SENTENZA N. 231
ANNO 2005REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
-Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
-Fernanda CONTRI Giudice
-Guido NEPPI MODONA "
-Annibale MARINI "
-Giovanni Maria FLICK "
-Francesco AMIRANTE "
-Ugo DE SIERVO "
-Romano VACCARELLA "
-Paolo MADDALENA "
-Alfio FINOCCHIARO "
-Alfonso QUARANTA "
-Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 92, e 4, commi 112, 113, 114 e 115 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), promosso dalla Regione Emilia-Romagna con ricorso notificato il 24 febbraio 2004 e depositato in cancelleria il 4 marzo 2004 ed iscritto al n. 33 del registro ricorsi 2004.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 aprile 2005 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato il 24 febbraio 2004 e depositato il 4 marzo 2004, la Regione Emilia-Romagna ha sollevato molteplici questioni di legittimità costituzionale della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), tra le quali, in particolare, quelle relative agli artt. 3, comma 92, e 4, commi 112, 113, 114 e 115.
1.1— L’art 3, comma 92, dispone che «per 1’attuazione del piano programmatico di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 28 marzo 2003, n. 53, è autorizzata, a decorrere dall’anno 2004, la spesa complessiva di 90 milioni di euro per i seguenti interventi:
a) sviluppo delle tecnologie multimediali;
b) interventi di orientamento contro la dispersione scolastica e per assicurare il diritto-dovere di istruzione e formazione;
c) interventi per lo sviluppo dell’istruzione e formazione tecnica superiore e per l’educazione degli adulti;
d) istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema di istruzione».
La disposizione impugnata – osserva la ricorrente – integra e parzialmente modifica l’art. 1, comma 3, della legge 28 marzo 2003, n. 53, con cui il Governo veniva delegato ad emanare «norme generali sull’istruzione e sui livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale», nell’ambito delle quali veniva altresì previsto che il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca predisponesse, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge medesima, un piano programmatico di interventi finanziari, articolato in undici obiettivi da sottoporre all’approvazione del Consiglio dei ministri, previa intesa con la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997 n. 281 la cui provvista finanziaria veniva rinviata alle leggi finanziarie degli anni successivi.
Rileva la Regione che la censurata previsione finanzia un piano – non ancora approvato – di specifici interventi che selezionano solo alcuni degli obiettivi fissati dalla legge di delega e toccano le attribuzioni regionali, nelle quali ricadono, “per esempio”, gli interventi di orientamento contro la dispersione scolastica e per assicurare la realizzazione del diritto-dovere di istruzione e formazione (lettera b) e gli interventi per lo sviluppo dell’istruzione e formazione tecnica superiore e per l’educazione degli adulti (lettera c). Di qui l’illegittimità della norma che, invece di assegnare i relativi fondi alle Regioni nel quadro delle regole di cui all’art. 119 Cost., finisce per finanziare interventi settoriali diretti ed unilateralmente decisi in materia di competenza concorrente, in contrasto con il Titolo V della Parte II della Costituzione.
1.2— L’art. 4, commi 112, 113, 114 e 115 della legge n. 350 del 2003 istituisce un fondo speciale per l’incentivazione della partecipazione dei lavoratori nelle imprese, per sostenere programmi finalizzati alla partecipazione dei lavoratori ai risultati o alle scelte gestionali delle imprese medesime. La gestione del fondo è affidata ad un Comitato composto da esperti nominati in parte dal Ministero e in parte dalle associazioni sindacali.
Secondo la ricorrente la materia nel cui ambito, usando «un criterio di prevalenza», sembrano ricadere gli interventi in questione è la “tutela e sicurezza del lavoro”, che l’art. 117, terzo comma, Cost. assegna alla potestà concorrente.
Osserva la Regione che in materie non esclusive dello Stato, anche qualora possano configurarsi esigenze unitarie che ne giustifichino l’intervento legislativo, il nuovo Titolo V vieta che lo Stato istituisca fondi speciali, anziché destinare le risorse alla finanza regionale secondo i principi dell’art. 119 Cost. Ancor più illegittimo sarebbe il fatto che il fondo sia affidato alla gestione statale, in tal modo violandosi sia la potestà legislativa regionale – che non avrebbe ovviamente modo alcuno di esplicarsi – sia la potenziale titolarità delle funzioni amministrative in capo alla Regione stessa.
Se pure un’eccezionale gestione unitaria fosse giustificata da interessi indivisibili (che peraltro non sono neppure affermati), la normativa risulterebbe comunque illegittima per il mancato coinvolgimento delle Regioni, secondo le modalità richieste dal principio di leale collaborazione, con la conseguente violazione del principio stesso.
