SENTENZA N. 13
ANNO 2004
Commenti alla decisione di
I. Renzo Dickmann, La Corte amplia la portata del principio di continuità (osservazioni a Corte Cost., 13 gennaio 2004, n. 13) (per gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)
II. Annamaria Poggi, Un altro pezzo del ''mosaico'': una sentenza importante per la definizione del contenuto della competenza legislativa concorrente delle Regioni in materia di istruzione (per gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)
III. Pietro Milazzo, La Corte costituzionale interviene sul riparto di competenze legislative in materia di istruzione e “raffina” il principio di continuità (per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA “
- Carlo MEZZANOTTE “
- Fernanda CONTRI “
- Guido NEPPI MODONA “
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 22, commi 3 e 4, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002), promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna notificato il 27 febbraio 2002, depositato l’8 marzo successivo ed iscritto al n. 23 del registro ricorsi 2002.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 17 giugno 2003 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. — La Regione Emilia-Romagna ha proposto questione di legittimità costituzionale in via principale, in riferimento agli articoli 117 e 118, primo comma, della Costituzione, dell’art. 22, commi 3 e 4, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002).
Nel ricorso, con il quale sono impugnate congiuntamente più disposizioni della citata legge n. 448 del 2001, si osserva preliminarmente che lo Stato ha una riserva di competenza in materia di sistema tributario e finanziario, ma che l’inserimento nella legge finanziaria di disposizioni che sono estranee al contenuto tipico della legge non può costituire un modo per sfuggire al rigido riparto delle potestà legislative definito dall’art. 117 Cost., il quale impone allo Stato di esibire sempre un titolo di competenza quando eserciti la sua funzione legislativa.
Nello specifico, la ricorrente deduce che il denunciato art. 22, commi 3 e 4, nel porre disposizioni in materia di organizzazione scolastica con riferimento alla definizione delle dotazioni organiche del personale docente e all’orario di lavoro, affida la competenza a definire le dotazioni organiche a un organo statale di livello regionale - l’ufficio scolastico regionale - con ciò violando il principio di sussidiarietà e adeguatezza di cui al primo comma dell’art. 118 Cost.
Inoltre, in una materia di competenza concorrente qual è l’istruzione, il legislatore statale non si atterrebbe alla sola determinazione dei principî fondamentali, ma interverrebbe con norme organizzative specifiche attinenti alle dotazioni organiche che non potrebbero essere considerate semplici norme di razionalizzazione della spesa, ma, al contrario, previsioni in grado di incidere profondamente sull’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Il comma 4, si argomenta ancora nel ricorso, impone poi di computare l’impegno dei docenti esclusivamente sulla base dell’orario d’obbligo, calcolato sulle ore di lezione frontale, e in tale modo impedirebbe agli istituti scolastici di mantenere in vita attività sperimentali avviate con i decreti delegati del 1974 e ancor più valorizzate dall’art. 21 della legge n. 59 del 1997, con il riconoscimento alle istituzioni scolastiche di un’autonomia che si esprime, in particolare, tramite i principî di flessibilità e diversificazione dei servizi scolastici e ciò anche “mediante il superamento dei vincoli in materia di unità oraria della lezione” (comma 8).
Ad avviso della ricorrente, ne deriverebbe un grave impoverimento del sistema scolastico ed una violazione delle attribuzioni regionali, che non potranno esercitare la loro competenza legislativa concorrente, inserendosi in un quadro organizzativo già pregiudicato, e subiranno una vulnerazione delle loro potestà sul piano finanziario, a causa della riduzione delle risorse che lo Stato dovrà trasferire alle Regioni per far fronte alle nuove competenze in materia.
2. — Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale osserva come la ricorrente Regione Emilia-Romagna lamenti non che i denunciati commi 3 e 4 dell’art. 22 della legge n. 448 del 2001, dettati da esigenze di risparmio finanziario, violino la competenza legislativa concorrente, ma che potrebbero, in futuro, compromettere l’esercizio delle potestà regionali. Da ciò l’assenza di una concreta ed attuale lesione delle attribuzioni costituzionali della Regione.
