SENTENZA N. 213
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 29 e 30, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), degli artt. 4, commi 1, lettera a), e 2, lettera a), 6, comma 2, lettera e), 7, comma 1, lettera f), e 9, comma 1, della legge della Regione Marche 13 maggio 2004, n. 11 (Norme in materia di pesca marittima e acquacoltura) e degli artt. 2, comma 1, lettere f) e g), 3, comma 2, della legge della Regione Abruzzo 5 agosto 2004, n. 22 (Nuove disposizioni in materia di politiche di sostegno all’economia ittica), rispettivamente promossi con ricorsi della Regione Toscana e della Regione Emilia-Romagna (ric. n. 32 e ric. n. 33 del 2004) e con due ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri (ric. n. 72 e ric. n. 102 del 2004), notificati il 26 e il 24 febbraio, il 16 luglio e il 18 ottobre 2004, depositati in cancelleria il 3 e il 4 marzo, il 26 luglio e il 26 ottobre 2004 ed iscritti ai nn. 32, 33, 72, e 102 del registro ricorsi 2004.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, della Regione Marche e della Regione Abruzzo;
udito nella udienza pubblica del 4 aprile 2006 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi gli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Stefano Grassi per la Regione Marche, Sandro Pasquali per la Regione Abruzzo e gli avvocati dello Stato Franco Favara e Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.—
La Regione Toscana (ric. n. 32 del 2004) ha impugnato numerose disposizioni
della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004)
censurando, tra l’altro, l’art. 4, commi 29 e 30, in riferimento
all’art. 117 Cost.
Il
suddetto comma 29 dispone che, nelle more dell’adozione dei decreti
legislativi previsti dalle leggi 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) e 7 marzo 2003, n. 38 (Disposizioni in
materia di agricoltura), gli interventi in favore del settore ittico di cui alla
legge 17 febbraio 1982, n. 41 (Piano per la razionalizzazione e lo sviluppo
della pesca marittima) sono realizzati dallo Stato, dalle Regioni e dalle
Province autonome limitatamente alle rispettive competenze previste dalla Parte
IV del VI Piano nazionale della pesca e dell’acquacoltura, adottato con
decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali in data 25 maggio
2000.
L’art.
4, comma 30, della legge n. 350 del 2003, dispone che entro il 28 febbraio
2004, in attuazione di quanto stabilito dal precedente comma, e in deroga alle
disposizioni di cui agli artt. 1 e 2 della legge n. 41 del 1982, con decreto
del Ministro delle politiche agricole e forestali è approvato il Piano
nazionale della pesca e dell’acquacoltura per l’anno 2004.
Secondo la
ricorrente dette previsioni intervengono in materia di pesca ed acquacoltura,
«ovverosia in ambiti non riservati alla potestà legislativa
esclusiva statale, né ricompresi nell’elenco delle materie di cui
all’art. 117, terzo comma, Cost.» e,
pertanto, rientrano nella competenza legislativa residuale delle Regioni (art.
117, quarto comma, Cost.).
In
particolare, la disposizione di cui al comma 29 si presenterebbe limitativa di
attribuzioni regionali, in quanto mantiene in essere il conferimento di
competenze così come definito anteriormente alla riforma costituzionale
operata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo
V della parte seconda della
Costituzione).
Anche il
comma 30 sarebbe viziato da illegittimità costituzionale «in
quanto dispone l’approvazione del Piano della pesca e
dell’acquacoltura per il 2004 con un atto ministeriale, senza alcun
coinvolgimento della Regione, in una materia, invece, di spettanza regionale,
in totale violazione dell’art. 117 Cost.».
1.1.—
Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, rilevando,
anzitutto, con riferimento al censurato comma 29, che il VI Piano nazionale
della pesca e dell’acquacoltura «è stato adottato il 25 maggio
2000, prima cioè della legge costituzionale n. 3 del 2001».
Secondo la difesa erariale dovrebbero perciò trovare applicazione
l’art. 1, comma 2, e l’art. 7, comma 6, della legge n. 131 del
2003, con la conseguenza che il comma 29 non potrebbe costituire oggetto di
censura.
Rispetto
all’impugnazione dell’art. 4, comma 30, la difesa erariale osserva
che la legge n. 41 del 1982 concerne la pesca marittima e l’acquacoltura
in acque marine e salmastre (e non la pesca in acque interne), non potendo
quindi sostenersi, anche per la compresenza di competenze dell’Unione
europea, la sussistenza della potestà legislativa residuale delle
Regioni.
1.2.—
La Regione Toscana ha depositato memoria con la quale ha ribadito
l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate, in quanto le
stesse interverrebbero in ambiti materiali – pesca e acquacoltura –
che l’art. 117 Cost. non riserva in via
esclusiva allo Stato, né affida alla potestà legislativa
concorrente, ma rimette, quindi, alla potestà legislativa di tipo
residuale delle Regioni.
Ciò
troverebbe altresì conferma nel progressivo trasferimento delle funzioni
amministrative, dallo Stato alle Regioni, nella suddetta materia. Né
sono ravvisabili le condizioni per la chiamata in sussidiarietà ex art. 118, primo comma, Cost.
1.3.—
Successivamente il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato due
memorie a sostegno delle proprie difese.
L’Avvocatura
generale dello Stato osserva che la Regione non ha analizzato i singoli settori
di intervento elencati nel decreto ministeriale 25 maggio 2000, con conseguente
carenza delle censure formulate tale da determinare
l’inammissibilità del ricorso.
Si rileva,
quindi, come la ricorrente non consideri il fondamentale limite territoriale
che connota le competenze legislative delle Regioni, e che costituisce un
antecedente logico rispetto alle elencazioni di materie contenute
nell’art. 117, secondo e terzo comma, Cost.,
nonché alle altre disposizioni contenute negli artt. 118 e 119 Cost.
E, infatti,
ogni Regione può legiferare in relazione agli ambiti che afferiscono al
proprio territorio, come delimitato dai suoi confini terrestri e – se
Regione costiera – dal lido
del mare. «Nel mare – non solo quello libero ma anche quello
territoriale e nello spazio aereo e nello spazio privo di atmosfera non sono
tracciabili confini regionali; e del resto nel mare libero e nello spazio non
atmosferico non sono tracciabili neppure confini statali».
La difesa
dello Stato argomenta la sussistenza della potestà legislativa statale
in riferimento ai seguenti parametri costituzionali:
–
art. 117, secondo comma, lettera a), Cost.,
in quanto l’esercizio della pesca marittima è sottoposto a
discipline dettate da convenzioni internazionali anche multilaterali;
–
art. 117, secondo comma, lettera e), in uno con l’art. 120,
primo comma, Cost., atteso che «la produzione
legislativa regolamentare ed amministrativa delle singole Regioni non
può introdurre apprezzabili turbative della corretta e fisiologica
competizione tra imprenditori operanti nell’ambito nazionale e/o in
quello dell’Unione europea, riservando trattamenti e discipline
più favorevoli» a coloro che sono localizzati nel territorio
regionale;
–
art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
in quanto un costante e organico impegno è necessario per la
salvaguardia del mare e delle risorse marine;
– in
via subordinata, art. 118 Cost., in quanto
«l’attività di pesca marittima richiede necessariamente
l’esercizio unitario delle funzioni».
2.—
La Regione Emilia-Romagna (ric. n. 33 del 2004) ha, a sua volta, impugnato, per
violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.,
i medesimi commi 29 e 30 dell’art. 4 della legge n. 350 del 2003.
La
ricorrente ricorda che, in attuazione dell’art. 1 della legge n. 41 del
1982, sono stati approvati vari piani triennali della pesca, fino al decreto ministeriale 25
maggio 2000 (Adozione del VI Piano nazionale della pesca e
dell’acquacoltura 2000-2002). La parte IV di questo decreto riguarda il
bilancio preventivo e contiene la «ripartizione delle risorse finanziarie
tra interventi gestiti dallo Stato ed interventi gestiti dalle Regioni»
in materie di competenza regionale di cui all’art. 1l7, terzo e quarto
comma, Cost.
