SENTENZA N.412
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, dell'art. 56, commi 1 e 3; del paragrafo 1.1. dell'Allegato 5, tabelle 3, 3/A e 5, in connessione con l'art. 59, comma 6, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), promosso con ricorso della Provincia autonoma di Trento, notificato il 28 giugno 1999, depositato in cancelleria il 7 luglio 1999 ed iscritto al n. 23 del registro ricorsi 1999 e nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 9, 12, 22 e 23, del paragrafo 1.1, dell'Allegato 5, tabelle 3, 3/A e 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258 (Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dall'inquinamento, a norma dell'art. 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128), promosso con ricorso della Provincia autonoma di Trento, notificato il 18 ottobre 2000, depositato in cancelleria il successivo 26 ottobre ed iscritto al n. 16 del registro ricorsi 2000.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri.
Udito nell'udienza pubblica del 19 giugno 2001 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;
uditi l'Avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento e l'Avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- La Provincia autonoma di Trento, con un primo ricorso notificato il 28 giugno 1999 e depositato il 7 luglio successivo, ha impugnato il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, recante "Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole", specificamente gli artt. 56, commi 1 e 3; 28, comma 2; paragrafo 1.1 dell'Allegato 5, tabelle 3, 3/A e 5, in connessione con l'art. 59, comma 6.
Le censure sono rivolte, in particolare, avverso le disposizioni dell'art. 56, commi 1 e 3, che conferirebbero in via diretta alle amministrazioni comunali funzioni che, invece, spetterebbero, a norma dello Statuto di autonomia, alla Provincia stessa, la quale, nell'ambito della propria discrezionalità legislativa, potrebbe, essa stessa, assegnare ai Comuni.
Precisa la Provincia ricorrente che la contestazione é formulata in via ipotetica, giacchè non é esclusa una interpretazione diversa, compatibile con le prerogative della provincia autonoma.
Sotto un ulteriore profilo, le censure investono i valori tabellari che i depuratori pubblici sono tenuti a rispettare in relazione agli inquinamenti industriali previsti dal paragrafo 1.1 e dalle tabelle 3, 3/A e 5 dell'Allegato 5 e delle connesse disposizioni dell'art. 28, comma 2, e dell'art. 59, comma 6.
Premette, ancora, la Provincia ricorrente, che la propria legislazione attua fedelmente le direttive comunitarie, poichè é stato realizzato un sistema di depurazione efficace ed effettivo, secondo parametri di elevata qualità a fronte di una legislazione statale contraddittoria ed irrealizzabile e, soprattutto, incompatibile con i parametri di accettabilità raggiunti dai presidî depurativi pubblici.
La Provincia, inoltre, si sofferma su alcune problematiche tecniche proprie di un sistema di depurazione in relazione alla legislazione statale ed in relazione alla specifica situazione della stessa Provincia di Trento; sottolinea, a questo proposito, che gli impianti di depurazione pubblici sarebbero idonei a trattare inquinanti propri degli scarichi civili, mentre non sono adeguati per il trattamento degli inquinanti provenienti dagli scarichi industriali. Ne conseguirebbe che la riduzione degli inquinanti industriali andrebbe ottenuta "immediatamente a valle" del sistema industriale ed é ciò che la normativa comunitaria assicura, in particolare l'art. 11 della direttiva 91/271/CEE, che richiede un pretrattamento degli scarichi industriali che confluiscono nelle reti fognarie ed in impianti di trattamento delle acque reflue urbane (art. 2 della predetta direttiva in connessione con l'allegato I/B e la tab. 1).
La normativa della Provincia si conformerebbe a tale sistema, prescrivendo che lo scarico produttivo sia obbligatoriamente pretrattato prima della sua confluenza nella rete fognaria pubblica (in particolare l'art. 16, comma 1, numero 2, del testo unico delle leggi provinciali in materia di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti, approvato con decreto del Presidente della Giunta provinciale 26 gennaio 1987, n. 1).
Sostanzialmente la ricorrente assume che i sistemi di depurazione generale sarebbero tenuti al rispetto dei limiti prefissati soltanto in relazione alle sostanze che essi sono vocati a trattare, mentre i limiti relativi alle sostanze specifiche di origine industriale varrebbero per i "relativi scarichi".
