SENTENZA N. 51
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso Quaranta "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 47 e 48 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna, notificato il 1° marzo 2003, depositato in cancelleria il 7 marzo 2003 ed iscritto al n. 25 del registro ricorsi 2003.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 26 ottobre 2004 il Giudice relatore Franco Bile;
uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto1. – Con ricorso notificato il 1° marzo 2003, depositato il successivo 7 marzo, la Regione Emilia-Romagna ha impugnato alcuni articoli della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003) e, fra essi, l’art. 47, recante «Finanziamento di interventi per la formazione professionale».
L’articolo contiene due commi. Il comma 1 prevede che – nell’ambito delle risorse preordinate sul fondo per l’occupazione, di cui all’art. 7, comma 1, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, in legge 19 luglio 1993, n. 236 – il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia, determina «i criteri e le modalità per la destinazione dell’importo aggiuntivo di 1 milione di euro, per il finanziamento degli interventi di cui all’art. 80, comma 4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448» (che a sua volta rifinanziava gli interventi di cui alla legge 14 febbraio 1987, n. 40, «in materia di formazione professionale»). Il comma 2 – modificando l’art. 118, comma 16, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante anch’esso «interventi in materia di formazione professionale» – prevede che il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, con proprio decreto, destini 100 milioni di euro, per l’anno 2003, «per le attività di formazione nell’esercizio dell’apprendistato», secondo le modalità di cui all’art. 16 della legge 24 giugno 1997, n. 196.
Secondo la Regione ricorrente, la previsione di finanziamenti in materia di formazione professionale (spettante alla competenza piena delle Regioni) e l’attribuzione al Ministro del potere di definirne i criteri di destinazione violano la potestà finanziaria, legislativa e amministrativa regionale, perché lo Stato non può, conferendo fra l’altro poteri sostanzialmente regolamentari ad un Ministro, trattenere a sé la disciplina e la gestione di un finanziamento che ricade in materia regionale. In subordine, la Regione Emilia-Romagna deduce l’illegittimità della norma nella parte in cui non prevede che i poteri statali ivi previsti siano esercitati previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, dato che nelle materie regionali il principio di leale collaborazione impone un coordinamento fra i soggetti interessati.
1.1. – Con lo stesso ricorso la Regione Emilia-Romagna impugna, in via principale, anche l’art. 48 della stessa legge n. 289 del 2002, che disciplina i fondi interprofessionali destinati dalle parti sociali alla formazione continua. Poiché il sistema della formazione professionale non può avere un livello nazionale di organizzazione e gestione, la ricorrente ritiene illegittima, per violazione dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione, la previsione che tali fondi siano costituiti al livello nazionale, come disposto dall’art. 48, comma 1, attraverso la modificazione che esso opera dei commi 1, 2 e 6 dell’art. 118 della legge n. 388 del 2000. Ritiene inoltre la violazione dell’art. 118 Cost., in quanto, una volta che tali soggetti privati gestori dei fondi siano stati costituiti, ogni potere amministrativo in relazione ad essi non può che spettare alla disciplina regionale, che provvederà ad assegnarne alla stessa Regione o ad altri enti la titolarità, la disciplina dell’attivazione e, ove occorra, la relativa autorizzazione, nonché la disciplina e l’esercizio della vigilanza e del monitoraggio sulla gestione, come pure le funzioni sanzionatorie e la nomina di membri o del presidente del collegio sindacale.
2. – E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza delle questioni, con riserva di ulteriori deduzioni, formulate in una memoria depositata nell’imminenza dell’udienza, nel cui contesto deduce altresì l’inammissibilità della questione riguardante l’art. 47, poiché la norma si limita a prevedere la determinazione con decreto dei criteri e modalità per la destinazione del previsto importo in sede di ripartizione e nell’ambito delle risorse del Fondo per l’occupazione, e quindi non è tale da poter incidere, sia pure indirettamente, nella sfera legislativa e/o amministrativa della Regione.
