Sentenza n. 412 del 1994

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SENTENZA N. 412

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE giudice

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 8, commi 1, 2, 3, 4 e 5; 9, comma 3; 21, commi 1 e 5; 22, commi 1, 2 e 3; 23, commi 3 e 4; 30, comma 1, lett. b) e c) della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), promossi con ricorsi delle Province autonome di Trento e Bolzano notificati il 18 febbraio, depositati in cancelleria il 22 e 26 febbraio 1994 ed iscritti ai nn. 22 e 23 del registro ricorsi 1994.

 

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 21 giugno 1994 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

 

uditi gli avvocati Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia di Bolzano, l'avvocato Valerio Onida per la Provincia di Trento e l'avvocato dello Stato Antonino Freni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Provincia autonoma di Bolzano ha sollevato, con ricorso in via principale, questione di legittimità costituzionale dei seguenti articoli della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche): art.8, commi 1, 2, 4 e 5; art. 9, comma 3; art. 21, commi 1 e 5; art. 22, commi 1, 2 e 3; art. 23, commi 3 e 4; art. 30, comma 1, lett. b) e c), in riferimento all'art. 8, nn. 5, 17, 19 e 24, all'art. 9, nn. 9 e 10, agli artt. 12, 13, 14 secondo e terzo comma, 16 primo comma, 68 e 107 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), e alle relative norme di attuazione (d.P.R. 20 gennaio 1973 n.115, art. 8, comma 1, lett. e); d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, come modificato dal decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 267, art. da 5 a 14; d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474, come modificato dal d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197 e dal decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 267, artt. 1 e 3).

 

1.2. La Provincia ha competenza legislativa, esclusiva, in materia di acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale (art. 8, n. 17), assunzione e gestione di servizi pubblici (art. 8, n. 19), urbanistica (art. 8, n. 5), opere idrauliche (art. 8, n. 24, Statuto); per l'utilizzazione delle acque pubbliche, e l'igiene e sanità, ha invece competenza concorrente (art. 9, n. 9, e art. 10, Statuto). In attuazione di quanto previsto dall'art. 68 dello Statuto, il d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115, ha quindi disposto, all'art. 8, il trasferimento del demanio idrico-statale alla Provincia, sì che tutte le acque, superficiali e sotterranee, rientrano oggi nel demanio provinciale e, conseguentemente, essa esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarità di tale demanio (d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, art. 5).

 

La ricorrente afferma che l'art. 8, commi 1, 2, 4 e 5 della legge impugnata, nel prevedere una partizione territoriale della fornitura dei servizi idrici diversa da quella determinata dalla Provincia, lede la sua competenza in materia di servizi pubblici (art. 8, n. 19, Statuto), nell'ambito della quale rientrano le modalità di erogazione dei servizi e l'individuazione delle categorie di soggetti che li possono gestire. Soltanto la Provincia può dunque modificare l'assetto territoriale della gestione, mentre l'art. 8, al comma 1, detta criteri specifici per la modificazione strutturale; il comma 4, che impone l'aggiornamento del piano di utilizzazione delle acque pubbliche al di fuori dei termini e delle procedure previste dalle norme di attuazione statutaria (d.P.R. 22 marzo 1974, n.381), è in contrasto anche con l'art. 107 dello Statuto; il comma 5, nell'affidare alla Provincia l'elaborazione di normativa meramente integrativa, lede inoltre la sua competenza in materia di acque e di igiene e sanità.

 

1.3. La Provincia impugna l'art. 9, comma 3, (che le fa obbligo di disciplinare, entro sei mesi, le forme e i modi della cooperazione tra gli enti locali per l'organizzazione del servizio idrico, privandola delle modalità di scelta) e i commi 1 e 5 dell'art. 21, che le sottraggono la vigilanza sull'utilizzazione delle acque e sulla gestione dei servizi idrici, affidandola al comitato, statale, ivi previsto. Essa viene relegata a ente del quale si richiede l'intesa, mentre è l'unico titolare della competenza sancita dalle norme di attuazione statutaria (artt. 5 e 8 del d.P.R. n. 381 del 1974), con conseguente violazione dell'art. 107 dello Statuto.