Osserva la ricorrente che, di contro, la legislazione statale farebbe carico al sistema di depurazione generale anche della depurazione delle sostanze di origine industriale, mentre il sistema di depurazione generale, per sua natura, non sarebbe idoneo a trattare tali sostanze, in quanto non in grado di ridurre i metalli e le altre sostanze pericolose tipicamente industriali.
Sembrerebbe - sempre secondo la ricorrente - deporre in tal senso anche la sanzione penale di cui all'art. 59, comma 6, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, che stabilisce le stesse sanzioni previste per i responsabili di scarichi industriali di cui al comma 5 anche per il "gestore di impianti di depurazione che, per dolo o per grave negligenza, nell'effettuazione dello scarico superi i valori limite relativi ai metalli ed alle altre sostanze costituenti tipici inquinanti industriali".
La direttiva comunitaria, come la normativa della Provincia autonoma di Trento, non suggerirebbero, infatti, tale sistema, giacchè il depuratore generale non é concepito per la riduzione dei metalli e delle altre sostanze pericolose tipicamente industriali.
Ne conseguirebbe la irragionevolezza e la contraddizione con la normativa comunitaria e con i principi della legge delega 24 aprile 1998, n. 128, in particolare dell'art. 17, della previsione contenuta nell'Allegato 5 ed implicita nella fattispecie penale di cui al comma 6 dell'art. 59.
Precisa la ricorrente che non si discute del principio secondo cui in sede di attuazione nazionale delle direttive in materia ambientale sia possibile imporre limiti più restrittivi rispetto a quelli posti in sede comunitaria; nella specie, si intenderebbe porre a carico del sistema di depurazione generale limiti che andrebbero riferiti soltanto "a carico dei sistemi di disinquinamento degli impianti industriali"; limiti che dovrebbero essere assicurati dal sistema di vigilanza, relativo a tali ultimi impianti, diretto ad evitare che detti inquinanti entrino nel sistema fognario generale.
Sottolinea più volte, la ricorrente, l'incongruità e la impossibilità, sotto il profilo tecnico, di "regolare" l'inquinamento derivante dai metalli e da altre sostanze pericolose di origine industriale mediante limiti fissati per i depuratori generali.
Inoltre la Provincia rileva che, in attuazione del quadro normativo, che si é definito prima in sede statutaria, poi attraverso le norme di attuazione nella legislazione provinciale, il sistema depurativo é stato caratterizzato da una forte centralizzazione, mentre il sistema degli acquedotti e delle fognature ha subito un forte decentramento gestionale. Il funzionamento di tale sistema "misto" é stato garantito da forme di coordinamento interistituzionale.
In tale quadro normativo, il gestore dell'impianto di depurazione non sarebbe titolare nè delle funzioni autorizzatorie che, invece, spettano ai Comuni, nè delle funzioni di controllo degli scarichi di reflui industriali di fognatura, che competono al servizio di protezione ambiente (art. 37 del testo unico, art. 2 del d.P.G.p. 12 luglio 1993, n. 12). Egli avrebbe solo il compito di assicurare la piena funzionalità ed efficacia dell'impianto, con l'osservanza delle "regole di conduzione tecnica" dello stesso.
Di contro, il complesso della normativa statale di cui al decreto legislativo n. 152 del 1999, nell'individuare la responsabilità del "gestore dell'impianto" implicherebbe una organizzazione della gestione dei reflui incompatibile con il modello in atto nella Provincia di Trento. Ne deriverebbe, pertanto, secondo la prospettazione della Provincia ricorrente, la lesione delle competenze legislative provinciali primarie in materia di acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale, in materia di organizzazione dei servizi pubblici di cui all'art. 8, numeri 17 e 19 dello statuto, in materia di acque pubbliche e di igiene e sanità nonchè di tutela dell'ambiente dagli inquinanti di cui all'art. 9, numeri 9 e 10 dello statuto, ed, infine, delle funzioni amministrative in genere e delle speciali funzioni in materia di programmazione dell'utilizzo delle acque e di difesa dall'inquinamento previste dall'art. 14 dello statuto e dall'art. 5 del d.P.R. n. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche).
