Sentenza n. 81 del 2007

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SENTENZA N. 81

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                    BILE                                                   Presidente

-    Francesco               AMIRANTE                                         Giudice

-    Ugo                        DE SIERVO                                              ”

-    Paolo                      MADDALENA                                         ”

-    Alfio                      FINOCCHIARO                                       ”

-    Alfonso                  QUARANTA                                             ”

-    Franco                    GALLO                                                      ”

-    Luigi                      MAZZELLA                                              ”

-    Gaetano                 SILVESTRI                                               ”

-    Sabino                    CASSESE                                                  ”

-    Maria Rita              SAULLE                                                    ”

-    Giuseppe                TESAURO                                                 ”

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                         ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, commi 1, lettera b) e 2; 2, comma 1, lettere c), e), ed f); 3; 7, commi 7 e 8; 10; 11; 12; 13; 14; 18 e 19 della legge della Regione Toscana 7 dicembre 2005, n. 66 (Disciplina delle attività di pesca marittima e degli interventi a sostegno della pesca marittima e dell’acquacoltura), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 13 febbraio 2006, depositato in cancelleria il successivo 21 febbraio ed iscritto al n. 25 del registro ricorsi 2006;

Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;

udito nell’udienza pubblica del 6 febbraio 2007 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana.

Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso notificato il 13 febbraio 2006 e depositato, presso la cancelleria della Corte, il successivo 21 febbraio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettere a), e), ed s), 118, primo comma, e 120, primo comma, della Costituzione, anche in relazione al limite territoriale delle competenze legislative regionali, nonché al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, degli articoli 1, commi 1, lettera b) e 2; 2, comma 1, lettere c), e), ed f); 3; 7, commi 7 e 8; 10; 11; 12; 13; 14; 18 e 19 della legge della Regione Toscana 7 dicembre 2005, n. 66 (Disciplina delle attività di pesca marittima e degli interventi a sostegno della pesca marittima e dell’acquacoltura).

Nell’evocare l’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., in ordine alla disciplina regionale dei distretti di pesca, la difesa dello Stato richiama, altresì, il regolamento (CE) n. 2371 del 20 dicembre 2002 (Regolamento del Consiglio relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell’ambito della politica comune della pesca) e il regolamento (CE) n. 3690 del 20 dicembre 1993 (Regolamento del Consiglio che istituisce un regime comunitario che stabilisce le norme relative alle informazioni minime che devono figurare nelle licenze di pesca).

1.1.— Il ricorrente ha proposto l’impugnazione in esame nelle more del giudizio di costituzionalità avente ad oggetto le questioni promosse dalla Regione Toscana avverso la legge delega 7 marzo 2003, n. 38 (Disposizioni in materia di agricoltura), nonché il decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 153 (Attuazione della legge 7 marzo 2003, n. 38, in materia di pesca marittima) e il decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 154 (Modernizzazione del settore pesca e dell’acquacoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38), questioni decise con sentenza n. 216 del 2006. Il ricorrente, dando atto di questa circostanza, ha rilevato che, senza attendere l’esito dei suddetti giudizi, la Regione Toscana ha approvato la legge oggetto di censura.

1.2.— La difesa dello Stato formula un primo gruppo di censure rispetto alle seguenti norme della legge regionale impugnata: art. 1, commi 1, lettera b), e 2; art. 2, comma 1, lettere e) ed f); art. 3 (comma 1, lettera d); artt. 7, commi 7 (lettere a e c), e 8; 12; 13; 14; 18 e 19.

Il sospetto di illegittimità costituzionale investe tali disposizioni, in quanto le stesse disciplinano le licenze di pesca e le autorizzazioni per la pesca a fini scientifici, anche in relazione alla pesca del novellame di alcune specie ittiche (in proposito il ricorrente richiama gli artt. 1, comma 1, lettera b; 2, lettere e ed f; 3, comma 1, lettera d; 7, comma 8; 12; 13; 14; 18 e 19), nonché le modalità di esercizio delle attività di pesca marittima, di cui all’art. 7, comma 7 (lettere a e c).

Le richiamate norme regionali sarebbero lesive di più parametri costituzionali, nonché del principio di leale collaborazione, e, in via preliminare, se ne assume la contrarietà con il limite rappresentato dal dato territoriale.

In proposito, il Presidente del Consiglio rileva, richiamando anche l’art. 100 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), come il previgente art. 117 della Costituzione attribuiva alle Regioni competenze solo in materia di pesca nelle acque interne.

1.3.— Le suddette disposizioni contrasterebbero, pertanto, in primo luogo, con l’art. 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione. Il contingentamento delle licenze di pesca, infatti, costituisce il primo e più efficace strumento per preservare le risorse ittiche disponibili e, quindi, l’ecosistema di cui la fauna marina fa parte, in linea con le convenzioni internazionali in materia e con il diritto internazionale della pesca marittima. L’Unione europea e lo Stato hanno, in tale prospettiva, operato per ridurre il numero dei pescherecci e i “tempi” di pesca marittima. Pertanto, una gestione delle licenze di pesca a livello regionale e provinciale appare non compatibile con l’osservanza delle regole internazionali ed europee e con la oggettiva mobilità delle navi in uno spazio marino che è per sua natura senza confini.

Ulteriore profilo di doglianza risiede nella dedotta violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 120, primo comma, della Costituzione.

