo inferiori: è il caso in cui, in forza
della sussidiarietà, la funzione sia stata attribuita allo Stato.
Ove invece la funzione sia stata
allocata a livello inferiore (come nel caso di specie, in cui è
Considerato in diritto
1. – Con ricorsi notificati al Presidente
del Consiglio dei ministri le Regioni Calabria (reg. ric. n. 68 del 2006),
Toscana (reg. ric. n. 69 del 2006), Piemonte (reg. ric. n. 70 del 2006),
Liguria (reg. ric. n. 74 del 2006) e Marche (reg. ric. n. 79 del 2006), hanno
chiesto a questa Corte, fra l’altro, la declaratoria di illegittimità
costituzionale di una serie di disposizioni in materia di «Tutela delle acque
dall’inquinamento», oggetto della Sezione II della Parte III del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme
in materia ambientale), per violazione delle competenze regionali, sotto
molteplici aspetti.
In particolare,
Stante la loro connessione oggettiva, i
suddetti ricorsi devono essere riuniti per essere decisi con unica pronuncia.
2. – Riservata ad altre pronunce la
decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate con
i medesimi ricorsi, va dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio sia
dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) sia della Società Italiana Centrali
Termoelettriche – SICET S.r.l., in conformità all’orientamento della
giurisprudenza costituzionale secondo cui il giudizio di legittimità
costituzionale in via principale si svolge «esclusivamente fra soggetti
titolari di potestà legislativa, fermi restando per i soggetti privi di tale
potestà i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche
costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente
anche di fronte a questa Corte in via incidentale» (ex plurimis,
sentenza n. 405
del 2008).
3. – Dal momento che varie Regioni hanno
impugnato le medesime norme, è opportuno esaminare le doglianze nella
successione numerica cui si riferiscono.
4. –
La censura è inammissibile per la sua
genericità:
5. –
La censura è generica e non evidenzia,
nel complessivo contenuto della norma censurata, che si articola in otto
previsioni (lettere da a ad h), gli aspetti specifici nei quali
potrebbe cogliersi la violazione delle prerogative regionali.
6. –
La censura non è fondata.
La previsione di strumenti per il
raggiungimento degli obiettivi di tutela ambientale è formulata a livello
generale, organizzativo, al fine di assicurare standard omogenei sul territorio nazionale, in ordine alle modalità
di conseguimento degli obiettivi. Il carattere generale, unitario, non
interferente su specifiche realtà territoriali, si ritrova nella disposizione
di chiusura della norma (comma 3), in cui si prevede che «il perseguimento
delle finalità e l’utilizzo degli strumenti contribuiscono a proteggere le
acque territoriali e marine e a realizzare gli obiettivi degli accordi
internazionali in materia».
Del resto, nella materia ambientale, di
potestà legislativa esclusiva, lo Stato non si limita a porre principi (come
nelle materie di legislazione concorrente): il fatto che tale competenza
statale non escluda la concomitante possibilità per le Regioni di intervenire,
nell’esercizio delle loro competenze in tema di tutela della salute e di
governo del territorio, non comporta che lo Stato debba necessariamente
limitarsi, allorquando individui l’esigenza di interventi di questa natura, a
stabilire solo norme di principio (sentenze n. 62 del
2005, n. 12
e n. 61 del 2009).
7. –
Con memoria depositata nell’imminenza
dell’udienza, la predetta Regione ha rinunciato alle impugnazioni proposte
avverso l’art. 74, comma 1, lettere h), n), ff)
e oo).
La formale rinuncia, in relazione ai
motivi concernenti disposizioni modificate, produce, in assenza di accettazione
dello Stato, la cessazione della materia del contendere (ordinanze n. 53 del
2009 e n.
345 del 2006), ammettendo esplicitamente la stessa Regione essere venuto
meno in parte qua l’interesse al ricorso. Non risulta, peraltro, che le
norme modificate abbiano avuto attuazione nel territorio regionale.