L’art.
4, comma 29, recepisce la ripartizione di competenze fra Stato e Regioni
operata dal decreto ministeriale 25 maggio 2000 (scaduto il 31 dicembre 2003)
nel contesto del vecchio Titolo V della Costituzione, che attribuiva alla
competenza regionale solo la “pesca nelle acque interne”.
La norma
in questione non sarebbe, dunque, coerente con il nuovo quadro costituzionale,
nell’ambito del quale (salvi i titoli di intervento di cui all’art.
117, secondo comma, Cost.) lo Stato può
svolgere e regolare funzioni amministrative nelle materie di competenza
regionale (come la pesca e anche la ricerca e l’educazione alimentare)
solo qualora ciò sia reso necessario dal principio di
sussidiarietà.
Comunque,
ove si ravvisassero esigenze unitarie, permanenti o transitorie, a sostegno di
queste competenze statali, il comma 29 sarebbe illegittimo per la mancata
previsione dell’intesa con le Regioni.
Anche con
riferimento al comma 30, la Regione rileva che, pur ammettendo che per
l’approvazione del Piano nazionale possa essere giustificata la
competenza statale, la suddetta disposizione risulterebbe illegittima per la
mancata previsione dell’intesa con le Regioni interessate, secondo quanto
stabilito dalla sentenza di questa Corte n. 303 del
2003.
2.1.—
Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare inammissibili o non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 29 e 30, della legge
n. 350 del 2004.
Con
successive memorie la difesa dello Stato ha esposto quanto segue.
Preliminarmente
è stata prospettata l’inammissibilità delle questioni per
l’indeterminatezza delle censure formulate dalla ricorrente.
Nel
merito, l’Avvocatura ripercorre l’iter di approvazione e i contenuti del VI Piano nazionale della
pesca e dell’acquacoltura, richiamando anche la normativa sopravvenuta, e
deduce come la materia controversa vada circoscritta a tre settori: Fondo di
solidarietà, contributi per l’associazionismo e ricerca applicata
alla pesca e all’acquacoltura, per i quali è ravvisabile la
competenza statale.
Rileva,
altresì, come i commi 29 e 30 in esame «recano
sostanzialmente» una disciplina «transitoria “nelle
more” della proroga produzione di una nuova normativa; la concreta
applicazione dei commi parrebbe – come desumibile dal riferimento nel
comma 30 al 2004 – ormai del tutto esaurita».
2.2.—
Anche la Regione Emilia-Romagna ha depositato memoria, con la quale ha
insistito nelle difese svolte. La Regione ha ribadito, altresì, come le
norme impugnate abbiano confermato, dopo il 2001, la ripartizione di competenze
risultante dal decreto ministeriale 25 maggio 2000, invece di adeguare la
disciplina di settore al mutato quadro costituzionale. Si deduce,
altresì, come non possa essere condiviso il dedotto esaurimento della
normativa de qua, e comunque
l’irrilevanza di tale eventualità ai fini del giudizio di
costituzionalità, in quanto la modalità delle norme impugnate non
risultano idonee ad incidere sull’interesse alla decisione.
3.—
Il Presidente del Consiglio dei ministri (ric. n. 72 del 2004) ha impugnato gli
artt. 4, commi 1, lettera a), e 2, lettera a), 6, comma 2, lettera e), 7, comma 1, lettera f), e 9, comma 1, della
legge della Regione Marche 13 maggio 2004, n. 11, recante “Norme in
materia di pesca marittima e acquacoltura”.
La difesa
dello Stato premette che la materia della pesca persegue interessi pubblici
molteplici, riconducibili ad obiettivi di tutela dell’ecosistema e delle
risorse ittiche che richiedono una gestione unitaria, attribuibile alla
competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, nonchè di rapporti
internazionali dello Stato e rapporti dello Stato con l’Unione europea,
di cui all’art. 117, secondo comma , lettere s) e a), Cost.
3.
1.— Le censure sono quindi specificate come di seguito precisato.
La norma
contenuta nell’art. 4, comma 1, lettera a), prevede
che il Piano regionale della pesca contenga, tra l’altro, interventi
volti alla salvaguardia di risorse ittiche della Regione. In tal modo la legge
regionale qualificherebbe le risorse biologiche come regionali. Ad avviso
dell’Avvocatura dello Stato, in realtà, le risorse ittiche
necessitano di una disciplina di tutela e conservazione uniforme, nel rispetto,
tra l’altro, di convenzioni e accordi internazionali – in
particolare si tratta della United Nations
Convention on the Law of the Sea, Montego Bay, 10 dicembre 1982, e
del United Nations Agreement for the Implementation
of the Provisions of the United
Nations Convention on the Law of the Sea of 10 December
1982 relating to the Conservation
and Management of Straddling Fish
Stocks and Highly Migratory
Fish Stocks, New York, 4 agosto 1995. La norma impugnata si pone quindi in contrasto con
l’art. 117, secondo comma, lettere a) e s), Cost.
L’art.
4, comma 2, lettera a), prevede l’articolazione
territoriale dei distretti di pesca, con l’introduzione di regole
obbligatorie per tutti coloro che vi operano.
In tal modo, si determinerebbe una
regionalizzazione della flotta di pesca, in contrasto con i principi che
regolano la pesca nazionale secondo criteri unitari. Pertanto detta norma
invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia di rapporti internazionali
e con l’Unione europea di cui all’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., in relazione al regolamento CE n.
2371/2002, del 20 dicembre 2002, recante “Regolamento del Consiglio
relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della
pesca nell’ambito della politica comune della pesca” (artt. 4, 8,
9, 15, 17 e 23) e al regolamento CE n. 3690/93, del 20 dicembre 1993, recante
“Regolamento del Consiglio che istituisce un regime comunitario che
stabilisce le norme relative alle informazioni minime che devono figurare nelle
licenze di pesca” (artt. 2 e 3).
Le norme
contenute nell’art. 6, comma 2, lettera e), e
nell’art. 7, comma 1, lettera f), della legge della Regione
Marche n. 11 del 2004, stabiliscono che tra i componenti della Consulta per
l’economia ittica e della Commissione tecnico-scientifica, nuove
strutture regionali che operano nell’ambito della pesca, vi sia un
rappresentante delle Capitanerie di porto, individuato nel direttore marittimo
o in un suo delegato. Tali disposizioni sarebbero in contrasto con l’art.
117, secondo comma, lettera g), Cost.,
in quanto dettano norme prescrittive nei confronti di un titolare di un ufficio
periferico dello Stato (cfr. sentenza n. 134 del
2004).
L’art.
9, comma 1, della legge della Regione Marche in esame, affida alla Giunta
regionale la determinazione dell’ammontare del canone da corrispondere
per la concessione dei beni del demanio marittimo. Si invaderebbe, pertanto, la
competenza esclusiva statale, in materia di sistema tributario e contabile
dello Stato, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
3.2.—
Si è costituita la Regione Marche chiedendo il rigetto del ricorso. Con
successiva memoria la ricorrente ha osservato che la disciplina de qua è stata adottata anche al fine di disporre di un
testo normativo in linea con le disposizioni comunitarie, come modificate dal regolamento CE n. 2792/1999, del 17 dicembre 1999, recante
“Regolamento del Consiglio che definisce modalità e condizioni
delle azioni strutturali nel settore della pesca” e dal
regolamento CE n. 2371/2002.
La legge impugnata, inoltre, ha abrogato
la legge regionale 18 aprile 1994, n. 14 (Interventi per lo sfruttamento
razionale delle risorse ittiche, la qualificazione e l’ammodernamento
delle imprese di pesca e la promozione dei consumi ittici), intervenendo in un
ambito già rimesso alla potestà legislativa delle Regioni, in
ragione del trasferimento delle funzioni amministrative in materia.