Ed infatti, la produzione legislativa e regolamentare, nonché l’esercizio delle competenze amministrative delle singole Regioni, non possono introdurre turbative alla corretta e fisiologica competizione tra imprenditori ittici operanti nell’ambito nazionale e in quello dell’Unione europea, riservando trattamenti e discipline più favorevoli a quelli localizzati in determinati territori regionali.

Le norme impugnate contrasterebbero, altresì, con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in riferimento all’art. 12 del d.lgs. n. 154 del 2004. Lo Stato ha, infatti, competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

Le disposizioni in esame violerebbero anche l’art. 118, primo comma, della Costituzione. In via logicamente subordinata, la difesa dello Stato rileva che l’attività di pesca marittima richiede necessariamente l’esercizio unitario delle funzioni amministrative, con riflessi sulla funzione legislativa (in merito sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003).

1.4.— Un altro gruppo di censure è formulato rispetto agli artt. 2, comma 1, lettera c); 10 e 11 della legge regionale n. 66 del 2005, che «riservano» alla Regione, e per essa alla Giunta, la determinazione dei criteri di organizzazione dei distretti di pesca e di acquacoltura e dei contenuti minimi della strategia di sviluppo, nonché le regole di procedura per il riconoscimento dei distretti, per l’emanazione dei relativi provvedimenti, per la revoca di quest’ultimi, nonché la disciplina della partecipazione al finanziamento degli interventi. L’art. 11, in particolare, definisce le funzioni affidabili ai distretti.

In via preliminare, la difesa dello Stato richiama la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2006), che all’art. 1, commi 366 e 367, contiene norme ordinamentali e di principio, in ordine ai distretti produttivi, adottate ai sensi dell’art. 117, primo comma, lettere a) – anche in relazione al regolamento (CE) n. 2371/2002, del 20 dicembre 2002 (Regolamento del Consiglio relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell’ambito della politica comune della pesca), e al regolamento (CE) n. 3690/93, del 20 dicembre 1993 (Regolamento del Consiglio che istituisce un regime comunitario che stabilisce le norme relative alle informazioni minime che devono figurare nelle licenze di pesca) –, e) ed s), e 118 della Costituzione.

Quindi, osserva come le disposizioni regionali impugnate determinino una irrazionale regionalizzazione della flotta di pesca, in contrasto con i suddetti parametri costituzionali e con l’esigenza di esercizio unitario delle funzioni di regolazione dell’attività di pesca marittima, soprattutto se svolta in mare libero o nelle acque territoriali di un altro Stato, ed anche con l’art. 4 (recte: art. 12, comma 4) del d.lgs. n. 154 del 2004.

1.5.— Secondo la difesa erariale, tutte le disposizioni in esame appaiono ancor più lesive laddove si consideri che non è prevista alcuna forma di leale collaborazione con lo Stato, e che, anzi, l’art. 25, comma 2, della legge regionale n. 66 del 2005, stabilisce che cessano di avere applicazione in Toscana le discipline statali legislative e regolamentari che regolano gli stessi oggetti della presente legge e dei suoi regolamenti attuativi.

Né nella legge regionale oggetto di censura è rinvenibile un riferimento ad intese tra Stato e Regioni, tra l’altro ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 154 del 2004.

2.— In data 28 febbraio 2006 la Regione Toscana ha depositato memoria, con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibili e, comunque, non fondate le questioni di costituzionalità promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri.

La resistente deduce che la normativa impugnata non interferisce nelle materie di competenza statale, né eccede l’ambito territoriale regionale, rispettando, invece, i limiti delle attribuzioni che l’art. 117 della Costituzione riconosce alle Regioni in materia di pesca e acquacoltura.

3.— In data 12 gennaio 2007, il ricorrente ha depositato memoria con la quale ha insistito nelle difese svolte e nelle conclusioni già formulate.

La difesa dello Stato ha richiamato la sentenza n. 213 del 2006 con la quale la Corte ha enunciato alcuni principi in materia di pesca, nonché la sentenza n. 370 del 2003, ponendo in evidenza come l’assenza di forme di leale collaborazione abbia costituito oggetto di specifica censura.

Ha chiesto, quindi, in via subordinata, di dichiarare l’illegittimità costituzionale delle singole disposizioni, nella parte in cui non rispettano il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.

4.— In data 24 gennaio 2007, la Regione Toscana ha depositato memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri.

In via preliminare, la resistente eccepisce l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale proposta in ordine all’art. 1, comma 2, della legge della Regione Toscana n. 66 del 2005, in quanto tale norma non è compresa nel novero delle disposizioni di cui alla relazione ministeriale recepita nella delibera del Consiglio dei ministri di autorizzazione alla proposizione del ricorso.

Analoga eccezione di inammissibilità, sia pure sotto un diverso profilo, è formulata in ordine alla questione avente ad oggetto gli artt. 3 e 7, comma 7, della legge regionale, in quanto lo Stato avrebbe autorizzato l’impugnazione della sola lettera d) del comma 1 dell’art. 3, e delle sole lettere a) e c) del comma 7, dell’art. 7 della legge stessa.

Nel merito, la Regione Toscana conclude per la non fondatezza del ricorso, e richiama anch’essa, a sostegno delle proprie argomentazioni difensive, la sentenza della Corte n. 213 del 2006.

In particolare, la difesa regionale osserva come allo Stato, in materia di pesca, sia riservato il potere di indirizzo, di determinazione dei principi, di fissazione del nucleo minimo ed indefettibile di salvaguardia della specie ittica ed il controllo sul rispetto di tutto quanto così determinato, ma ciò non significa accentramento delle funzioni di rilascio delle licenze di pesca.