3. ¾ Con memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Emilia-Romagna, nel contestare quanto sostenuto nell’atto di costituzione della difesa erariale, assume di non dolersi di un pregiudizio “solo futuro” delle potestà regionali in materia di istruzione, bensì di un pregiudizio “attuale e grave”, giacché le disposizioni denunciate introducono non già principî fondamentali, ma una normativa di dettaglio che, “in nome di un risparmio finanziario di modesta entità”, produrrebbero tuttavia “effetti di grande portata sul sistema scolastico”. In particolare, la Regione ricorrente si duole del fatto che i commi 3 e 4 dell’art. 22, anziché “provvedere ai necessari passaggi di funzioni, personale e uffici alle Regioni”, rafforzerebbero, in violazione del principio di sussidiarietà ed adeguatezza, la competenza dell’ufficio regionale scolastico e cioè di un organo statale di livello regionale. Inoltre, le medesime disposizioni inciderebbero profondamente sull’autonomia delle istituzioni scolastiche, impedendo a queste ultime di mantenere in vita attività sperimentali ormai ampliamente collaudate, con il conseguente pregiudizio all’esercizio delle attribuzioni legislative regionali nella materia, che dovrebbe svolgersi in un quadro organizzativo e finanziario gravemente deteriorato dall’illegittimo intervento statale. Deduce ancora la ricorrente che la competenza dello Stato in materia di coordinamento finanziario nazionale e la necessaria gradualità nel passaggio di compiti normativi tra Stato e Regioni non possono comunque giustificare la “violazione attiva” delle competenze regionali e del principio di leale collaborazione. Nel caso di specie lo Stato avrebbe, invece, operato unilateralmente e ciò per perseguire l’interesse ad un modesto risparmio finanziario, sì da pregiudicare però quello, ben più rilevante, legato alla qualità dell’istruzione pubblica.
Considerato in diritto
1. ¾ La Regione Emilia-Romagna ha sollevato, in riferimento agli articoli 117 e 118, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dei commi 3 e 4 dell’art. 22 della legge n. 448 del 2001, i quali dettano disposizioni in materia di organizzazione scolastica concernenti la definizione delle dotazioni organiche del personale docente e l’orario di lavoro.
2. ¾ Una prima censura investe l’art. 22, comma 3, nella parte in cui affida ad un organo statale il compito di distribuire, nell’ambito della Regione, il personale docente fra le varie istituzioni scolastiche. Ad avviso della ricorrente questa disposizione non si limiterebbe ad imporre principî organizzativi in materia di istruzione, ma conterrebbe norme di dettaglio; essa lederebbe pertanto le attribuzioni legislative regionali in materia di istruzione, oggetto di potestà concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., e violerebbe i principi di sussidiarietà ed adeguatezza di cui all’art. 118, primo comma, Cost.
La questione è fondata nei termini di seguito precisati.
Per cogliere appieno la portata della censura è opportuno richiamare il quadro normativo che le fa da sfondo.
Lo stesso art. 22, al comma 1, che non forma oggetto di alcuna contestazione, stabilisce che nell’ottica “della piena valorizzazione dell’autonomia e di una migliore qualificazione dei servizi scolastici, le dotazioni organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche autonome sono costituite sulla base del numero degli alunni iscritti, delle caratteristiche e delle entità orarie dei curricoli obbligatori relativi ad ogni ordine e grado di scuola, nonché nel rispetto di criteri e di priorità che tengano conto della specificità dei diversi contesti territoriali, delle condizioni di funzionamento delle singole istituzioni e della necessità di garantire interventi a sostegno degli alunni in particolari situazioni”, avuto anche riguardo alle esigenze di assicurare adeguati servizi scolastici nelle zone montane e nelle isole minori. In base al comma 2 del medesimo art. 22, anch’esso estraneo all’odierna impugnazione, “il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca definisce con proprio decreto, emanato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, i parametri per l’attuazione di quanto previsto dal comma 1 e provvede alla determinazione della consistenza complessiva degli organici del personale docente ed alla sua ripartizione su base regionale”.