A sostegno
delle proprie difese la Regione ha richiamato la legislazione adottata in
materia da altre Regioni.
3.3.—
In prossimità dell’udienza pubblica, l’Avvocatura dello
Stato ha depositato memoria con la quale ha ribadito le considerazioni svolte a
sostegno dei profili di illegittimità costituzionale delle norme
impugnate. Lo Stato ravvisa nell’interesse alla tutela delle risorse
biologiche del mare una specifica manifestazione del più ampio interesse
nazionale alla salvaguardia dell’ambiente, affidato dall’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost.,
alle competenze esclusive del legislatore nazionale.
D’altro
canto, come affermato dalla Corte, nel sistema costituzionale sono presenti
meccanismi (art. 118 Cost.) volti a rendere
più flessibile un disegno che, in ambiti nei quali coesistono,
intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di vanificare, per
l’ampia articolazione delle competenze, le istanze di unificazione presenti
nei più svariati contesti di vita.
4.—
Il Presidente del Consiglio dei ministri (ric. n. 102 del 2004) ha impugnato la
legge della Regione Abruzzo 5 agosto 2004, n. 22, recante “Nuove
disposizioni in materia di politiche di sostegno all’economia ittica”,
ed in particolare l’art. 2, comma 1, lettere f) e g), nonché l’art. 3,
comma 2, chiedendo la declaratoria di illegittimità costituzionale degli
stessi.
4.1.—
La difesa dello Stato ritiene che la legge presenti i seguenti profili di
illegittimità costituzionale.
L’art.
2, comma 1, lettera f), prevede la promozione di
certificazioni di qualità del «prodotto ittico catturato dalla
Marineria Abruzzese o allevato in impianti di acquacoltura/maricoltura
dislocati in Abruzzo o nel mare antistante». Tale disposizione, attuando
una protezione della produzione agroalimentare locale, con l’istituzione
di un marchio regionale identificativo di prodotti provenienti da una
determinata località geografica, è suscettibile di favorire la
produzione regionale nei confronti di quelle originarie di altri Stati membri.
Il marchio regionale non sarebbe, pertanto, in linea con le disposizioni
dettate dal regolamento CEE n. 2081/92, del 14 luglio 1992, recante
“Regolamento del Consiglio relativo alla protezione delle indicazioni
geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed
alimentari” e risulterebbe incompatibile con l’articolo 28 del
Trattato che istituisce la Comunità europea, il quale vieta
l’introduzione di qualsiasi misura di natura pubblica che possa
ostacolare l’importazione da altri paesi comunitari.
La norma
impugnata, quindi, non rispettando le disposizioni sopra richiamate,
contrasterebbe con l’art. 117, primo comma, Cost.
La
medesima appare, altresì, lesiva, dell’art. 117, secondo comma, lettera
e), Cost., che attribuisce allo
Stato la potestà legislativa nella materia “tutela della
concorrenza”.
L’art.
2, comma 1, lettera g), della legge della Regione
Abruzzo, prevedendo tra le finalità da perseguire, tramite il
“Fondo unico delle politiche della pesca”, quelle di conservazione
e incremento delle risorse alieutiche, predisposizione di piani di gestione di
aree di riserva, nonché monitoraggio di specie ittiche e
dell’ambiente marino, attribuisce carattere regionale a risorse
biologiche, quali quelle ittiche, che necessitano di una disciplina di tutela e
conservazione uniforme, nel rispetto di convenzioni e accordi internazionali
– anche in questo caso si tratta della United
Nations Convention on the Law of the Sea, Montego Bay, 10 dicembre 1982, e
del United Nations Agreement for the Implementation
of the Provisions of the United
Nations Convention on the Law of the Sea of 10 December
1982 relating to the Conservation
and Management of Straddling Fish
Stocks and Highly Migratory
Fish Stocks, New York, 4 agosto 1995.
La materia
della pesca persegue interessi pubblici molteplici, riconducibili ad obiettivi
di tutela dell’ecosistema e delle risorse ittiche, che sfuggono, per la
natura degli interessi da tutelare, ai confini territoriali e che richiedono
una gestione unitaria. La disposizione regionale, quindi, invaderebbe la
competenza esclusiva statale in materia di rapporti internazionali e tutela
dell’ecosistema, di cui all’art. 117, secondo comma, lettere a) e s), Cost.
Infine, la
norma contenuta nell’art. 3, comma 2, prevede tra i componenti della
Conferenza regionale della pesca e dell’acquacoltura rappresentanti di
organismi statali, quali le Capitanerie di porto. Tale disposizione, nel
dettare norme cogenti nei confronti di rappresentati di uffici periferici dello
Stato, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.
4.2.—
Si è costituita la Regione Abruzzo, chiedendo che le questioni proposte
dallo Stato siano dichiarate manifestamente infondate.
La difesa
regionale ha dedotto come il quadro normativo in materia di pesca ed
acquacoltura presenti le caratteristiche di un sistema multilivello, nel quale
interagiscono fonti normative comunitarie, nazionali e regionali. La riforma
del Titolo V della Costituzione ha innovato il rapporto tra potestà
normativa statuale e regionale. In particolare, “pesca e
acquacoltura” non sono state ascritte nel novero delle materie di
esclusiva competenza legislativa statale, ovvero di competenza legislativa
concorrente, sicché le stesse devono essere ricondotte alla
potestà legislativa residuale delle Regioni ex art. 117, quarto comma, Cost.
Con
riguardo alle specifiche censure la Regione osserva quanto segue.
L’art.
2, comma 1, lettera f), della legge regionale in esame,
non è diretto alla creazione di un marchio regionale identificativo di
una produzione agroalimentare locale, quanto «al possibile sostegno alla
certificazione di qualità della Marineria abruzzese, del Pesce
abruzzese, in forza dell’applicazione di rigorosi disciplinari in materia
di metodi di cattura, modalità di primo trattamento e manipolazione,
tempi di trasporto a terra ed avvio della commercializzazione».
In
relazione alle censure formulate rispetto all’art. 2, comma 1, lettera g), della legge regionale dell’ Abruzzo, n. 22 del 2004, la
Regione deduce come la norma si inserisca nel quadro normativo internazionale,
e al medesimo si adegui. Né sussisterebbe l’invasione della
competenza statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema
dal momento che si è inteso intervenire solo nella predisposizione e
attuazione di piani di gestione delle risorse per aree di tutela biologica
già istituite, concorrendo, così, alla loro implementazione.
In ordine
alle censure formulate rispetto all’art. 3, comma 2, della legge della
Regione Abruzzo n. 22 del 2004, la Regione rileva che la previsione della
partecipazione alla istituenda Conferenza regionale della pesca e
dell’acquacoltura, di un rappresentante designato dalle Capitanerie di
porto, ha fondamento nell’art. 105, comma 6, del decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15
marzo 1997, n. 59), nonché nell’art. 10 del decreto legislativo 26
maggio 2004, n. 154 (Modernizzazione del settore pesca e
dell’acquacoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo
2003, n. 38), che richiedono un necessario raccordo con le Capitanerie di
porto.
4.3.—
L’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria con la quale ha rilevato
come le disposizioni legislative introdotte dalla Regione Abruzzo riguardino
essenzialmente linee di intervento pubblico a sostegno dell’economia
ittica.
Ha
affermato, quindi, come non sembri dubitabile che la Regione, in forza
dell’assetto delle competenze delineato a seguito della riforma del
Titolo V della Costituzione, abbia legittimazione a provvedere in materia di
pesca e acquacoltura.
Piuttosto,
la questione di legittimità costituzionale attiene alle modalità
con cui la Regione Abruzzo ha inteso esercitare detta potestà, e, in
particolare, all’incidenza della disciplina regionale sul rispetto del
Trattato che ha istituito la Comunità europea e del regolamento CEE n.