Infatti, una volta stabiliti i criteri, gli indirizzi e le misure di sostenibilità, legittimamente le Regioni possono provvedere (direttamente o con allocazione delle funzioni agli enti locali) al rilascio licenze di pesca, nel rispetto delle misure definite dallo Stato.

Analogamente, ad avviso della Regione, sono infondate le censure formulate in ordine alla disciplina dei distretti di pesca. Al riguardo, la difesa regionale richiama, nuovamente, la sentenza n. 213 del 2006, con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale promossa dallo Stato in ordine all’art. 4, comma 2, lettera a), della legge della Regione Marche 13 maggio 2004, n. 11 (Norme in materia di pesca marittima e acquacoltura).

Considerato in diritto

1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato varie disposizioni della legge della Regione Toscana 7 dicembre 2005, n. 66 (Disciplina delle attività di pesca marittima e degli interventi a sostegno della pesca marittima e dell’acquacoltura) per contrasto con gli artt. 117, secondo comma, lettere a), e) ed s), 118, primo comma, e 120, primo comma, della Costituzione, anche in ragione del limite territoriale delle competenze legislative regionali e con il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.

1.1.— In via preliminare, va rilevato che nell’epigrafe del ricorso le disposizioni impugnate sono state individuate negli artt. 1, comma 2; 3; 7, commi 7 e 8; 10; 11; 12; 13; 14; 18 e 19 della legge regionale in esame.

Nella relazione del Ministro per gli affari regionali, richiamata nella delibera del Consiglio dei ministri del 3 febbraio 2005, vengono citate, invece, le disposizioni contenute negli artt. 1, comma 1, lettera b); 2, comma 1, lettere c), e) ed f); 3, comma 1, lettera d); 7, commi 7, lettere a) e c), e 8; 10; 11; 12; 13; 14; 18 e 19.

Ciò premesso, deve essere dichiarata, innanzitutto, l’inammissibilità della questione di costituzionalità dell’art. 1, comma 2, della legge in esame (il quale disciplina le politiche della Regione Toscana in materia di pesca professionale e acquacoltura), in quanto non compreso nell’elenco delle norme oggetto di impugnazione contenuto nella citata relazione ministeriale.

Al riguardo va ricordato, infatti, che la scelta politica del Governo di impugnare norme regionali si esprime nell’indicazione delle specifiche disposizioni ritenute eccedenti le competenze della Regione, salva l’autonomia tecnica dell’Avvocatura dello Stato nell’individuazione dei motivi di censura (cfr. sentenza n. 3 del 2006).

2.— Occorre, altresì, precisare l’oggetto dell’impugnazione, in ragione sia della mancata indicazione che della non precisa corrispondenza di alcune delle disposizioni contenute nell’epigrafe del ricorso, rispetto a quelle indicate, invece, nella citata relazione del Ministro per gli affari regionali.

Nella premessa del ricorso non è fatta menzione dell’art. 1, comma 1, lettera b), e dell’art. 2, comma 1, lettere c), e), ed f), della legge regionale in esame, che, tuttavia, costituiscono oggetto di censure nella motivazione.

Si fa, altresì, espresso riferimento agli artt. 3, e 7, comma 7, tout court, mentre nella delibera del Consiglio dei ministri sono ritenuti lesivi l’art. 3, comma 1, lettera d), e l’art. 7, comma 7, lettere a) e c), della legge regionale in esame.

2.1.— Orbene, sotto un primo aspetto va ricordato che l’art. 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87 stabilisce, al primo comma, che i ricorsi che promuovono le questioni di legittimità costituzionale a norma degli artt. 31, 32 e 33 – tra cui rientrano, tra l’altro, i ricorsi dello Stato contro le leggi delle Regioni – devono contenere le indicazioni di cui al primo comma dell’art. 23, cioè le disposizioni della legge o dell’atto avente forza di legge viziate da illegittimità costituzionale e le disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali che si assumono violate (cfr. sentenza n. 384 del 1999).

2.2.— Sotto un secondo aspetto, inoltre, deve ricordarsi che questa Corte ha avuto modo di affermare che l’oggetto dell’impugnazione è definito dal ricorso in conformità alla decisione assunta dal Governo (cfr. sentenze n. 106 del 2005 e n. 338 del 2003), ferma la valutazione della Corte medesima in ordine all’eventuale nesso di inscindibilità tra la disposizione validamente impugnata e le altre disposizioni della legge non investite da autonome censure ritualmente proposte.

2.3.— Alla luce delle suesposte considerazioni, pertanto, la prospettazione di illegittimità costituzionale delle norme in esame, sia pure formulata nella sola motivazione del ricorso, in presenza della relativa delibera di autorizzazione all’impugnazione e tenuto conto del complessivo tenore del ricorso (v. sentenza n. 447 del 2006), consente di ritenere oggetto del giudizio di costituzionalità anche l’art. 1, comma 1, lettera b), nonché l’art. 2, comma 1, lettere c), e) ed f), della legge regionale censurata.

Inoltre, proprio in ragione del contenuto autorizzatorio della suddetta delibera governativa, l’art. 3 deve ritenersi impugnato solo con riguardo al comma 1, lettera d), e l’art. 7, comma 7, deve ritenersi impugnato, a sua volta, solo con riguardo alle lettere a) e c), come, d’altra parte, si rileva dal tenore delle argomentazioni contenute nella motivazione del ricorso.