In questo contesto si inserisce il comma 3, che a sua volta stabilisce: “Le dotazioni organiche di cui al comma 1 sono definite, nell’ambito di ciascuna Regione, dal dirigente preposto all’ufficio scolastico regionale, su proposta formulata dai dirigenti delle istituzioni scolastiche interessate, sentiti i competenti organi collegiali delle medesime istituzioni, nel limite dell’organico regionale assegnato con il decreto di cui al comma 2, assicurando una distribuzione degli insegnanti di sostegno all’handicap correlata all’effettiva presenza di alunni iscritti portatori di handicap nelle singole istituzioni scolastiche”.
Tale funzione di amministrazione attiva non è nuova, poiché già prevista dall’art. 75, comma 3, del decreto legislativo n. 300 del 1999, il quale ha istituito gli uffici scolastici regionali quali articolazioni periferiche del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e li ha costituiti come uffici di livello dirigenziale generale ed autonomi centri di responsabilità amministrativa. Ad essi è stata affidata larga parte delle funzioni statali in materia di istruzione, tra le quali le funzioni relative proprio all’assegnazione delle risorse finanziarie e di personale alle istituzioni scolastiche oltre quelle inerenti all’attività di supporto alle istituzioni scolastiche autonome, quelle riguardanti i rapporti con le amministrazioni regionali e con gli enti locali, con le università e le agenzie formative, nonché quelle relative al reclutamento e alla mobilità del personale scolastico. A ciò si aggiunge il compito di realizzare un coordinato esercizio delle funzioni pubbliche in materia di istruzione, per il quale lo stesso comma 3 dell’art. 75 citato ha previsto la costituzione presso ciascun ufficio scolastico regionale di un organo collegiale a composizione mista, con rappresentanti dello Stato, della Regione e delle altre autonomie territoriali interessate. Per i profili organizzativi si è provveduto con il d.P.R. n. 347 del 2000, la cui entrata in vigore ha coinciso con la soppressione dei precedenti organi di amministrazione attiva, e cioè delle sovrintendenze scolastiche regionali e dei provveditorati agli studi, e con la contestuale assegnazione agli uffici scolastici regionali di “tutte le funzioni già spettanti agli uffici periferici dell’amministrazione della pubblica istruzione a norma della vigente legislazione” (art. 6 del d.P.R. n. 347 del 2000 adottato in forza della disposizione delegificante di cui all’art. 75, comma 3, del d.lgs. n. 300 del 1999).
Pur rimanendo escluse le funzioni il cui esercizio è affidato alle istituzioni scolastiche nonché le funzioni riservate all’amministrazione centrale dal medesimo d.P.R. n. 347, ovvero non conferite alle Regioni e agli enti locali (secondo quanto previsto dal d.lgs. n. 112 del 1998, agli artt. 138 e 139), gli uffici scolastici regionali svolgono comunque compiti assai consistenti, seppure in raccordo con i dipartimenti e con i servizi centrali. Le numerose funzioni di cui sono oggi titolari, specificamente elencate nell’art. 6 del citato d.P.R. n. 347, oltre all’assegnazione delle risorse finanziarie e alle competenze attinenti alle relazioni sindacali, non attribuite alle istituzioni scolastiche o non riservate all’amministrazione centrale, comprendono appunto l’assegnazione di personale alle istituzioni scolastiche, funzione, quest’ultima, che viene ribadita ed ulteriormente precisata dall’impugnato comma 3 dell’art. 22 della legge n. 448 del 2001.
3. ¾ Secondo il riparto concepito sotto il vigore dell’art. 117 Cost. nella sua originaria formulazione, le competenze regionali proprie non oltrepassavano l’istruzione artigiana e professionale e l’assistenza scolastica, ogni altra competenza essendo esercitata dalla Regione su delega statale. Lo Stato, conformemente ai caratteri propri di tale strumento organizzativo, poteva dunque trattenere per sé qualsiasi profilo di disciplina della materia, con l’effetto che le funzioni delegate alle Regioni potevano risultare frammentarie e disorganiche.