2081/92. Ad avviso della difesa dello Stato, la Regione Abruzzo può
promuovere, nel contesto di un piano economico, i prodotti e i marchi locali,
ma non può individuare un ambito di delimitazione delle aree di
produzione avulso dai criteri indicati in sede comunitaria. La norma in questione,
pertanto, sarebbe lesiva dell’art. 117, primo comma, Cost.,
nella parte in cui introduce un criterio di tutela dei marchi d’origine
diverso da quello vigente nel territorio nazionale e nell’area
comunitaria, nonché dell’art. 117, secondo comma, lettera e), in quanto altererebbe la concorrenza tra i prodotti nazionali.
La difesa
dello Stato ha ribadito l’illegittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 1, lettera g), della legge della Regione
Abruzzo, in quanto contiene un espresso riferimento alla predisposizione ed attuazione
di piani di gestione di aree di riserva e di specie particolari, incidendo
sulla competenza esclusiva dello Stato in materia di rapporti internazionali e
di tutela dell’ecosistema e dell’ambiente, di cui all’art.
117, secondo comma, lettere a) e s), Cost.
Infine, il
Presidente del Consiglio dei ministri riafferma l’illegittimità
costituzionale dell’ art. 3, comma 2, tanto più che l’art.
10 del d.lgs. n. 154 del 2004, richiamato dalla Regione, si esprime in termini
di raccordo tra le Commissioni consultive istituite dalle Regioni e le
Capitanerie di porto.
Considerato in diritto
1.— Vengono
all’esame della Corte quattro ricorsi, dei quali due sono stati proposti,
rispettivamente, dalla Regione Toscana (ric. n. 32 del 2004) e dalla Regione
Emilia-Romagna (ric. n. 33 del 2004) nei confronti di talune disposizioni di
una legge dello Stato, gli altri due, invece, sono stati proposti dal
Presidente del Consiglio dei ministri (ric. n. 72 e ric. n. 102 del 2004)
contro leggi, rispettivamente, della Regione Marche e della Regione Abruzzo.
2.— Oggetto di
esame in questa sede sono soltanto le questioni di costituzionalità
prospettate nei suindicati ricorsi con riferimento al riparto delle competenze
legislative ed amministrative tra lo Stato e le Regioni in materia di pesca.
Vanno, invece, riservate ad altre pronunce le ulteriori questioni di
costituzionalità proposte con i ricorsi regionali n. 32 e n. 33 del
2004.
3.— Considerata la
sostanziale identità della materia trattata con i quattro ricorsi sopra
citati, nonché l’analogia di parte delle questioni prospettate, i
giudizi possono essere riuniti – nei limiti sopra precisati – per
essere decisi con unica sentenza.
4.— Prima di procedere all’esame delle diverse questioni di costituzionalità prospettate nei ricorsi de quibus, occorre delineare, sia pure succintamente, il quadro normativo, relativo al settore della pesca, precedente alle modifiche apportate al Titolo V della Parte seconda Cost. dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
4.1.— Il testo originario dell’art. 117 Cost. attribuiva, come è noto, alla potestà legislativa delle Regioni a statuto ordinario la competenza in materia di “pesca nelle acque interne”, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, semprechè le norme stesse non fossero in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni.
In base al testo originario dell’art. 118 Cost. spettavano alle Regioni le funzioni amministrative
nella suddetta materia, tranne quelle di interesse esclusivamente locale, che
potevano essere attribuite dalle leggi della Repubblica anche alle Province, ai
Comuni o ad altri enti locali.
4.2.— A differenza di
quanto disposto per le Regioni a statuto ordinario, sin dalla costituzione
delle Regioni a statuto speciale si è avuta l’attribuzione alle
medesime (e con riguardo al Trentino-Alto Adige/Südtirol alle Province autonome di Trento e di Bolzano) delle
funzioni legislative ed amministrative relative non solo alla “pesca
nelle acque interne”, ma anche alla “pesca marittima”, ad
eccezione, per quest’ultima, delle Regioni Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e Trentino-Alto Adige/Südtirol, per evidenti ragioni di ordine geografico.
Il richiamo per le Regioni ad
autonomia speciale del termine “pesca”, senza ulteriori
specificazioni (art. 2, comma 1, lettera l, dello “statuto
speciale per la Valle d’Aosta”; art. 3,
comma 1, lettera i, dello “statuto speciale per la
Sardegna”; art. 11, comma 1, numero 15, dello
“statuto speciale per il Trentino-Alto Adige”; art. 4, comma 1, numero 3, dello “statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia”; art. 14, comma 1, lettera l,
dello “statuto della Regione siciliana”),
ha fatto ritenere, fondatamente, che le competenze delle Regioni a statuto
speciale, che hanno sbocco sul mare, fossero più ampie di quelle delle
Regioni a statuto ordinario, aventi la medesima caratteristica, come attribuite
dagli artt. 117 e 118 Cost., nei rispettivi testi
originari.
4.3.— Sul punto è opportuno richiamare la giurisprudenza costituzionale di più significativo rilievo. Questa Corte, sin dalla sentenza n. 23 del 1957, ritenne legittime alcune disposizioni normative adottate dalla Regione Sardegna in materia di pesca, che estendevano la propria efficacia anche alle acque del mare territoriale, in ragione della potestà legislativa attribuita dallo statuto speciale «senza limitazione alcuna, salvo le limitazioni delle norme costituzionali». Con la successiva sentenza n. 21 del 1968, anch’essa relativa a norme delle Regione Sardegna, veniva precisato che «le singole competenze regionali debbono intendersi rigorosamente limitate, così da escludere ogni esorbitanza in materie connesse di competenza statale, e senza pregiudizio delle implicazioni di questa competenza, la quale tutela interessi pubblici estranei alla sfera regionale». La pronuncia n. 203 del 1974, quindi, nel delimitare l’ambito della potestà legislativa della Regione Sardegna, affermava che la «“pesca” come materia di competenza regionale, è l’attività diretta, indipendentemente dai mezzi adoperati e dal fine perseguito, a catturare esemplari di specie il cui ambiente abituale o naturale di vita siano date acque. Codesta attività, in sé e finalisticamente considerata, evidenzia determinati interessi tipici, privati e pubblici; e le norme che la disciplinano, proprio di codesti interessi integrano la tutela».
Tuttavia, la Corte rilevava che accanto agli stessi vi
erano «altri interessi, il cui perseguimento è certamente
giovevole alla pesca, ma che ha una ben più ampia o generale
portata» (quali la conservazione ed il miglioramento del patrimonio
ittico, delle risorse biologiche del mare e dell’ambiente marino in
genere), considerati meritevoli di tutela nell’ordinamento interno e sul
piano internazionale, e che la disciplina delle relative attività non
poteva essere compresa, in modo immediato o meno, nelle competenze statutarie.
4.4.— Nella vigenza dell’originario art. 117 Cost., il settore de quo è stato oggetto di disciplina organica per effetto della legge 14 luglio 1965, n. 963 (Disciplina della pesca marittima), e della legge 17 febbraio 1982, n. 41 (Piano per la razionalizzazione e lo sviluppo della pesca marittima). Proprio la legge n. 41 del 1982 introduceva, con la previsione di un Piano nazionale, una gestione programmata e controllata dell’attività di pesca, allo scopo di promuovere lo sfruttamento razionale e la valorizzazione delle risorse biologiche del mare, attraverso uno sviluppo equilibrato dell’attività considerata.
4.5.— Successivamente,
in attuazione della delega legislativa conferita dall’art. 7 della legge
5 marzo 2001, n. 57 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione
dei mercati), è stato emanato il
decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 226 (Orientamento e modernizzazione del
settore della pesca e dell’acquacoltura, a norma dell’articolo 7
della legge 5 marzo 2001, n. 57).
Occorre rilevare, in proposito, come l’art. 1,
comma 1, del suddetto decreto abbia assunto nella sfera dei principi della
sostenibilità e delle responsabilità verso l’ambiente e
verso i consumatori, le finalità di sviluppo economico, gestione
razionale e valorizzazione delle risorse biologiche del mare.