2.- Nel giudizio si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità, nonchè per la infondatezza del ricorso.
In particolare, l'Autorità resistente sottolinea la totale compatibilità con la specificità dell'autonomia speciale della Provincia ricorrente delle disposizioni del decreto legislativo impugnato.
Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato osserva che la eliminazione degli inquinanti derivanti dalle sostanze presenti negli scarichi industriali é effettuata prima che essi confluiscano nel depuratore generale; peraltro, la compatibilità di questi scarichi con la capacità del depuratore generale é prevista dall'art. 33 sotto la responsabilità del gestore dell'impianto stesso.
3.- Nell'imminenza della data fissata per la pubblica udienza, la difesa della Provincia autonoma di Trento ha depositato una memoria, con la quale insiste per l'accoglimento del ricorso, confutando le argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato, rinviando alla memoria depositata per il ricorso n. 16 del 2000 e sottolineando che le norme impugnate sono state sostituite con norme sostanzialmente corrispondenti dal decreto legislativo n. 258 del 2000, anche esso impugnato dalla Provincia con successivo ricorso fissato per la stessa udienza.
4.- La Provincia autonoma di Trento, con ulteriore ricorso notificato il 18 ottobre 2000 e depositato il successivo 26 ottobre, ha impugnato il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258, recante "Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dall'inquinamento", a norma dell'art. 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128, in particolare, l'art. 22, nella parte in cui contiene il nuovo testo del comma 1 e inserisce il comma 1-bis dell'art. 56 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152; l'art. 9, nella parte in cui contiene il nuovo testo modificato dell'art. 28, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 1999, l'art. 12 che contiene il nuovo testo del comma 4 dell'art. 31 del d.lgs. n. 152 del 1999; il paragrafo 1.1, tabelle 3, 3/A e 5 dell'Allegato 5, che sostituisce il corrispondente allegato al d.lgs. n. 152 del 1999, in connessione con quanto disposto dall'art. 23 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258, nella parte in cui contiene il testo modificato del comma 6 dell'art. 59 del d.lgs. n. 152 del 1999.
Premette la ricorrente che oggetto del presente ricorso sono le disposizioni che correggono ed integrano il precedente decreto legislativo n. 152 del 1999, per cui esso deve ritenersi collegato alla precedente impugnazione; sottolinea l'attualità delle censure rivolte con il precedente ricorso, in quanto anche le nuove norme appaiono lesive dell'autonomia provinciale.
Ripropone, in proposito, le medesime censure formulate con il ricorso promosso avverso il decreto legislativo n. 152 del 1999 (R. ric. n. 23 del 1999).
Oggetto di autonoma impugnazione é, invece, l'art. 22 del d.lgs. n. 258 del 2000, che aggiunge all'art. 56 del d.lgs. n. 152 del 1999 disposizioni non presenti nel precedente testo (comma 1-bis dell'art. 56).
Tale norma sembrerebbe istituire - secondo la Provincia autonoma - una generale competenza del Corpo forestale dello Stato sulla vigilanza in materia di tutela delle acque dall'inquinamento e di danno ambientale, ponendosi, in tal modo, in contrasto con l'art. 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e provinciali nonchè la potestà statale di indirizzo e coordinamento), che esclude funzioni di vigilanza, di polizia amministrativa, di accertamento di violazioni amministrative da parte dello Stato per le materie di competenza propria della Regione o delle Province autonome.
La censura é formulata in via ipotetica, poichè assume la ricorrente, essa verrebbe meno, qualora la disposizione si ritenesse non applicabile nella Provincia di Trento, in forza delle clausole di salvaguardia di cui all'art. 1, ultimo comma, e all'art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 1999.
5.- Nel giudizio si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza del ricorso.
In particolare, l'Autorità resistente pone in rilievo il carattere di indirizzo politico in materia di tutela delle acque esplicitato dall'art. 1 del d.lgs. n. 152 del 1999, che é stato considerato come obiettivo da perseguire, in linea con quello comunitario, per un nuovo approccio al problema del mantenimento e miglioramento dell'ambiente acquatico.