Nel merito, quanto al comma 1 dell’art. 47, la difesa erariale deduce che l’importo aggiuntivo a carico del Fondo indicato nel comma 1 della norma impugnata è destinato a finanziare non già l’attività di formazione professionale, ma la contribuzione per spese generali di amministrazione relative al coordinamento operativo a livello nazionale a favore degli enti privati che tuttora gestiscono le attività formative, ove essi abbiano carattere nazionale e operino in più Regioni.
Quanto all’art. 48, essa osserva che la norma si limita a prevedere una possibile istituzione di fondi per effetto di un accordo interconfederale stipulato tra le organizzazioni sindacali datoriali e dei lavoratori; che – data la derivazione “pattizia” di tali fondi – il legislatore nazionale non può sovrapporsi agli accordi imponendo una dimensione regionale dei fondi; e infine che il necessario raccordo con l’attività di programmazione e attuazione della formazione professionale continua è comunque assicurato dalla prevista trasmissione obbligatoria dei progetti finanziabili alle Regioni territorialmente interessate.
Considerato in diritto1. – La Regione Emilia-Romagna impugna, in via principale, gli artt. 47 e 48 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), disciplinanti rispettivamente il «Finanziamento di interventi per la formazione professionale» ed i «Fondi interprofessionali per la formazione continua».
2. – Per ragioni di omogeneità della materia da decidere, tali questioni di legittimità costituzionale – sollevate con lo stesso ricorso insieme ad altre, concernenti diverse disposizioni del medesimo testo legislativo, ma prive di collegamento tra loro – possono essere oggetto di trattazione separata.
3. – L’art. 47 prevede al comma 1 che «Nell’ambito delle risorse preordinate sul fondo per l’occupazione di cui all’art. 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono determinati i criteri e le modalità per la destinazione dell’importo aggiuntivo di 1 milione di euro, per il finanziamento degli interventi di cui all’art. 80, comma 4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448».
Tale ultima norma destina 18 miliardi di lire «al finanziamento degli interventi di cui alla legge 14 febbraio 1987, n, 40, in materia di formazione professionale». A sua volta questa legge prevede la concessione «agli enti privati che svolgono attività rientranti nell’ambito delle competenze statali di cui all’art. 18 della legge 21 dicembre 1978, n. 845», legge quadro in materia di formazione professionale, di contributi «per le spese generali di amministrazione relative al coordinamento operativo a livello nazionale degli enti medesimi, non coperte da contributo regionale».
La Regione ricorrente ritiene che la norma impugnata violi la propria competenza legislativa residuale, e la relativa potestà amministrativa e finanziaria, in materia di formazione professionale, nonché, in linea subordinata, il principio di leale collaborazione tra Stato e Regione.
3.1. – La questione è fondata.
La norma impugnata – come si desume dalla sua formulazione letterale, nonostante la complessità dei molteplici richiami a disposizioni precedenti, e dalla stessa rubrica dell’art. 47 – disciplina interventi destinati alla formazione professionale: questa materia appartiene, nell’assetto definito dal nuovo art. 117 della Costituzione, alla competenza residuale delle Regioni, in quanto non è inclusa nell’elenco delle materie attribuite dal secondo comma alla legislazione dello Stato ed è nel contempo espressamente esclusa dall’ambito della potestà concorrente in materia di istruzione, sancita dal successivo terzo comma (v. sentenza n. 13 del 2004).
Non è, perciò, condivisibile la tesi dall’Avvocatura, secondo cui – in considerazione di quanto disposto dall’art. 18 della legge n. 40 del 1987, richiamato dall’art. 80, comma 4, della legge n. 448 del 1998, a sua volta richiamato dalla norma impugnata – l’importo aggiuntivo di cui si tratta esulerebbe dalla materia in esame, in quanto destinato a finanziare la mera contribuzione per spese generali di amministrazione relative al coordinamento operativo a livello nazionale a favore degli enti privati che tuttora gestiscono le indicate attività formative. Infatti – poiché il ricorso della Regione pone una questione di competenza – per la soluzione di essa è decisiva, quale che sia la destinazione del finanziamento, l’inerenza della normativa statale impugnata ad una materia (la formazione professionale) che è invece devoluta alla competenza legislativa residuale delle Regioni (art. 117, commi 3 e 4).
3.2. – Con riferimento ai finanziamenti disposti da leggi statali in favore di soggetti pubblici o privati (mediante la costituzione di appositi fondi o il rifinanziamento di fondi già esistenti), questa Corte ha più volte affermato che – dopo la riforma costituzionale del 2001 ed in attesa della sua completa attuazione in tema di autonomia finanziaria delle Regioni (cfr. sentenze n. 320 e n. 37 del 2004) – l'art. 119 della Costituzione pone, sin d’ora, al legislatore statale precisi limiti in tema di finanziamento di funzioni spettanti al sistema delle autonomie (sentenza n. 423 del 2004).
Anzitutto non è consentita l’erogazione di nuovi finanziamenti a destinazione vincolata in materie spettanti alla competenza legislativa, esclusiva o concorrente, delle Regioni (sentenze n. 16 del 2004 e n. 370 del 2003). Infatti il ricorso a questo tipo di finanziamento può divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza.
In secondo luogo – giacché «le funzioni attribuite alle Regioni ricomprendono pure la possibilità di erogazione di contributi finanziari a soggetti privati, dal momento che in numerose materie di competenza regionale le politiche pubbliche consistono appunto nella determinazione di incentivi economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalità per la loro erogazione» (sentenza n. 320 del 2004) – questa Corte ha ripetutamente chiarito che il tipo di ripartizione delle materie fra Stato e Regioni di cui all'art. 117 Cost., «vieta comunque che in una materia di competenza legislativa regionale, in linea generale, si prevedano interventi finanziari statali seppur destinati a soggetti privati, poiché ciò equivarrebbe a riconoscere allo Stato potestà legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle rispettive competenze» (sentenze n. 320, n. 423 e n. 424 del 2004).
3.3. – Sulla base di tali consolidati principî (ed a maggior ragione, trattandosi di interventi in materia di competenza regionale residuale) il comma 1 dell’art. 47 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo.
4. – Il comma 2 dell’art. 47 aggiunge nell’art. 118, comma 16, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), la previsione di una quota di finanziamento di 100 milioni di euro per il 2003 «per le attività di formazione nell’esercizio dell’apprendistato anche se svolte oltre il compimento del diciottesimo anno di età, con le modalità di cui all’art. 16 della legge 24 giugno 1997, n. 196»: si tratta delle iniziative di formazione esterne all’azienda, previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro, che l’amministrazione pubblica competente propone all’impresa, ed i cui contenuti formativi sono definiti con decreto del Ministro del lavoro, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, le associazioni di categorie dei datori di lavoro e le Regioni (comma 2 del citato art. 16).
La Regione ricorrente – come motivo di impugnazione dell’intero articolo – ritiene che anche questo comma violi la propria competenza legislativa residuale, e la relativa potestà amministrativa e finanziaria, in materia di formazione professionale, nonché, in linea subordinata, il principio di leale collaborazione tra Stato e Regione.
4.1. – La questione è infondata.
La sentenza n. 50 del 2004 – resa sulla legge 14 febbraio 2003, n. 30, recante “Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro” – ha chiarito (al n. 14, in fine, del “Considerato in diritto”) che nell’attuale assetto del mercato del lavoro la disciplina dell’apprendistato si colloca all’incrocio di una pluralità di competenze: esclusive dello Stato (ordinamento civile), residuali delle Regioni (formazione professionale), concorrenti di Stato e Regioni (tutela del lavoro, istruzione). E dunque – poiché le molteplici interferenze di materie diverse non consentono la soluzione delle questioni sulla base di criteri rigidi – la riserva alla competenza legislativa regionale della materia «formazione professionale» non può escludere la competenza dello Stato a disciplinare l’apprendistato per i profili inerenti a materie di sua competenza (cfr. anche, più oltre, n. 5.1.).
Beninteso un tale intervento legislativo dello Stato – proprio perché incidente su plurime competenze tra loro inestricabilmente correlate – deve prevedere strumenti idonei a garantire una leale collaborazione con le Regioni.
Nella specie – poiché la norma impugnata si limita a finanziare gli interventi statali a sostegno della formazione nell’apprendistato per l’anno 2003 (come ha fatto, successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 3, comma 137, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, che ha aggiunto altri 100 milioni di euro per l’anno 2004, e che non è stato impugnato in via principale) – l’esigenza del coinvolgimento delle Regioni non può che riguardare la ripartizione fra di esse dei fondi da erogare in tale anno.
Ma questo coinvolgimento delle Regioni si è di fatto concretamente realizzato (pur se non nella forma più pregnante costituita dall’intesa), in quanto la ripartizione (come risulta dalle premesse del decreto direttoriale 23 ottobre 2003) è stata attuata previo parere favorevole reso in data 13 ottobre 2003 dal «Coordinamento tecnico regioni per la formazione professionale e il lavoro».
Risultando quindi l’interesse della Regione ricorrente non insufficientemente tutelato, la censura deve ritenersi infondata.
5. – La Regione Emilia-Romagna impugna, altresì, l’art. 48 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, il quale modifica il già citato art. 118 della legge n. 388 del 2000, che a sua volta aveva istituito e regolamentato (peraltro in maniera sostanzialmente analoga) i fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua.
Il ricorso investe specificamente i commi 1, 2 e 6 dell’art. 118 della legge n. 388 del 2000, quali risultanti dalle menzionate modifiche.
In particolare: a) il nuovo comma 1 prevede che – al fine di promuovere, in coerenza con la programmazione regionale e con le funzioni di indirizzo attribuite in materia al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, lo sviluppo della formazione professionale continua, in un’ottica di competitività delle imprese e di garanzia di occupabilità dei lavoratori, possono essere istituiti, per ciascuno dei settori economici dell’industria, dell’agricoltura, del terziario e dell’artigianato, «fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua»; che tali fondi, previo accordo tra le parti, si possono articolare regionalmente o territorialmente; e che ad essi affluiscono i contributi dovuti dai datori di lavoro aderenti ai fondi, ai sensi della legislazione in materia di assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione; b) il nuovo comma 2 disciplina i poteri del Ministero del lavoro relativi ai fondi in esame e istituisce l’«Osservatorio per la formazione continua», c) il nuovo comma 6 prevede che ciascun fondo è istituito, sulla base di accordi interconfederali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale, alternativamente come soggetto giuridico di natura associativa ai sensi dell’art. 36 del codice civile, ovvero come soggetto dotato di personalità giuridica ai sensi degli artt. 1 e 9 del regolamento di cui al d.P.R. 10 febbraio 2000, n.361, concessa con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
La Regione ricorrente censura tali norme come lesive dell’art. 117, quarto comma, Cost., giacché il sistema della formazione professionale non può avere un livello nazionale di organizzazione e gestione; e dell’art. 118 Cost., poiché, una volta che i soggetti privati di gestione dei fondi siano stati costituiti, ogni potere amministrativo in relazione ad essi non può che spettare alla disciplina regionale, che provvederà ad assegnarne alla stessa Regione o ad altri enti la titolarità, la disciplina dell’attivazione, ed ove occorra la relativa autorizzazione, nonché la disciplina e l’esercizio della vigilanza e del monitoraggio sulla loro gestione, come pure le funzioni sanzionatorie e la nomina di membri o del presidente del collegio sindacale.
5.1. – La questione è fondata nei termini che seguono.
I «fondi interprofessionali per la formazione continua» disciplinati dalla norma impugnata operano in materia di formazione professionale, che appartiene alla competenza residuale della Regione. Tali fondi, peraltro, dal punto di vista strutturale, (a) hanno carattere nazionale (pur se possono articolarsi regionalmente o territorialmente) e sono istituiti da soggetti privati attivi sul piano nazionale; (b) possono essere istituiti e conseguentemente agire, alternativamente, o come soggetto giuridico di natura associativa ai sensi dell’art. 36 cod. civ., o come soggetto dotato di personalità giuridica ai sensi degli artt. 1 e 9 del d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361. Inoltre essi, dal punto di vista funzionale, (c) gestiscono i contributi dovuti dai datori di lavoro ad essi aderenti, ai sensi della legislazione in materia di assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione.
Ne discende che, in relazione alla loro natura ed alle relative forme di costituzione di cui sub (a) e (b), la disciplina dell’istituzione dei fondi in esame incide sulla materia dell’«ordinamento civile» spettante alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.). In relazione, poi, all’attività indicata sub c), la normativa impugnata viene ad incidere anche nella materia della «previdenza sociale», devoluta anch’essa alla medesima competenza esclusiva (art. 117, secondo comma, lettera o, Cost.).
Perciò la riserva alla competenza legislativa regionale residuale della «formazione professionale» non può precludere allo Stato la competenza di riconoscere a soggetti privati la facoltà di istituire, in tale materia, fondi operanti sull’intero territorio nazionale, di specificare la loro natura giuridica, di affidare ad autorità amministrative statali poteri di vigilanza su di essi, anche in considerazione della natura previdenziale dei contributi che vi affluiscono.
E’ evidente, peraltro, che un tale intervento legislativo dello Stato – a tutela di interessi specificamente attinenti a materie attribuite alla sua competenza legislativa esclusiva – deve rispettare la sfera di competenza legislativa spettante alle Regioni in via residuale (o, eventualmente, concorrente).
5.2. – Nella specie, viceversa, la normativa impugnata è strutturata come se dovesse disciplinare una materia integralmente devoluta alla competenza esclusiva dello Stato.
Infatti, il sistema da essa delineato lascia le Regioni sullo sfondo, prendendo in considerazione la loro posizione (e le loro rispettive competenze) solo per proclamare un generico intento di «coerenza con la programmazione regionale» (incipit del comma 1 dell’art. 48: peraltro questo intento viene subito dopo contraddetto dall’esplicito riferimento alle «funzioni di indirizzo attribuite in materia [di formazione professionale continua] al Ministero del lavoro e delle politiche sociali»), ovvero per riservare ad esse una posizione di mere destinatarie di comunicazioni (seconda parte del medesimo comma 1).
Pertanto il legislatore statale – qualora ritenga, nella sua discrezionalità, di prevedere che le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale possano istituire fondi interprofessionali di formazione continua, a carattere nazionale – ben potrà regolare la loro natura giuridica, i poteri su di essi spettanti ad autorità amministrative statali, e i contributi ad essi affluenti. Ma dovrà articolare siffatta normativa in modo da rispettare la competenza legislativa delle Regioni a disciplinare il concreto svolgimento sul loro territorio delle attività di formazione professionale, e in particolare prevedere strumenti idonei a garantire al riguardo una leale collaborazione fra Stato e Regioni.
La norma impugnata deve quindi essere dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui non prevede strumenti idonei a garantire una leale collaborazione fra Stato e Regioni.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), sollevate dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 1, della citata legge 27 dicembre 2002, n. 289;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 48 della legge n. 289 del 2002, nella parte in cui non prevede strumenti idonei a garantire una leale collaborazione fra Stato e Regioni;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 2, della legge n. 289 del 2002, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.
Valerio ONIDA, Presidente
Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2005.