4.6.—
Con riguardo al riparto delle funzioni amministrative tra Stato e Regioni a
statuto ordinario, in ordine alla pesca e all’acquacoltura, occorre, in
primo luogo, richiamare il significativo nucleo di normazione emanato
nell’anno 1972.
4.7.—
Con il d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 (Trasferimento
alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in
materia di agricoltura e foreste, di caccia e di pesca nelle acque interne e
dei relativi personali ed uffici), si operava un primo trasferimento di
funzioni amministrative alle Regioni a statuto ordinario, in materia, tra
l’altro, di pesca nelle acque interne, per i rispettivi territori. In
particolare, il trasferimento riguardava (art. 1, comma 2, lettera p), le funzioni amministrative concernenti l’esercizio della pesca
nelle acque interne, le riserve di pesca, la piscicoltura ed il ripopolamento
ittico. L’art. 4 del suddetto decreto stabiliva i settori in cui,
diversamente, restavano ferme le competenze statali.
4.8.— Successivamente, per effetto degli artt. 79 e 100 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), sono state trasferite alle Regioni le funzioni amministrative relative alla materia «pesca nelle acque interne», che concernono la tutela e la conservazione del patrimonio ittico, gli usi civici, l’esercizio della pesca, il rilascio della licenza, la piscicoltura e il ripopolamento, lo studio e la propaganda, i consorzi per la tutela e l’incremento della pesca, nonché «le funzioni relative alla pesca nelle acque del demanio marittimo interno, così come delimitato dall’art. 1, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n. 1639» (in riferimento, quindi, alle zone di mare ove sboccano fiumi e altri corsi d’acqua, naturali o artificiali, ovvero quelle che comunicano direttamente con lagune e bacini di acqua salsa o salmastra).
4.9.— Quindi, il
decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143 (Conferimento alle regioni delle
funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione
dell’Amministrazione centrale), attuativo della legge 15 marzo 1997, n.
59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed
enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la
semplificazione amministrativa), all’art. 1, comma 2, ha conferito alle
Regioni «tutte le funzioni ed i compiti svolti dal Ministero» delle
risorse agricole, alimentari e forestali, «relativi alle materie di
agricoltura, foreste, pesca, agriturismo, caccia, sviluppo rurale,
alimentazione», tranne quelli (elencati nell’articolo 2), riservati
al neo istituito Ministero per le politiche agricole.
A ciò va aggiunto
che l’art. 105, comma 6, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed
agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59),
ha stabilito che «per lo svolgimento di compiti conferiti in materia di
diporto nautico e pesca marittima le regioni e gli enti locali si avvalgono
degli uffici delle capitanerie di porto». In attuazione del d.lgs. n. 143
del 1997, sono poi state emanate leggi regionali di individuazione delle
funzioni trasferite o delegate agli enti locali in materia e di quelle
mantenute in capo alle Regioni stesse.
5.— Con il nuovo Titolo V, Parte II, della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, la pesca non è stata inserita nell’elenco di materie rimesse alla potestà legislativa dello Stato dall’art. 117, secondo comma, Cost., né è stata ascritta alla competenza concorrente di cui al terzo comma del suddetto articolo.
Ciò ha portato a ritenere che la mancata espressa attribuzione della pesca alla competenza legislativa esclusiva statale o concorrente dello Stato e delle Regioni, comporti la riferibilità della stessa, nella sua globalità, alla potestà legislativa regionale “residuale”, e dunque piena. In proposito, occorre, tuttavia, ricordare come questa Corte (sentenza n. 370 del 2003) abbia chiarito che, in via generale, deve essere affermata l’impossibilità di ricondurre un determinato oggetto di disciplina normativa all’ambito di applicazione affidato alla legislazione residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma del medesimo art. 117 Cost., «per il solo fatto che tale oggetto non sia immediatamente riferibile ad una delle materie elencate nei commi secondo e terzo dell’art. 117 Cost.». D’altro canto, la complessità della realtà sociale da regolare comporta che di frequente le discipline legislative non possano essere attribuite nel loro insieme ad un’unica materia, perché concernono posizioni non omogenee ricomprese in materie diverse sotto il profilo della competenza legislativa; «in siffatti casi di concorso di competenze deve, pertanto, farsi applicazione, secondo le peculiarità dell’intreccio di discipline, del criterio della prevalenza di una materia sull’altra e del principio di leale cooperazione» (sentenza n. 231 del 2005).
5.1.— Nella vigenza del nuovo Titolo V, con la legge 7 marzo 2003, n. 38 (Disposizioni in materia di agricoltura), è stata conferita delega al Governo per la modernizzazione dei settori dell’agricoltura, della pesca, dell’acquacoltura, agroalimentare, dell’alimentazione e delle foreste.
In attuazione di tale delega, con riguardo alla pesca,
sono stati adottati più decreti delegati: decreto
legislativo 26 maggio 2004, n. 153 (Attuazione della legge 7 marzo 2003,
n. 38, in materia di pesca marittima); decreto legislativo 26 maggio 2004, n.
154 (Modernizzazione del settore pesca e dell’acquacoltura, a norma
dell’articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38); decreto
legislativo 27 maggio 2005, n. 100 (Ulteriori disposizioni per la
modernizzazione dei settori della pesca e dell’acquacoltura e per il potenziamento
della vigilanza e del controllo della pesca marittima, a norma
dell’articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38).
5.2.— In ragione della nuova disciplina di settore contenuta nella legge delega e nei decreti delegati da ultimo richiamati (che, tra l’altro, hanno abrogato la legge n. 41 del 1982 e, in parte, la legge n. 963 del 1965), al Piano nazionale della pesca, di durata triennale, previsto dall’art. 1 della legge n. 41 del 1982 (cfr., altresì, l’art. 4, comma 29, della legge n. 350 del 2003), è subentrato il Programma nazionale triennale della pesca e dell’acquacoltura (artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 154 del 2004; art. 5 del d.lgs. n. 100 del 2005), adottato dal Ministro delle politiche agricole e forestali, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, previa consultazione del neo istituito “Tavolo Azzurro”.
6.— Lo sviluppo legislativo
segnato nel tempo dalle disposizioni sopra richiamate è caratterizzato,
nel complesso, dal venire meno del richiamo alla distinzione tra “pesca
nelle acque interne” e “pesca marittima” quale criterio per
definire l’ambito della competenza legislativa e amministrativa,
rispettivamente, dello Stato e delle Regioni in materia. Si può,
inoltre, rilevare una generale promozione della funzione di
razionalizzazione del sistema della pesca in ragione dei principi di sviluppo
sostenibile e di pesca responsabile, al fine di coniugare le attività
economiche di settore con la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi.
Infine, la nozione di pesca marittima − art. 1
del d.lgs. n. 153 del 2004 − quale attività (diretta alla cattura
o alla raccolta di organismi acquatici in mare) svolta dagli imprenditori
ittici, dai pescatori e dagli altri soggetti per i quali è responsabile,
direttamente e unitariamente lo Stato italiano, secondo le pertinenti norme
comunitarie ed internazionali, pone in luce l’assorbente carattere di attività
economica assunto dalla pesca; a ciò consegue la previsione di una serie
di misure di sostegno a favore non solo dell’attività di pesca, ma
anche delle diverse e ulteriori attività (quali la trasformazione e la commercializzazione
del pescato), svolte sulla terraferma, che ne costituiscono parte integrante o
vi sono strettamente connesse.
7.— In base alle considerazioni svolte, si deve, dunque, rilevare che la mancanza nell’attuale art. 117 Cost. di una espressa attribuzione di potestà legislativa in materia di “pesca nelle acque interne”, da un lato, non consente, per le specificità del settore pesca, di ritenere la stessa riconducibile o assorbita da uno o più ambiti chiaramente rimessi alla competenza legislativa esclusiva o concorrente (art. 117, secondo e terzo comma, Cost.); dall’altro, conferma la progressiva generale attribuzione della “pesca” alle Regioni ordinarie, senza alcuna distinzione basata sulla natura delle acque.