 

La ricorrente impugna, altresì, l'art. 22, commi 1, 2 e 3, per violazione della propria competenza, perchè demanda a un organismo statale (l'osservatorio dei servizi idrici) un ruolo essenziale per la vigilanza e repressione delle violazioni, con riguardo alle attività svolte nel territorio provinciale.

 

1.4. L'art. 23, commi 3 e 4, introduce una disciplina sulla pubblicità dei progetti concernenti le opere idrauliche che in realtà non opera immediatamente nella Provincia (art.2 decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266), ma pretende illegittimamente di vincolare il legislatore provinciale.

 

1.5. L'art. 30, sull'utilizzazione delle acque destinate a uso idroelettrico, fa sì che organismi statali (il CIPE e il Comitato interministeriale di cui all'art. 4, comma 2, della legge 18 maggio 1989, n. 183) possano intervenire, senza l'intesa con la Provincia e al di fuori del piano generale provinciale. Eventuali esigenze di coordinamento fra lo Stato e la Provincia trovano sede idonea nel piano generale, ex art.14 dello Statuto e artt. 5 e 8 del d.P.R. n. 381 del 1974.

 

2. La Provincia autonoma di Trento impugna, della citata legge, l'art. 8, commi 3, 4, e 5; l'art. 9, comma 3; l'art.21, comma 5; l'art. 23, comma 3.

 

L'impianto sistematico della legge n. 36 - si sostiene nel ricorso - appare fondato sul presupposto di una piena disponibilità della materia da parte dello Stato; mentre invece le Province autonome della Regione Trentino-Alto Adige sono titolari di competenze primarie per l'urbanistica, gli acquedotti, i lavori pubblici (art. 8, nn. 5, 17, 19, Statuto), e di competenze concorrenti per l'utilizzazione delle acque pubbliche, in base all' art. 9, n. 9, dello Statuto, che disciplina altresì le modalità di coordinamento fra lo Stato e le Province autonome prevedendo il piano delle opere idrauliche (art. 14, secondo comma, seconda parte, e terzo comma). Ferma la competenza statale per le grandi derivazioni a scopo idroelettrico (v. il d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381) le Province, in base alle norme di attuazione (d.P.R.20 gennaio 1973, n. 115), esercitano tutte le attribuzioni inerenti alla titolarità del demanio idrico, ivi comprese la polizia idraulica e la difesa delle acque dall'inquinamento.

 

Nel territorio provinciale, inoltre, il piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche (art. 14 Statuto) sostituisce interamente il piano regolatore generale degli acquedotti (art. 10, comma 2, d.P.R. n. 381 del 1974).

 

Va poi considerato che gli strumenti di pianificazione e di coordinamento previsti dallo Statuto e dalle norme di attuazione non sono sostituiti dagli strumenti di pianificazione territoriale introdotti dal legislatore statale, e in particolare dai piani di bacino idrografico di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183. Come chiarito dalla Corte nella sent. n. 85 del 1990, i piani di bacino non comportano una nuova ripartizione di materie fra Stato e Regioni, ma fissano solo gli obiettivi. I piani in questione possono dunque incidere nelle materie di competenza provinciale esclusivamente < entro i limiti imposti alla funzione di indirizzo e coordinamento>.

 

In ogni caso, il decreto legislativo n. 267 del 1992, integrando l'art.5 del d.P.R. n. 381 del 1974, statuisce che i piani di bacino di rilievo nazionale valgano quali strumenti di coordinamento, sempre che lo Statuto e le norme di attuazione non prevedano specifiche modalità di coordinamento, ribadendo così il principio generale posto dall'art. 3, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, sull'efficacia degli atti di indirizzo e coordinamento del Governo.