2.4.— In conclusione, l’oggetto dell’impugnazione deve ritenersi delimitato con riguardo alle seguenti disposizioni della legge regionale in esame: l’art. 1, comma 1, lettera b); l’art. 2, comma 1, lettere c), e), ed f); l’art. 3, comma 1, lettera d); l’art. 7, commi 7, lettere a) e c), e 8, nonché gli artt. 10; 11; 12; 13; 14; 18 e 19.

3.— Passando alla disamina del merito, va osservato che un primo gruppo di censure riguarda la disciplina delle licenze di pesca e delle misure di sostenibilità, contenuta nell’art. 3, comma 1, lettera d), nell’art. 7, commi 7, lettere a) e c), e 8, e – in quanto connessi – nell’art. 1, comma 1, lettera b), e negli artt. 12, 13 e 14, comma 1, lettera a).

 3.1.— Giova richiamare, in breve, il contenuto di tali disposizioni.

In ragione dell’art. 1, comma 1, lettera b), il rilascio delle licenze di pesca rientra tra gli oggetti disciplinati dalla legge regionale n. 66 del 2005.

Spetta alle Province rilasciare, «nei limiti determinati dal programma regionale, le licenze di pesca» (art. 3, comma 1, lettera d).

I commi 7, lettere a) e c), e 8 dell’art. 7 fissano alcuni dei contenuti del programma regionale per la pesca e l’acquacoltura, individuati precipuamente nelle «limitazioni temporanee delle attività di pesca per aree determinate», nelle «determinazioni di modalità temporanee di utilizzo delle diverse attrezzature di pesca consentite», nonché nella fissazione, per ciascuna Provincia, del «numero massimo delle licenze di pesca concedibili, che alla data di entrata in vigore della (presente) legge, non possono comunque complessivamente superare quelle rilasciate, alla data stessa, dal Ministero delle politiche agricole e forestali».

L’art. 12, a sua volta, disciplina le modalità di rilascio delle licenze di pesca.

L’art. 13 costituisce, presso le Province costiere, il registro dei pescatori professionali e delle imprese di pesca e delle navi e galleggianti intestatarie di licenza di pesca.

Infine, l’art. 14, comma 1, lettera a), rimette all’adozione di regolamenti regionali di attuazione la fissazione delle modalità del rilascio delle licenze e dell’iscrizione nel registro della pesca professionale.

3.2.— Le suddette proposizioni normative, ad avviso del ricorrente, sarebbero lesive di più parametri costituzionali – anche in relazione al limite rappresentato dall’ambito territoriale di specifica competenza di ciascuna Regione – nonché del principio di leale collaborazione.

3.3.— Esse contrasterebbero, in primo luogo, con l’art. 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione.

Il contingentamento delle licenze di pesca, secondo il ricorrente, rappresenta il primo e più efficace strumento per preservare le risorse ittiche disponibili e quindi l’ecosistema di cui la fauna marina fa parte, in linea con le convenzioni internazionali in materia e con il diritto internazionale della pesca marittima. L’Unione europea e lo Stato, in tale prospettiva, hanno operato per ridurre il numero dei pescherecci e i “tempi” di pesca marittima. Pertanto, un governo delle licenze di pesca a livello regionale e provinciale dovrebbe ritenersi incompatibile con l’osservanza delle regole internazionali ed europee e con la oggettiva mobilità delle navi in uno spazio marino, che è per sua natura senza confini.

3.4.— Ulteriore profilo di doglianza risiede nella dedotta violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 120, primo comma, della Costituzione.

L’esercizio delle funzioni legislativa e regolamentare, nonché l’esercizio delle competenze amministrative delle singole Regioni, non possono introdurre turbative alla corretta e fisiologica competizione tra imprenditori ittici operanti in ambito nazionale o europeo e quelli operanti in sede locale, riservando trattamenti e discipline più favorevoli ai secondi rispetto ai primi.

3.5.— Le norme impugnate contrasterebbero, altresì, con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, anche in riferimento all’art. 12 del decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 154 (Modernizzazione del settore pesca e dell’acquacoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38), la cui rubrica reca «Misure di conservazione e gestione delle risorse ittiche».

Ciò in quanto lo Stato ha competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

3.6.— Le disposizioni in esame lederebbero anche l’art. 118, primo comma, della Costituzione. In proposito, la difesa dello Stato rileva che l’attività di pesca marittima richiede necessariamente l’esercizio unitario delle funzioni amministrative, con evidenti riflessi sulla funzione legislativa (in merito sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003).

4.— Un secondo gruppo di censure riguarda gli artt. 2, comma 1, lettera c); 10 e 11 della legge regionale n. 66 del 2005, che riservano alla Regione, e per essa alla Giunta, la determinazione dei criteri di organizzazione dei distretti di pesca e di acquacoltura, e dei contenuti minimi della strategia di sviluppo, nonché le regole di procedura per il riconoscimento dei distretti medesimi, per l’emanazione dei relativi provvedimenti, per la revoca di quest’ultimi, nonché la disciplina della partecipazione al finanziamento degli interventi.

4.1.— La difesa dello Stato ricorda che in tema di distretti produttivi, la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2006), all’art. 1, commi 366 e 367, contiene norme ordinamentali e di principio, adottate in forza dell’art. 117, primo comma, lettera a), anche in relazione a regolamenti comunitari, nonché delle successive lettere e) ed s), e dell’art. 118 della Costituzione. Il ricorrente richiama, altresì, l’art. 4 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 226 (Orientamento e modernizzazione del settore della pesca e dell’acquacoltura, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57), che reca la disciplina dei distretti di pesca.