Tutto ciò non è più possibile nel quadro costituzionale definito dalla riforma del Titolo V, giacché la materia istruzione (“salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”) forma oggetto di potestà concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), mentre allo Stato è riservata soltanto la potestà legislativa esclusiva in materia di “norme generali sull’istruzione” [art. 117, secondo comma, lettera n)].
Ai fini della presente decisione non è necessario definire interamente le rispettive sfere di applicazione e il tipo di rapporto tra le “norme generali sull’istruzione” e i “principî fondamentali”, le prime di competenza esclusiva dello Stato ed i secondi destinati a orientare le Regioni chiamate a svolgerli. Nel complesso intrecciarsi in una stessa materia di norme generali, principî fondamentali, leggi regionali e determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche, si può assumere per certo che il prescritto ambito di legislazione regionale sta proprio nella programmazione delle rete scolastica. E’ infatti implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall’art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998. Questo, per la parte che qui rileva, disponeva che alle Regioni fossero delegate le funzioni amministrative relative alla programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, alla suddivisione, sulla base anche delle proposte degli enti locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa e, soprattutto, alla programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle disponibilità di risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali, assicurando il coordinamento con la programmazione dell’offerta formativa integrata. In una parola era conferito alle Regioni, nell’ambito della programmazione e della gestione del servizio scolastico, tutto quanto non coinvolgesse gli aspetti finanziari e la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche.
Una volta attribuita l’istruzione alla competenza concorrente, il riparto imposto dall’art. 117 postula che, in tema di programmazione scolastica e di gestione amministrativa del relativo servizio, compito dello Stato sia solo quello di fissare principî. E la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche, che certamente non è materia di norme generali sulla istruzione, riservate alla competenza esclusiva dello Stato, in quanto strettamente connessa alla programmazione della rete scolastica, tuttora di competenza regionale, non può essere scorporata da questa e innaturalmente riservata per intero allo Stato; sicché, anche in relazione ad essa, la competenza statale non può esercitarsi altro che con la determinazione dei principî organizzativi che spetta alle Regioni svolgere con una propria disciplina.
4. ¾ Avuto dunque riguardo all’assetto di competenze prefigurato dall’art. 117, terzo comma, Cost. la questione sollevata dalla Regione Emilia-Romagna deve essere dichiarata fondata, giacché la distribuzione del personale docente tra le istituzioni scolastiche autonome è compito del quale le Regioni non possono essere private; né l’esigenza di attendere l’attuazione dei principî costituzionali in tema di finanza regionale può giustificare il fatto che questa funzione gestoria sia anch’essa posta in quiescenza. Nelle more dell’attuazione dell’art. 119 Cost., e quindi nell’ambito delle norme finanziarie attualmente vigenti e delle persistenti competenze dello Stato ed in vista della compiuta realizzazione del disegno costituzionale, ben possono le Regioni esercitare le competenze gestorie che la Costituzione ad esse attribuisce.
La caducazione immediata del censurato comma 3 dell’art. 22, sollecitata dalla Regione ricorrente, provocherebbe tuttavia effetti ancor più incompatibili con la Costituzione. Alla erogazione del servizio scolastico sono collegati diritti fondamentali della persona, che fanno capo in primo luogo agli studenti ed alle loro famiglie, ma che riguardano anche il personale docente e le aspettative di questo circa la propria posizione lavorativa. Vi è qui una evidente esigenza di continuità di funzionamento del servizio di istruzione che non a caso la legge n. 146 del 1990 qualifica, all’art. 1, servizio pubblico essenziale. Quel principio di continuità che questa Corte ha già riconosciuto operare, sul piano normativo, nell’avvicendamento delle competenze costituzionali dello Stato e delle Regioni ed in virtù del quale le preesistenti norme statali continuano a vigere nonostante il mutato assetto delle attribuzioni fino all’adozione di leggi regionali conformi alla nuova competenza (sentenza n. 13 del 1974 e da ultimo sentenza n. 376 del 2002), deve essere ora ampliato per soddisfare l’esigenza della continuità non più normativa ma istituzionale, giacché soprattutto nello Stato costituzionale l’ordinamento vive non solo di norme, ma anche di apparati finalizzati alla garanzia dei diritti fondamentali. In tema di istruzione la salvaguardia di tale dimensione è imposta da valori costituzionali incomprimibili.