 

2.2. La Provincia di Trento impugna l'art. 8, nei commi 2, 4 e 5, ritenendolo lesivo della sua sfera di autonomia. Il comma 2 vincola la Provincia non solo a delimitare gli ambiti territoriali per la riorganizzazione di tutti i servizi idrici, ma anche a sottostare alle determinazioni dell'Autorità di bacino. Quella che nell'art. 35 della legge n.183 del 1989 era una mera possibilità (come rilevato dalla Corte nella già citata sentenza n. 85 del 1990), qui sembra divenire un precetto vincolante, con la preminenza delle attribuzioni dell'Autorità di bacino su quelle provinciali. A sua volta, il comma 4 dell'art. 8 sposta la competenza programmatoria dal piano delle acque (formato d'intesa fra lo Stato e la Provincia) al piano di bacino, che è predisposto dall'Autorità anzidetta, in palese violazione dell'art. 14 dello Statuto e degli artt. 5 e 8 del d.P.R. n.381 del 1974. Il comma 5 dell'art. 8 contempla solo una competenza normativa integrativa della Provincia, che ha invece, in materia di utilizzazione delle acque, competenza concorrente (art. 9, n. 9, Statuto).

 

2.3. L'art. 9 concerne la gestione del < servizio idrico integrato> che, secondo la legge in esame, dovrebbe essere gestito dai comuni e dalle province. Il comma 3 di detto articolo contempla un intervento delle Regioni e delle Province autonome per < le forme e i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale>.

 

Tale norma è illegittima - ad avviso della ricorrente - se intesa nel senso che essa possa disciplinare direttamente le funzioni degli enti locali delle due Province. Le funzioni che nel resto del territorio nazionale sono assegnate dalla legge statale direttamente ai comuni (o trasferite a questi ultimi dal d.P.R. n. 616 del 1977) sono conferite ai comuni del Trentino - Alto Adige soltanto qualora non rientrino nelle materie di competenza della Regione o delle Province: in tale ipotesi è la legge regionale che provvede all'attribuzione su concorde richiesta, se del caso, delle Province autonome.

 

Comunque, la legge dello Stato non può imporre alla Provincia di disciplinare le forme di cooperazione fra gli enti locali del suo territorio.

 

2.4. La Provincia di Trento impugna, poi, l'art. 21 (Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche) perchè prevede un'attività amministrativa di intervento e vigilanza posta in essere da un organo statale in materia di competenza provinciale, con ciò violando l'art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992. Impugna altresì l'art. 23, comma 3, che detta minuziose norme, anche di tipo procedimentale, vulnerando l'autonomia provinciale in tema di organizzazione amministrativa, fino al punto di stabilire le concrete modalità con cui si dovrebbe realizzare la pubblicità dei progetti di opere.

 

3.1. Si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza di entrambi i ricorsi.

 

La legge n. 36 del 1994 contiene disposizioni che valgono - secondo quanto statuito dal primo periodo dell'art. 33 - quali principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, come già la legge 18 maggio 1989, n. 183, di cui essa è svolgimento. Nella legge impugnata vi è, infatti, l'espressa clausola di salvaguardia delle competenze spettanti alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano ai sensi dei rispettivi statuti e delle norme di attuazione (art. 33, secondo periodo): di qui, un'intrinseca delimitazione della normativa in esame, che esclude ogni sua potenziale lesività delle competenze provinciali, per cui tutte le doglianze sarebbero improponibili, ancor prima che infondate.

 

I ricorsi investono, inoltre, anche disposizioni che non si riferiscono specificamente alle Province autonome (come quelle degli artt. 8 comma 3, 21 comma 1, 22 commi 1 e 3, 30 comma 1), rispetto alle quali la prospettata lesione di competenza andrebbe esclusa in nuce. Le altre disposizioni che riguardano le due Province (ma non solo esse, in realtà) non sottraggono competenze, bensì ne valorizzano l'esercizio al fine di perseguire, in modo ottimale, gli obiettivi della legge n. 36 del 1994.