4.2.— Viene dedotto, in particolare, che le disposizioni regionali in questione determinano una non razionale regionalizzazione della flotta di pesca, in contrasto sia con i suddetti parametri costituzionali, sia con l’esigenza di esercizio unitario delle funzioni di regolazione dell’attività di pesca marittima, soprattutto se svolta in mare libero o nelle acque territoriali di altro Stato, ed anche con l’art. 4 (recte: art. 12, comma 4) del d.lgs. n. 154 del 2004.

5.— Lo Stato impugna, infine, un terzo gruppo di norme – prospettando in ordine alle stesse le medesime censure formulate rispetto agli artt. 3, comma 1, lettera d); 7, commi 7, lettere a) e c), e 8; nonché, in quanto connessi, agli artt. 1, comma 1, lettera b); 12; 13 e 14, comma 1, lettera a) – relative alla pesca per fini scientifici, anche in relazione alla pesca del novellame di alcune specie ittiche, secondo quanto previsto dagli artt. 2, comma 1, lettere e) ed f); 14, comma 1, lettera b); 18 e 19.

Secondo tali disposizioni, sono riservate alla competenza regionale «il rilascio dell’autorizzazione alla pesca a fini scientifici» e «il rilascio dell’autorizzazione alla pesca del novellame, del bianchetto, del rossetto e dello zerro» (rispettivamente, art. 2, comma 1, lettere e ed f).

L’art. 18 disciplina la pesca del novellame di alcune specie ittiche, rinviando, per la determinazione delle modalità, al regolamento di cui all’art. 14, comma 1, lettera b).

L’art. 19 regola la pesca a fini scientifici, e, analogamente, rinvia, per la determinazione delle modalità, al regolamento di cui all’art. 14, comma 1, lettera b).

6.— Tutte le disposizioni impugnate, come rimarcato dalla difesa dello Stato nella memoria depositata il 12 gennaio 2007, tenuto conto della sentenza di questa Corte n. 213 del 2006, intervenuta nelle more del presente giudizio, sarebbero ancora più lesive laddove si consideri che non è prevista alcuna forma di leale collaborazione con lo Stato, e che, anzi, l’art. 25, comma 2, della legge regionale in esame stabilisce che, dalla data di entrata in vigore dei regolamenti di cui all’art. 14, cessano di avere applicazione in Toscana le corrispondenti discipline statali.

Inoltre, secondo il ricorrente, nella legge regionale oggetto di censura non è rinvenibile alcun riferimento ad intese tra Stato e Regioni, come richiesto, invece, dall’art. 21 del d.lgs. n. 154 del 2004.

7.— Così precisato l’ambito complessivo delle questioni di legittimità costituzionale, appare necessario procedere, innanzitutto, alla ricognizione del quadro normativo statale che fa da sfondo rispetto alle disposizioni oggetto di impugnazione, anche con riferimento ai principi affermati da questa Corte in materia di “pesca” nella citata sentenza n. 213 del 2006.

7.1.— Occorre al riguardo ricordare, per quanto attiene all’allocazione delle funzioni amministrative in materia di pesca, che – come affermato da questa Corte (sentenza n. 213 del 2006) – già con gli artt. 79 e 100 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), vennero trasferite alle Regioni le funzioni amministrative relative alla materia «pesca nelle acque interne», ricomprendendovi, tra l’altro, l’esercizio della pesca e il rilascio delle relative licenze, nonché le funzioni relative alla pesca nelle acque del demanio marittimo interno.

Successivamente, il decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143 (Conferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell’Amministrazione centrale), attuativo della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), all’art. 1, comma 2, a sua volta, conferì alle Regioni «tutte le funzioni ed i compiti svolti dal Ministero» delle risorse agricole, alimentari e forestali, «relativi alle materie di agricoltura, foreste, pesca, agriturismo, caccia, sviluppo rurale, alimentazione», tranne quelli (elencati nell’articolo 2), riservati al neo istituito Ministero per le politiche agricole.

L’art. 105, comma 6, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), ha poi stabilito che «per lo svolgimento di compiti conferiti in materia di diporto nautico e pesca marittima le Regioni e gli enti locali si avvalgono degli uffici delle Capitanerie di porto».

E in attuazione del d.lgs. n. 143 del 1997 sono state emanate leggi regionali di individuazione delle funzioni trasferite o delegate agli enti locali in materia e di quelle mantenute in capo alle Regioni stesse. In particolare, la Regione Toscana ha adottato, in proposito, la legge 6 febbraio 1998, n. 9 (Attribuzione delle funzioni amministrative in materia di agricoltura, foreste, caccia, pesca, sviluppo rurale, agriturismo, alimentazione conferite alla Regione dal decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143).

7.2.— Per quanto più specificamente attiene alla disciplina delle licenze di pesca, va ricordato che l’art. 4 della legge 17 febbraio 1982, n. 41 (Piano per la razionalizzazione e lo sviluppo della pesca marittima), poi abrogato dal d.lgs. n. 154 del 2004, ha sancito il passaggio dal permesso di pesca, originariamente regolato dall’art. 12 della legge 14 luglio 1965, n. 963 (Disciplina della pesca marittima), alla licenza di pesca intesa come «documento, rilasciato dal Ministero della marina mercantile, che autorizza la cattura di una o più specie di una o più aree da parte di una nave di caratteristiche determinate con uno o più attrezzi».

7.3.— A sua volta, l’art. 4 del d.lgs. 26 maggio 2004, n. 153 (Attuazione della legge 7 marzo 2003, n. 38, in materia di pesca marittima) ha riaffermato che le navi e i galleggianti abilitati alla navigazione, per l’esercizio della pesca professionale devono essere muniti di licenza di pesca, mentre l’art. 2, comma 1, ha stabilito che, una volta adottato il regolamento di attuazione, coloro che intendono esercitare la pesca marittima professionale devono conseguire l’iscrizione nell’apposito registro dei pescatori marittimi istituito presso le Capitanerie di porto. Le disposizioni del d.lgs. n. 153 del 2004, come è affermato nel suo art. 1, comma 1, rispondono a principi «di sviluppo sostenibile e di pesca responsabile al fine di coniugare le attività economiche di settore con la tutela degli ecosistemi».

7.4.— Il d.lgs. n. 154 del 2004, che, come si è detto, ha disposto l’abrogazione della legge n. 41 del 1982, ha dettato disposizioni relative al Programma nazionale triennale della pesca e l’acquacoltura, il quale, in particolare, è proposto al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), per l’approvazione, dal Ministro delle politiche agricole e forestali, «sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, previa consultazione del Tavolo azzurro» (art. 5 del d.lgs. n. 154 del 2004) .

Il Programma nazionale, alla cui redazione, dunque, partecipano le Regioni in forza del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni medesime, è chiamato a definire, tra l’altro, gli obiettivi per il perseguimento delle finalità di cura delle risorse ittiche, di sviluppo sostenibile e di valorizzazione della produzione della pesca, coerentemente con gli indirizzi comunitari e con gli impegni derivanti dalla partecipazione dell’Italia agli organismi di gestione internazionale (art. 12, comma 1, in riferimento all’art. 4, comma 1, lettere a e b, del d.lgs. n. 154 del 2004).

Le Regioni, a loro volta, entro il 31 dicembre dell’anno precedente il triennio di programmazione nazionale, devono predisporre i programmi regionali per la pesca e l’acquacoltura contenenti l’indicazione degli intereventi di competenza (art. 5 del d.lgs. n. 154 del 2004).

È, altresì, previsto – sul presupposto che le misure di sostenibilità, razionalizzazione dello “sforzo di pesca” e capacità della flotta nazionale sono fondate principalmente sulla regolamentazione dei sistemi di pesca, dei tempi di pesca, delle caratteristiche tecniche delle imbarcazioni e degli attrezzi di pesca, delle aree di pesca e dei quantitativi pescati – che il controllo sulle suddette misure, garantendo il rispetto di norme e obiettivi comunitari, sia esercitato dal Ministero delle politiche agricole e forestali anche attraverso le licenze di pesca (art. 12, commi 2 e 5, del d.lgs. n. 154 del 2004).

7.5.— Può essere utile, inoltre, ricordare come in sede comunitaria sia stato adottato il regolamento (CE) n. 1281 del 3 agosto 2005 (Regolamento della Commissione relativo alla gestione delle licenze di pesca e alle informazioni minime che devono figurare nella licenza), che ha sostituito il regolamento (CE) n. 3690 del 20 dicembre 1993 (Regolamento del Consiglio che istituisce un regime comunitario che stabilisce le norme relative alle informazioni minime che devono figurare nelle licenze di pesca), abrogato dal regolamento (CE) n. 700 del 25 aprile 2006.

7.6.— Per completare il quadro normativo che fa da sfondo rispetto alle questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso, occorre ora fare riferimento alla disciplina statale relativa ai distretti di pesca.

Tali distretti, quali «aree marine omogenee dal punto di vista ambientale, sociale ed economico», rinvengono la loro disciplina nell’art. 4 del d.lgs. n. 226 del 2001, il quale, al comma 1, prevede l’istituzione degli stessi «al fine di assicurare la gestione razionale delle risorse biologiche, in attuazione del principio di sostenibilità».

Il comma 2 del medesimo art. 4 dispone, inoltre, che «le modalità di identificazione, delimitazione e gestione dei distretti di pesca sono definite, su proposta della Regione o delle Regioni interessate, con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro dell’ambiente, sentite le associazioni nazionali di categoria».

8.— Questa Corte, pronunciandosi sull’assetto del riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, attuata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione), ha rilevato che nella materia «pesca» è riscontrabile la sussistenza di una generale promozione della funzione di razionalizzazione del sistema ittico in ragione dei principi di sviluppo sostenibile e di pesca responsabile, al fine di coniugare le attività economiche di settore con la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi. Ha affermato, inoltre, che la pesca costituisce materia oggetto della potestà legislativa residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., sulla quale, tuttavia, per la complessità e la polivalenza delle attività in cui essa si estrinseca, possono interferire più interessi eterogenei, tanto statali, quanto regionali.

Per loro stessa natura, infatti, talune attività e taluni aspetti riconducibili all’attività di pesca non possono che essere disciplinati dallo Stato, atteso il carattere unitario con cui si presentano e la conseguente esigenza di una loro regolamentazione uniforme.

La Corte ha così ritenuto che assume, in definitiva, peculiare rilievo, nell’esame delle concrete fattispecie sottoposte al suo giudizio, l’applicazione del principio di prevalenza tra le materie interessate e di quello, fondamentale, di leale collaborazione, che «si deve sostanziare in momenti di reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento dei livelli di governo statale e regionale» (sentenza n. 213 del 2006).