7.1.— La pesca, pertanto,
costituisce materia oggetto della potestà legislativa residuale delle
Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.,
sulla quale, tuttavia, per la complessità e la polivalenza delle
attività in cui si estrinseca, possono interferire più interessi
eterogenei, taluni statali, altri regionali, con indiscutibili riflessi sulla
ripartizione delle competenze legislativa ed amministrativa. Per loro stessa
natura, talune attività e taluni aspetti riconducibili all’attività di pesca non
possono, infatti, che essere disciplinati dallo Stato, atteso il carattere
unitario con cui si presentano e la conseguente esigenza di una loro
regolamentazione uniforme.
A ciò va aggiunto che per
quegli aspetti, pur riconducibili in qualche modo all’attività di
pesca, che sono connessi a materia di competenza ripartita tra Stato e Regioni
(tutela della salute, alimentazione, tutela e sicurezza del lavoro, commercio
con l’estero, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno
all’innovazione delle imprese per il settore produttivo della pesca,
porti, previdenza complementare e integrativa, governo del territorio) sussiste
la potestà legislativa statale nella determinazione dei principi
fondamentali, ai quali il legislatore regionale, nel dettare la disciplina di
dettaglio, deve attenersi.
7.2.— L’analisi dell’intreccio delle competenze deve essere effettuata caso per caso, con riguardo alle concrete fattispecie normative, facendo applicazione del principio di prevalenza e del principio fondamentale di leale collaborazione, che si deve sostanziare in momenti di reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento dei livelli di governo statale e regionale.
8.— È, pertanto, sulla base dei suindicati principi che deve essere effettuato lo scrutinio di costituzionalità sulle norme impugnate.
9.— Devono formare oggetto
di esame, in primo luogo, le questioni di costituzionalità proposte
dalla Regione Toscana e dalla Regione Emilia-Romagna (ric. n. 32 e ric. n. 33
del 2004) in ordine ai commi 29 e 30 dell’art. 4 della legge n. 350 del
2003, con motivazioni sostanzialmente identiche, basate sulla violazione degli
artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. In
particolare, la Regione Toscana lamenta la violazione dell’art. 117,
quarto comma, Cost., mentre la Regione Emilia-Romagna
deduce la lesione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.
9.1.— Il comma 29 del citato art. 4 dispone che «nelle more dell’adozione dei decreti legislativi previsti dalla legge 5 giugno 2003, n. 131, e dalla legge 7 marzo 2003, n. 38, gli interventi in favore del settore ittico di cui alla legge 17 febbraio 1982, n. 41, sono realizzati dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome limitatamente alle rispettive competenze previste dalla Parte IV del VI Piano nazionale della pesca e dell’acquacoltura adottato con decreto ministeriale 25 maggio 2000 del Ministro delle politiche agricole e forestali».
A sua volta, il comma 30 del medesimo art. 4 prevede che «entro il 28 febbraio 2004, in attuazione di quanto previsto al comma 29 e in deroga alle disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 della legge 17 febbraio 1982, n. 41, e successive modificazioni, con decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali è approvato il Piano nazionale della pesca e dell’acquacoltura per l’anno 2004».
9.2.— Le riportate disposizioni sarebbero costituzionalmente illegittime in quanto, intervenendo in ambiti materiali – e precipuamente pesca e acquacoltura – non riservati dal medesimo art. 117 Cost. alla competenza esclusiva dello Stato, sussisterebbe la competenza residuale delle Regioni o concorrente delle stesse con lo Stato, a nulla rilevando che tali ambiti possano avere qualche interferenza con la competenza statale relativa alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e, in parte, anche con quella della tutela della concorrenza.
In via subordinata, la sola Regione Emilia-Romagna lamenta che, comunque, pure a volere ritenere che, per esigenze unitarie, competenze regionali siano state attribuite allo Stato dalle norme impugnate, quest’ultime sarebbero egualmente costituzionalmente illegittime per l’assenza di adeguate forme di intesa con le Regioni.
9.3.— In via preliminare, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa dello Stato per l’indeterminatezza delle censure poste dalle ricorrenti.
Le stesse, pur nella loro sinteticità, consentono di apprezzare sufficientemente il contenuto sostanziale della lamentata invasione della sfera di competenza legislativa regionale.
9.4.— Nel merito, va innanzitutto rilevato che le norme impugnate hanno carattere dichiaratamente transitorio, in quanto relative al periodo precedente all’attuazione delle deleghe legislative, che è avvenuta con l’emanazione dei relativi decreti delegati, nei termini all’uopo previsti ed ormai scaduti.
Tale circostanza, pur non facendo
venire meno l’interesse alla caducazione di tali norme, induce a ritenere
che la disciplina introdotta dalle disposizioni censurate trovi giustificazione
nell’esigenza di evitare un vuoto di normazione nel periodo intercorrente
tra l’emanazione della legge di delega e la sua attuazione.
D’altronde questa Corte, già in altre occasioni (sentenze n. 417 del
2005, e n.
36 del 2004), ha escluso la declaratoria di illegittimità
costituzionale di norme statali sul rilievo del loro carattere meramente
transitorio.
9.5.— Al di là,
comunque, delle suindicate considerazioni, deve osservarsi che la disposizione
dell’art. 4, comma 29, nel prevedere il citato regime transitorio,
stabilisce che gli interventi in favore del settore ittico, di cui alla legge
n. 41 del 1982 (abrogata dall’art. 23 del d.lgs. n. 154 del 2004),
«sono realizzati dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome limitatamente
alle rispettive competenze previste dalla Parte IV del VI Piano nazionale delle
pesca e dell’acquacoltura adottato con decreto ministeriale 25 maggio
2000 del Ministero delle politiche agricole e forestali».
Orbene, la richiamata Parte IV del
Piano (la cui rubrica reca “il bilancio preventivo”), ripartisce
tra lo Stato e le Regioni le risorse finanziarie per i diversi settori di
intervento che sono riconducibili sia a competenze statali, sia a competenze
regionali.
Per completezza del quadro normativo
in materia, deve essere ricordato che l’art. 69, comma 14, della legge 27
dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003),
con disposizione non impugnata da alcuna Regione, ha prorogato sino al 31
dicembre 2003 il periodo di vigenza del Piano in questione. Per l’anno
2004, poi, è intervenuto il decreto ministeriale 7 maggio 2004 (Piano
nazionale della pesca e dell’acquacoltura per l’anno 2004) sulla
base di quanto previsto dal comma 30 dell’art. 4 della legge n. 350 del
2003, anch’esso oggetto di impugnazione in questa sede.
Quest’ultimo Piano, nel
precisare che la suddetta legge n. 350 del 2003 ha individuato gli interventi
nazionali nel settore ittico da finanziarsi con dotazioni di bilancio a
gestione nazionale, secondo il riparto delle competenze tra Stato e Regioni
fissato dal Piano per gli anni 2000 - 2002, ha disposto il rifinanziamento
della spesa nei seguenti settori: credito peschereccio, osservatorio del
lavoro, associazionismo, cooperazione, ricerca applicata alla pesca e
l’acquacoltura, campagna di educazione alimentare, interventi sul sistema
statistico, finanziamento degli organi collegiali, missioni all’estero,
iniziative a sostegno dell’attività ittica, controllo
dell’attività di pesca da parte delle Capitanerie di porto, Fondo
di solidarietà, studi di mercato (ISMEA), Commissione per la
sostenibilità (INEA), campagne di promozione, polizze assicurative,
accordi di programma, ristrutturazione aziendale e ricapitalizzazione delle
cooperative.