1.3— Tali prospettazioni sono state ribadite in una memoria depositata nell’imminenza dell’udienza, in cui si qualifica l’impugnato art. 3, comma 92, come «lo strumento attraverso il quale viene sconvolto il meccanismo programmatorio previsto dalla legge n. 53 del 2003». Ciò sarebbe dimostrato dal fatto che il Piano programmatico è ritenuto dal Governo un elemento che non condiziona gli interventi finanziari, disposti attraverso norme che – come quella impugnata – non seguono l’itinerario della leale collaborazione, ma vengono assunte unilateralmente, quali opzioni relative alle priorità da perseguire e quali linee di finanziamento tra il Ministero e le sue articolazioni periferiche (uffici scolastici regionali).
Quanto all’impugnativa dei commi da 112 a 115 dell’art. 4, la Regione osserva che si tratta di un fondo settoriale, affidato esclusivamente alla gestione statale, pur essendone evidente l’appartenenza alla “tutela e sicurezza del lavoro” (restando “alla periferia” eventuali riflessi civilistici della disciplina e quindi la materia dell’ordinamento civile), non essendovi dubbio che il sostegno di programmi finalizzati alla partecipazione dei lavoratori nell’impresa non serva tanto ad incrementare il patrimonio di quest’ultima, quanto piuttosto a migliorare le condizioni di espletamento del lavoro, consentendo ai dipendenti di svolgere un ruolo più adeguato all’interno dell’impresa. In ogni caso risulterebbe anche qui violato il principio di leale collaborazione.
2.— E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la declaratoria d’inammissibilità, ovvero d’infondatezza del ricorso.
In particolare, quanto alla questione relativa al piano programmatico, si osserva come la norma censurata rechi soltanto una autorizzazione di spesa, in riferimento ad alcuni degli obiettivi sanciti dall’art. 1, comma 3, della legge n. 53 del 2003, disposizione non impugnata ma nei confronti della quale la doglianza sarebbe sostanzialmente diretta.
L’Avvocatura intervenuta conferma poi la circostanza del mancato raggiungimento dell’intesa relativamente al piano programmatico in sede di Conferenza unificata, aggiungendo che, in conseguenza della mancata intesa, una parte cospicua dei 90 milioni di euro in discussione non è stata spesa. In particolare, 21.270.000 euro sono stati destinati a «compensare la funzione tutoriale dei docenti», comportando quindi un aumento delle spese correnti per il personale docente della scuola, mentre 7.306.000 euro sono stati utilizzati per finanziare l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), «ente statale di ricerca» che, oltre ad avere fondamento in una autonoma e diversa disposizione, non sarebbe inseribile nella materia controversa; l’importo per l’istruzione post-secondaria e degli adulti, ipotizzato in euro 42.628.000, è rimasto non utilizzato. Secondo l’Avvocatura, la materia del contendere dovrebbe residuare soltanto in riferimento a quest’ultimo aspetto, attesa la diversa destinazione impressa agli altri stanziamenti.
Nel merito la non fondatezza conseguirebbe alla mancanza di una invasione della sfera di competenza delle Regioni. Per di più, la competenza esclusiva dello Stato in tema di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni” dovrebbe comportare anche le correlate possibilità di intervento finanziario.
Quanto poi alla questione relativa al Fondo per la partecipazione dei lavoratori nelle imprese, l’Avvocatura intervenuta richiama anzitutto la normativa comunitaria citata nel preambolo del d.m. 4 novembre 2004, costitutivo del Comitato paritetico (di cui alla norma impugnata), osservando come il legislatore abbia chiamato le parti sociali a cogestire attivamente le incentivazioni e quindi l’avvio di ogni programma di partecipazione dei lavoratori, visto che il comma 113 coinvolge le associazioni sindacali confederali dei lavoratori nella “gestione” delle incentivazioni e il comma 112 le àncora a “programmi predisposti per l’attuazione di accordi sindacali o (di) statuti societari”. Secondo l’Avvocatura l’intervento in questione rientrerebbe nella materia “ordinamento civile”, alla quale sarebbe riconducibile tutto ciò che attiene alla disciplina dei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori, compreso quanto è prodotto da contratti collettivi o comunque da accordi tra le parti sociali. Inoltre la partecipazione dei lavoratori ai risultati o alle scelte gestionali delle imprese incide in misura più o meno consistente sui rapporti societari, così ricadendo nel predetto ambito materiale ed esulando da quello lavoristico.