Le censure residue investono:
– l’art. 74, comma 1, lettera n), che modificherebbe la definizione di
agglomerato di cui all’art. 2, comma 1, lettera m), del d.lgs. n. 152 del 1999, e, inoltre, sarebbe in contrasto
con la definizione di agglomerato stabilita dall’art. 2 della direttiva
91/271/CEE. La norma, dunque, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 76, e
117, primo comma, Cost., arrecando lesione alle prerogative regionali riferite
al proprio territorio;
– l’art. 74, comma 2, lettera ee), che definisce "sostanze pericolose” le
«sostanze o gruppi di sostanze tossiche, persistenti e bio-accumulabili
e altre sostanze o gruppi di sostanze che danno adito a preoccupazioni
analoghe»; le definizioni violerebbero l’art. 3 Cost. per irragionevolezza e,
derivandone una diminuzione della tutela ambientale, in contrasto con il
principio di salvaguardia della qualità dell’ambiente adottato dalla legge
delega, violerebbero anche l’art. 76 Cost., con conseguente pregiudizio delle
condizioni del territorio e aggravamento dell’attività regionale in materia.
Si legge nella premessa del decreto
legislativo correttivo che lo stesso è stato emanato nell’esercizio del potere
previsto dalla legge delega 15 dicembre 2004, n. 308: in particolare, tale
potere si fonda sull’art. 1, comma 6, che consente l’emanazione di disposizioni
correttive ed integrative del d.lgs. n. 152 del 2006, entro due anni dalla data
della sua entrata in vigore.
Le censure sollevate della Regione
Liguria, che investono le definizioni legislative impiegate dalla disposizione
di settore, da "agglomerato” a "sostanze pericolose e tossiche”, attengono al
merito della disciplina, per le ricadute che la definizione dei concetti
determina sulla tutela delle condizioni ambientali prodotte dalle possibili
fonti di inquinamento.
Non sembra che dette indicazioni, che
valgono come riferimento ai parametri costituzionali per tutte le questioni
sollevate, possano essere ricondotte all’ambito della questione delle competenze:
la ricorrente si pone come ente esponenziale delle esigenze di salubrità
ambientale sul proprio territorio, di cui paventa una diminuzione delle difese
dalle condizioni di inquinamento, che la nuova impostazione concettuale delle
definizioni statali determinerebbe. Ma questo vale a discutere le scelte di
merito dello Stato, nell’esercizio delle sue prerogative di fissazione dei
livelli in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, mentre nulla ha a
che vedere con le competenze regionali in materia, che attengono al possibile
perseguimento, nell’esercizio delle competenze proprie, di finalità di tutela
ambientale, ma pur sempre entro i limiti stabiliti dalla legislazione statale (ex
plurimis: sentenze n. 104 del
2008; n. 32
del 2006; n.
307 del 2003).
La compromissione di riflesso che
Il ricorso della Regione Liguria,
relativamente alle questioni per le quali non vi è stata rinuncia, concernenti
le definizioni in materia di inquinamento, di cui all’art. 74 del Codice
dell’ambiente, è, pertanto, inammissibile.
8. –
La questione è inammissibile per
genericità delle doglianze (sentenza n. 50 del
2005), ove si rifletta sulla neutralità dell’espressione normativa, che fa
salve le competenze regionali e statali, nelle loro possibili reciproche
implicazioni: per di più, nella materia ambientale, la prerogativa statale di
dettare livelli di disciplina unitaria e uniforme, cui le Regioni debbono
sottostare, giustifica la clausola di salvezza delle attribuzioni statali.
9. – La stessa Regione Calabria censura
l’art. 75, comma 4, nella parte in cui stabilisce che, con decreto dei Ministri
competenti, si modifichino gli Allegati alla Parte III dello stesso decreto
legislativo, per dare attuazione alle direttive comunitarie per le parti in cui
queste modifichino modalità esecutive e caratteristiche tecniche delle
direttive, recepite nella Parte III. La norma attribuirebbe ad organi statali
il compito di attuare normative comunitarie di modifica di modalità esecutive,
incidenti su aspetti di dettaglio, e un potere regolamentare in materia non di
competenza esclusiva dello Stato, con violazione degli artt. 117, commi quinto
e sesto, e 118 Cost.; o, in subordine,
attesa l’importanza che i decreti ministeriali possono assumere, nella
parte in cui omette di prevedere, nel procedimento di formazione, l’intervento
di istanze rappresentative delle Regioni ed enti locali, per violazione del
principio di leale collaborazione.
La questione non è fondata.
Nelle materie di potestà legislativa
esclusiva, quale è quella di tutela dell’ambiente, lo Stato ha il potere di
dare attuazione alle direttive comunitarie (sentenza n. 399 del
2006), in particolare riguardo all’assolvimento di obblighi comunitari
generali per tutto il territorio dello Stato (sentenza n. 412 del
2001, in materia di disciplina degli scarichi).