Il tipo di pronuncia che questa Corte è chiamata ad adottare è suggerito insomma dall’esigenza di tenere insieme il rispetto del riparto delle competenze costituzionali e la continuità del servizio scolastico. L’art. 22, comma 3, della legge n. 448 del 2001 deve pertanto continuare ad operare fino a quando le singole Regioni si saranno dotate di una disciplina e di un apparato istituzionale idoneo a svolgere la funzione di distribuire gli insegnanti tra le istituzioni scolastiche nel proprio ambito territoriale secondo i tempi e i modi necessari ad evitare soluzioni di continuità del servizio, disagi agli alunni e al personale e carenze nel funzionamento delle istituzioni scolastiche.
5. ¾ Una seconda censura riguarda il comma 4 dell’art. 22 della legge n. 448 del 2001, secondo cui “nel rispetto dell’orario di lavoro definito dai contratti collettivi vigenti, i dirigenti scolastici attribuiscono ai docenti in servizio nell’istituzione scolastica, prioritariamente e con il loro consenso, le frazioni inferiori a quelle stabilite contrattualmente come ore aggiuntive di insegnamento oltre l’orario d’obbligo fino ad un massimo di 24 ore settimanali“. La Regione Emilia-Romagna ne denuncia il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. poiché, a suo avviso, computare l’impegno dei docenti esclusivamente sulla base dell’orario d’obbligo, calcolato sulle ore di lezione frontale, significherebbe impedire agli istituti scolastici di mantenere in vita attività sperimentali avviate con i decreti delegati del 1974 ed ancor più valorizzate dall’art. 21 della legge n. 59 del 1997, che ha riconosciuto alle istituzioni scolastiche un’autonomia destinata ad esprimersi secondo i principî di flessibilità e diversificazione dei servizi scolastici ed anche attraverso il superamento dei vincoli in materia di unità oraria della lezione (comma 8).
La questione non è fondata.
E’ opportuno chiarire preliminarmente il significato della disposizione. Essa si limita ad affermare il principio della preferenza dei docenti in servizio nell’istituzione scolastica nell’assegnazione delle frazioni delle ore aggiuntive di insegnamento fino ad un massimo, anch’esso previsto contrattualmente, di 24 ore settimanali. Non si tratta quindi di precludere attività didattiche già avviate, ma di preferire nello svolgimento anche di queste attività il personale già assegnato all’istituzione scolastica, sempre che tale personale presti il suo consenso e che le frazioni inferiori a quelle stabilite contrattualmente non costituiscano per i docenti in servizio completamento dell’orario d’obbligo previsto dalla contrattazione collettiva.
Così precisatone il significato, è evidente che la disposizione enuncia un principio al quale devono attenersi le istituzioni scolastiche ancorché dotate di autonomia.
Non vi è dunque alcuna lesione delle attribuzioni legislative regionali, né, come ipotizza la ricorrente, dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. A prescindere dalla questione se una Regione possa censurare leggi statali ritenute lesive dell’autonomia scolastica, è assorbente il rilievo che tale autonomia non può risolversi nella incondizionata libertà di autodeterminazione, ma esige soltanto che a tali istituzioni siano lasciati adeguati spazi di autonomia che le leggi statali e quelle regionali, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, non possono pregiudicare. E tali spazi non vengono illegittimamente compressi dalla disposizione censurata, che si limita ad affermare a favore dei docenti già in servizio il principio di preferenza nella assegnazione di ore aggiuntive di insegnamento fino al massimo contrattualmente previsto di 24 ore settimanali.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservate a separate decisioni le restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 22, comma 3, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002), nella parte in cui non prevede che la competenza del dirigente preposto all’Ufficio scolastico regionale venga meno quando le Regioni, nel proprio ambito territoriale e nel rispetto della continuità del servizio di istruzione, con legge, attribuiscano a propri organi la definizione delle dotazioni organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 22, comma 4, della medesima legge 28 dicembre 2001, n. 448, sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe indicato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2004.