SENTENZA N.36
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Alfio FINOCCHIARO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 24 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), promossi con ricorsi delle Regioni Toscana, Basilicata ed Emilia-Romagna, notificati rispettivamente il 22, il 26 ed il 27 febbraio 2002, depositati in cancelleria il 1° marzo 2002 (reg. ric. 12 del 2003), il 6 marzo 2002 (reg. ric. 20 del 2002) e l’8 marzo 2002 (reg. ric. 23 del 2002) ed iscritti ai numeri 12, 20 e 23 del registro ricorsi 2002.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 17 giugno 2003 il Giudice relatore Valerio Onida;
uditi gli avvocati Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Massimo Luciani per la Regione Basilicata, Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – La Regione Toscana con ricorso notificato il 22 febbraio 2002 e depositato il 1° marzo 2002 (reg. ric. n. 12 del 2002), la Regione Basilicata, con ricorso notificato il 26 febbraio 2002 e depositato il 6 marzo 2002 (reg. ric. n. 20 del 2002), e la Regione Emilia-Romagna con ricorso notificato il 27 febbraio 2002 e depositato l’8 marzo 2002 (reg. ric. n. 23 del 2002) hanno proposto questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002) e, tra queste, della disposizione di cui all’art. 24.
In particolare, l’art. 24 è oggetto di ricorso da parte della Regione Toscana (quanto ai commi 2, 4 e 9) per contrasto con l’art. 117 della Costituzione da parte della Regione Basilicata (quanto ai commi 6, 7, 8 e 9) per contrasto con gli articoli 3, 5, 114, 117, 119 della Costituzione, e da parte della Regione Emilia-Romagna (quanto ai commi 2, 3, 4, 13) per contrasto con gli articoli 3, 117 e 118 della Costituzione, nonché con il principio di leale collaborazione.
La disposizione impugnata, concernente il "patto di stabilità interno per province e comuni", pone un tetto alle spese correnti dell’ente locale per l’anno 2002, ragguagliato, con un aumento fino al 6%, agli impegni assunti nell’anno 2000 (comma 2), escludendo peraltro dal computo le spese correnti connesse all’esercizio di funzioni statali e regionali trasferite o delegate sulla base di modificazioni legislative intervenute a decorrere dall’anno 2000, nei limiti dei corrispondenti finanziamenti statali o regionali (comma 3); estende il predetto limite percentuale di incremento al complesso dei pagamenti per spese correnti, con riferimento ai pagamenti effettuati nell’esercizio finanziario 2000 (comma 4); introduce un meccanismo di decurtazione dei trasferimenti erariali in misura pari alla differenza tra gli obiettivi fissati dal comma 4 e gli obiettivi effettivamente conseguiti, e nel caso in cui l’ente locale non trasmetta al Ministero dell’economia e delle finanze le informazioni concernenti il rispetto del predetto obiettivo (comma 9).
Inoltre, l’art. 24 stabilisce (comma 6) che per l’acquisto di beni e servizi gli enti locali possano aderire alle convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2000) (per le quali il Ministro dell’economia si avvale della Concessionaria servizi informatici pubblici – CONSIP s.p.a., ai sensi del decreto ministeriale 24 febbraio 2000) e ai sensi dell’articolo 59 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), ed in ogni caso debbano adottare i prezzi di tali convenzioni come base d’asta al ribasso, ove intendano procedere ad acquisti in maniera autonoma; prevede (comma 7) che gli enti locali emanino direttive affinché gli amministratori da loro designati in enti e aziende promuovano l’adesione alle convenzioni di cui al comma 6 o l’attuazione della procedura d’asta alternativamente prevista; impegna i soggetti di cui ai commi 6 e 7 (comma 8) a realizzare azioni dirette all’"esternalizzazione" dei servizi.
Infine, il comma 13 dell’art. 24 assegna ad un decreto ministeriale il compito di definire le modalità di formazione e trasmissione da parte delle Regioni, delle Province autonome di Trento e Bolzano e delle Province e Comuni con più di 60.000 abitanti allo Stato di un prospetto trimestrale, contenente informazioni su incassi, pagamenti e (per Comuni e Province con più di 60.000 abitanti) operazioni finanziarie effettuate con istituti di credito e non registrate nel conto di tesoreria.
Avverso tali previsioni le Regioni Toscana (limitatamente ai commi 2, 4 e 9) e Basilicata (limitatamente ai commi 6, 7, 8 e 9) deducono, anzitutto, lesione dell’art. 117 della Costituzione (nonché, quanto alla seconda, degli articoli 3, 5, 114 della Costituzione), assumendo che esse abbiano carattere dettagliato, nonostante il fatto che, in materia oggetto di potestà legislativa concorrente ("coordinamento della finanza pubblica"), spetti allo Stato la sola determinazione dei principi fondamentali.