 

3.2. L'Avvocatura generale dello Stato si sofferma, in memoria, sulla razionalizzazione che la legge n. 36 ha operato nel settore in esame; e sottolinea che non sarebbe pertinente il richiamo alle competenze primarie di cui all'art. 8 dello Statuto, perchè si tratterebbe di richiami < di maniera>, eccezione fatta per il n. 19 dell'art. 8, che riguarda, però, aspetti ordinamentali che non hanno attinenza alcuna con l'art. 8 della legge n. 36. Tale disposizione concerne profili funzionali sulla riorganizzazione dei servizi idrici, al fine di "ottimizzare" l'utilizzazione delle acque, e su tale materia le Province hanno soltanto competenza concorrente. Nei limiti, dunque, dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato (art. 9, n. 9, Statuto).

 

Le disposizioni contenute negli artt. 8 (commi 2, 4, 5), 9 (comma 3), 21 (comma 5), 22 (commi 1 e 2), 23 (commi 3 e 4) della legge n. 36 sottendono < principi guida> per l'organizzazione territoriale del servizio idrico integrato, che resta pur sempre demandata alle Province.

 

Esse, tuttavia, non precludono l'elaborazione - d'intesa tra lo Stato e la Provincia - del piano annuale di coordinamento delle opere idrauliche di cui all'art. 14 dello Statuto, nè inficiano la validità dei piani di bacino, di cui all'art. 5 del d.P.R. n. 381 del 1974, o del piano generale di utilizzazione delle acque previsto dall'art. 8 del medesimo decreto. Per quanto attiene specificamente al comma 1 dell'art. 8 della legge impugnata, l'Avvocatura ritiene che esso non sarebbe invasivo delle attribuzioni provinciali, dal momento che la definizione degli < ambiti ottimali> avviene mediante il provvedimento di delimitazione, che è riservato alla Provincia autonoma.

 

Sulla scia della legge quadro sulla difesa del suolo (n.183 del 1989, art. 1, comma 3, e art. 12 comma 1), le norme impugnate confermano il governo delle acque per bacini idrografici: il comma 1 dell'art. 8 introduce, in particolare, criteri flessibili per superare l'attuale < polverizzazione> gestionale. In ordine ai rapporti con l'Autorità di bacino, si nega la denunciata erosione di attribuzioni provinciali, non apportando la legge n. 36 modifiche alla struttura di detto organo, al quale è affidata la programmazione dell'utilizzazione delle risorse idriche, secondo i canoni della previa intesa e della leale collaborazione. Riguardo all'aggiornamento del piano regolatore generale degli acquedotti (art. 8 comma 4), si riconosce che, in base all'art. 10 del d.P.R. n. 381 del 1974, la funzione del piano regolatore generale è assorbita, nelle Province di Trento e Bolzano, dal piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche; e si rileva, nel contempo, che la legge n. 36 (art.32) non ha abrogato le disposizioni richiamate dalle ricorrenti, che prevalgono su quelle della legge impugnata.

 

Il riparto di attribuzioni tra lo Stato e le Province autonome non risulta dunque modificato dall'art. 8, commi 2, 4, e 5, della legge n. 36, con riferimento all'art. 12 della legge n.183 del 1989.

 

Si sostiene, poi, che nell'art. 8, comma 5, l'aggettivo < integrativo> non va interpretato in senso tecnico: esso non degraderebbe le attribuzioni esclusive o concorrenti a meramente integrative, ma indicherebbe l'attitudine delle norme emanande a completare la legislazione statale, con un < livello di cogenza> definito dalla tipizzazione delle potestà legislative delle singole Regioni a statuto ordinario o differenziate. A proposito della paventata imposizione di criteri specifici, cui la Provincia dovrebbe attenersi nella modificazione della gestione del servizio idrico integrato (art. 9 della legge), si osserva che le forme di tale riorganizzazione sono già tutte presenti nell'ordinamento. La disciplina dei modi della cooperazione tra gli enti locali (comma 3 dell'art. 9) non contrasta infatti con l'art. 4 dello Statuto, poichè nell'ipotesi in cui tale cooperazione dovesse implicare modifiche dell'ordinamento degli enti loca li, le stesse dovrebbero essere attuate con legge della Regione.

 

L'art. 21, comma 1, istituisce il comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche: organo a composizione mista, la cui operatività richiede - ed è un'evidente garanzia - la previa intesa con le Regioni e le Province autonome interessate.

