SENTENZA N. 61
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 14, commi 1, 2, 3 e 6, e 21 della legge della Regione Valle d’Aosta 3 dicembre 2007, n. 31 (Nuove disposizioni in materia di gestione dei rifiuti) e dell’art. 64 della legge della Regione Valle d’Aosta 13 marzo 2008, n. 5 (Disciplina delle cave, delle miniere e delle acque minerali naturali, di sorgente e termali), promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri notificati il 15 febbraio e il 20 giugno 2008, depositati in cancelleria il 25 febbraio e il 26 giugno 2008 ed iscritti ai nn. 13 e 30 del registro ricorsi 2008.
Visti gli atti di costituzione della Regione Valle d’Aosta;
udito nell’udienza pubblica del 27 gennaio 2009 il Giudice relatore Paolo Maddalena;
uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Francesco Saverio Marini per la Regione Valle d’Aosta.
Ritenuto in fatto
1. Con ricorso notificato il 15 febbraio 2008, depositato il successivo 25 febbraio ed iscritto al n. 13 del registro ricorsi dell’anno 2008, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto, in relazione agli artt. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione e 2, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), questione di legittimità costituzionale degli artt. 14, commi 1, 2, 3 e 6, e 21 della legge della Regione Valle d’Aosta 3 dicembre 2007, n. 31 (Nuove disposizioni in materia di gestione dei rifiuti).
2. Il Presidente del Consiglio dei ministri premette che «nonostante le Regioni abbiano una competenza legislativa concorrente in materia di “governo del territorio”, competenza riconosciuta anche alle Regioni a statuto speciale attraverso legge costituzionale n. 3/2001, la materia gestione dei rifiuti rientra nella potestà esclusiva statale per i profili attinenti la tutela dell’ambiente, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera s, Cost.» e che le disposizioni di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), costituiscono standard minimi ed uniformi di tutela dell’ambiente inderogabili per i legislatori regionali.
La difesa erariale premette, ancora, che, per il «combinato disposto dell’art. 117, comma 1, Cost. e dell’art. 2, comma 1, legge costituzionale n. 4/1948, recante lo Statuto speciale per la Regione Valle d’Aosta» sono inderogabili per la Regione pure le norme dettate dalle fonti comunitarie intervenute in materia di rifiuti, in specie le direttive 75/422/CEE e 2006/12/CE, nonché i principi delineati al riguardo dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, la quale ha elaborato, in particolare, la definizione di rifiuto.
2.1. Ciò premesso, il Presidente del Consiglio dei ministri censura, anzitutto, i commi 1 e 2 dell’art. 14 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 31 del 2007, i quali prevedono:
- (art. 14, comma 1) che «i materiali inerti da scavo non costituiscono rifiuti e non sono assoggettati alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 152/2006, qualora derivanti esclusivamente da suoli naturali, da versanti in frana o conseguenti ad attività di sistemazione idraulica e manutenzione di alvei di fiumi e di torrenti, la cui qualità ambientale risulti essere corrispondente almeno allo stato chimico di buono, come definito dall’art. 74, comma 2, lettera z), del d.lgs. n. 152/2006. La provenienza del materiale deve essere espressamente dichiarata dal progettista in fase di progettazione preliminare delle relative opere o, nel caso di interventi assoggettati a denuncia di inizio attività, dal soggetto titolare dell’intervento cui le opere si riferiscono»;
- (art. 14, comma 2) che «i materiali inerti da scavo non costituiscono rifiuti qualora risultino non pericolosi, previa apposita caratterizzazione effettuata in conformità alle procedure analitiche di cui all’art. 186, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, se derivanti da:
a) siti per i quali risultino in corso le procedure di bonifica ai sensi della parte IV, titolo V, del d.lgs. n. 152/2006;
b) siti già assoggettati ad attività finalizzate alla bonifica o alla messa in sicurezza permanente;
c) siti già destinati ad attività di gestione dei rifiuti, quali impianti di smaltimento o recupero di rifiuti;
d) siti ove siano state esercitate attività produttive commerciali, artigianali e industriali che risultino dimesse e che possano aver provocato fenomeni di contaminazione ambientale, ad esclusione delle attività agricole;
e) attività di sistemazione idraulica e di manutenzione di alvei di fiumi e di torrenti la cui qualità ambientale non risulti essere corrispondente almeno allo stato chimico di buono, come definito dall’art. 74, comma 2, lettera z), del d.lgs. n. 152/2006».
2.2. Il ricorrente censura tali disposizioni sotto due diversi profili.
2.2.1. Ne lamenta, per un verso, il contrasto con il diritto comunitario e, pertanto, la contrarietà al «combinato disposto degli artt. 117, comma 1, Cost. e 2, comma 1, della l. cost. 4/1948», in quanto esse, stabilendo in via astratta condizioni al presentarsi delle quali i materiali inerti da scavo non costituiscono rifiuti, prevedrebbero delle esclusioni generalizzate o presunzioni assolute di esclusione degli inerti da scavo dal campo di applicazione della normativa dei rifiuti, laddove per il diritto comunitario (art. 1 della direttiva 2006/12/CE) è rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto […] di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi» e per la giurisprudenza della Corte di Giustizia (viene richiamata in proposito la sentenza 18 aprile 2002, causa C‑9/00, Palin Granit), la verifica dell’intenzione del detentore di disfarsi del bene o della sostanza non può essere effettuata in astratto, ma deve avvenire in base ad una valutazione «caso per caso».
2.2.2. Ne lamenta, per altro verso, la contrarietà all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto esse recherebbero una disciplina divergente e di minore tutela ambientale rispetto a quella dell’art. 186, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, per il quale «le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ed i residui della lavorazione della pietra destinate all’effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati non costituiscono rifiuti e sono, perciò, esclusi dall’ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto solo nel caso in cui, anche quando contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzati, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale ovvero, qualora il progetto non sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall’autorità amministrativa competente, ove ciò sia espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell’ambiente, sempreché la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore a determinati limiti massimi».
2.3. Il ricorrente censura, in via consequenziale, anche il comma 3 dell’art. 14 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 31 del 2007, secondo cui «i materiali inerti da scavo che non costituiscono rifiuti ai sensi dei commi 1 e 2 devono essere avviati, in via prioritaria, ad attività di riutilizzo diretto o ad attività di riutilizzo presso impianti fissi di lavorazione di inerti; qualora ciò non sia possibile, devono essere destinati ad attività quali la gestione ordinaria di discariche, l’utilizzo in operazioni di bonifica o messa in sicurezza permanente di siti contaminati, il recupero ambientale di siti già destinati ad attività estrattive, il recupero di versanti e di zone di frana, i miglioramenti fondiari ed agrari, o qualunque altra opera, di titolarità pubblica o privata, per la quale sia necessario l’utilizzo di terra, rocce, ghiaia e sabbia».
L’illegittimità di questa disposizione deriverebbe dalla circostanza che essa regola la gestione di materiali inerti da scavo che il ricorrente assume essere stati illegittimamente sottratti alla più rigorosa disciplina statale dagli impugnati commi 1 e 2.
2.4. Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, poi, il comma 6 dell’art. 14 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 31 del 2007, per il quale «la realizzazione e l’esercizio delle aree di stoccaggio attrezzate dei materiali inerti da scavo non sono assoggettate alle procedure autorizzative di cui al d.lgs. n. 152/2006».
Tale disposizione regionale contrasterebbe con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto recherebbe una disciplina divergente e di minore tutela ambientale rispetto a quella dell’art. 186 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il quale detta una disciplina procedurale per il riutilizzo dei materiali inerti da scavo «molto rigorosa» e «ne esclude l’applicazione solamente per i materiali inerti da scavo già oggetto di caratterizzazione, non contaminati e, quindi, non rientranti nel regime dei rifiuti».
2.5. Il ricorrente censura, infine, l’art. 21 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 31 del 2007 secondo cui:
- (art. 21, comma 1) «i centri comunali di conferimento dei rifiuti urbani, attivati dai subATO a seguito della riorganizzazione dei servizi di raccolta e trasporto, costituiscono fase di conferimento per la consegna, anche in forma differenziata, dei rifiuti da parte dei produttori di rifiuti urbani e di rifiuti speciali assimilabili agli urbani»;
- (art. 21, comma 2) «i centri di cui al comma 1, denominati anche isole ecologiche, in quanto assicurano il raggruppamento dei rifiuti urbani e dei rifiuti speciali assimilabili agli urbani in frazioni merceologiche omogenee ai fini della raccolta e del successivo avvio alle operazioni di smaltimento e di recupero, non costituiscono operazioni di smaltimento o di recupero, come definite negli allegati B e C alla parte IV del d.lgs. n. 152/2006, e non sono assoggettati alle procedure autorizzative di cui agli artt. 208 e 216 del medesimo decreto».
Il ricorrente censura queste disposizioni nella parte in cui prevedono che tali centri non debbano essere assoggettati ad autorizzazione e che le operazioni di conferimento non siano considerate quali operazioni di recupero o di smaltimento, sostenendone il contrasto con la direttiva 2006/12/CE (punto R 13 dell’allegato 2 B e punto D15 dell’allegato 2A) e con il d.lgs. n. 152 del 2006 (punto R 13 dell’allegato C e punto D15 dell’allegato B), che considererebbero le ecopiazzole o isole ecologiche quali centri di stoccaggio, nella forma della messa a riserva, nel caso in cui i rifiuti siano destinati ad operazioni di recupero, ovvero del deposito preliminare, nel caso in cui gli stessi siano destinati ad operazioni di smaltimento, e le sottoporrebbero, pertanto, al regime autorizzatorio previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006.
In questo senso l’impugnato art. 21 violerebbe sia il combinato disposto dell’art. 117, primo comma, della Costituzione e dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale n. 4 del 1948, sia l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
2.6. La difesa erariale precisa, infine, che le disposizioni impugnate «sono censurabili anche a fronte delle modifiche apportate agli artt. 183 e 186 del d.lgs. 152/2006 dal d.lgs. 4/2008 che è stato pubblicato il 29 gennaio 2008 seppure non ancora in vigore».
3. La Regione autonoma Valle d’Aosta si è costituita, eccependo genericamente l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.
3.1. Con successiva memoria la difesa regionale sviluppa le proprie argomentazioni, prospettando, anzitutto, taluni motivi di inammissibilità.
Per la difesa regionale il ricorso sarebbe inammissibile, in primo luogo, per carenza di motivazione in ordine all’applicabilità ad una Regione speciale di una norma del Titolo V della Costituzione, essendo proposto, in relazione all’art. 117, primo e secondo comma, della Costituzione, senza considerare le competenze statutarie della Regione Valle d’Aosta in materie interferenti con quella ambientale, quali la competenza primaria in materia di urbanistica (art. 2, primo comma, lettera g, dello statuto speciale) e di tutela del paesaggio (art. 2, primo comma, lettera q) e quella di attuazione-integrazione in materia di igiene e sanità, assistenza ospedaliera e profilattica (art. 3, primo comma, lettera l), e senza valutare comparativamente i due sistemi (ordinario e speciale) di autonomia regionale.
Né, per la stessa difesa, sarebbe possibile superare tale grave carenza argomentativa del ricorso in base alla «semplice menzione» in esso contenuta dell’art. 2, primo comma, dello statuto speciale della Regione Valle d’Aosta, in combinato disposto con il primo comma dell’art. 117 della Costituzione, quali parametri costituzionali alla stregua dei quali valutare il contrasto con la normativa comunitaria in materia di gestione dei rifiuti, dacché «tale riferimento […] avrebbe dovuto accompagnarsi all’individuazione ed alla considerazione delle competenze legislative riconosciute alla Regione dalla medesima disposizione statutaria», della quali non vi è tuttavia traccia.
Il ricorso sarebbe inammissibile, in secondo luogo, per la erronea individuazione delle norme interposte che integrano il parametro di costituzionalità, dacché il ricorrente, errando sulla vigenza del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), avrebbe richiamato gli artt. 183 e 186 del d.lgs. n. 152 del 2006 nel testo vigente anteriormente e non in quello vigente al momento della proposizione del ricorso, cioè quello risultante dopo le modifiche apportate dal decreto legislativo correttivo n. 4 del 2008.
Il ricorso sarebbe inammissibile, in terzo luogo, per la non adeguata motivazione in ordine alla permanenza dell’interesse ad agire a fronte della sostituzione degli artt. 183 e 186 da parte del d.lgs. n. 4 del 2008, dato che, secondo la difesa regionale, con la novella del 2008 il legislatore statale avrebbe accolto una nozione giuridica meno restrittiva di terre e rocce da scavo ed avrebbe introdotto una disciplina meno rigorosa e meno protettiva per l’ambiente rispetto a quella regionale censurata tanto in riferimento agli inerti da scavo quanto in riferimento alle isole ecologiche.
3.2. Nella memoria la difesa regionale argomenta, poi, la dedotta infondatezza del ricorso.
3.2.1. Quanto all’art. 14 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 31 del 2007, la difesa regionale sostiene che: a) la disposizione, lungi da prevedere un’esclusione generalizzata dei materiali inerti da scavo dalla nozione di rifiuto, si collocherebbe all’interno di una più ampia disciplina, che consentirebbe di realizzare quella valutazione caso per caso richiesta dalla giurisprudenza comunitaria, nonché di verificare l’intenzione del detentore di disfarsi del bene o del materiale considerato; b) essa detterebbe una disciplina non meno rigorosa, ma semmai più protettiva dell’ambiente di quella statale di cui agli artt. 183 e 186 del d.lgs. n. 152 del 2006, come sostituiti dal decreto legislativo n. 4 del 2008.
Ciò emergerebbe dall’art. 13, comma 1, lettera a), della legge regionale impugnata, che, definendo la nozione di materiali inerti da scavo, tiene conto non solo delle loro caratteristiche e provenienza, ma anche della loro destinazione alla riutilizzazione, «direttamente o presso impianti fissi di lavorazione di inerti per aggregati, o ad essere avviati ad operazioni di reimpiego in recuperi ambientali, recuperi di versante, bonifiche integrali ed agrarie, ricopertura periodica o definitiva di discariche»; emergerebbe dallo stesso impugnato art. 14, che esclude l’assoggettamento degli inerti da scavo al regime ordinario dei rifiuti, solo laddove (comma 1) il progettista o il soggetto tenuto alla dichiarazione di inizio attività delle relative opere dichiari la provenienza del materiale e (comma 2) solo se non pericolosi, previa apposita caratterizzazione, effettuata in conformità alle procedure analitiche di cui all’art. 186, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, se derivanti da particolari siti o attività estrattive; e, soprattutto, emergerebbe dal combinato disposto degli artt. 14 e 16, per il quale l’eventuale esclusione dei materiali inerti da scavo dalla nozione di rifiuto è espressamente subordinata al pieno rispetto delle procedure di progettazione definite dall’art. 16, che, a sua volta, impone la non approvabilità dei progetti da parte degli enti competenti e l’invalidità delle denunce di inizio attività se mancanti del bilancio di produzione dei materiali e dei rifiuti e la specificazione della loro destinazione.
Solo la non pericolosità del materiale e la certezza del suo riutilizzo in una fase effettivamente preventiva alla approvazione del singolo progetto da cui possono derivare i materiali inerti da scavo, in definitiva, consentirebbero di escluderne l’assoggettamento alle norme statali sui rifiuti e di sottoporle alla diversa disciplina regionale di cui all’art. 14 impugnato.
Tale disciplina, per la difesa regionale, risponderebbe pienamente alla giurisprudenza comunitaria, nonché alla giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 62 del 2008), per le quali la possibilità di considerare un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo, un sottoprodotto di cui il detentore non intende disfarsi, deve essere limitata alle situazioni in cui il riutilizzo non è semplicemente eventuale, bensì certo, non richiede una trasformazione preliminare e interviene nel corso del processo di produzione o di utilizzazione.
Né, per la difesa della Regione Valle d’Aosta, sussisterebbe una differenza sostanziale tra tale disciplina regionale e quella statale, che, in presenza di determinate condizioni di effettivo e certo recupero, non classifica la terra e le rocce da scavo come rifiuti, bensì come sottoprodotti, se non nel senso che «la prima ha previsto una normativa più rigorosa in merito alle procedure concernenti le fasi di progettazione delle opere e l’esecuzione di queste ultime, assicurando una piena conformità agli obiettivi ed agli standard di tutela ambientale indicati dal legislatore nazionale».
3.2.2. Quanto all’art. 21 della legge regionale n. 31 del 2007, la difesa regionale rileva che l’art. 183, comma 1, lettera cc), del d.lgs. n. 152 del 2006, nella formulazione novellata dal d.lgs. n. 4 del 2008, definisce centro di raccolta l’area «presidiata ed allestita, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, per l’attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento» e ne rimette la disciplina ad un decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni, città e autonomie locali e sostiene che l’art. 2 del decreto del Ministro dell’ambiente 8 aprile 2008 (Disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, come previsto dall’art. 183, comma 1, lettera cc, del d.lgs. n. 152 del 2006, e successive modifiche) prevedrebbe (non diversamente dalla disposizione regionale impugnata) che la realizzazione di tali centri non sia subordinata al regime autorizzatorio di cui agli artt. 208 e 216 del d.lgs. n. 152 del 2006, ma ad un’approvazione da parte del Comune territorialmente competente ai sensi della normativa vigente.
Alla luce di tale definizione e di tale sopravvenuto decreto ministeriale, nessun contrasto sussisterebbe, per la difesa regionale, tra la disposizione censurata e la disciplina statale, risultando, anzi, confermato che i centri comunali di raccolta o isole ecologiche, che costituiscono mere aree allestite per l’attività di raccolta mediante raggruppamento di rifiuti urbani, non potrebbero essere considerati, come invece fatto dal ricorrente, centri di stoccaggio nelle forme della messa in riserva o del deposito preliminare.
4. Con ricorso notificato il 20 giugno 2008, depositato il successivo 26 giugno ed iscritto al n. 30 del registro ricorsi dell’anno 2008, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto, in relazione agli artt. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione e 2, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), questione di legittimità costituzionale dell’art. 64 della legge della Regione Valle d’Aosta 13 marzo 2008, n. 5 (Disciplina delle cave, delle miniere e delle acque minerali naturali, di sorgente e termali).
4.1. La disposizione impugnata ha sostituito il comma 5 dell’art. 14 della legge regionale n. 31 del 2007 con il seguente: «all’individuazione delle aree di stoccaggio attrezzate provvedono i Comuni, anche in accordo tra loro.
L’ubicazione di tali aree deve preferibilmente coincidere, laddove lo spazio lo consenta, con le aree di discarica per rifiuti speciali inerti o con i centri di recupero dei rifiuti inerti già in esercizio, nonché presso siti dismessi già adibiti ad attività di estrazione di materiali inerti. In tali casi, la gestione dei materiali inerti da scavo può essere assicurata anche avvalendosi dei soggetti gestori di detti impianti. Per la realizzazione e l’esercizio delle aree di stoccaggio attrezzate dei materiali inerti da scavo ubicate al di fuori di zone in cui tale destinazione sia già ammessa dal piano regolatore comunale, il Comune interessato, anche su istanza di un soggetto privato, approva un apposito progetto dell’intervento, anche secondo le procedure di cui all’art. 31, comma 2, della legge regionale 6 aprile 1998, n. 11 (Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d’Aosta), previa concertazione con la Regione per verificare la validità tecnica della proposta presentata attraverso una Conferenza dei servizi convocata dalla struttura regionale competente in materia di gestione dei rifiuti ai sensi della legge regionale 6 agosto 2007, n. 19 (Nuove disposizioni in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), entro 30 giorni dal ricevimento della richiesta di concertazione da parte del Comune. La concertazione con la Regione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di competenza dei Comuni e della Regione; l’approvazione da parte del Comune comporta anche la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori. La gestione dei materiali inerti da scavo, attraverso uno o più centri di stoccaggio, può essere effettuata in modo coordinato all’interno dei bacini territoriali di raccolta e trasporto dei rifiuti dalle Autorità di subATO».
4.2 Il ricorrente censura tale disposizione nella parte in cui, sottraendoli alla disciplina concernenti i rifiuti, consentirebbe lo stoccaggio dei materiali inerti da scavo anche in aree non attrezzate quali, soprattutto, i siti dismessi già adibiti ad attività di estrazione di materiali inerti.
La difesa erariale sostiene, con argomenti sostanzialmente identici a quelli sviluppati nel ricorso n. 13 del 2008, che essa violerebbe il combinato disposto degli artt. 117, comma 1, della Costituzione e 2, primo comma, della legge costituzionale n. 4 del 1948, in quanto prevedrebbe una esclusione generalizzata o presunzione assoluta di esclusione degli inerti da scavo dal campo di applicazione della normativa dei rifiuti, laddove per il diritto comunitario (art. 1 della direttiva 2006/12/CE) è rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto […] di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi» e per la giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza 18 aprile 2002, causa C‑9/00, Palin Granit), la verifica dell’intenzione del detentore di disfarsi del bene o della sostanza non può essere effettuata in astratto, ma deve avvenire in base ad una valutazione «caso per caso». La disposizione stessa sarebbe, altresì, in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto recherebbe una disciplina divergente e di minore tutela ambientale rispetto a quella dell’art. 186 del d.lgs. n. 152 del 2006, in particolare, ampliando illegittimamente le ipotesi di esclusione degli inerti da scavo dalla applicazione del regime ordinario sui rifiuti.
5. La Regione autonoma Valle d’Aosta si è costituita, eccependo genericamente l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.
5.1. Nella successiva memoria depositata la difesa regionale sviluppa argomentazioni sostanzialmente identiche a quelle sviluppate nel giudizio introdotto dal ricorso n. 13 del 2008, aggiungendo ulteriori considerazioni con riguardo alle ragioni che avrebbero motivato le scelte operate dal legislatore valdostano attraverso l’art. 64 della legge regionale n. 5 del 2008, che vengono individuate nella esigenza di assicurare una gestione certa dell’avvio al riutilizzo dei materiali inerti da scavo in un contesto insediativo, morfologico ed ambientale problematico e non paragonabile ad altre realtà regionali e di identificare punti di deposito dei materiali di titolarità pubblica, in cui potere gestire in modo adeguato gli stessi per il tempo necessario all’avvio al riutilizzo o recupero come previsto dai singoli progetti, tenendo conto che le attività edilizie in un territorio montano come quello valdostano si svolgono solo nei mesi da giugno ad ottobre e delle difficoltà, in un tale contesto, di fare coincidere temporalmente lo scavo o il disalveo con l’utilizzo dei materiali conseguenti a tali attività.
Considerato in diritto
1. Con ricorso notificato il 15 febbraio 2008 ed iscritto al n. 13 del registro ricorsi dell’anno 2008, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto, in relazione agli artt. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione e 2, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), questione di legittimità costituzionale degli artt. 14, commi 1, 2, 3 e 6, e 21 della legge della Regione Valle d’Aosta 3 dicembre 2007, n. 31 (Nuove disposizioni in materia di gestione dei rifiuti).
1.1. Con successivo ricorso notificato il 20 giugno 2008 ed iscritto al n. 30 del registro ricorsi dell’anno 2008, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto, in relazione agli artt. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione e 2, primo comma, della legge costituzionale n. 4 del 1948, questione di legittimità costituzionale dell’art. 64 della legge della Regione Valle d’Aosta 13 marzo 2008, n. 5 (Disciplina delle cave, delle miniere e delle acque minerali naturali, di sorgente e termali).
1.2. L’art. 14 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 31 del 2007 individua (commi 1 e 2) delle condizioni al presentarsi delle quali gli inerti da scavo non costituiscono rifiuti e non sono soggetti alla relativa disciplina, regola (comma 3) la destinazione (riutilizzo diretto o altre attività di utilizzo) di tali materiali e sottrae (comma 6), tanto in ordine alla realizzazione quanto all’esercizio, le aree di stoccaggio al regime ordinario previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
L’art. 64 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 5 del 2008 sostituisce il comma 5 di tale art. 14, consentendo lo stoccaggio di materiali inerti da scavo anche presso siti dismessi già adibiti ad attività di estrazione degli stessi.
L’art. 21 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 31 del 2007 esclude, infine, che il raggruppamento dei rifiuti urbani e dei rifiuti speciali assimilabili agli urbani in frazioni merceologiche omogenee ai fini della raccolta e del successivo avvio alle operazioni di smaltimento e di recupero costituiscano operazioni di smaltimento o di recupero e consente così ai comuni di realizzare isole ecologiche, senza necessità di osservare le procedure previste dagli artt. 208 e 216 del d.lgs. n. 152 del 2006.
1.3. Il Presidente del Consiglio dei ministri censura:
- i commi 1 e 2 (ed in via consequenziale il comma 3) dell’art. 14 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 31 del 2007 e l’art. 64 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 5 del 2008, in relazione al combinato disposto degli artt. 117, primo comma, della Costituzione e 2, primo comma, della statuto speciale per la Valle d’Aosta, in quanto prevedrebbero talune esclusioni generalizzate o presunzioni assolute di esclusione degli inerti da scavo dal campo di applicazione della normativa statale dei rifiuti, laddove per il diritto comunitario (art. 1 della direttiva 2006/12/CE) è rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto […] di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi» e per la giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza 18 aprile 2002, causa C‑9/00, Palin Granit), la verifica dell’intenzione del detentore di disfarsi del bene o della sostanza non può essere effettuata in astratto, ma deve avvenire in base ad una valutazione «caso per caso»; nonché in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto recherebbero una disciplina divergente e di minore tutela ambientale rispetto a quella dell’art. 186 del d. lgs. n. 152 del 2006;
- il comma 6 dell’art. 14 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 31 del 2007, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto recherebbe una disciplina divergente e di minore tutela ambientale rispetto a quella dell’art. 186 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale detta una disciplina procedurale per il riutilizzo dei materiali inerti da scavo «molto rigorosa» e «ne esclude l’applicazione solamente per i materiali inerti da scavo già oggetto di caratterizzazione, non contaminati e, quindi, non rientranti nel regime dei rifiuti»;
- l’art. 21, in relazione al combinato disposto dell’art. 117, primo comma, della Costituzione e dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale n. 4 del 1948, nonché in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto la direttiva 2006/12/CE (punto R 13 dell’allegato 2 B e punto D15 dell’allegato 2A) ed il d.lgs. n. 152 del 2006 (punto R 13 dell’allegato C e punto D15 dell’allegato B), considererebbero le isole ecologiche quali centri di stoccaggio, nella forma della messa a riserva, nel caso in cui i rifiuti siano destinati ad operazioni di recupero, o del deposito preliminare, nel caso in cui gli stessi siano destinati ad operazioni di smaltimento, e le sottoporrebbe, pertanto, a regime autorizzatorio.
1.4. I due ricorsi, oggettivamente e soggettivamente connessi, vanno riuniti per essere decisi con una unica sentenza.
2. Prima di entrare nel merito delle questioni, è necessario valutare le eccezioni di inammissibilità opposte dalla resistente Regione Valle d’Aosta.
2.1. La difesa regionale sostiene, anzitutto, l’inammissibilità dei ricorsi, in quanto il ricorrente avrebbe invocato, quali norme interposte, disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006 non più vigenti o, più precisamente, le avrebbe richiamate nel testo anteriore alla novella recata dal decreto legislativo correttivo n. 4 del 2008, là dove tale modifica normativa era già intervenuta al momento della notifica di entrambi i ricorsi. Tale circostanza risulterebbe, nel ricorso n. 13, dalla stessa tesi del ricorrente, il quale espressamente nega la già intervenuta entrata in vigore del decreto correttivo, mentre, nel ricorso n. 30, sarebbe desumibile dalle parole o frasi utilizzate dal ricorrente stesso, che riproducono in buona sostanza la formulazione originaria dell’art. 186 e non quella novellata.
Anche se i due ricorsi sono stati depositati successivamente all’entrata in vigore della novella correttiva, l’eccezione non è fondata.
Nel ricorso n. 13 l’errore del ricorrente in ordine alla vigenza della norma interposta evocata è, infatti, seguito dalla espressa affermazione che le disposizioni regionali impugnate contrasterebbero anche con la disciplina statale sopravvenuta. Nel ricorso n. 30 deve, invece, ritenersi sufficiente l’indicazione esatta della norma interposta.
Priva di fondamento è, parimenti, l’ulteriore eccezione di inammissibilità avanzata dalla Regione resistente secondo la quale la riferita modifica dell’art. 186 del d.lgs. n. 152 del 2006, da parte del d.lgs. n. 4 del 2008, avendo apportato una disciplina di tutela dell’ambiente meno rigorosa, avrebbe imposto al ricorrente di argomentare in ordine al perdurare dell’interesse al ricorso.
L’eccezione è inconferente, attenendo al merito e non all’ammissibilità dei ricorsi. Comunque, come si vedrà in seguito, deve negarsi che il decreto legislativo correttivo n. 4 del 2008 abbia stabilito una tutela meno rigorosa.
Per la difesa regionale, il ricorso sarebbe, infine, inammissibile per aver fatto riferimento ad una norma del Titolo V, Parte II, della Costituzione senza aver motivato in ordine alla sua applicazione ad una Regione a statuto speciale, ed avendo peraltro omesso di valutare comparativamente i due sistemi, quello costituzionale e quello statutario. In particolare, il ricorso sarebbe stato proposto, in relazione all’art. 117, primo e secondo comma, della Costituzione senza considerare le competenze statutarie della Regione Valle d’Aosta in materia di urbanistica (art. 2, primo comma, lettera g, dello statuto speciale), di tutela del paesaggio (art. 2, primo comma, lettera q) e quella di integrazione ed attuazione in materia di igiene e sanità, assistenza ospedaliera e profilattica (art. 3, primo comma, lettera i).
L’eccezione non è fondata.
Il ricorso governativo riguarda disposizioni che attengono alla disciplina dei rifiuti, come tali riconducibili (da ultimo, sentenza n. 10 del 2009) alla materia della tutela dell’ambiente.
La Regione Valle d’Aosta difetta tanto di una competenza statutaria generale in materia di tutela dell’ambiente quanto di un titolo statutario specifico in materia di rifiuti, sicché qualsiasi motivazione del ricorrente in proposito sarebbe stata ultronea, essendo peraltro evidente che questo tipo di valutazione fuoriesce dall’ambito dell’ammissibilità.
3. Venendo al merito delle questioni sollevate in entrambi i ricorsi in riferimento all’art. 14, della legge regionale n. 31 del 2007, il ricorrente pone essenzialmente due censure: a) la legge regionale impugnata segue una nozione di “rifiuto”, che contrasta con quella del diritto comunitario, secondo il quale, costituisce “rifiuto” qualsiasi materia della quale il detentore «si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi»; b) le disposizioni impugnate si pongono in contrasto con quelle statali in materia, le quali costituiscono “norme interposte”, nel senso che integrano o danno un contenuto all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, e sono pertanto costituzionalmente illegittime per violazione della competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente. Unicamente in ordine alla censura del comma 6 dell’art. 14 della legge regionale n. 31 del 2007 il ricorso (n. 13) è proposto in ragione del contrasto con il solo diritto interno.
Ciò premesso, deve rilevarsi che le disposizioni impugnate non contengono una definizione esplicita della nozione di “rifiuto”. Ne consegue che la soluzione delle proposte questioni dipenderà essenzialmente dal raffronto tra la disciplina statale e quella regionale impugnata.
4. Prima di procedere a detto raffronto è necessario ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte:
a) i rifiuti rientrano nella competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente (da ultimo sentenza n. 10 del 2009; vedi, anche, sentenze nn. 277 e 62 del 2008) e, conseguentemente, non può riconoscersi una competenza regionale in materia di tutela dell’ambiente (vedi sentenze nn. 10 del 2009, 149 del 2008 e 378 del 2007);
b) le Regioni, nell’esercizio delle loro competenze, debbono rispettare la normativa statale di tutela dell’ambiente, ma possono stabilire per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze (in materia di tutela della salute, di governo del territorio, di valorizzazione dei beni ambientali, etc.) livelli di tutela più elevati (vedi sentenze nn. 30 e 12 del 2009, 105, 104 e 62 del 2008). Con ciò certamente incidendo sul bene materiale ambiente, ma al fine non di tutelare l’ambiente, già salvaguardato dalla disciplina statale, bensì di disciplinare adeguatamente gli oggetti delle loro competenze. Si tratta cioè di un potere insito nelle stesse competenze attribuite alle Regioni, al fine della loro esplicazione.
Inoltre, è da rilevare che la dizione, ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, in materia di tutela dell’ambiente, lo Stato stabilisce “standard minimi di tutela” va intesa nel senso che lo Stato assicura una tutela “adeguata e non riducibile” dell’ambiente.
5. Venendo ora all’esame delle singole disposizioni impugnate dell’art. 14, la questione posta dal ricorrente a proposito dei commi 1 e 2 in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, è fondata.
Si tratta di disposizioni che attengono alla stessa definizione di “rifiuto”, riguardanti la materia della tutela ambientale affidata alla competenza esclusiva dello Stato, e che non sono riferibili a nessuna altra competenza propriamente regionale né statutaria né desumibile dal combinato disposto degli artt. 117 della Costituzione e 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Infatti, il comma 1, dell’art. 14 impugnato prevede che «i materiali inerti da scavo non costituiscono “rifiuti” e non sono assoggettati alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 152 del 2006», qualora derivanti da materiali «la cui qualità ambientale risulti essere corrispondente almeno allo stato chimico di buono, come definito dall’art. 74, comma 2, lettera z) del d.lgs. n. 152 del 2006». La disciplina statale, prevedendo, invece, che tali materie sono “rifiuti”, non consente l’esclusione fissata dal legislatore regionale con chiara violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
6. Altrettanto è da dire per l’impugnato comma 2 dell’art. 14, il quale allarga anch’esso il novero dei materiali interti da scavo, restringendo la nozione di “rifiuto” e riducendo conseguentemente la tutela dell’ambiente, con l’aggiungere all’ipotesi del riutilizzo, quella dei materiali inerti provenienti da siti interessati, o già interessati, da bonifiche, ovvero già destinati ad attività di gestione dei rifiuti o soggetti a fenomeni di contaminazione ambientale, purché «risultino non pericolosi, previa apposita caratterizzazione effettuata in conformità alle procedure analitiche di cui all’art. 186, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006».
7. Anche la questione concernente il successivo comma 3 è fondata. Tale comma concerne, infatti, l’avvio al riutilizzo dei materiali da scavo non ritenuti rifiuti, ed essendosi ritenute costituzionalmente illegittime le precedenti disposizioni riguardanti la individuazione di detti materiali, e, quindi, la individuazione della nozione di “rifiuto”, va affermata l’illegittimità derivata anche di quest’ultima disposizione.
8. Le questioni riguardanti il comma 5, nella versione di cui all’art. 64 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 5 del 2008, ed il comma 6 dello stesso art. 14 sono anch’esse fondate.
Infatti le disposizioni, sia del comma 5, che riguarda «l’individuazione delle aree di stoccaggio attrezzate» e la loro ubicazione, sia del comma 6, secondo il quale «la realizzazione e l’esercizio delle aree di stoccaggio attrezzate» dei materiali inerti da scavo non sono assoggettate alle procedure autorizzative di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, pur rientrando nella competenza statutaria della Regione in materia di urbanistica, in quanto si riferiscono alla individuazione, ubicazione, realizzazione ed esercizio delle «aree di stoccaggio attrezzate», sono in contrasto con i commi 2 e 3 dello stesso art. 186 del d.lgs. n. 152 del 2006, i quali seguono una nozione più ampia di “rifiuto” ed una disciplina più rigorosa delle «aree di stoccaggio attrezzate», ammettendo “il deposito” dei soli materiali da scavo che abbiano i requisiti di cui al comma 1 dello stesso articolo e per un tempo limitato (secondo i casi: uno o tre anni). Non può certo dirsi in altre parole che la Regione abbia esercitato le sue competenze per fissare limiti più elevati di tutela ambientale.
9. L’accoglimento delle censure proposte in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione rende superfluo valutare le ulteriori (e, come chiarito, da ultimo, dalla sent. n. 368 del 2008, logicamente successive) ragioni di censura dell’art. 14, commi 1, 2, 3 e 6 della legge regionale n. 31 del 2007 e dell’art. 64 della legge regionale n. 4 del 2008, prospettate dal ricorrente in riferimento al diritto comunitario.
10. La questione sollevata (nel ricorso n. 13) in riferimento all’art. 21 della legge regionale n. 31 del 2007, che concerne le cosiddette «isole ecologiche», non è fondata.
La disposizione impugnata stabilisce che i «centri comunali di conferimento dei rifiuti urbani, denominati anche isole ecologiche, assicurano il raggruppamento dei rifiuti urbani e dei rifiuti speciali assimilabili agli urbani in frazioni omogenee ai fini della raccolta e del successivo avvio alle operazioni di smaltimento e recupero», e precisa che dette operazioni sono cosa diversa dalle «operazioni di smaltimento e recupero» e come tali non sono assoggettabili alle procedure autorizzative di cui agli artt. 208 e 216 del d.lgs. n. 152 del 2006.
I centri comunali, o isole ecologiche di cui si parla, corrispondono ai “centri di raccolta” menzionati dall’art. 183, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006, come novellato dall’art. 20, comma 23, del d.lgs. n. 4 del 2008, per la cui disciplina si rinvia ad un emanando decreto del Ministro dell’ambiente, sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni. Detto decreto è stato emanato l’8 aprile 2008, e prevede, non diversamente dalla disposizione regionale impugnata, che la disciplina di tali centri non è subordinata al regime autorizzatorio, previsto dagli artt. 208 e 216 del d.lgs. n. 152 del 2006, per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti.
Dunque, la disciplina dettata dalle disposizioni regionali risponde soltanto ad esigenze di coordinamento regionale e non dispone una disciplina dei rifiuti di minor rigore rispetto alla disciplina statale.
Detta previsione regionale, inoltre, non è in contrasto con il diritto comunitario. Infatti, la direttiva 2008/98/CE (che ha abrogato e sostituito la direttiva 2006/12/CE richiamata dal ricorrente) qualifica come “raccolta” il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare ed il deposito preliminare (di tipo temporaneo), ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento (art. 3, n. 10), distinguendola dalla “messa in riserva” o dal “deposito preliminare” previste dal punto D del I allegato e dal punto R 13 del II allegato di tale nuova direttiva.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1, 2, 3 e 6, della legge della Regione Valle d’Aosta 3 dicembre 2007, n. 31 (Nuove disposizioni in materia di gestione dei rifiuti);
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 64 della legge della Regione Valle d’Aosta 13 marzo 2008, n. 5 (Disciplina delle cave, delle miniere e delle acque minerali naturali, di sorgente e termali);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 della suddetta legge della Regione Valle d’Aosta n. 31 del 2007 sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione ed all’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), nonché in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione al punto R 13 dell’allegato C ed al punto D15 dell’allegato B del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2009.