Riguardo al possibile contenuto
esecutivo e di dettaglio delle modifiche, si può osservare, in generale, che
nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, lo Stato non si
limita a dettare norme di principio, anche riguardo alle funzioni
amministrative, la cui attribuzione può essere disposta in base ai criteri
generali dettati dall’art. 118, primo comma, Cost. (sentenze n. 88 del
2009 e n. 62
del 2005), del resto compatibile con la disciplina dell’ambiente (sentenza n. 401 del
2007).
Gli allegati alla Parte III del d.lgs.
n. 152 del 2006, inoltre, danno attuazione alla Parte II dello stesso decreto
legislativo, che si muove nella materia ambientale, pur se i correttivi da
inserire, demandati a decreti ministeriali, riguardino modalità di ordine
esecutivo e caratteristiche tecniche per le quali si impone una disciplina
unitaria a carattere nazionale. A parte il fatto che il potere di emanare
regolamenti nelle materie di competenza statale esclusiva, di cui al sesto
comma dell’art. 117 Cost., discende direttamente dalla Costituzione (sentenza n. 401 del
2007), sono sussistenti ragioni di unitarietà ed uniformità ordinamentali tali da richiedere l’allocazione a livello
statale delle funzioni amministrative in materia, tanto più che la fissazione
delle modalità tecniche generali era assegnata allo Stato già dagli artt. 80 e
88 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
10. –
La questione non è fondata.
Essa riguarda la divulgazione, da parte
delle Regioni, delle informazioni sullo stato di qualità delle acque e la
trasmissione al Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell’Agenzia
per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) dei dati
conoscitivi e delle informazioni relative all’attuazione del d.lgs. n. 152 del
2006, e di quelli prescritti dalla disciplina comunitaria. Va osservato che
tali obblighi vanno inquadrati, quanto al primo, nell’ambito della normativa in
tema di informazione ambientale, che grava sulla pubblica amministrazione, ed è
disciplinato dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione
della direttiva 2003/4/CE, sull’accesso del pubblico all’informazione
ambientale; il secondo rimette le informazioni sullo stato di attuazione della
Parte III del Codice dell’ambiente al coordinamento esercitato dallo Stato, non
in quanto titolare della potestà legislativa esclusiva in materia ambientale,
bensì nell’ambito della tutela del diritto di accesso del pubblico ai documenti
amministrativi, riguardo ai quali lo Stato fissa i livelli essenziali delle
prestazioni, ma la cui attuazione compete a tutti gli organi di amministrazione
(sentenza n. 399
del 2006).
Le Regioni ricorrenti non si dolgono di
dover rendere le informazioni prescritte, ma sollevano la questione della
ricaduta degli oneri economici sul loro bilancio, senza alcuna deduzione
sull’attribuzione delle competenze.
Va osservato, in primo luogo, che alla
raccolta sistematica, alla elaborazione dati e informazioni a livello locale,
gli enti sono già tenuti in base alla normativa sopra citata (vedi, in
particolare, l’art. 11 del d.lgs. n. 195 del 2005), atteso anche il carattere
tecnico del coordinamento esercitato dall’APAT (così la sentenza n. 356 del
1994). I sistemi di diffusione e di trasmissione dei dati e delle informazioni
sono stabiliti con decreto ministeriale adottato d’intesa con
La necessità di risorse aggiuntive è
postulata dall’art. 119 Cost. per perseguire scopi ulteriori rispetto al
normale svolgimento di funzioni e tali da comportare rilevanti aggravi di spesa
(sentenza n. 145
del 2008), circostanza non allegata, peraltro, dai ricorsi in esame.
La questione è da risolvere in base al
principio enunciato dalla Corte per l’ipotesi in cui lo Stato si avvalga di
uffici regionali: il rispetto dell’autonomia delle Regioni, senza dubbio
necessario anche sotto il profilo della provvista di mezzi finanziari per
fronteggiare nuovi oneri, è assicurato dalla previsione circa l’attuazione di
tale forma di collaborazione previa intesa con gli enti interessati o con gli
organismi rappresentativi degli stessi (sentenza n. 408 del
1998). E’ proprio il caso della norma denunciata, che, come sopra rilevato,
demanda le modalità di diffusione e di trasmissione dei dati e delle
informazioni ad un decreto ministeriale adottato d’intesa con
11. –
Il ricorso è inammissibile, perché le
Regioni hanno sollevato la questione in termini ipotetici.