 

L'art. 22, comma 1, prevede un'attività informativa centralizzata (Osservatorio dei servizi idrici): attività ineludibile, poichè - tranne che per le grandi isole - quasi tutti i principali corpi idrici superficiali hanno un interesse che travalica i confini amministrativi della Regione e della Provincia dove nascono o dove sfociano. L'acquisizione di maggiori conoscenze è, quindi, misura propedeutica a un razionale governo delle acque.

 

Quanto ai poteri del CIPE sull'utilizzazione delle acque invasate a scopi idroelettrici (art. 30), la disposizione non invaderebbe, di per sè, le competenze provinciali: un eventuale vulnus potrebbe derivare, semmai, dai successivi provvedimenti del CIPE, in ipotesi lesivi del principio della previa intesa e della leale collaborazione fra Stato e Regioni. In materia di derivazioni a scopo idroelettrico, la Provincia ha competenza concorrente e ben può lo Stato dettare norme di principio sull'utilizzazione delle acque destinate a tali scopi, in relazione alle esigenze di protezione della loro qualità e di conservazione della loro quantità.

 

4. Nell'imminenza dell'udienza hanno depositato memoria anche le ricorrenti, insistendo sull'indebita compressione delle loro competenze.

 

La Provincia di Trento osserva che - a seguito della sent. n. 85 del 1990 - i commi aggiunti all'art. 5 del d.P.R. n. 381 del 1974 dal decreto legislativo n. 267 del 1992 ribadiscono che i piani di bacino, di cui alla legge n. 183, possono coordinare le attività provinciali solo se lo Statuto e le norme di attuazione non dettano modalità specifiche.

 

Ora, per ciò che attiene all'utilizzazione delle acque e alle opere idrauliche, lo Statuto speciale, all'art. 14, prevede, in sostituzione del piano regolatore degli acquedotti, il piano annuale di coordinamento (v. anche l'art. 10, comma 2, d.P.R. n. 381 del 1974).

 

La Provincia di Bolzano sottolinea, d'altro canto, che la citata sentenza n. 85 conferma l'efficacia (e sotto alcuni aspetti la prevalenza) degli strumenti di pianificazione e di coordinamento dell'uso delle risorse idriche previsti dallo Statuto e dalle norme di attuazione.

 

Soggiungendo come - proprio con riguardo ai piani di bacino - la Corte abbia riconosciuto che essi possono incidere nelle materie di competenza regionale e provinciale solo entro i limiti imposti alla funzione di indirizzo e di coordinamento.

 

Sul raccordo fra la legge n. 183 del 1989 e le competenze provinciali, si richiama il d.P.R. n. 381 del 1974, art. 5, commi 3 e 4, modificato dal decreto legislativo n. 267 del 1992, in coerenza con il principio, posto dall'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, sull'efficacia nel territorio regionale e provinciale degli atti di indirizzo e coordinamento del Governo. Tanto la sentenza invocata dall'Avvocatura generale, che le successive norme di attuazione, hanno precisato i criteri di delimitazione delle competenze statali e provinciali: le norme impugnate violano perciò tali limiti, e le modalità di coordinamento contemplate dalle norme di attuazione - conclude la Provincia di Bolzano - sono state disattese.

 

Considerato in diritto

 

1. I due ricorsi presentati dalle Province autonome di Trento e Bolzano per la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di alcuni articoli della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche) muovono dalla comune rivendicazione della loro competenza primaria in materia di urbanistica, acquedotti e servizi pubblici (art. 8, nn. 5, 17 e 19, Statuto) e concorrente in materia di utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni a scopo idroelettrico, oltre che d'igiene e sanità (art. 9, nn. 9 e 10 Statuto): e muovono, altresì, dalla previsione, sempre ad opera dello Statuto (art. 14, secondo e terzo comma), di peculiari modalità di coordinamento con lo Stato, attraverso il piano delle opere idrauliche.

 

Le disposizioni della legge n. 36 impugnate dalle due Province autonome, perchè lesive delle loro attribuzioni, coincidono per larga parte, ma non integralmente.