Tale norma non é stata censurata dalla Provincia, per cui, osserva la resistente, il suo contenuto precettivo deve ritenersi conforme ai criteri della delega legislativa.
In particolare, l'intervento del legislatore delegato si estende al trattamento degli scarichi (artt.27-35 e artt. 45-52), che vengono distinti per destinazione e per tipo di scarico, la cui nozione é introdotta dal d.lgs. n. 152 del 1999, che, insieme ai principi guida, costituisce per la sua natura riformatrice, espressione di principi fondamentali della legislazione statale ai sensi dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, ai quali le Regioni a statuto speciale, così come la Provincia ad autonomia differenziata, devono adeguare la propria legislazione.
Osserva l'Avvocatura che la materia "ambiente" non é tra le materie attribuite alla competenza regionale o provinciale; tuttavia alla regione, sono state attribuite, in materia ambientale con legge ordinaria, numerose competenze sia legislative sia amministrative (da ultimo, art. 2 della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Viene rilevato, comunque, che proprio sulla base di un modello di cooperazione e di integrazione, che consente di bilanciare i diversi valori afferenti alle esigenze di protezione ambientale, dovrebbe essere configurato l'intreccio tra i poteri statali e quelli regionali.
L'Avvocatura generale dello Stato rileva ancora che il ricorso tende a censurare la scelta discrezionale del legislatore delegato senza apportare deduzioni in ordine alla violazione della legge delega, sotto il profilo del mancato rispetto delle competenze costituzionalmente riconosciute alla Provincia autonoma, mentre, a sostegno della censura di merito, si sofferma sulla problematica tecnica del sistema di depurazione: la contestazione si concretizzerebbe in una censura di illegittimità delle norme comunitarie.
Sotto entrambi i profili viene eccepita la inammissibilità, sia perchè non é ammissibile il ricorso di costituzionalità per motivi di merito sia perchè dell'eventuale violazione dell'art. 10 del trattato C.E.E. può conoscere solo la Corte di giustizia su ricorso della Commissione o di altro Stato, la cui violazione, comunque, non investirebbe alcun parametro costituzionale.
Ed il vizio di impostazione delle argomentazioni risulterebbe evidente - secondo l’Avvocatura - se si consideri che in base alla normativa comunitaria lo scarico industriale in sistemi fognari sarebbe preventivamente subordinato ad autorizzazioni specifiche e ad altrettanta specifica regolamentazione, così come é avvenuto con la nozione di "scarico" e con la indicazione dei limiti di accettabilità del refluo fissati con riferimento allo scarico non "nel" depuratore, ma "dal" depuratore.
Viene eccepita una ulteriore inammissibilità in ordine alla censura rivolta all'art. 56, commi 1 e 3, formulata in via ipotetica, in quanto chiaramente volta a sottoporre un quesito meramente interpretativo.
Infine, é dedotta la non fondatezza della censura relativa alla contestata attribuzione di responsabilità penale a carico del gestore del depuratore generale, in quanto, da un lato, la questione sfugge alla sindacabilità del giudice costituzionale; dall'altro, attiene alla valutazione di merito accertare se il verificarsi dell'evento vietato possa essere ricondotto a cause di giustificazione o di esclusione della colpevolezza.
6.- Nell'imminenza della data fissata per la pubblica udienza, la difesa della Provincia autonoma di Trento ha depositato una memoria, con cui contesta le argomentazioni dedotte dall'Avvocatura generale dello Stato, sottolineando, in particolare, la contraddittorietà della tesi che richiama, da un lato, la clausola di salvaguardia di cui all'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 1999 e afferma, dall'altro, che le norme di cui si discute costituiscono espressione di principi fondamentali della legislazione statale ai sensi dell'art. 117, primo comma, della Costituzione e, come tali, vincolanti per la Provincia ricorrente, senza tenere, peraltro, conto che l'autonomia speciale di cui gode la Provincia é regolata dagli artt. 8 e 9 dello statuto e dalle relative norme di attuazione. In particolare, l'art. 5 del d.P.R. n. 381 del 1974, come modificato dall'art. 2 del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica), ha trasferito alla Provincia autonoma anche le funzioni in materia di utilizzazione delle acque pubbliche.