12. – Le Regioni Calabria, Toscana e
Marche dubitano della legittimità dell’art. 87, comma 1, del d.lgs. n. 152 del
2006, ove prevede l’intesa con il Ministero delle politiche agricole e
forestali nella designazione, da parte delle Regioni, delle acque marine
costiere e salmastre richiedenti protezione e miglioramento per consentire la
vita e lo sviluppo di banchi e di popolazioni naturali di molluschi bivalvi e
gasteropodi, per contribuire alla buona qualità dei prodotti della
molluschicoltura commestibili per l’uomo.
Secondo
Per
Le ricorrenti deducono che si tratta di
competenza già interamente trasferita alle Regioni con l’art. 14 d.lgs. n. 152
del 1999, che viene abrogato dal decreto legislativo oggetto di impugnazione
(art. 175), imponendo invece l’art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del
2004 il rispetto delle competenze attribuite alle Regioni dal d.lgs. n. 112 del
1998, e in virtù della prevalenza della materia "agricoltura”. Anche ove si
ravvisi interferenza di materie concorrenti (tutela della salute e
dell’alimentazione) – argomentano Toscana e Marche – allo Stato competerebbe la
sola fissazione dei principi fondamentali e non anche determinazioni di
dettaglio. Difettano inoltre le condizioni di proporzionalità e ragionevolezza
per un’attrazione in sussidiarietà, giacché, pur contemplando la norma una
concertazione tra livello regionale e statale, non è ravvisabile un ragionevole
fondamento tale da giustificare l’esigenza di un esercizio unitario della
stessa, anche attesa la diversa disciplina riguardo alle acque dolci, in cui la
"designazione” è regionale in via esclusiva. Aggiunge
La questione non è fondata.
Si osserva che l’art. 87, nell’ambito
del Capo II della Sezione II, dedicato alle acque a specifica destinazione, ha
ad oggetto le acque marine e costiere, ed è per questo che, a differenza delle
acque dolci interne, che hanno un preciso collegamento al bacino territoriale
di riferimento, in cui si configura la competenza regionale, coinvolgono
interessi cui sovrintendono organi statali: questo dovrebbe spiegare, semmai,
le ragioni per le quali è prevista l’intesa con l’organo statale.
La molluschicoltura deve essere ascritta
all’ambito materiale della pesca, come si desume dall’art. 1, comma 2, del
decreto legislativo 26 maggio 2004 n. 153 (Attuazione della legge 7 marzo 2003,
n.
E’ evidente dalla stessa disciplina in
esame che la concorrenza della pesca con la competenza statale non riguarda la
materia ambientale, come evidenziato dal fatto che l’intesa è prevista con il
Ministero delle politiche agricole e forestali, e non con quello dell’ambiente.
L’intervento statale è concepito dall’art. 87, comma 1, come fine ultimo, per
garantire la buona qualità dei molluschi commestibili. La stessa «attività
amministrativa legata alla vigilanza e controllo sulla pesca marittima, è esercitata
dal Ministero delle politiche agricole e forestali che si avvale del Corpo
delle capitanerie di porto, e dalle Regioni, province e comuni, nel rispetto
dei princìpi di cui all’articolo 118 della
Costituzione» (art. 7 del d.lgs. n. 153 del 2004). Peraltro, la necessità di
meccanismi di leale collaborazione nello svolgimento dell’attività
amministrativa inerente al settore della pesca e dell’acquacoltura è confermata
dall’art. 21 del d.lgs. 26 maggio 2004 n. 154 (Modernizzazione del settore
pesca e dell’acquacoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 7 marzo
2003, n. 38), in tema di modernizzazione del settore pesca e dell’acquacoltura,
«in considerazione delle specifiche esigenze di unitarietà della
regolamentazione del settore dell’economia ittica, del principio di leale
collaborazione tra lo Stato e le regioni e dei princìpi
di cui all’articolo 118, primo comma, della Costituzione». Ulteriori strumenti
di collaborazione sono previsti dal decreto legislativo 4 agosto 2008 n. 148
(Attuazione della direttiva 2006/88/CE relativa alle condizioni di polizia
sanitaria applicabili alle specie animali d’acquacoltura e ai relativi
prodotti, nonché alla prevenzione di talune malattie degli animali acquatici e
alle misure di lotta contro tali malattie). La concorrenza significativa con la
materia "pesca” è dunque quella della "tutela dell’alimentazione”, di potestà
legislativa concorrente: ciò che giustifica la collaborazione della Regione con
lo Stato, quindi con il competente Ministero delle politiche agricole e
forestali.
L’art. 87, comma 1, è censurato dalla
Regione Calabria anche sotto il profilo della violazione dell’art. 76 Cost.,
trattandosi di competenza già interamente trasferita alle Regioni (l’art. 14
del d.lgs. n. 152 del 1999, che viene abrogato dal decreto legislativo oggetto
di impugnazione, prevedeva la competenza regionale nella designazione delle
acque idonee alla vita dei molluschi, senza contemplare l’intesa con organi
dello Stato): l’art. 1, comma 8, della legge delega impone al legislatore
delegato il rispetto delle competenze già attribuite alle Regioni dal d.lgs. n.
112 del 1998, e, quindi, si prospetta il vizio di eccesso di delega.
La censura è ammissibile, per la
possibilità delle Regioni di invocare parametri diversi da quelli del Titolo V
della Parte II della Costituzione, purché la violazione ridondi a pregiudizio
delle competenze regionali. E la violazione dei criteri e principi della legge
delega ben può sortire questo effetto, ove la delega sia finalizzata al
riordino delle competenze, sicché la modifica procedurale, penalizzante per
La disposizione censurata, tuttavia, al
contrario di quanto opinato dalle ricorrenti, non comporta un ridimensionamento
del ruolo regionale rispetto alle norme di riparto vigenti in materia, giacché
«la determinazione dei criteri generali per il monitoraggio e il controllo
della fascia costiera finalizzati in particolare a definire la qualità delle
acque costiere, l’idoneità alla balneazione, nonché l’idoneità alla
molluschicoltura e sfruttamento dei banchi naturali di bivalvi» rientrava già
tra i compiti di rilievo nazionale, di cui all’art. 80, lettera q), del d.lgs. n. 112 del 1998, il cui
rispetto è posto come criterio direttivo dalla legge delega (art. 1, comma 8,
della legge n. 308 del 2004). E se la designazione, nell’àmbito
delle acque marine costiere e salmastre, di quelle da tutelare, anche ai fini
del miglioramento dei prodotti della molluschicoltura (con formulazione
normativa anche testualmente coincidente con il nuovo art. 87 del d.lgs. n. 152
del 2006), era attribuita alle Regioni dall’abrogato art. 14 del d.lgs. n. 152
del 1999, il compito del Codice dell’ambiente è proprio quello del «riordino,
coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti
settori e materie», e tra queste (lettera b), la «tutela delle acque
dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche».
per
questi motivi
riuniti i giudizi,
riservata a separate pronunce la
decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse, nei
confronti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dalle
Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Liguria e Marche;
dichiara
inammissibile l’intervento,
spiegato nei giudizi indicati in epigrafe, dalla Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, e da Biomasse Italia S.p.a., Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET
S.r.l., Ital Green Energy S.r.l. ed E.T.A. Energie
Tecnologiche Ambiente S.p.a.;
dichiara
cessata la materia del contendere
in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 74, comma 1, lettera h), lettera n) (limitatamente alla parte relativa
alla fognatura dinamica), lettera ff) e lettera oo), del decreto legislativo n. 152 del
2006, proposte, in riferimento agli artt. 3, 76 e 117, primo comma, della
Costituzione, dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
inammissibile la questione di
legittimità costituzionale degli artt. da
dichiara
inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 73 del decreto legislativo n. 152 del
2006, proposta, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione,
dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 74, comma 1, lettera n), e comma 2, lettera ee), del
decreto legislativo n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 3, 76
e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Liguria con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara
inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 75, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 152 del
2006, proposta, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo
comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara
inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 77, comma 5, del decreto legislativo n.
152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione
e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Toscana e dalla Regione
Marche con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara
non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 73, comma 2, del decreto legislativo n.
152 del 2006, proposta, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della
Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 75, comma 4, del decreto legislativo n.
152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 117, commi quinto e sesto, e
118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla Regione
Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 75, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006,
proposta, in riferimento all’art. 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana
e dalla Regione Marche con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara
non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 87, comma 1, del decreto legislativo n.
152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della
Costituzione, dalla Regione Calabria, in riferimento all’art. 117, quarto
comma, della Costituzione, dalla Regione Marche, in riferimento agli artt. 117,
quarto comma, e 118, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Toscana,
con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio
2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 luglio
2009.
Allegato: ordinanza
letta all'udienza del 5 maggio 2009