Peraltro, la Regione Basilicata ritiene che le norme impugnate "non "coordinano" alcunché, ma impongono, autoritativamente, i comportamenti da tenere", intervenendo in materia ("organizzazione e funzionamento degli enti locali"), da ricondursi, secondo la ricorrente, alla potestà legislativa residuale ed esclusiva della Regione, posto che allo Stato l’art. 117, comma secondo, lettera p, della Costituzione riserva soltanto la disciplina legislativa degli "organi di governo" e delle "funzioni fondamentali" degli enti locali.
Una seconda censura svolta dalla Regione Basilicata avverso il comma 9 dell’art. 24 e dalla Regione Emilia-Romagna nei riguardi dei commi 2, 3 e 4 della medesima disposizione attiene alla denunciata violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della irragionevolezza della normativa impugnata.
Osserva sul punto la Regione Basilicata che l’introduzione di regole uniformi per tutti gli enti locali, quanto all’osservanza del patto di stabilità, tradisce il disegno costituzionale di valorizzazione delle autonomie territoriali (articoli 3 e 5 della Costituzione, "in una con le disposizioni del Titolo V") in modo del tutto irragionevole, giacché, nel vincolare l’ente al rispetto di un tetto alle spese, senza tener conto dell’"entità delle risorse disponibili", "della maggiore o minore "salute" iniziale dei bilanci", "dell’estensione del territorio governato", si "impone la stessa "ricetta"" a tutti, pur in presenza di situazioni differenti, rischiando così di compromettere l’equilibrio economico di gestione.
Dal canto suo, la Regione Emilia-Romagna, premesso che la disposizione impugnata, nei commi supra citati, costituisce norma di principio in materia di potestà legislativa concorrente ("coordinamento della finanza pubblica"), ne sottolinea a propria volta l’irragionevolezza, anzitutto poiché "non si comprende quale utilità abbia il limite posto alle spese, dato che il limite posto al disavanzo dal comma 1 dell’art. 24 dovrebbe bastare a garantire la "stabilità" perseguita dalla legge".
Inoltre, la ricorrente ritiene violato il "principio di proporzionalità" e "il principio che prescrive al legislatore di tener conto delle possibili eccezioni", posto che il limite di spesa è configurato in termini rigidi, senza prendere in considerazione possibili, particolari disponibilità finanziarie dell’ente locale nell’anno 2002, né l’andamento delle entrate: sarebbe stato invece doveroso, osserva la Regione Emilia-Romagna, scegliere un "mezzo meno incisivo", idoneo a limitare le spese in relazione alle entrate.
Appare poi alla ricorrente "arbitrario e illogico" che il comma 4 dell’art. 24 assuma a parametro di riferimento per determinare il limite di incremento delle spese quanto verificatosi nell’anno 2000, anziché nel 2001 (contrariamente al criterio adottato dall’art. 19 della stessa legge 28 dicembre 2001, n. 448, in ordine al blocco delle assunzioni), senza farsi carico di ricostruire l’andamento finanziario complessivo dell’ente per un congruo numero di anni (tale rilievo viene svolto incidentalmente anche dalla Regione Toscana, in sede di impugnativa dei commi 2, 4 e 9).
Infine, parimenti irrazionale si manifesta agli occhi della ricorrente la scelta, operata dal comma 3 dell’art. 24, di escludere dal computo delle spese correnti quelle effettuate in relazione a funzioni statali e regionali trasferite o delegate, sulla base tuttavia di modificazioni legislative sopraggiunte dall’anno 2000 in poi.
Non si comprenderebbe, infatti, la ragione giustificatrice di tale limitazione cronologica, a maggior ragione se si considera che la Regione Emilia-Romagna ha provveduto fin dal 1999, tramite la legge regionale 21 aprile 1999, n. 3 (Riforma del sistema regionale e locale), a trasferire numerose funzioni amministrative agli enti locali, con decorrenza dall’entrata in vigore dei d.P.C.m. previsti dall’art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa).
Per tali vie, conclude la Regione Emilia-Romagna, si "rischia di frenare l’azione degli enti locali oltre misura", disconoscendo "l’interesse, pure di rango costituzionale, allo svolgimento delle funzioni" da parte di questi ultimi, e in definitiva eludendo "un ragionevole bilanciamento" tra tale ultimo interesse e quello, potenzialmente concorrente, costituito dalla stabilità finanziaria.
La Regione Emilia-Romagna osserva di essere legittimata a muovere le censure sopra esposte, poiché l’art. 118 della Costituzione le attribuisce il compito, insieme con lo Stato, di "allocatore" delle funzioni amministrative, "per cui una norma che ponga limiti incostituzionali alle funzioni degli enti locali incide illegittimamente" su tale ruolo regionale, oltre che "sul ruolo della Regione di rappresentante generale degli interessi della popolazione regionale".
Sotto questo profilo, la Regione Toscana eleva tale argomento ad autonomo motivo di censura dei commi 2, 3 e 9 dell’art. 24, per contrasto con l’art. 117 della Costituzione.