Contesta, inoltre, le eccezioni di inammissibilità formulate dall'autorità resistente, in quanto le norme vengono censurate per la loro intrinseca irragionevolezza, che si tradurrebbe in una lesione delle competenze regionali; la eventuale illegittimità comunitaria troverebbe fondamento nella "copertura costituzionale" di cui all'art. 11 della Costituzione; ed infine, la censura relativa all'art. 56, comma 1, ancorchè formulata in relazione ad una possibile interpretazione, deve ritenersi ammissibile in un giudizio di legittimità costituzionale in via principale, a differenza del giudizio in via incidentale.
Anche in relazione all'impugnazione dell'art. 59, comma 6, la questione va posta in termini di razionalità e di legittimità costituzionale della norma stessa.
Considerato in diritto
1.- Le questioni di legittimità costituzionale, sottoposte in via principale all’esame della Corte con un primo ricorso (r. ric. n. 23 del 1999), riguardano l'art. 56, commi 1 e 3, l'art. 28, comma 2, il paragrafo 1.1. dell'Allegato 5 in collegamento con le tabelle 3, 3/A e 5, in connessione con l'art. 59, comma 6, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole).
Il ricorso denuncia la violazione dell'art. 8, numeri 5, 6, 14, 16, 17, 18, 19, 21 e 24; dell'art. 9, numeri 9 e 10; dell'art. 14 e 16 dello statuto speciale (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), nonchè delle relative norme di attuazione, in particolare degli artt. 5 e 8 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche) e dell'art. 15, comma 2, del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige ed alle Province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616), della direttiva CEE n. 91/271; dei principi stabiliti dalla legge delega 24 aprile 1998, n. 128 (Disposizioni particolari di adempimento diretto, criteri speciali di delega legislativa e per l'emanazione di regolamento) ed, infine, dell’art. 97 della Costituzione.
Con un secondo ricorso (r. ric. n 16 del 2000) viene sottoposta all’esame della Corte la questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258, recante disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 in materia di tutela delle acque dall'inquinamento, a norma dell'art. 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128, in particolare l'art. 22, nella parte in cui contiene il nuovo testo del comma 1 ed inserisce il comma 1-bis dell'art. 56; l'art. 9, nella parte in cui contiene il nuovo testo modificato dell'art. 28, comma 2; l'art. 12, che contiene il nuovo testo del comma 4 dell'art. 31, il paragrafo 1.1., tabella 3, 3/A e 5, dell'Allegato 5, in connessione con quanto disposto dall'art. 23, nella parte in cui contiene il testo modificato del comma 6 dell'art. 59 del d.lgs. n. 152 del 1999.
Il secondo ricorso denuncia la violazione dell’art. 8, numeri 5, 6, 14, 16, 17, 18, 19, 21, e 24; dell'art. 9, n. 9 e n. 10; dell'art. 14 e dell'art. 16 dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), nonchè delle relative norme di attuazione, in particolare degli artt. 5 e 8 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), dell'art. 15, comma 2, del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526, nonchè degli artt. 2 e 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992; della direttiva comunitaria di riferimento 91/271/CEE e dei principi stabiliti dall'art. 17 della legge delega 24 aprile 1998, n. 128; ed, infine, degli artt. 3 e 97 della Costituzione.
2.- Deve essere disposta la riunione dei giudizi, stante la connessione dei due ricorsi dal punto di vista sia soggettivo, sia oggettivo per la parziale identità delle questioni e lo stretto legame tra le norme impugnate, aventi quelle del secondo ricorso carattere correttivo ed integrativo ed anzi, rispetto alla parte investita dal primo ricorso, con effetti quasi integralmente sostitutivi.
Con riferimento, pertanto, alla avvenuta sostituzione del comma 2 dell’art. 28, del comma 1 dell’art. 56, del comma 6 dell’art. 59, dell’Allegato 5 e relative tabelle del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, a seguito, rispettivamente, dell’art. 9, comma 2, dell’art. 22, comma 1, dell’art. 23 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 258, deve essere dichiarata la inammissibilità, per questa parte, del ricorso iscritto al r. ric. n. 23 del 1999, mentre le relative questioni sono state riproposte dalla Provincia e vengono esaminate in sede di decisione del secondo ricorso avverso il d.lgs. n. 258 del 2000.