 

Per quanto attiene all'art. 8, la Provincia di Bolzano impugna i commi 1, 2, 4 e 5; quella di Trento i commi 3, 4 e 5.

 

L'art. 9, comma 3, è impugnato da entrambe.

 

L'art. 21 è impugnato nei commi 1 e 5 dalla Provincia di Bolzano, solo nel comma 5 da quella di Trento.

 

L'art. 22, commi 1, 2 e 3, è impugnato solo dalla Provincia di Bolzano.

 

L'art. 23 è impugnato nei commi 3 e 4 dalla Provincia di Bolzano, solo nel comma 3 da quella di Trento.

 

L'art. 30, comma 1, lett. b) e c), è impugnato solo dalla Provincia di Bolzano.

 

Sono dunque all'esame di questa Corte gli articoli di seguito elencati:

 

- art. 8 (Organizzazione territoriale del servizio idrico integrato), commi 1, 2, 3, 4 e 5.

 

- art. 9 (Disciplina della gestione del servizio idrico integrato), comma 3.

 

- art. 21 (Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche), commi 1 e 5.

 

- art. 22 (Osservatorio dei servizi idrici), commi 1, 2 e 3.

 

- art. 23 (Partecipazione, garanzia e informazione degli utenti), commi 3 e 4.

 

- art. 30 (Utilizzazione delle acque destinate ad uso idroelettrico), comma 1, lettere b) e c) 2. Per vagliare le singole censure mosse dalle due ricorrenti, è necessaria una verifica preliminare sulle attribuzioni conferite alle Province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell'art. 8, nn. 5, 17, 19, dell'art. 9, n.9, Statuto, nonchè delle norme di attuazione (d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115) che hanno trasferito alle Province non soltanto gli acquedotti (art. 4), ma tutto il demanio idrico, conferendo loro le attribuzioni inerenti alla polizia idraulica e alla difesa delle acque dall'inquinamento, ferma la competenza statale per le grandi derivazioni a scopo idroelettrico. Nel territorio provinciale, il piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche, di cui all'art. 14 Statuto, sostituisce, poi, il piano regolatore generale degli acquedotti (art. 10, comma 2, d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381).

 

Questa Corte ha chiarito che gli strumenti di pianificazione e di coordinamento previsti dallo Statuto e dalle norme di attuazione non sono resi inefficaci dagli strumenti di pianificazione territoriale introdotti dal legislatore statale, e in particolare dai piani di bacino idrografico di cui alla legge 18 maggio 1989, n.183: tali strumenti programmatori incidono nelle competenze provinciali solo entro i limiti imposti alla funzione di in dirizzo e coordinamento.

 

Più in generale, la Corte ha ricordato come la legge n. 183 del 1989 - alla quale la legge qui in esame si ricollega - non stabilisca una nuova ripartizione di competenze fra lo Stato e le Regioni (e le Province autonome), essendo una legge di obiettivi: la difesa del suolo è finalità il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie assegnate tanto alla competenza statale quanto a quella regionale e provinciale, e richiede momenti di cooperazione fra tutti i soggetti pubblici interessati (sent. n. 85 del 1990). Considerazioni, queste, che ben si confanno alla nuova disciplina delle risorse idriche, che realizza un complesso intreccio di interessi e competenze in cura a diversi livelli istituzionali.

 

Gli strumenti di coordinamento introdotti dalla legislazione nazionale valgono in via suppletiva, nell'ipotesi in cui la disciplina statutaria non configuri meccanismi speciali. Ma le fondamentali esigenze di cooperazione non legittimano indebite appropriazioni di competenze, e sotto questo profilo è significativo che il decreto legislativo n. 267 del 1992 (successivo, dunque, alla citata sentenza n.85), nell'integrare l'art. 5 del d.P.R. n. 381 del 1974, abbia riconosciuto l'efficacia dei piani di bacino di rilievo nazionale quali strumenti di coordinamento, sempre che lo Statuto e le norme di attuazione non stabiliscano modalità di coordinamento, ribadendo così il principio posto dall'art. 3, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, sull'efficacia degli atti di indirizzo e coordinamento del Governo.