La normativa sul patto di stabilità, secondo la ricorrente, venendo a incidere restrittivamente sull’esercizio delle funzioni amministrative degli enti locali, cui è infatti imposto un limite di spesa a prescindere dalle risorse di cui ciascuno di essi può in concreto disporre, finisce per "vanificare" la disciplina legislativa regionale di conferimento delle funzioni, tramite una "predeterminazione dal centro del livello massimo" delle stesse.
La Regione Basilicata denuncia altresì, in relazione ai commi 6, 7, 8 e 9, la violazione dell’art. 117 della Costituzione, in ordine al riparto di competenza legislativa nell’attuazione degli obblighi di derivazione comunitaria.
Sostiene a questo proposito la ricorrente che il patto di stabilità, nato con l’art. 28 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e ulteriormente disciplinato dall’art. 53 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, ha l’obiettivo di imporre agli enti locali il rispetto degli obblighi di bilancio assunti dall’Italia in sede comunitaria.
In quest’ottica, si argomenta che "l’attuazione degli impegni comunitari, nelle materie di loro competenza, è riservata alle Regioni sicché è radicalmente illegittimo che sia la legge dello Stato ad imporre obiettivi e mezzi agli enti locali", per raggiungere tale scopo.
La sola Regione Basilicata lamenta, altresì, la violazione dell’art. 119 della Costituzione da parte dei commi 6, 7, 8 e 9 dell’art. 24, giacché il nuovo sistema costituzionale di finanziamento delle autonomie locali, basato sul "doppio canale" dei tributi propri e della compartecipazione ai tributi erariali, avrebbe determinato il superamento del pregresso meccanismo dei trasferimenti di risorse: la disposizione impugnata trascurerebbe del tutto tale profilo, sanzionando l’inosservanza del patto di stabilità interno, tramite la decurtazione dei trasferimenti, ed "imponendo, per soprammercato, prassi comportamentali che dovrebbero essere stabilite, semmai, dalla legge regionale (titolare della esclusiva competenza in materia)".
La Regione Emilia-Romagna impugna anche il comma 13 dell’art. 24, sulla formazione e trasmissione del prospetto informativo di cui ai commi 10, 11 e 12 della medesima disposizione di legge, secondo modalità definite con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell’interno.
A parere della ricorrente, tale norma ha carattere dettagliato ed invade, perciò, la sfera di competenza legislativa concorrente che spetta alla Regione, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, nella materia concernente il "coordinamento della finanza pubblica".
Essa attribuirebbe, poi, allo Stato un potere regolamentare in tale materia, nuovamente violando l’art. 117 della Costituzione.
Infine, sarebbe leso il principio di leale collaborazione, poiché non è prevista alcuna intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.
2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con identici argomenti, la reiezione di tutti i ricorsi.
Osserva l’Avvocatura dello Stato che la disciplina impugnata troverebbe la propria fonte in "norme comunitarie di rango pari rispetto alle norme costituzionali", posto che il patto di stabilità è teso a perseguire il rispetto di obblighi comunitari.
Pertanto, le censure mosse dalle ricorrenti sarebbero, a fronte di tale deduzione, prive di rilievo, senza che abbia peso la natura dettagliata o no delle norme impugnate.
3. – Le Regioni Toscana, Basilicata ed Emilia-Romagna hanno depositato, in prossimità dell’udienza pubblica, memorie illustrative, con cui hanno ribadito le proprie doglianze ed insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
In tale sede la Regione Basilicata si è in particolare soffermata sull’eccezione mossa dallo Stato, per la quale la norma impugnata troverebbe "fonte e finalità" nell’ordinamento comunitario, venendo così a legittimarsi costituzionalmente.
La ricorrente osserva, nel senso opposto, che la giurisprudenza costituzionale ha escluso che le esigenze di attuazione del diritto comunitario possano alterare il riparto interno delle competenze legislative, salva l’ipotesi di interventi di seconda istanza, repressivi o sostitutivi e suppletivi, nel caso di inerzia della Regione, tramite norme in ogni caso cedevoli, ovvero salve le ipotesi straordinarie in cui sia lo stesso diritto comunitario a prevedere, per esigenze organizzative, la "statalizzazione" della normativa di dettaglio (ipotesi nelle quali, tuttavia, non rientrerebbe il patto di stabilità interno).
Anche in tal caso, tuttavia, è preservato il rispetto degli inderogabili principi costituzionali fondamentali.
La revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione imporrebbe di qualificare in tali termini il nuovo assetto di riparto delle competenze legislative, giacché esso rifletterebbe direttamente il punto di bilanciamento tra principi dell’autonomia locale e unità della Repubblica, costituzionalizzando in buona misura la redistribuzione delle funzioni avviata dalla legge 15 marzo 1997, n. 59.
Inoltre, gli stessi disegni di legge recanti "Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3" (ora legge 5 giugno 2003, n. 131) e "Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari" (disegno di legge n. 3123 presentato alla Camera dei deputati il 2 settembre 2002, che prevede la modifica della legge 9 marzo 1989, n. 86) confermerebbero la volontà legislativa di rafforzamento, anziché di decremento, delle garanzie di partecipazione delle Regioni all’attuazione del diritto comunitario.
La norma impugnata, conclude la ricorrente, si rivelerebbe irragionevole anche sotto tale profilo.
A propria volta, la Regione Emilia-Romagna contesta la tesi dello Stato, per la quale l’art. 24 sarebbe costituzionalmente giustificato, in quanto attuativo del diritto comunitario: nessuna norma comunitaria giustificherebbe la deroga ai criteri di riparto delle competenze interne, né imporrebbe le modalità, astrattamente infinite e rimesse alla discrezionalità del legislatore interno, per conseguire gli obiettivi sottesi al patto di stabilità.
La ricorrente si fa altresì carico di esaminare le modifiche legislative apportate all’art. 24 dapprima dall’art. 3 della legge 24 aprile 2002 n. 75, che ha convertito in legge il decreto legge 22 febbraio 2002, n. 13 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità degli enti locali), e poi dall’art. 29 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003).
Tali disposizioni, per ciò che qui interessa, escludono dal computo delle spese correnti rilevanti ai fini dell’osservanza del patto di stabilità interna interessi passivi e spese finanziate da programmi comunitari (art. 3, comma 1, del decreto legge n. 13 del 2002); introducono un criterio di calcolo convenzionale e più favorevole della spesa relativa ai servizi "esternalizzati", quale base per la determinazione della spesa corrente per l’anno 2000 (art. 3, comma 2, del decreto legge n. 13 del 2002); abrogano il meccanismo di decurtazione dei trasferimenti erariali, in caso di inosservanza del patto di stabilità interna (art. 29, comma 9, della legge n. 289 del 2002); attribuiscono al solo Ministero dell’economia e delle finanze la potestà di emanare il decreto concernente il prospetto informativo di cui al comma 13 dell’art. 24 (art. 3, comma 3, del decreto legge n. 13 del 2002).
Esse, secondo la Regione Emilia-Romagna, non varrebbero comunque a superare le censure esposte in ricorso, ma, anzi, confermerebbero "la mancanza di parametri razionali a cui fare affidamento", specie con riguardo alla "continua revisione dei criteri di limitazione percentuale dell’incremento delle spese correnti".
4. – All’udienza del 17 giugno 2003 le parti hanno discusso i ricorsi, insistendo sulle conclusioni già rassegnate.
Considerato in diritto
1. – La presente decisione riguarda le sole questioni concernenti l’art. 24 della legge n. 448 del 2001, mentre resta riservata a separate pronunzie la decisione delle altre questioni sollevate negli stessi ricorsi.
2. – L’art. 24 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), rubricato "Patto di stabilità interno per province e comuni", è oggetto di censura nei ricorsi delle Regioni Toscana, Basilicata ed Emilia-Romagna.
Si tratta di una disposizione dai contenuti plurimi e complessi. Il comma 1 – non contestato in alcuno dei ricorsi – dispone che "ai fini del concorso delle autonomie locali al rispetto degli obblighi comunitari della Repubblica ed alla conseguente realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2002–2004", per il 2002 il disavanzo di ciascuna Provincia e di ciascuno dei Comuni con oltre 5.000 abitanti (computato secondo le regole stabilite dall’art. 28 della legge n. 448 del 1998, istitutivo del patto di stabilità interno, e successive modificazioni) non può essere superiore a quello del 2000 aumentato del 2,5 per cento.
Il comma 2 – impugnato dalle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna – impone, "per le medesime finalità e nei limiti stabiliti dal comma 1", un limite, per il 2002, al complesso degli impegni per spese correnti di ogni ente, al netto degli interessi passivi e di quelle finanziate da programmi comunitari: essi non possono superare quelli assunti nel 2000, aumentati del 6 per cento. Il comma 3 – impugnato dalla sola Regione Emilia-Romagna – specifica che sono escluse da tale computo le spese correnti connesse all’esercizio di funzioni trasferite o delegate sulla base di modificazioni legislative intervenute nel 2000 o successivamente, nei limiti dei corrispondenti finanziamenti statali o regionali. Il comma 4 estende il vincolo al complesso dei pagamenti per spese correnti, che a loro volta non possono crescere oltre il 6 per cento rispetto al 2000: esso è impugnato dalle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna.
Il comma 5, non impugnato, prescriveva un ulteriore intervento di riduzione del disavanzo, ma è stato successivamente abrogato dall’art. 29, comma 9, della legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003).
Il comma 6, impugnato dalla sola Regione Basilicata, stabilisce che "per l’acquisto di beni e servizi le province, i comuni, le comunità montane e i consorzi di enti locali possono aderire alle convenzioni" stipulate dal Ministero dell’economia e per conto dello stesso dalla CONSIP s.p.a. o da aggregazioni di enti promosse dallo stesso Ministero; che "in ogni caso per procedere ad acquisti in maniera autonoma i citati enti adottano i prezzi delle convenzioni di cui sopra come base d’asta al ribasso"; che gli atti relativi sono trasmessi agli organi di revisione contabile degli enti. A sua volta il comma 7, impugnato dalla medesima Regione, prevede che gli enti locali emanano direttive affinché gli amministratori da essi designati negli enti ed aziende promuovano l’adesione alle stesse convenzioni o l’attuazione delle procedure previste dal comma 6 per gli acquisti autonomi.
Il comma 8, anch’esso impugnato dalla sola Regione Basilicata, stabilisce che gli enti locali e le aziende i cui amministratori sono designati dagli stessi "devono promuovere opportune azioni dirette ad attuare l’esternalizzazione dei servizi al fine di realizzare economie di spesa e migliorare l’efficienza gestionale".
Il comma 9, impugnato dalle Regioni Toscana e Basilicata, stabilisce che, "in correlazione alle disposizioni di cui ai commi da 1 a 8", i trasferimenti erariali spettanti ai Comuni e alle Province, per gli anni 2002, 2003 e 2004, a valere sui fondi previsti dall’art. 34 del d.lgs. n. 504 del 1992 (fondo ordinario, fondo consolidato, fondo perequativo), sono ridotti di una percentuale dell’1 per cento nel primo anno, del 2 per cento nel secondo e del 3 per cento nel terzo anno del triennio. Il comma proseguiva stabilendo una ulteriore riduzione dei trasferimenti per il 2002 a carico degli enti che non rispettassero il limite alla crescita dei pagamenti per spese correnti o che non trasmettessero al Ministero dell’economia le informazioni concernenti il rispetto di detto obiettivo: tale previsione è stata però successivamente soppressa dall’art. 29, comma 9, della legge n. 289 del 2002.
Non sono impugnati invece i commi 10 (sull’obbligo delle Regioni, delle Province e dei Comuni con oltre 60.000 abitanti di trasmettere al Ministero dell’economia le informazioni sugli incassi e i pagamenti effettuati), 11 (sull’analogo obbligo per quanto riguarda gli impegni assunti), 12 (sull’obbligo per le Province ed i Comuni con oltre 60.000 abitanti di trasmettere anche informazioni sulle operazioni finanziarie effettuate con istituti di credito e non registrate nel conto di tesoreria) e 14 (concernente le Province autonome di Trento e di Bolzano). La sola Regione Emilia-Romagna impugna però il comma 13, secondo cui il prospetto contenente le informazioni di cui ai commi 10, 11 e 12 e le modalità della sua trasmissione sono definiti con decreto del Ministero dell’economia di concerto con quello dell’interno (concerto oggi non più richiesto, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, del decreto legge n. 13 del 2002, convertito dalla legge n. 75 del 2002).
3. – A parte quest’ultima censura, le questioni possono essere divise in due gruppi: a) quelle relative ai limiti posti dalle norme impugnate alla crescita della spesa corrente degli enti locali, in termini di impegni e di pagamenti, e ai relativi meccanismi sanzionatori (commi 2, 3, 4 e 9, periodi dal secondo al quarto); b) quelle relative alle convenzioni sugli acquisti di beni e servizi e alle altre economie di spesa (commi 6, 7 e 8). La censura mossa dalla Regione Basilicata al comma 9 nel suo complesso, e quindi anche al primo periodo, si pone, per così dire, a cavallo dei due gruppi di questioni.
Quanto al primo aspetto (vincoli alla crescita della spesa corrente), le Regioni ricorrenti lamentano in sostanza che lo Stato abbia posto norme di dettaglio in una materia – il coordinamento della finanza pubblica – che l’art. 117 Cost. assegna alla competenza concorrente delle Regioni (Regioni Toscana e Basilicata); che la legge comprima indebitamente l’autonomia delle Regioni ai fini della allocazione delle funzioni amministrative in capo agli enti locali, in quanto i vincoli alla spesa comprometterebbero l’efficienza di questi ultimi nell’esercizio delle funzioni disciplinate dalle leggi regionali (Regioni Toscana ed Emilia-Romagna) e leda la competenza regionale per l’attuazione degli obblighi comunitari (Regione Basilicata); che la legge imponga, senza bilanciare adeguatamente gli interessi potenzialmente concorrenti della stabilità finanziaria e dell’autonomia degli enti, vincoli eccessivi, irragionevolmente rigidi e uniformi, che non tengono conto della concreta situazione finanziaria degli enti e della loro capacità fiscale, e che sono irragionevolmente parametrati sulla spesa dell’anno 2000 (Regioni Basilicata ed Emilia-Romagna); che essa trascuri il nuovo sistema di finanziamento degli enti locali, voluto dall’art. 119 Cost., e non più, fondamentalmente, basato sui trasferimenti dal bilancio dello Stato (Regione Basilicata).
Il comma 9 è censurato dalla Regione Toscana non in relazione alla prevista riduzione dei trasferimenti in sé, disposta in misura fissa dal primo periodo "in correlazione alle disposizioni di cui ai commi da 1 a 8", ma in relazione alle ulteriori riduzioni, previste dai periodi successivi, a carico degli enti che non rispettino il vincolo alla crescita dei pagamenti. La Regione Basilicata censura invece genericamente il comma in relazione a tutte le disposizioni in esso contenute, sia pure riferendosi poi in particolare alle ulteriori riduzioni di cui si è detto: e in questo senso il ricorso di quest’ultima Regione, che formalmente non investe i commi 2, 3 e 4, li coinvolge indirettamente.
Quanto al secondo aspetto (acquisti di beni e servizi e altre economie di spesa), oggetto del solo ricorso della Regione Basilicata, la ricorrente lamenta la violazione della competenza legislativa regionale in tema di organizzazione e funzionamento degli enti locali, e il carattere, proprio delle disposizioni impugnate, di normativa di dettaglio che impone autoritativamente i comportamenti da tenersi da parte delle amministrazioni locali.
Infine, il comma 13, sul potere ministeriale di definire il prospetto informativo e le modalità della sua trasmissione, è censurato in quanto norma di dettaglio, che attribuirebbe un potere sostanzialmente regolamentare al Ministro al di fuori delle materie di potestà esclusiva dello Stato, e in quanto non prevede una intesa nella conferenza Stato-Regioni, così violando il principio di leale collaborazione.
4. – Limitatamente alle predette questioni concernenti l’art. 24, i giudizi devono essere riuniti per connessione di oggetto, per essere decisi con unica pronunzia.
5. – Il cosiddetto patto di stabilità interno, concernente il concorso delle Regioni e degli enti locali "alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica che il paese ha adottato con l’adesione al patto di stabilità e crescita" definito in sede di Unione europea, e comportante l’impegno degli enti medesimi a ridurre il finanziamento in disavanzo delle proprie spese e il rapporto tra il proprio ammontare di debito e il prodotto interno lordo, è stato introdotto con l’art. 28 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (ma vedi, già prima, l’art. 48 della legge n. 449 del 1997, che stabiliva obiettivi globali di contenimento del fabbisogno finanziario generato dalla spesa regionale e locale, in vista della realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, e sul quale cfr. la sentenza n. 507 del 2000). Esso si è tradotto all’inizio in un vincolo alla riduzione o alla stabilità del disavanzo annuo degli enti (cfr. art. 28, comma 2, della legge n. 448 del 1998; art. 30, comma 1, della legge n. 488 del 1999), successivamente in un limite massimo alla crescita del disavanzo (art. 53, comma 1, della legge n. 388 del 2000; art. 24, comma 1, della legge n. 448 del 2001) o ancora in un vincolo alla riduzione o alla stabilità di esso (art. 29, commi 4 e 6, della legge n. 289 del 2002). Questo aspetto – presente anche nel comma 1 dell’articolo 24 della legge finanziaria per il 2002 – non è contestato dalle ricorrenti.
L’impugnato art. 24, commi 2, 3 e 4, ha aggiunto un limite massimo alla crescita delle spese correnti, con talune esclusioni, sia in termini di impegni di spesa (comma 2), sia in termini di pagamenti (comma 4). Al mancato rispetto di tale ultimo limite il comma 9, secondo, terzo e quarto periodo, faceva conseguire, originariamente, un sistema di sanzioni in termini di riduzione ulteriore dei trasferimenti a carico del bilancio dello Stato e a favore degli enti locali: ed è soprattutto in relazione a tale sistema che la disposizione in esame è contestata dalle ricorrenti. L’art. 29, comma 9, della successiva legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289 del 2002) ha soppresso tale previsione sanzionatoria, contenuta nei periodi dal secondo al quarto del comma 9 dell’impugnato art. 24. Pertanto, incidendo la sopravvenienza normativa sullo stesso anno 2002 a cui si riferiva la statuizione abrogata, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere relativamente alla questione sollevata dalle Regioni Toscana e Basilicata nei riguardi di detto comma 9, limitatamente ai periodi dal secondo al quarto dello stesso comma.
Tuttavia ciò non comporta una analoga pronuncia in ordine alle questioni che investono i commi 2, 3 e 4 dello stesso art. 24, per la decisiva considerazione che, anche dopo la parziale abrogazione del comma 9, non solo permangono le riduzioni "fisse" dei trasferimenti previste dal primo periodo dello stesso comma 9 "in correlazione alle disposizioni di cui ai commi da 1 a 8", ma il mancato rispetto dei limiti posti dai commi 2 e 4 non è senza ulteriori conseguenze per gli enti locali: l’art. 34, comma 11, della stessa legge n. 289 del 2002 stabilisce infatti che nei confronti degli enti locali che non abbiano rispettato le regole del patto di stabilità interno per il 2002 rimane confermata la disciplina prevista dall’art. 19 della legge n. 448 del 2001, la quale sanciva il divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato da parte degli enti locali che non avessero rispettato le disposizioni del patto di stabilità interno per il 2001.
6. – Nel merito, le questioni concernenti i commi 2, 3 e 4 dell’art. 24 non sono fondate.
Non è contestabile il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti. La natura stessa e la finalità di tali vincoli escludono che si possano considerare le disposizioni impugnate come esorbitanti dall’ambito di una disciplina di principio spettante alla competenza dello Stato.
È ben vero che, stabilito il vincolo alla entità del disavanzo di parte corrente, potrebbe apparire superfluo un ulteriore vincolo alla crescita della spesa corrente, potendo il primo obiettivo conseguirsi sia riducendo le spese, sia accrescendo le entrate. Tuttavia il contenimento del tasso di crescita della spesa corrente rispetto agli anni precedenti costituisce pur sempre uno degli strumenti principali per la realizzazione degli obiettivi di riequilibrio finanziario, ed infatti esso è indicato fin dall’inizio fra le azioni attraverso le quali deve perseguirsi la riduzione del disavanzo annuo (cfr. art. 28, comma 2, lettera b, della legge n. 448 del 1998, nonché art. 28, comma 2-bis, della stessa legge, aggiunto dall’art. 30, comma 8, della legge n. 488 del 1999).
Non può dunque negarsi che, in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale, quest’ultimo possa, nell’esercizio non irragionevole della sua discrezionalità, introdurre per un anno anche un limite alla crescita della spesa corrente degli enti autonomi, tenendo conto che si tratta di un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.
Quanto poi alla natura indifferenziata del vincolo, imposto a tutti gli enti senza tener conto della loro concreta situazione, essa certo sottolinea come si tratti di una misura in qualche modo di emergenza, che tende a realizzare, nell’ambito della manovra finanziaria annuale disposta con la legge, un obiettivo di carattere nazionale, applicandosi allo stesso modo a tutti gli enti locali di una certa dimensione: ma tale elemento non è sufficiente a rendere manifestamente irragionevole la misura in questione.
Allo stesso modo, rientra nell’ambito di scelte non irragionevoli del legislatore l’avere assunto a termine di riferimento, per commisurarvi la portata del vincolo, le spese del secondo anno anteriore a quello considerato, come del resto aveva fatto il legislatore che aveva disciplinato il patto di stabilità interno per il 2001 (art. 53, comma 1, della legge n. 388 del 2000); e l’avere escluso dal computo delle spese correnti soggette al vincolo solo quelle derivanti da modificazioni legislative intervenute nel 2000 o successivamente.
7. – Il secondo ordine di questioni riguarda le norme dei commi 6, 7 e 8, concernenti le convenzioni per l’acquisto di beni e servizi (commi 6 e 7) e la norma relativa alla cosiddetta esternalizzazione dei servizi (comma 8).
Anche tali questioni non sono fondate.
Lo strumento delle convenzioni per gli acquisti non è nuovo nella legislazione statale: l’art. 26 della legge n. 488 del 1999 prevedeva già siffatte convenzioni stipulate dal Ministero del tesoro, anche avvalendosi di società di consulenza specializzate, con cui le imprese fornitrici si impegnano, per quantità massime e a prezzi e condizioni stabilite, ad accettare ordinativi di fornitura da parte di diverse amministrazioni (comma 1); e stabiliva che le amministrazioni diverse da quelle statali hanno facoltà di aderire alle convenzioni stesse, ovvero devono "utilizzare i parametri di prezzo–qualità per l’acquisto di beni comparabili con quelli oggetto di convenzionamento" (comma 3, secondo periodo). Analoga disciplina era dettata dall’art. 59 della legge n. 388 del 2000, ove si precisava che gli enti "devono motivare i provvedimenti con cui procedono all’acquisto di beni e servizi a prezzi e a condizioni meno vantaggiosi di quelli stabiliti nelle convenzioni".
Nella stessa linea si collocano le disposizioni impugnate dei commi 6 e 7 dell’art. 24 della legge n. 448 del 2001.
La materia implicata ha a che fare con il coordinamento della finanza pubblica, dunque con una competenza concorrente delle Regioni. In questo quadro, in primo luogo, non può contestarsi la legittimità costituzionale della norma che consente agli enti autonomi di aderire alle convenzioni statali, trattandosi di previsione meramente facoltizzante. Ma anche l’obbligo imposto di adottare i prezzi delle convenzioni come base d’asta al ribasso per gli acquisti effettuati autonomamente, pur realizzando un’ingerenza non poco penetrante nell’autonomia degli enti quanto alla gestione della spesa, non supera i limiti di un principio di coordinamento adottato entro l’ambito della discrezionalità del legislatore statale: mentre la previsione della trasmissione degli atti relativi agli organi di revisione contabile degli enti, al fine dell’esercizio dei controlli loro spettanti, ha carattere strumentale rispetto all’obbligo suddetto.
Alla stessa stregua si può giustificare anche la previsione, contenuta nel comma 7, di direttive degli enti locali volte a promuovere l’adesione alle convenzioni o ad attuare le procedure previste per gli acquisti autonomi, rivolte agli amministratori degli enti ed aziende dipendenti: dovendosi intendere che solo nei confronti di questi ultimi può esplicarsi il potere di direttiva degli enti locali, e non già nei confronti di qualsiasi soggetto in cui siano presenti amministratori designati dagli enti locali medesimi.
Quanto alla disposizione del comma 8, concernente l’obbligo degli enti locali e delle aziende da essi dipendenti di "promuovere opportune azioni dirette ad attuare l’esternalizzazione dei servizi" (cioè l’affidamento all’esterno di servizi strumentali che possano in tal modo essere gestiti più economicamente), essa si configura come generica direttiva, qualificata dal "fine di realizzare economie di spesa e migliorare l’efficienza gestionale", non valicando a sua volta, in tal modo, i confini propri di un principio di coordinamento.
8. – La generica censura mossa dalla Regione Basilicata in relazione al comma 9 investe, come si è detto, anche il primo periodo di detto comma, in cui si dispone la riduzione in misura fissa dei trasferimenti a tutti gli enti locali per gli anni dal 2002 al 2004, "in correlazione alle disposizioni di cui ai commi da 1 a 8". Risultando infondate sia le questioni sollevate relativamente ai commi da 1 a 4 (limiti alla crescita della spesa corrente), sia quelle sollevate a proposito dei commi 6, 7 e 8 (acquisto di beni e servizi e altre economie di spesa), ne consegue l’infondatezza pure della censura relativa alla predetta disposizione, che riduce i trasferimenti statali, denunciata in quanto introduce un "sistema di limiti e penalità per tutti gli enti locali". Del resto non si può negare allo Stato, in linea generale, la potestà di commisurare i trasferimenti a favore degli enti locali alle effettive necessità finanziarie, ragionevolmente apprezzate.
9. – Resta da esaminare la questione sollevata dalla Regione Emilia-Romagna nei confronti del comma 13, relativo al compito attribuito al Ministero dell’economia di definire il prospetto delle informazioni che ai sensi dei commi 10, 11 e 12 gli enti locali e le Regioni sono tenuti a trasmettere allo stesso Ministero in relazione agli incassi, ai pagamenti e agli impegni assunti, nonché ad altre operazioni finanziarie. Tali obblighi informativi, che di per sé non ledono l’autonomia (cfr. sentenze n. 412 del 1994 e n. 421 del 1998), non sono contestati dalla ricorrente, la quale lamenta solo che sia il Ministero a definire il prospetto e le modalità di trasmissione dello stesso. Ma se non sono lesivi gli obblighi di trasmissione all’amministrazione centrale di dati ed informazioni, a scopo di monitoraggio, nemmeno può esserlo l’attribuzione alla stessa amministrazione del compito di definirne le modalità tecniche di attuazione, che debbono necessariamente rispettare criteri di omogeneità ai fini della comparazione e del consolidamento dei dati. E, una volta riconosciuta la competenza del Ministero a provvedere al coordinamento informativo, non ha fondamento la censura secondo cui si attribuirebbe ad esso una potestà regolamentare fuori dalle materie di competenza statale esclusiva, non dovendosi considerare il decreto ministeriale previsto dalla disposizione in esame quale espressione di potestà regolamentare.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunzie ogni decisione sulle ulteriori questioni sollevate con i ricorsi in epigrafe,
riuniti i giudizi limitatamente alle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 24 della legge n. 448 del 2001,
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 24, comma 9, periodi dal secondo al quarto, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 5, 114, 117 e 119 della Costituzione, dalle Regioni Toscana (r. ric. n. 12 del 2002) e Basilicata (r. ric. n. 20 del 2002) con i ricorsi in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 24, commi 2, 3 e 4, della predetta legge n. 448 del 2001, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Toscana (r. ric. n. 12 del 2002) ed Emilia-Romagna (r. ric. n. 23 del 2002) con i ricorsi in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 24, commi 6, 7 e 8, della predetta legge n. 448 del 2001, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 5, 114, 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Basilicata (r. ric. n. 20 del 2002) con il ricorso in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 24, comma 9, primo periodo, della predetta legge n. 448 del 2001, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 5, 114, 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Basilicata (reg. ric. n. 20 del 2002) con il ricorso in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 24, comma 13, della predetta legge n. 448 del 2001, sollevata, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna (r. ric. n. 23 del 2002) con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 2004.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2004.