Considerato in diritto
1.— La Regione Emilia-Romagna ha impugnato numerose disposizioni della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), e, tra queste, in riferimento all’art. 119 Cost., l’art. 3, comma 92 e, in riferimento agli articoli 117, terzo comma, 118 e 119 Cost., l’art. 4, commi 112, 113, 114, 115.
La prima delle suindicate disposizioni è formulata nel modo che segue:
«Per l’attuazione del piano programmatico di cui all’art. 1, comma 3, della legge 28 marzo 2003, n. 53, è autorizzata, a decorrere dall’anno 2004, la spesa complessiva di 90 milioni di euro per i seguenti interventi:
a) sviluppo delle tecnologie multimediali;
b) interventi di orientamento contro la dispersione scolastica e per assicurare il diritto-dovere di istruzione e formazione;
c) interventi per lo sviluppo dell’istruzione e formazione tecnica superiore e per l’educazione degli adulti;
d) istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema di istruzione».
La ricorrente premette che l’art. 1, comma 3, della legge n. 53 del 2003 prevedeva, tra l’altro, la predisposizione di un piano programmatico di interventi finanziari da parte del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da sottoporre all’approvazione del Consiglio dei ministri, previa intesa con la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, per il sostegno di undici interventi, indicati come obiettivi del piano. La ricorrente espone che il piano programmatico non è stato predisposto, sicché la disposizione censurata autorizza: «il finanziamento di specifici interventi, che selezionano solo alcuni degli obiettivi fissati dalla legge di delega, e sicuramente toccano le attribuzioni regionali (nelle quali ricadono, per esempio, gli interventi di orientamento contro la dispersione scolastica e per assicurare il diritto-dovere di istruzione e formazione, lett. b), e gli interventi per lo sviluppo dell’istruzione e formazione tecnica superiore e per l’educazione degli adulti, lett. c)». Ne consegue, a dire della ricorrente, la illegittimità della disposizione «in quanto, anziché assegnare i relativi fondi alle Regioni nel quadro delle regole di cui all’art. 119 Cost., finanzia interventi settoriali diretti – ed oltretutto unilateralmente decisi – in materia di competenza “concorrente”, vietati dal nuovo Titolo V» come questa Corte ha ripetutamente affermato.
I suindicati commi dell’art. 4 prevedono l’istituzione, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di un fondo speciale per l’incentivazione della partecipazione dei lavoratori nelle imprese che intervenga in sostegno di programmi, predisposti per l’attuazione di accordi sindacali o statuti societari, finalizzati a valorizzare la partecipazione dei lavoratori ai risultati o alle scelte gestionali delle imprese medesime (comma 112). E’ prevista la costituzione, con decreto ministeriale, di un Comitato – composto di esperti in rappresentanza in parte del Ministero, in parte e in modo paritario delle associazioni sindacali di datori e di prestatori di lavoro – il quale tra l’altro ha il compito di redigere il regolamento per il proprio funzionamento, mentre con lo stesso decreto ministeriale sono stabiliti i criteri fondamentali di gestione del fondo (comma 113).
Con successivi decreti possono essere modificati i criteri di gestione sulla base del recepimento di eventuali accordi interconfederali o di avvisi comuni delle parti sociali, anche in attuazione degli indirizzi dell’Unione europea (comma 114).
Infine, il Comitato annualmente redige una relazione, da inviare al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, alle competenti Commissioni parlamentari ed al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (comma 115).
La Regione sostiene che le norme prevedono la costituzione di un fondo per finanziare interventi diretti da parte dello Stato i quali, in quanto concernono la materia della tutela e sicurezza del lavoro, di competenza legislativa concorrente, sono illegittimi.
L’Avvocatura dello Stato afferma invece che i finanziamenti attengono ai rapporti di lavoro ed agli assetti societari dei datori di lavoro e rientrano quindi nella materia “ordinamento civile”.
2.— Mentre altre disposizioni impugnate con lo stesso ricorso (n. 33 del ruolo 2004) sono oggetto di separati provvedimenti, le questioni appena enunciate, che vengono decise con la presente sentenza, in quanto non sono omogenee e attengono a materie diverse, in relazione alle quali sono evocati parametri in parte differenti, devono essere distintamente scrutinate.