 

3. Richiamato il quadro delle competenze, anche alla luce delle norme di attuazione statutaria, occorre chiedersi, in primo luogo, se sia sufficiente - ai fini della salvaguardia delle attribuzioni provinciali - la clausola posta dall'art.33 della legge n. 36 del 1994, che fa salve < le competenze spettanti alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione>. Tale clausola, che ha carattere generale, impone di intendere le precedenti statuizioni della legge in modo da salvaguardare le competenze provinciali, risolvendo eventuali dubbi interpretativi secondo una lettura rispettosa dell'assetto delle attribuzioni delineato dalle norme statutarie e da quelle di attuazione, senza necessariamente procedere a caducazione delle disposizioni impugnate. Ma siffatta interpretazione correttiva non può spingersi al punto di superare l'evidenza letterale, come si vedrà esaminando in dettaglio i singoli articoli impugnati.

 

4. L'art. 8 concerne l'organizzazione territoriale del servizio idrico integrato, ed è impugnato nei commi da 1 a 5.

 

Esso farebbe obbligo alle Province di seguire criteri specifici per la nuova articolazione territoriale della fornitura dei servizi idrici, vincolandole ad aggiornare il piano di utilizzazione delle acque pubbliche al di fuori delle procedure fissate dalle norme di attuazione (d.P.R. n. 381 del 1974), e demandando loro l'emanazione di normativa meramente integrativa (comma 5), con lesione delle competenze in materia di acque e d'igiene e sanità.

 

Le censure sono fondate.

 

La ricognizione delle competenze statutarie rende evidente l'illegittimità delle disposizioni impugnate, nella parte in cui si estendono anche alle due Province autonome. Le modalità della riorganizzazione dei servizi idrici, secondo ambiti territoriali ottimali, non tengono affatto conto del complesso quadro normativo che si è venuto definendo prima in sede statutaria, poi attraverso le norme di attuazione. Non basta, qui, evocare la generale clausola di salvaguardia, introdotta dall'art. 33 della legge, per dare un'interpretazione correttiva dei commi impugnati dell'art. 8, che alterano, invero, il quadro organizzatorio minuziosamente delineato dall'ordinamento provinciale e spostano la competenza programmatoria dal piano delle acque - formato d'intesa fra lo Stato e la Provincia - al piano di bacino, che è predisposto dalla speciale Autorità, in violazione dell'art. 14 dello Statuto e degli artt. 5 e 8 del d.P.R. n.381 del 1974. Quanto al comma 5, non è possibile seguire la linea interpretativa suggerita dall'Avvocatura generale, che ne prospetta una lettura atecnica, fonte però di confusione e di incertezze applicative, laddove va invece affermata la salvaguardia delle competenze di vario livello (proprie delle due ricorrenti) che non possono certo essere declassate a meramente integrative (v. in particolare l'art. 9, n. 9, Statuto).

 

5. L'art. 9 della legge n. 36 disciplina la gestione del servizio idrico integrato. Di esso - perchè potenzialmente invasivo delle attribuzioni provinciali relative alle funzioni dei comuni - è impugnato il comma 3, che prevede l'intervento delle Regioni e delle Province autonome circa le forme e i modi della cooperazione fra gli enti locali che ricadono nel medesimo "ambito ottimale". La lettera della norma ben si concilia, qui, con la salvaguardia delle attribuzioni conferite alle Province, sì che bisogna escludere che il legislatore abbia innovato il sistema di rapporti fra la Provincia e i comuni che operano nel suo territorio: anche se le Province autonome appaiono, nel testo, accomunate alle Regioni ordinarie, non per questo ne risultano livellate le rispettive attribuzioni, ragion per cui la censura si rivela infondata.

 

6. É altresì impugnato l'art. 21, commi 1 e 5, che istituisce, presso il Ministero dei lavori pubblici, il comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche: la disposizione - si dolgono le ricorrenti - prefigura l'intervento e la vigilanza di un organo statale in materia di competenza provinciale, in violazione dell'art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992. Questo comitato svolge una funzione programmatoria generale a salvaguardia degli interessi degli utenti, per l'efficienza, efficacia ed economicità del servi zio; e a tal fine persegue la cooperazione con organi di garanzia eventualmente istituiti dalle Regioni e dalle Province autonome (v. in special modo il comma 5). In ciò non si intravede lesione alcuna delle attribuzioni provinciali; anche perchè si tratta di un organo a composizione mista, la cui operatività richiede la previa intesa con le Regioni e le Province autonome interessate, onde un'ulteriore garanzia per queste ultime.

 

La doglianza è dunque infondata.

 

7. L'art. 22 prevede un'attività informativa centralizzata, affidata all'Osservatorio dei servizi idrici: le attribuzioni conferite a detto organo (che ha struttura servente nei confronti del Comitato istituito dall'art. 21) sono legate alla razionalizzazione del governo delle acque, che è il vero motivo ispiratore della legge n. 36.

 

Trattandosi di attività informativa e di elaborazione dei dati, deve escludersi il temuto vulnus alle attribuzioni provinciali, tanto più che l'Osservatorio dovrà costituire, e gestire, la propria < banca dati> in connessione con i sistemi informativi delle Province autonome, le cui funzioni non vengono quindi ridimensionate. In quest'ottica, va confermato quanto già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, e cioé che l'acquisizione di elementi informativi non determina, di per sè, lesione di attribuzioni (v., fra le varie, le sentt. nn.342 del 1994 e 497 del 1992); si giustificano quindi i poteri di acquisizione di notizie, ai fini dell'eventuale proposizione innanzi agli organi giurisdizionali competenti - da parte del Comitato per la vigilanza - dell'azione avverso atti in violazione della legge.

 

8. Infondata deve dirsi anche la censura mossa ai commi 3 e 4 dell'art. 23, che introducono norme sulla pubblicità dei progetti di opere idrauliche, a tutela di un generale interesse alla trasparenza e senza che neppure si possa eccepire un'eccessiva minuziosità della disciplina: i commi impugnati dettano criteri generali, fermo restando che ulteriori prescrizioni e specificazioni saranno poste dalle due Province autonome nell'ambito delle rispettive competenze.

 

9. Quanto ai poteri del CIPE sull'utilizzazione delle acque invasate a scopi idroelettrici (art. 30), va ricordato che la Provincia ha competenza, ex art. 9, n. 9, dello Statuto, in materia di utilizzazione delle acque pubbliche, con esclusione per le grandi derivazioni a scopo idroelettrico. Deve perciò affermarsi l'illegittimità della disposizione nella parte in cui prevede l'intervento di organismi statali (il CIPE e il Comitato interministeriale di cui all'art. 4, comma 2, della legge n. 183 del 1989) senza ricorrere all'intesa con le Province e al di fuori del piano generale provinciale, anche quando non si tratti di grandi derivazioni a scopo idroelettrico.

 

Le conseguenti esigenze di coordinamento troveranno sede idonea nel piano generale delle acque pubbliche (art. 14 dello Statuto e art. 8 del d.P.R.n.381 del 1974).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, commi 1, 2, 3, 4 e 5, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), nella parte in cui si estende alle Province autonome di Trento e di Bolzano, e dell'art. 30, comma 1, lettere b) e c), della stessa legge, nella parte in cui prevede l'intervento di organismi statali senza ricorrere all'intesa con le Province autonome e al di fuori del piano generale provinciale, anche quando non si tratti di grandi derivazioni a scopo idroelettrico;

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento all'art. 8, nn. 5, 17, 19 e 24, all'art. 9, primo comma, nn. 9 e 10, agli artt. 12, 13, 14, secondo e terzo comma, all'art. 16, primo comma, e agli artt.68 e 107 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R.31 agosto 1972, n. 670), e alle relative norme di attuazione, dalle Province autonome di Trento e Bolzano, con i ricorsi indicati in epigrafe, avverso l'art. 9, comma 3, l'art.21, commi 1 e 5, l'art. 22, commi 1, 2 e 3, l'art. 23, commi 3 e 4, della citata legge n. 36 del 1994.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/11/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Francesco GUIZZI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 07/12/94.