9.6.— Come appare palese, il
rifinanziamento delle spesa così disposto va ad incidere sia su ambiti
di competenza statale, che su ambiti di competenza regionale. Inoltre,
sussistono sufficienti elementi per ritenere che un intervento finanziario
così complesso ed articolato può giustificare, a norma
dell’art. 118, primo comma, Cost.,
l’allocazione delle relative funzioni ad un livello unitario che, nella
specie, è quello dello Stato.
Deve, quindi, ritenersi, tanto con
riferimento alla natura transitoria delle disposizioni censurate, quanto con
riguardo alla chiamata in sussidiarietà, al livello statale, della
funzione di finanziamento della spesa, che le disposizioni medesime rientrino
nella competenza dello Stato. Nondimeno, sarebbe stato egualmente necessario,
in ragione del principio di leale collaborazione, che deve permeare di
sé i rapporti istituzionali tra lo Stato e le Regioni, il coinvolgimento
delle Regioni nella fase di ripartizione delle risorse finanziarie tra i vari
tipi di impiego, mediante intesa.
9.7.— La disposizione del
comma 29 dell’art. 4, della legge n. 350 del 2003 deve, dunque, essere
dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non fa
applicazione del principio di leale collaborazione, nella forma
dell’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
9.8.— Analogamente, e per le
stesse ragioni sostanziali, deve essere dichiarata l’illegittimità
costituzionale del comma 30 del medesimo art. 4, data la mancata previsione
dell’intesa nella fase di approvazione del Piano per l’anno 2004 e
nella consequenziale ripartizione delle risorse finanziarie tra i vari tipi di
impiego.
10.— Devono essere esaminati
ora i due ricorsi proposti dal Presidente del Consiglio dei ministri nei
confronti, rispettivamente, della Regione Marche e della Regione Abruzzo.
11.— Con il
ricorso n. 72 del 2004 sono stati impugnati gli artt. 4, commi 1, lettera a), e 2, lettera a), 6, comma 2, lettera e), 7, comma 1, lettera f), e 9, comma 1, della legge della
Regione Marche 13 maggio 2004, n. 11 (Norme in materia di pesca marittima e
acquacoltura).
11.1.— La difesa
dello Stato premette che la materia della pesca persegue interessi pubblici
molteplici, che richiedono una gestione unitaria, attribuibile alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato, in materia di tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, nonché, di rapporti internazionali dello Stato e
rapporti dello Stato con l’Unione europea, di cui all’art. 117,
secondo comma, lettere s) ed a), Cost.
11.2.— Ė
censurato, quindi, l’art. 4, comma 1, lettera a), nella parte in cui prevede che il Piano regionale della pesca
contenga, tra l’altro, interventi volti alla salvaguardia di risorse
ittiche della Regione, ritenendolo in contrasto con l’art. 117, secondo
comma, lettere a) e s), Cost.
Ad avviso del
ricorrente la disposizione qualificherebbe dette risorse come regionali, mentre
le stesse necessitano di una disciplina di tutela e di conservazione uniforme,
nel rispetto, tra l’altro, di convenzioni e accordi internazionali – individuabili nella United Nations Convention on the Law of the Sea, Montego Bay,
10 dicembre 1982, e nel United Nations Agreement
for the Implementation of the Provisions
of the United Nations Convention on the Law of the
Sea of 10 December 1982 relating
to the Conservation and Management of Straddling Fish Stocks and Highly Migratory Fish Stocks, New York, 4 agosto 1995.
11.2.1.— La
questione è inammissibile.
11.2.2.— Le censure proposte sono generiche non facendosi riferimento, in particolare, con riguardo agli atti internazionali invocati, ad alcuna specifica disposizione degli stessi. Per altro verso, va osservato come la predisposizione di piani regionali sia prevista dall’art. 5 del d.lgs. n. 154 del 2004, il quale stabilisce che le Regioni, «entro il 31 dicembre dell’anno precedente ciascun triennio di programmazione nazionale», «approvano i programmi regionali della pesca e dell’acquacoltura, o gli eventuali aggiornamenti, contenenti l’indicazione degli interventi di competenza da realizzare con le proprie dotazioni di bilancio».
11.3.— Anche l’art. 4, comma 2, lettera a), della legge regionale delle Marche in esame, è sospettato di illegittimità costituzionale. La disposizione indica tra i contenuti del Piano regionale l’articolazione territoriale dei distretti di pesca «intesi non come confine ma come regolamentazione dell’attività di pesca-produzione in forza di regole obbligatorie per tutti coloro che vi operano». Ad avviso della difesa dello Stato, detta previsione determinerebbe una regionalizzazione della flotta di pesca, in contrasto con i principi che regolano la pesca nazionale secondo criteri unitari, così ledendo la competenza esclusiva statale in materia di rapporti internazionali e con l’Unione Europea di cui all’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., in relazione al regolamento CE n. 2371/2002, del 20 dicembre 2002, recante “Regolamento del Consiglio relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell’ambito della politica comune della pesca”, in particolare articoli 4, 8, 9, 15, 17 e 23, e al regolamento CE n. 3690/93, del 20 dicembre 1993, recante “Regolamento del Consiglio che istituisce un regime comunitario che stabilisce le norme relative alle informazioni minime che devono figurare nelle licenze di pesca”, in particolare articoli 2 e 3.
11.3.1.— La
questione non è fondata.
11.3.2.— I
distretti di pesca, attualmente, sono disciplinati dall’art. 4 del d.lgs.
n. 226 del 2001, secondo quanto previsto dalla legge delega 5 marzo 2001, n.
57, «al fine di assicurare la gestione razionale delle risorse
biologiche, in attuazione del principio di sostenibilità»;
«sono considerati distretti di pesca le aree marine omogenee dal punto di
vista ambientale, sociale ed economico».
Orbene, la disposizione impugnata, che opera comunque nell’ambito della pianificazione regionale, non si sovrappone alle competenze statali disciplinate dal suddetto art. 4, né è dato ravvisare alcuna interferenza delle disposizioni stesse con la potestà esclusiva dello Stato, ex art. 117, secondo comma, lettera a), Cost.
11.4.—
Il ricorrente impugna, altresì, le norme contenute nell’art. 6,
comma 2, lettera e), e nell’art. 7, comma 1, lettera
f), della legge regionale delle Marche in questione, le quali
stabiliscono che tra i componenti della Consulta per l’economia ittica e
della Commissione tecnico-scientifica – nuove strutture regionali che
operano nell’ambito della pesca – vi sia un rappresentante delle
Capitanerie di porto, individuato nel direttore marittimo o in un suo delegato.
Tali disposizioni sarebbero in contrasto con l’art. 117, secondo comma,
lettera g), Cost., in materia di
ordinamento degli organi e degli uffici dello Stato, in quanto dettano norme
prescrittive nei confronti del titolare di un ufficio periferico dello Stato.
11.4.1.—
Le questioni non sono fondate.
11.4.2.— È pur vero che la giurisprudenza di questa Corte ritiene che forme di collaborazione e di coordinamento coinvolgenti compiti e attribuzioni di organi dello Stato non possono essere disciplinati unilateralmente dalle Regioni, neppure nell’esercizio della loro potestà legislativa (sentenza n. 429 del 2004); tuttavia, occorre rilevare come l’art. 105, comma 6, del d.lgs. n. 112 del 1998, sopra richiamato, prevede espressamente che le Regioni e gli enti locali per lo svolgimento di compiti conferiti in materia di diporto nautico e pesca marittima possono avvalersi degli uffici delle Capitanerie di porto. Una corretta interpretazione di tale norma consente di ritenere legittimo il previsto inserimento di rappresentanti delle Capitanerie di porto nei predetti organismi regionali.
11.5.—
Infine, è censurato l’art. 9, comma 1, della legge regionale delle
Marche n. 11 del 2004, che affida alla Giunta regionale la determinazione
dell’ammontare del canone da corrispondere per la concessione dei beni
del demanio marittimo. Ritiene il ricorrente che detta disposizione invaderebbe
la competenza esclusiva statale, in materia di sistema tributario e contabile
dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
11.5.1.—
La questione è fondata.