9.— La Corte è, quindi, pervenuta alla conclusione della non fondatezza della questione di costituzionalità allora sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione, dell’art. 4, comma 2, lettera a), della legge della Regione Marche 13 maggio 2004, n. 11 (Norme in materia di pesca marittima e acquacoltura), con la quale si è stabilito che il piano regionale per la pesca e l’acquacoltura deve contenere, tra l’altro, «l’articolazione territoriale dei distretti di pesca, intesi non come confine ma come regolamentazione dell’attività di pesca-produzione in forza di regole obbligatorie per tutti coloro che vi operano».

È stato così affermato che la «disposizione» (in quel giudizio) «impugnata, che opera comunque nell’ambito della pianificazione regionale, non si sovrappone alle competenze statali» (disciplinate dall’ art. 4 del d.lgs. n. 226 del 2001), e che non è dato ravvisare alcuna sua interferenza «con la potestà esclusiva dello Stato, ex art. 117, secondo comma, lettera a), Cost.» (sentenza n. 213 del 2006).

10.— Alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale si può, dunque, ritenere che le questioni ora sottoposte all’esame della Corte esigono, innanzitutto, che si proceda alla qualificazione, con riguardo alla materia incisa, dei settori oggetto di disciplina, dal momento che – come si è rilevato – con la materia «pesca» possono interferire interessi eterogenei, taluni statali, altri regionali, con riflessi sulla ripartizione delle competenze legislativa ed amministrativa, anche al fine della verifica della sussistenza o meno di ragioni tali da giustificare un’allocazione delle funzioni amministrative al livello di governo statale, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost.

11.— Ed è proprio con riferimento a quanto già affermato da questa Corte che la questione di legittimità costituzionale relativa agli artt. 1, comma 1, lettera b); 3, comma 1, lettera d); 7, commi 7, lettere a) e c), e 8; 12; 13 e 14, comma 1, lettera a), della legge regionale n. 66 del 2005 deve essere dichiarata in parte inammissibile e in parte non fondata.

11.1.— Sono, innanzitutto, inammissibili le censure formulate in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a), ed e), e all’art. 120 Cost., in quanto redatte in modo generico, in contrasto con l’esigenza, ripetutamente enunciata da questa Corte, che il ricorrente svolga specifiche argomentazioni a sostegno delle proprie doglianze (v., ex multis, le sentenze n. 246 e n. 51 del 2006, n. 360 e n. 336 del 2005).

11.2.— Non è, invece, fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riguardo alle medesime norme, da ultimo richiamate, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 118, primo comma, Cost, anche in ragione del limite territoriale della competenza regionale, e al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni.

Nonostante attengano ad una materia, quella della pesca appunto, attribuita alla competenza legislativa residuale delle Regioni, ex art. 117, quarto comma, Cost., le disposizioni in esame si intrecciano con competenze statali, connesse principalmente, ma non esclusivamente, alla tutela dell’ecosistema; inoltre, possono ritenersi sussistenti ragioni di unitarietà ed uniformità ordinamentali tali da richiedere – in ipotesi –  l’allocazione a livello statale delle funzioni amministrative in materia o la previsione di meccanismi di attuazione del richiamato principio di leale collaborazione. Nella specie, però, tali esigenze e ragioni possono ritenersi già soddisfatte da una serie di norme contenute nella legge regionale in esame, nonché dal complessivo sistema di regolamentazione della pesca disegnato dalla Regione resistente con la medesima legge.

Occorre rilevare, infatti, che le norme oggetto di impugnazione, tanto relative alle licenze di pesca, quanto alle misure di sostenibilità dello “sforzo di pesca”, trovano collocazione nel programma regionale per la pesca e l’acquacoltura, il quale costituisce, insieme con il programma nazionale – che deve tenere, altresì, conto degli indirizzi comunitari e degli impegni internazionali – lo strumento cardine nella definizione delle politiche della pesca.

Di significativo rilievo è, inoltre, la disposizione statale (art. 5 del d.lgs. n. 154 del 2004) secondo la quale il piano regionale deve essere approvato entro il 31 dicembre dell’anno precedente all’adozione del piano nazionale, dato che quest’ultimo è predisposto d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, previa consultazione del c.d. “Tavolo azzurro”. È evidente, quindi, che i due strumenti di programmazione sono destinati naturalmente ad integrarsi secondo le rispettive competenze, grazie alla previsione di meccanismi idonei a dare attuazione al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.

Nel prevedere, in particolare, che il programma regionale, fissa, per ciascuna Provincia, «il numero massimo delle licenze di pesca concedibili», il comma 8 dell’art. 7 della legge censurata chiarisce che le stesse «non possono comunque complessivamente superare quelle rilasciate (…) dal Ministero delle politiche agricole e forestali». È chiaro, poi, che il suddetto contingentamento delle licenze di pesca presuppone, logicamente, anche la predeterminazione dei requisiti oggettivi e soggettivi (cfr. il citato atto di programmazione nazionale), che, con riferimento, tra l’altro, alle diverse tipologie di pesca, devono sussistere ai fini del loro rilascio, in vista proprio delle esigenze di salvaguardia della sostenibilità dello “sforzo di pesca”, le quali sono correlate alla competenza statale in ordine alla tutela dell’ambiente marino e dell’ecosistema, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

In tal modo, il coordinamento tra funzioni regionali e funzioni statali in materia è assicurato dalla specifica previsione secondo cui spetta allo Stato la individuazione del numero complessivo e della tipologia delle licenze concedibili, mentre compete alla Regione, attraverso il suddetto programma regionale, ripartire tale numero, in relazione appunto ai diversi tipi di pesca, tra le Province. Queste ultime, a loro volta, in ragione di quanto previsto dall’art. 3, comma 1, lettera d), della legge regionale in esame, provvedono nei singoli casi al rilascio delle licenze medesime. È significativo, in questo quadro, quanto disposto dall’ultimo periodo del citato art. 7, comma 8, secondo cui «il numero delle licenze viene adeguato ad ogni eventuale ulteriore contingentamento effettuato» dal predetto Ministero «in esecuzione delle disposizioni comunitarie in materia di riduzione dello sforzo di pesca».

Ne risulta, in definitiva, un sistema che non confligge né con il riparto delle competenze in materia di licenza di pesca quale desumibile dal novellato Titolo V della parte seconda della Costituzione, né con quanto indicato, quale norma interposta, dall’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 154 del 2004, secondo il quale «il controllo sulle misure di sostenibilità» nel settore della pesca (fondate principalmente sulla «regolamentazione dei sistemi di pesca, tempi di pesca, caratteristiche tecniche delle imbarcazioni e degli attrezzi di pesca, delle aree di pesca e dei quantitativi pescati», in forza di quanto disposto dall’art. 12, comma 2, del medesimo decreto legislativo) è esercitato dal Ministero delle politiche agricole e forestali «anche attraverso le licenze di pesca».

12.— Del pari, non può ritenersi fondata la questione di legittimità costituzionale proposta con riferimento agli artt. 2, comma 1, lettera c); 10 e 11 della legge regionale impugnata, relativi ai distretti di pesca e di acquacoltura.

Ed infatti, le suddette disposizioni – in modo analogo alle norme sopra esaminate – operano nell’ambito della pianificazione regionale e non si sovrappongono, come già affermato nella sentenza n. 213 del 2006 con riguardo alla normativa della Regione Marche, alle competenze statali disciplinate dall’art. 4 del d.lgs. n. 226 del 2001, cui possono ricondursi, in linea generale, le aggregazioni in esame, né è dato ravvisare alcuna interferenza delle disposizioni stesse con le potestà legislative esclusive dello Stato, ex art. 117, secondo comma, lettere a), e), ed s), Cost. Sotto altro aspetto, poi, non possono ritenersi sussistenti, nella specie, e con particolare riferimento alla sopracitate disposizioni regionali, i necessari presupposti per l’assunzione, in via sussidiaria, ex art. 118, primo comma, Cost., a livello statale, delle funzioni amministrative nella materia in esame, con conseguenti riflessi sul riparto della potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni.

A ciò è da aggiungere che, tenuto conto delle finalità dei distretti (art. 10, comma 1, della legge impugnata) «di consolidare e rafforzare l’aggregazione e il confronto degli interessi dei partner e di valorizzare lo sviluppo del settore», non è dato comprendere, in particolare, in qual modo le disposizioni censurate potrebbero arrecare un vulnus, da un lato, alle regole della concorrenza, e, dall’altro, alla tutela dell’ambiente marino e dell’ecosistema.

13.— Resta da esaminare, infine, il terzo gruppo di disposizioni della legge regionale impugnata, contenute negli artt. 2, comma 1, lettere e) ed f); 14, comma 1, lettera b); 18 e 19.

Tali disposizioni, come si è accennato, tra l’altro, prevedono – rinviando ai regolamenti di cui al citato art. 14 – da un lato, che la pesca del novellame, del bianchetto, del rossetto e dello zerro è consentita «ai soli fini di ricerca», e, dall’altro lato, che la Regione «può autorizzare le Università e gli istituti scientifici riconosciuti ad effettuare a scopo di studio e ricerca scientifica le catture degli organismi marini». Esse coinvolgono, dunque, oltre la materia di competenza residuale della Regione costituita dalla pesca, anche quella di competenza concorrente della ricerca scientifica.

La questione di legittimità costituzionale di dette disposizioni deve essere dichiarata inammissibile.

Nel ricorso, infatti, non si rinviene alcun elemento argomentativo che possa giustificare una eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni in questione, la cui impugnazione è solo genericamente collegata alle espressioni introduttive del ricorso, le quali fanno riferimento alla presunta violazione da parte di varie norme contenute nella legge regionale, dei parametri costituzionali di cui agli artt. 117, secondo comma, lettere a), e) ed s), 118, primo comma, e 120, primo comma, della Costituzione, anche in riferimento alla territorialità delle competenze regionali, nonché al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge della Regione Toscana 7 dicembre 2005, n. 66 (Disciplina delle attività di pesca marittima e degli interventi a sostegno della pesca marittima e dell’acquacoltura), sollevata, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettere a), e) ed s), 118, primo comma, e 120, primo comma, della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 1, lettera b); 3, comma 1, lettera d); 7, commi 7, lettere a) e c), e 8; 12; 13; 14, comma 1, lettera a), della suddetta legge regionale, sollevata, in riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettere a) ed e), e 120, primo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 1, lettere e) e f); 14, comma 1, lettera b); 18 e 19, della suddetta legge regionale, sollevata, in riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettere a), e), e s), 118, primo comma, e 120, primo comma, della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 1, lettera b); 3, comma 1, lettera d); 7, commi 7, lettere a) e c), e 8; 12; 13; 14, comma 1, lettera a), della suddetta legge regionale, sollevata in riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettera s), e 118, primo comma, della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 1, lettera c); 10 e 11, della citata legge regionale, sollevata in riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettere a), e) ed s), e 118, primo comma, della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 marzo 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2007.