3.— Riguardo alla questione avente ad oggetto il comma 92 dell’art. 3 le censure si appuntano più specificamente sulle disposizioni sub b) e c), mentre per quelle sub a) e d), esse sostanzialmente si limitano all’affermazione del loro contrasto con l’art. 119 Cost., anche se per tutte le norme impugnate, pur senza evocare espressamente il parametro dell’art. 117, terzo comma, Cost., la ricorrente denuncia la violazione delle regole di riparto in tema di materie rientranti nella competenza legislativa concorrente.
Si rileva anzitutto che la istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione è stata disposta, insieme con il riordino dell’Istituto nazionale di valutazione del sistema dell’istruzione, con il decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 286, il cui art. 15 ne prevede il finanziamento mediante l’utilizzazione di «quota parte dell’autorizzazione di spesa di cui all’art. 3, comma 92, della legge 24 dicembre 2003, n. 350».
Il finanziamento, pertanto, per quanto riguarda la finalità di cui alla lettera d) del comma 92 impugnato, ha la sua autonoma fonte normativa nell’art. 15 citato, non impugnato dalla Regione; da ciò consegue l’infondatezza della questione sotto tale profilo, in quanto l’eventuale violazione della competenza regionale non deriva dalla disposizione censurata.
Anche per la restante parte la questione non è fondata.
Si premette che il finanziamento di cui si tratta, le finalità cui esso è predisposto e la sua attuazione mediante iscrizione nella legge finanziaria, senza indicazione di somme e con salvezza della compatibilità con i vincoli di finanza pubblica, erano già previsti dall’art. 1, commi 3 e 4, e dall’art. 7, comma 6, della legge n. 53 del 2003, norme non impugnate. Ed, infatti, la Regione ricorrente si duole soprattutto del fatto che le disposizioni della legge n. 350 del 2003 si siano discostate dalle statuizioni della legge n. 53 del 2003. Ma tale difformità può essere efficacemente censurata solo in quanto essa comporti una lesione della sfera di competenza regionale costituzionalmente garantita, lesione che l’interpretazione della normativa in argomento consente viceversa di escludere.
La ricorrente censura le disposizioni suindicate soprattutto per aver autorizzato la spesa pur in assenza del piano programmatico, la cui approvazione, secondo quanto stabilito dalla legge n. 53 del 2003, comporta l’intesa con la Conferenza unificata di cui al d.lgs. n. 281 del 1997.
La disposizione quindi lederebbe il principio di leale collaborazione per la cui attuazione nel caso in esame era prevista la forma più pregnante dell’intesa.
Senonché la norma può e deve essere letta in armonia con i principi costituzionali. Essa, infatti, richiama espressamente il piano programmatico di cui all’art. 1, comma 3, della legge n. 53 del 2003 e quindi anche le modalità della sua approvazione. Ciò comporta che l’autorizzazione alla spesa, oggetto della censura è pur sempre subordinata, per quanto concerne la sua concreta attuazione, all’approvazione del piano, a sua volta condizionata all’intesa con la Conferenza.
Dal riconoscimento alla disposizione censurata di tale contenuto, conforme alla sua formulazione letterale ed al suo scopo, consegue l’inesistenza del vizio di illegittimità costituzionale denunciato.
Si soggiunge che l’Avvocatura nella memoria ha riferito, senza essere smentita dalla difesa della Regione, che nel corso del 2004 l’autorizzazione alla spesa in esame non ha avuto concreta attuazione.
4.— La questione concernente l’articolo 4, commi 112, 113, 114 e 115 della legge n. 350 del 2003 è fondata nei limiti e per le considerazioni che seguono.
Secondo un principio più volte applicato da questa Corte, la legittimità delle norme statali istitutive di nuovi fondi è condizionata di norma, per quanto riguarda la competenza ad emanarle, alla inerenza della destinazione dei finanziamenti a opere e servizi rientranti in materie di competenza statale. La finalizzazione dei finanziamenti a scopi rientranti in materie di competenza residuale delle Regioni o anche di competenza concorrente comporta la illegittimità costituzionale delle norme statali (sentenze n. 51, n. 77, n. 107, n. 160 del 2005).
Tuttavia, come pure è stato già rilevato, la complessità della realtà sociale da regolare comporta che di frequente le discipline legislative non possano essere attribuite nel loro insieme ad un’unica materia, perché concernono posizioni non omogenee ricomprese in materie diverse sotto il profilo della competenza legislativa (materie di competenza esclusiva statale e materie di competenza residuale regionale, materie di competenza esclusiva statale e materie di competenza concorrente). In siffatti casi di concorso di competenze questa Corte ha fatto applicazione, secondo le peculiarità dell’intreccio di discipline, del criterio della prevalenza di una materia sull’altra e del principio di leale cooperazione (sentenze n. 370 del 2003 e n. 50 del 2005).