3.- Preliminarmente deve essere affrontata l’eccezione (sollevata dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri) di inammissibilità di alcune censure, proposte in via alternativa ad una soluzione dei profili prospettati attraverso una interpretazione rispettosa dell’autonomia della Provincia.
Ai fini della infondatezza della eccezione vale il richiamo alla sentenza n. 244 del 1997, secondo cui - trattandosi di ricorso in via principale (o di azione) soggetto a termini di decadenza, configurato in un ambito di processo indiscutibilmente "di parti" a garanzia di posizioni soggettive costituzionalmente tutelate dell’ente ricorrente - é sufficiente per l’ammissibilità del ricorso, sotto il profilo del contenuto della impugnazione, che vi sia richiesta di illegittimità costituzionale di una norma di legge, con indicazione del vizio denunciato, anche se questo é prospettato in via alternativa a diversa tesi interpretativa. Con ciò non si disconosce il principio che anche il giudizio di legittimità costituzionale proposto in via principale non può essere azionato con la sola finalità di definire un mero contrasto sulla interpretazione della norma. La differenza, a questo riguardo, del ricorso in via principale, rispetto al giudizio in via incidentale, é stata posta nella circostanza che, in quest’ultimo tipo di giudizio costituzionale, la risoluzione del dubbio interpretativo in ordine alla norma denunciata é lasciata alla preliminare valutazione del giudice rimettente, sia ai fini della richiesta motivazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale nel giudizio a quo, sia in relazione all’obbligo dello stesso giudice di interpretazione adeguatrice, ove possibile, alla Costituzione (sentenza n. 244 del 1997).
4.- Pregiudizialmente all’esame delle censure proposte occorre puntualizzare la portata della disposizione contenuta nel d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 1, comma 3, per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano, la quale prevede che le stesse "adeguano la propria legislazione al presente decreto secondo quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione".
E’ indubbio che la formula adottata, specie se raffrontata con la diversa dizione usata per le "Regioni a statuto ordinario", costituisce affermazione di salvezza per le Regioni a statuto speciale e Province autonome di Trento e Bolzano della loro sfera di attribuzioni garantite costituzionalmente, pur mantenendosi un obbligo di adeguamento ai principi fondamentali della tutela delle acque dall’inquinamento contenuti nello stesso d.lgs. n. 152 del 1999 (e nel successivo decreto integrativo n. 258 del 2000).
Del resto il combinato disposto dell’art. 37 della legge 22 febbraio 1994, n. 146, e dell’art. 17 della legge 24 aprile 1998, n. 128, costituenti la fonte del potere legislativo delegato, e gli obiettivi delle direttive CEE da recepire e del decreto legislativo mostrano evidente l’intendimento di coinvolgere anche le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, di modo che non può essere accolta la tesi che le norme "non si applichino" alla stessa Provincia autonoma, fermo rimanendo il pieno rispetto delle prerogative della medesima Provincia.
Alla luce di tale interpretazione deve ritenersi che il coinvolgimento delle amministrazioni comunali e del Corpo forestale, di cui agli impugnati art. 56, comma 3, del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, e art. 22 del d.lgs. n. 258 del 2000 - contenente il nuovo testo del comma 1 e l’inserimento del comma 1-bis dell’art. 56 del d.lgs. n. 152 del 1999 -, avviene nell’ambito della Regione Trentino-Alto Adige entro i limiti delle previsioni legislative delle Province autonome (con particolare riguardo al sistema dei rapporti tra Provincia e Comuni e del Corpo forestale della Provincia autonoma di Trento), di modo che deve escludersi, in radice, ogni possibilità di lesione della sfera di attribuzioni provinciali.
Più specificamente per il Corpo forestale deve escludersi che il citato art. 22, comma 2, del d.lgs. n. 258 del 2000, con inserimento del comma 1-bis dell’art. 56 del d.lgs. n. 152 del 1999, possa comportare una modifica al sistema di autonomo Corpo forestale provinciale (della Provincia di Trento: art. 8, numero 21, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, d.P.R. n. 670 del 1972) e alla riserva (regionale o provinciale) delle funzioni - diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e relative norme di attuazione - di vigilanza e di polizia amministrativa, nonchè di accertamento delle relative violazioni amministrative nelle materie di competenza propria della Regione o delle provincie autonome.
Di conseguenza il Corpo forestale della Provincia autonoma continua ad esercitare, nella Provincia stessa, le funzioni, inerenti alla vigilanza e polizia amministrativa e agli accertamenti degli illeciti in violazione di norme a tutela delle acque da inquinamento e del relativo danno ambientale, anche se queste sono attribuite al Corpo forestale dello Stato per le parti del territorio nazionale in cui opera lo stesso Corpo forestale dello Stato.
5.- In ordine all’impugnato art. 9, comma 2, sostitutivo dell’art. 28, del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, deve essere sottolineato che i criteri generali della disciplina degli scarichi assicurano indistintamente alle regioni, nell’esercizio della loro autonomia, un ampio campo di manovra nel definire i valori-limite di emissione, diversi da quelli dell’allegato 5, sia in concentrazione massima ammissibile, sia in quantità massima per unità di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi di famiglie affini. Si noti vi é la preclusione - salvo ristrette e circoscritte eccezioni predeterminate dal legislatore nazionale - di stabilire limiti meno restrittivi per determinate sostanze e per gli scarichi in acque superficiali, in rete fognaria e sul suolo (sostanze individuate nell’allegato 5, per i rischi correlativi a tipologie contemplate per la loro pericolosità per l’ambiente).
Nè può avere rilevanza, ai fini della legittimità costituzionale del decreto legislativo impugnato, la asserita circostanza che la Provincia si era già data una normativa per la protezione delle acque, per quanto rientrava nella sua sfera di responsabilità.
Infatti, é evidente la necessità imprescindibile di assicurare sia il soddisfacimento di esigenze in materia di inquinamento, da qualificarsi come unitarie e di primaria importanza nazionale per la rilevanza dell’ambiente, sia il conseguimento e l’adeguamento degli obiettivi doverosamente comuni e coordinati anche per i riflessi sulle regioni a valle o limitrofe, sia infine l’assolvimento degli obblighi comunitari generali per tutto il territorio dello Stato, in ordine ai quali lo Stato ha una sua specifica responsabilità.
D’altro canto la Provincia autonoma - anche se dotata di normativa propria su una materia coinvolta da direttiva comunitaria e da disposizioni statali di recepimento della direttiva (nella materia ambientale) e di completamento unitario degli spazi lasciati alle determinazioni nazionali - é sempre tenuta ad una valutazione della completa corrispondenza della propria legislazione ai predetti atti. Di conseguenza la suindicata interpretazione dell’obbligo di adeguamento e del suo ambito nei confronti delle Province autonome riceve una ulteriore conferma.
6.- In ordine al coinvolgimento nelle sanzioni penali del gestore di impianti di trattamento di acque reflue urbane in caso di superamento, in sede di emissione dei detti impianti, dei valori limiti relativi alle acque reflue industriali, deve osservarsi che la scelta delle sanzioni penali rientra nella discrezionalità del legislatore nazionale, che di per sè non interferisce sulle competenze costituzionalmente garantite alle Regioni e Province autonome, prive di competenza nell’ordinamento penale.
Tuttavia, nella specie considerata, sussiste un interesse tutelato della Provincia in ordine alla verifica della lesione della propria organizzazione secondo le norme regionali (rientrante nella propria sfera di competenza), asseritamente incompatibile con il sistema delle responsabilità fissato dalle disposizioni impugnate.
Non può ravvisarsi una manifesta irragionevolezza o palese arbitrarietà, nè tantomeno un contrasto con il principio di buon andamento dell’Amministrazione nella circostanza che il legislatore nazionale, nell'ottica di un approccio globale al problema della tutela delle acque dall’inquinamento e di una esigenza primaria di migliorare l’ambiente acquatico, anche in conseguenza di scarichi di acque reflue di ogni genere e nell'intento di coinvolgere tutti i soggetti, anche istituzionali, che operano nell’intero settore, abbia previsto una responsabilità correlata a specifici doveri di vigilanza, anche a carico del gestore di impianti di depurazione generale (nella Provincia autonoma di Trento in base al sistema misto esistente secondo la normativa provinciale).
Per questa particolare responsabilità del gestore (prevista dal combinato disposto dei commi 5 e 6 dell'art. 59 del d. lgs. n. 152 del 1999, anche nel testo modificato dall’art. 23 del d.lgs. n. 258 del 2000), é stata soppressa la limitazione ad ipotesi di dolo e grave negligenza (contemplata, invece, nell’originario testo normativo); ciò non esclude, tuttavia, che siano applicabili gli ordinari criteri di competenza della responsabilità penale a titolo di dolo o di colpa.
Nell’ambito della Provincia autonoma di Trento, in base alla normativa provinciale, vige un sistema misto, con ripartizioni di compiti tra la Provincia (che non ha diretta ingerenza sulla depurazione delle sostanze di origine industriale ed é invece responsabile della depurazione generale caratterizzata da forte centralizzazione) ed altri soggetti, tra cui in modo particolare i Comuni (titolari di funzioni autorizzatorie) e il Servizio di protezione ambiente titolare delle funzioni di controllo degli scarichi reflui industriali di fognatura.
A completare il sistema di tutela, il gestore della depurazione generale é investito della responsabilità per le acque reflue che affluiscono al depuratore generale, indipendentemente dai controlli effettuati dagli altri soggetti a monte dell'impianto. Egli deve porre in essere le opportune iniziative per monitorare l’immissione, nell’impianto affidato alla sua gestione, di acque reflue non compatibili con il trattamento previsto nel depuratore generale in relazione a sostanze inquinanti o per eccesso di concentrazione.
In altri termini non può dirsi manifestamente irragionevole o palesemente arbitraria una previsione adottata dal legislatore nazionale di responsabilità del gestore dell’impianto di depurazione (ancorchè provinciale) attinente proprio alla gestione della depurazione generale, quando per colposa o dolosa omissione di monitoraggio e di iniziative di tutela del proprio impianto o per difetto della lavorazione di depurazione o per altre cause, sempre se a lui addebitabili, si verifichi che l’acqua reflua in uscita dal suo impianto comporti, per il superamento dei limiti, rischi all’ambiente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, dell’art. 56, comma 1, dell'art. 59, comma 6, del paragrafo 1.1 e tabelle 3, 3/A e 5 dell'Allegato 5 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), sollevate, in riferimento all’art. 8, numeri 5, 6, 14, 16, 17, 18, 19, 21 e 24, all'art. 9, numeri 9 e 10, all'art. 14 e all'art. 16 dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e alle relative norme di attuazione, artt. 5 e 8 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche) e all'art. 15, comma 2, del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige ed alle Province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616); alla direttiva CEE n. 91/271, alla legge 24 aprile 1998, n. 128 (Disposizioni particolari di adempimento diretto, criteri speciali di delega legislativa e per l'emanazione di regolamento), e all’art. 97 della Costituzione, con ricorso della Provincia autonoma di Trento (r. ric. n. 23 del 1999) indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 56, comma 3, del predetto decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, sollevata, in riferimento all’art. 8, numeri 16, 17 e 19, dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), dell’art. 15, comma 2, del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526, con ricorso della Provincia autonoma di Trento (r.ric. n. 23 del 1999), indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 9, 12, 22 e 23 e Allegato 5, paragr. 1.1 e tabelle 3, 3/A e 5 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.258 (Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dall'inquinamento, a norma dell'art. 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128), sollevate, in riferimento all’art. 8, numeri 5, 6, 14, 16, 17, 18, 19, 21, e 24, all'art. 9, numeri 9 e 10, agli art. 14 e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), nonchè alle relative norme di attuazione, artt. 5 e 8 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, art. 15, comma 2, del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526, artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, alla direttiva comunitaria 91/271/CEE e all'art. 17 della legge 24 aprile 1998, n. 128, agli artt. 3 e 97 della Costituzione, con il ricorso della Provincia autonoma di Trento (r.ric. n. 16 del 2000), indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 2001.