11.5.2.—
Questa Corte (sentenze
n. 427 del 2004 e n. 286 del 2004)
ha già avuto modo di distinguere tra le competenze che spettano alle
Regioni in determinate materie e il potere dominicale che spetta allo Stato,
quale proprietario, di disporre dei propri beni, che «come tale, non
incontra i limiti della ripartizione delle competenze secondo le materie»
(sentenza n. 427
del 2004).
Proprio in
ragione dei principi enunciati dalla giurisprudenza richiamata, pertanto, la
norma regionale deve ritenersi illegittima, in quanto essa incide su
prerogative spettanti allo Stato nella sua qualità di ente
“proprietario” di beni del demanio marittimo, senza che possa
rilevare la asserita corrispondenza del canone fissato dalla Regione con quello
statale.
Va,
pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art. 9, comma 1, della legge della Regione Marche n. 11 del 2004.
12.— Con il ricorso n. 102 del 2004, lo Stato ha impugnato la legge della Regione Abruzzo 5 agosto 2004, n. 22 (Nuove disposizioni in materia di politiche di sostegno all’economia ittica), e, in particolare, l’art. 2, comma 1, lettera f), e lettera g), nonché l’art. 3, comma 2.
12.1.—
L’art. 2, comma 1, lettera f), prevede misure per la
promozione di certificazioni di qualità del prodotto ittico
«catturato dalla Marineria Abruzzese» o allevato in impianti di
acquacoltura/maricoltura dislocati nel territorio regionale o nel «mare
antistante» la Regione Abruzzo.
Ad avviso
del ricorrente, tale disposizione, attuando una protezione della produzione
agroalimentare locale, con l’istituzione di un marchio regionale
identificativo di prodotti provenienti da una determinata località
geografica, sarebbe suscettibile di favorire la produzione regionale nei
confronti di quelle originarie di altri Stati membri dell’Unione europea.
Il marchio regionale non sarebbe, pertanto, in linea con le disposizioni
dettate dal regolamento CEE n. 2081/92, del 14 luglio 1992, recante
“Regolamento del Consiglio relativo alla protezione delle indicazioni
geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed
alimentari”, e risulterebbe incompatibile con l’articolo 28 del
Trattato che istituisce la Comunità europea, il quale vieta
l’introduzione di qualsiasi misura di natura pubblica che possa
ostacolare l’importazione da altri paesi comunitari.
La norma
impugnata, quindi, non rispettando le disposizioni sopra richiamate,
contrasterebbe con l’art. 117, primo comma, Cost.
La
medesima disposizione lederebbe, altresì, l’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost.,
che attribuisce allo Stato la potestà legislativa in materia di
“tutela della concorrenza”.
12.2.—
La questione non è fondata.
12.2.1.—
La disposizione regionale in esame non prevede un nuovo sistema di
certificazione di qualità, né istituisce e/o disciplina un
marchio identificativo di un prodotto, ma si limita a prevedere forme di
incentivazione di un prodotto (il pescato abruzzese), di cui non vengono
indicate o protette particolari qualità o caratteristiche tipologiche.
Si tratta,
invero, di misure di sostegno ad attività economiche localizzate sul
territorio regionale, che in quanto tali non violano le disposizioni
comunitarie ed internazionali relative alla provenienza geografica e alle
caratteristiche dei prodotti − volte, tra l’altro, a garantire
condizioni di concorrenza uguale − né integrano meccanismi economici
idonei ad incidere sulla concorrenzialità dei mercati.
12.3.—
L’art. 2, comma 1, lettera g), prevede tra le finalità
che devono essere perseguite tramite l’istituzione regionale del
“Fondo unico delle politiche della pesca”, la conservazione e l’incremento
delle risorse alieutiche, la predisposizione di piani di gestione di aree di
riserva, nonché il monitoraggio di specie ittiche e dell’ambiente
marino.
La norma,
secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, attribuirebbe una
connotazione regionale a risorse biologiche, quali quelle ittiche, che
necessitano, invece, di una disciplina di tutela e conservazione uniforme, sia
nel rispetto di convenzioni e accordi internazionali – i già citati United
Nations Convention on the Law of the Sea, Montego Bay, 10 dicembre 1982, e
United Nations Agreement for the Implementation
of the Provisions of the United
Nations Convention on the Law of the Sea of 10 December
1982 relating to the Conservation
and Management of Straddling Fish
Stocks and Highly Migratory
Fish Stocks, New York, 4 agosto 1995 – sia in considerazione della natura stessa degli
interessi da tutelare, i quali sfuggendo ai confini territoriali della singola
Regione richiedono una gestione unitaria.
La
disposizione regionale, quindi, sarebbe lesiva della competenza legislativa
esclusiva dello Stato sia in materia di rapporti internazionali che di tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema, di cui all’art. 117, secondo
comma, lettere a) e s), Cost.
12.3.1.—
La questione è inammissibile.
Il richiamo all’art. 117, secondo comma, lettere a) e s), Cost., in riferimento ad atti internazionali nonché con riguardo alla materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” è, infatti, generico, sicché le relative censure non possono trovare ingresso in questa sede.
13.— Da ultimo, il ricorrente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge della Regione Abruzzo n. 22 del 2004, che prevede tra i componenti della Conferenza regionale della pesca e dell’acquacoltura, rappresentanti di organismi statali, quali le Capitanerie di porto, in quanto lederebbe l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., in materia di ordinamento degli organi e degli uffici dello Stato.
13.1.— La questione non è fondata.
13.2.— Valgono, anche in questo caso, le considerazioni già svolte per le analoghe disposizioni contenute nella legge della Regione Marche n. 11 del 2004 (ric. n. 72 del 2004), con riferimento a quanto previsto dall’art. 105, comma 6, del d.lgs. n. 112 del 1998.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle questioni di legittimità costituzionale, proposte dalla Regione Toscana e dalla Regione Emilia-Romagna, nei confronti di altre disposizioni della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), qui non espressamente esaminate;
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.
4, commi 29 e 30, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), nella parte in cui non
stabilisce che la ripartizione delle risorse finanziarie ivi prevista,
nonché l’approvazione del Piano nazionale della pesca e
dell’acquacoltura per l’anno 2004, avvengano d’intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.
9, comma 1, della legge della Regione Marche 13 maggio 2004, n. 11 (Norme in
materia di pesca marittima e acquacoltura);
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera a), della predetta legge della Regione Marche n. 11 del 2004, proposta,
in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a) e s), della Costituzione, dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera g), della legge della Regione Abruzzo 5 agosto 2004, n. 22 (Nuove
disposizioni in materia di politiche di sostegno all’economia ittica),
proposta, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a) e s), dal Presidente del Consiglio
dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 4, comma 2, lettera a), 6, comma 2, lettera e), 7, comma 1, lettera f), della legge della Regione Marche n. 11 del 2004, sollevate, in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera a) – anche in relazione al regolamento CE n. 2371/2002, del 20
dicembre 2002 (Regolamento del Consiglio relativo alla conservazione e allo
sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell’ambito della
politica comune della pesca) e al regolamento CE n. 3690/93, del 20 dicembre
1993 (Regolamento del Consiglio che istituisce un regime comunitario che
stabilisce le norme relative alle informazioni minime che devono figurare nelle
licenze di pesca) – e all’art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con
il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera f),
e dell’art. 3, comma 2, della legge della Regione Abruzzo n. 22 del 2004,
proposte, in riferimento all’art. 117, primo comma – anche in
relazione al regolamento CEE n. 2081/92, del 14 luglio 1992 (Regolamento del
Consiglio relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e della
denominazione d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari) e
all’art. 28 del Trattato che istituisce la Comunità europea
– e all’art. 117, secondo comma, lettere e) e g),
della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso
indicato in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 maggio 2006.
Annibale
MARINI, Presidente
Alfonso
QUARANTA, Redattore
Depositata
in Cancelleria l’1 giugno 2006.