Ciò premesso, al fine di identificare la materia o le materie cui le disposizioni censurate attengono occorre tener conto del contesto storico-sistematico in cui s’inseriscono.
Esse sul piano interno trovano il loro fondamento nell’art. 46 Cost. e, quindi, nel riconoscimento del diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende. In riferimento al diritto comunitario – cui il comma 114 fa espresso anche se generico richiamo – dette norme si ricollegano ad una serie di provvedimenti susseguitisi nel tempo, menzionati nella relazione illustrativa presentata al Parlamento in sede di discussione ed anche nell’epigrafe del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 4 novembre 2004, emesso in esecuzione dell’impugnato comma 113; tra questi, anzitutto, alla direttiva 94/45/CE del Consiglio del 22 settembre 1994, relativa all’istituzione di un Comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese o nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, attuata con il decreto legislativo 2 aprile 2002, n. 74. Le disposizioni in oggetto si connettono anche alla direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2002, istitutiva di un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori.
Ritiene la Corte che i finanziamenti predisposti sul fondo istituito con il comma 112, in quanto finalizzati a progetti inerenti alla costituzione di organi o alla regolamentazione di procedure di informazione o di mera consultazione dei lavoratori sulla vita delle aziende e sulle scelte di massima da compiere, attengano alla tutela del lavoro, esaurendosi essi nell’ambito di un rafforzato svolgimento delle relazioni industriali, senza modificare gestioni o assetti imprenditoriali e senza direttamente incidere sul rapporto di lavoro.
Le norme impugnate ed i progetti da esse previsti, però, si ricollegano anche ad atti comunitari che concernono lo statuto della società europea, con la previsione di organi decisionali e non solo destinatari di informazione o autori di atti consultivi (v., in particolare il regolamento CE del 8 ottobre 2001 n. 2157/2001, relativo allo statuto della società europea, nonché la direttiva in pari data concernente il completamento dello statuto per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori).
Sotto tale angolo visuale i progetti concernenti il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle aziende finiscono per riguardare, da un lato, le strategie ed alcuni profili strutturali delle imprese, dall’altro, con l’attribuzione ai lavoratori componenti di determinati organi di garanzie assimilabili a quelle riconosciute ai rappresentanti sindacali, la stessa disciplina del rapporto di lavoro. Ne consegue che le disposizioni censurate non esauriscono la loro efficacia nella materia della tutela del lavoro ma attengono anche – e in misura non secondaria – all’ordinamento civile.
Da quanto detto consegue che il complesso normativo oggetto della impugnazione viene a collocarsi all’incrocio di materie rispetto alle quali la competenza legislativa è diversamente attribuita dalla Costituzione: esclusiva dello Stato in tema di ordinamento civile, concorrente in materia di tutela del lavoro. Se la prima giustifica la legittimazione dello Stato a dettare norme primarie e quindi l’emanazione del decreto attuativo e di quelli successivi (comma 114) sotto il profilo dell’esigenza di un progetto unitario di disciplina della società europea, l’esistenza della seconda rende illegittima, anche ai sensi dell’art. 119 Cost., l’esclusione delle Regioni da ogni coinvolgimento, in violazione del principio di leale collaborazione. E’ su questo piano e in questi limiti che le norme censurate presentano un profilo di illegittimità costituzionale cui occorre porre rimedio.
Premesso che il principio di leale collaborazione può essere diversamente modulato poiché nella materia in oggetto non si riscontra l’esigenza di specifici strumenti costituzionalmente vincolati di concretizzazione del principio stesso, deve essere rimessa alla discrezionalità del legislatore la predisposizione di regole che comportino il coinvolgimento regionale.
In conclusione, ferma restando la sostanziale coerenza della previsione dello strumento di monitoraggio di cui al comma 115 con l’istituzione del fondo e la sua compatibilità, alle dette condizioni di gestione concertata, con gli evocati parametri, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 113 e 114 della legge n. 350 del 2003 in quanto non è previsto alcuno strumento volto a garantire la leale collaborazione tra Stato e Regioni (v. sentenze n. 51 e n. 162 del 2005).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata ogni decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), sollevate dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 113 e 114, della legge n. 350 del 2003, in quanto non prevede alcuno strumento volto a garantire la leale collaborazione tra Stato e Regioni;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 92, e 4, commi 112 e 115, della legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2005.
F.to:
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2005.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA