Sentenza n. 345 del 2004

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SENTENZA N. 345

ANNO 2004

 

Commento alla decisione di

Alessandra Concaro e Irene Pellizzone

Tutela della concorrenza e definizione delle materie trasversali: alcune note a margine della sent. n. 345 del 2004 della Corte costituzionale

(per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio                                      ONIDA                        Presidente 

- Carlo                                         MEZZANOTTE             Giudice

- Fernanda                                   CONTRI                                "

- Guido                                        NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto                            CAPOTOSTI                         "

- Franco                                       BILE                                      "

- Giovanni Maria                         FLICK                                   "

- Francesco                                  AMIRANTE                          "

- Ugo                                                                            DE SIERVO             "

- Romano                                    VACCARELLA                    "

- Paolo                                         MADDALENA                     "

- Alfio                                         FINOCCHIARO                   "

- Alfonso                                     QUARANTA                        "

- Franco                                       GALLO                                 "

ha pronunciato la seguente                                                

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 24 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003) e della legge 1° agosto 2003, n. 212 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143, recante disposizioni urgenti in tema di versamento e riscossione tributi, di Fondazioni bancarie e di gare indette da CONSIP s.p.a.), nella parte in cui apporta modificazioni all’art. 24 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, promossi con i ricorsi della Regione Toscana, della Regione Piemonte, della Regione Valle d’Aosta, della Provincia autonoma di Bolzano, della Regione Umbria, della Regione Emilia-Romagna, della Regione Veneto e della Regione Valle d’Aosta, notificati il 25, il 26 ed il 28 febbraio, il 1° marzo ed il 10 ottobre 2003, depositati in cancelleria il 5 e il 7 marzo ed il 18 ottobre 2003 ed iscritti ai nn. 15, 18, 19, 20, 22, 25, 26 e 73 del registro ricorsi 2003.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 28 settembre 2004 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

uditi gli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Gabriele Pafundi per la Regione Piemonte, Giuseppe F. Ferrari per la Regione Valle d’Aosta, Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia autonoma di Bolzano, Giovanni Tarantini per la Regione Umbria, Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto, Giuseppe F. Ferrari per la Regione Valle d’Aosta e gli avvocati dello Stato Giancarlo Mandò e Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. ¾ Le Regioni Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Emilia-Romagna e Veneto e la Provincia autonoma di Bolzano, con distinti ricorsi (rispettivamente iscritti ai nn. 15, 18, 19, 22, 25, 26 e 20 del registro ricorsi del 2003), hanno proposto questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), e, tra queste, dell’art. 24, nella sua interezza, o di alcuni commi di tale articolo, lamentando, sotto vari profili, la lesione della propria competenza legislativa.

1.1. ¾ L’articolo impugnato, concernente l’“acquisto di beni e servizi”, al comma 1, “per ragioni di trasparenza e concorrenza”, impone alle amministrazioni aggiudicatrici – come individuate nell’art. 1 del decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358 (Testo unico delle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture, in attuazione delle direttive 77/62/CEE, 80/767/CEE e 88/295/CEE) e nell’art. 2 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 (Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi) – l’utilizzazione, per l’aggiudicazione delle pubbliche forniture e degli appalti di pubblici servizi, di “procedure aperte o ristrette, con le modalità previste dalla normativa nazionale di recepimento della normativa comunitaria”, anche quando il valore del contratto è inferiore alla c.d. soglia comunitaria, ma superiore a 50.000 euro, fatta salva la disciplina dettata per l’affidamento degli incarichi di progettazione dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici). Il comma 2 completa la regola escludendo da tale obbligo: a) i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti; b) le amministrazioni che facciano ricorso alle convenzioni quadro definite dalla CONSIP s.p.a. – ai sensi degli artt. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2000), 59 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), e 32 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002) – ovvero al mercato elettronico della pubblica amministrazione; c) le cooperative sociali.

L’art. 24 prevede inoltre (comma 3) l’obbligo per le amministrazioni centrali dello Stato e per gli “enti pubblici istituzionali” di utilizzare le convenzioni quadro definite dalla CONSIP e impone agli enti locali, qualora intendano procedere ad acquisti in maniera autonoma, di adottare come base d’asta al ribasso i prezzi delle convenzioni quadro definite dalla CONSIP.

La norma impugnata, al comma 4, sanziona con la nullità i contratti stipulati in violazione dell’obbligo di ricorrere alla gara “comunitaria” o dell’obbligo di utilizzare le convenzioni quadro definite dalla CONSIP e prevede che delle obbligazioni derivanti dai medesimi contratti risponde il dipendente pubblico che li ha sottoscritti, che la stipula degli stessi è causa di responsabilità amministrativa e che il danno erariale è valutato tenendo conto della differenza tra il prezzo previsto dalle convenzioni e quello indicato nel contratto.

Il comma 5 limita il ricorso alla trattativa privata, anche nelle ipotesi in cui la vigente normativa la consenta, a casi eccezionali e motivati, previo esperimento di una documentata indagine di mercato e dandone comunicazione alla sezione regionale della Corte dei conti.

Il comma 9 dell’articolo impugnato, infine, afferma che “le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 5 costituiscono, per le Regioni, norme di principio e di coordinamento”.

1.2. ¾ La Regione Toscana (reg. ric. n. 15 del 2003), in riferimento all’art. 24 della legge n. 289 del 2002, lamenta la violazione dell’art. 117 della Costituzione, in quanto non spetterebbe allo Stato disciplinare la materia delle acquisizioni di beni e servizi da parte delle Regioni e degli enti dipendenti e strumentali delle stesse, dovendo questa essere, piuttosto, ricondotta alla propria generale competenza legislativa residuale (ai sensi dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione).

La ricorrente, richiamato il comma 1 dell’impugnato art. 24, il quale indica a fondamento della norma “ragioni di trasparenza e concorrenza”, nega anzitutto che la trasparenza sia titolo legittimante la potestà legislativa dello Stato e sostiene che la norma in questione non abbia a che vedere con la tutela della concorrenza, la quale, in senso proprio, andrebbe intesa come disciplina dei mercati (normativa antitrust).

La Regione, nel censurare il carattere dettagliato della norma impugnata, denuncia la contraddittorietà tra la invocata tutela della concorrenza, la quale è materia di esclusiva competenza statale, e l’affermazione, contenuta nel comma 9, secondo cui le disposizioni dei commi 1, 2 e 5 costituiscono “norme di principio e coordinamento”.

1.3. ¾ La Regione Piemonte (reg. ric. n. 18 del 2003), nel denunciare l’art. 24 della legge n. 289 del 2002, prospetta la violazione degli articoli 5, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione.

Anche la Regione Piemonte sostiene che la materia dell’acquisto di beni e servizi, non essendo ricompresa né tra quelle di competenza esclusiva statale né tra quelle di competenza concorrente, ricadrebbe nella propria competenza legislativa residuale (art. 117, quarto comma, della Costituzione).

La ricorrente afferma, in particolare, che l’impugnato art. 24 della legge n. 289 del 2002 non potrebbe trovare fondamento nella lettera e) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione (tutela della concorrenza), in quanto, a parte la irrilevanza dell’autoqualificazione, la norma non avrebbe ad oggetto la concorrenza, anche se ragioni di concorrenza possono essere ad essa sottese. Tuttavia, per la ricorrente, dovrebbe escludersi che le sottese “ragioni di concorrenza” legittimino la potestà legislativa statale, giacché un siffatto e così ampio criterio finirebbe con il fondare la competenza statale in ogni ambito materiale, in violazione delle regole di riparto dettate dall’art. 117 della Costituzione.

La Regione, inoltre, nega che l’art. 24 della legge 289 del 2002 possa trovare fondamento nella materia (di legislazione concorrente) “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, sia perché non sarebbe questo l’oggetto specifico della disposizione, sia perché la norma avrebbe contenuto di dettaglio e non di principio, in violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

1.4. ¾ Per la Regione Valle d’Aosta (reg. ric. n. 19 del 2003) l’art. 24 della legge n. 289 del 2002 violerebbe gli articoli 3, 5, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione e l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

La ricorrente, dopo avere ricostruito il nuovo assetto costituzionale delle competenze legislative risultante dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, sostiene che la materia degli appalti pubblici di servizi e forniture, non essendo contemplata fra quelle di competenza statale, esclusiva o concorrente, dovrebbe ritenersi attribuita alla propria competenza residuale (art. 117, quarto comma, della Costituzione, applicabile alla Regione a statuto speciale per il disposto dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001).

Anche la Regione Valle d’Aosta sottolinea, poi, il carattere dettagliato della norma impugnata, che la renderebbe illegittima ove pure si volesse riconoscere una competenza concorrente dello Stato in materia.

1.5. ¾ La Provincia autonoma di Bolzano (reg. ric. n. 20 del 2003) prospetta il contrasto dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 con gli articoli 8, comma 1, numero 1), 9, comma 1, numero 10), e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con il d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e con le relative norme di attuazione di cui al d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità), in particolare con l’art. 2, secondo comma, nonché con l’art. 117 della Costituzione, in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

Ad avviso della Provincia ricorrente, la disciplina dell’acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni sarebbe da ricondurre alla materia dell’ordinamento degli uffici, oltre che a quella, connessa, della contabilità e del bilancio.

La Provincia autonoma richiama, in proposito, la sentenza n. 107 del 1970 di questa Corte, nella quale, con riferimento alla analoga competenza esclusiva della Regione Sardegna, si è affermato che “il bilancio e la contabilità rappresentano mezzi e strumenti giuridici indispensabili perché l’ente Regione possa concretamente operare per il perseguimento dei vari fini assegnatigli” e che “la potestà regionale a dettare le norme” in materia di contabilità e bilancio “rientra nel precetto statutario … relativo all’ordinamento degli uffici”.

La ricorrente afferma che lo Stato sarebbe competente, in via esclusiva, in materia di “ordinamento ed organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”, in base all’art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione, mentre la Provincia sarebbe competente, sempre in via esclusiva, in materia di “ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto”, ai sensi dell’art. 8, primo comma, numero 1), dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.

La ricorrente prospetta, inoltre, la violazione dell’art. 16 dello statuto, il quale riconosce alla Provincia competenza amministrativa nelle materie oggetto della propria competenza legislativa esclusiva.

La Provincia autonoma sostiene, in particolare, che l’art. 24 della legge n. 289 del 2002, nella misura in cui vincola ogni pubblica amministrazione e pertanto anche le aziende sanitarie locali, violerebbe la propria competenza concorrente in materia di “igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e ospedaliera” (art. 9, primo comma, numero 10, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), la quale attiene anche al “funzionamento e alla gestione delle istituzioni ed enti sanitari” (art. 2, secondo comma, del d.P.R. n. 474 del 1975).

Il carattere “funzionale” della acquisizione di beni e servizi rispetto al “funzionamento delle aziende sanitarie” varrebbe, infatti, a radicare nella Provincia autonoma la competenza legislativa concorrente in materia, con conseguente illegittimità di ogni norma non di principio di fonte statale.

Del resto, ad avviso della Provincia autonoma, l’art. 24 della legge n. 289 del 2002, nonostante il disposto del comma 9, il quale riconosce natura di norma di principio e coordinamento ai precedenti commi 1, 2 e 5, non sarebbe una norma di principio, attesa la analiticità e la specificità delle sue disposizioni, richiedenti una diretta ed immediata applicazione.

La ricorrente rileva, infine, che, ove pure non si volesse riconoscere la propria competenza in base agli invocati artt. 8, primo comma, numero 1), e 9, primo comma, numero 10), dello statuto speciale, nondimeno questa andrebbe riconosciuta in base al combinato disposto dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione e dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto la materia, non riconducibile ad alcuna di quelle elencate nell’art. 117 della Costituzione, sarebbe oggetto della competenza legislativa residuale delle Regioni.

1.6. ¾ La Regione Umbria (reg. ric. n. 22 del 2003) denuncia dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 i commi 1, 2, 3 (nella parte in cui gli obblighi ivi previsti sono estesi agli enti pubblici istituzionali e se ed in quanto tra questi possano essere ricomprese le Regioni), 5 e 9, lamentando la violazione degli artt. 117, primo, terzo e quarto comma, e 114, secondo comma, della Costituzione.

Ad avviso della ricorrente, la disciplina dell’acquisto di beni e servizi rientrerebbe nella propria competenza residuale (art. 117, quarto comma, della Costituzione), in quanto non riconducibile a nessuna delle materie elencate nell’art. 117 della Costituzione.

La Regione sostiene che la qualificazione “norme di principio e coordinamento”, data dal comma 9 dell’art. 24 alle disposizioni dei precedenti commi 1, 2 e 5, sarebbe diversa da quella prevista, peraltro in caso di competenza concorrente, dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione (“principi fondamentali”), e che in tal modo si introdurrebbe per le Regioni un limite ulteriore, non contemplato dalla Costituzione; ed afferma che nella specie non si tratterebbe comunque di norme di principio, bensì di norme di dettaglio che pongono puntuali obblighi e divieti.

La ricorrente, dopo aver contestato che la finalità di trasparenza sia titolo legittimante l’esercizio di potestà legislativa statale, esclude che i commi 1, 2 e 5 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 possano trovare fondamento nella competenza del legislatore statale in materia di fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, della Costituzione), o di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione), in quanto, per un verso, si sarebbe al di fuori del campo dei diritti civili e sociali e non si tratterebbe di garantire livelli omogenei di prestazioni sul territorio nazionale e, per altro verso, la materia della tutela della concorrenza atterrebbe alla disciplina dei mercati in senso proprio ed agli interventi diretti a correggere fenomeni distorsivi degli stessi e non all’acquisto di beni e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche.

Per le stesse ragioni sarebbe lesivo delle attribuzioni regionali (art. 117, quarto comma, della Costituzione) il comma 3 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, il quale impone agli “enti pubblici istituzionali” l’utilizzo delle convenzioni quadro definite dalla CONSIP, ove questa espressione, ritenuta “estremamente vaga”, possa essere riferita alla Regione.

1.7. ¾ La Regione Emilia-Romagna (reg. ric. n. 25 del 2003) denuncia il contrasto dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 con l’art. 117 della Costituzione.

Con argomenti sostanzialmente analoghi a quelli sviluppati dalle Regioni Toscana, Piemonte e Umbria, la ricorrente sostiene che la materia dell’acquisto di beni e servizi, non ricompresa né tra quelle di competenza esclusiva statale né tra quelle di competenza concorrente, sia da ascriversi alla propria competenza legislativa residuale (art. 117, quarto comma, della Costituzione).

La Regione nega, in particolare, che la norma impugnata possa essere intesa come diretta a tutelare la concorrenza, sia perché la tutela della concorrenza (intesa propriamente come disciplina dei mercati ed interventi tesi a rimuovere le distorsioni degli stessi) non sarebbe l’oggetto immediato della norma impugnata, sia perché quest’ultima non tutelerebbe affatto la concorrenza, producendo piuttosto una forte limitazione ovvero un consistente orientamento del mercato. La previsione, accanto all’obbligo della gara comunitaria anche per appalti sottosoglia, di ampie eccezioni soggettive (Comuni con meno di 5.000 abitanti, che sono circa 7.000 nell’intero territorio nazionale) ed oggettive (essendo prevista, in alternativa alla gara, l’adesione alle convenzioni CONSIP, che per loro natura sono sottratte alla partecipazione di moltissimi operatori medi e piccoli del mercato), sarebbe, secondo la ricorrente, in palese contraddizione con il dichiarato fine di trasparenza e concorrenza e verrebbe a rendere l’intervento normativo non ragionevole e non proporzionale rispetto all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.

La Regione, infine, ritiene che il disposto del comma 9 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, il quale qualifica come “norme di principio e coordinamento” i precedenti commi 1, 2 e 5, sarebbe in contrasto con il dichiarato intento di disciplinare la materia della concorrenza, oggetto di competenza statale esclusiva, e sarebbe, peraltro, non corretto, atteso il carattere analitico della disposizione. Né sarebbe possibile accreditare quale norma di principio una disposizione (il comma 1 del citato art. 24) che ha ampie eccezioni oggettive e soggettive.

1.8. ¾ La Regione Veneto (reg. ric. n. 26 del 2003) denuncia i commi 1, 2, 4, 5 e 9 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, lamentando la violazione degli artt. 97 e 117 della Costituzione.

Ad avviso della Regione, la materia dell’acquisto di beni e servizi, non prevista né tra quelle di competenza esclusiva statale né tra quelle di competenza concorrente, sarebbe da ricondurre alla competenza legislativa residuale delle Regioni (art. 117, quarto comma, della Costituzione).

La Regione ritiene “privo di senso, nell’ambito del disegno costituzionale tracciato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, il dettato del comma 9, che vorrebbe attribuire alle disposizioni dei commi 1, 2 e 5 la natura di norme di principio e coordinamento”, in quanto, se effettivamente la materia rientrasse nel dichiarato fine di tutelare la concorrenza, lo Stato, competente in via esclusiva, dovrebbe dettare la disciplina della materia e non porre in essere “norme di principio e di coordinamento”.

La ricorrente sostiene, poi, che il comma 5 dell’impugnato art. 24, il quale limita l’esperibilità della trattativa privata a casi eccezionali e motivati, previo esperimento di una documentata indagine di mercato e pone un obbligo di comunicazione alla Corte dei conti, confliggerebbe con il canone costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione), in quanto da un lato la norma sarebbe ridondante rispetto alle normative comunitarie, nazionali e regionali già disciplinanti la materia, e dall’altro imporrebbe una comunicazione che costituirebbe un ulteriore adempimento “burocratico” di cui non risulterebbe chiaro quale sia l’effetto.

La Regione censura, infine, il comma 4 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, là dove esso prevede la responsabilità amministrativa del dipendente che sottoscriva un contratto in violazione degli obblighi di esperimento della gara ovvero dell’utilizzo delle convenzioni quadro definite dalla CONSIP, rilevando che la disciplina sostanziale della responsabilità amministrativa e contabile dei funzionari degli uffici non statali, non rientrando in nessuna delle materie elencate nell’art. 117 della Costituzione ed, in particolare, non essendo ascrivibile alla materia processuale della giustizia amministrativa, spetterebbe alla competenza residuale delle Regioni (art. 117, quarto comma, della Costituzione).

2. ¾ In tutti i giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la non fondatezza delle questioni.

In alcuni degli atti di costituzione l’Avvocatura sostiene che la norma denunciata – investendo la disciplina della c.d. evidenza pubblica, la quale mirerebbe ad “ampliare e ad assicurare la libera concorrenza” e, nel contempo, la trasparenza della pubblica amministrazione aggiudicatrice – rientrerebbe nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione) (così nell’atto di costituzione depositato nei giudizi promossi dalla Regione Toscana, Valle d’Aosta, Umbria, Emilia-Romagna e Veneto). A tale riguardo, la difesa erariale richiama, in particolare, il sesto considerando della direttiva 93/37/CEE, nel quale si afferma che la disciplina degli appalti di lavori è finalizzata ad organizzare la concorrenza, e sostiene che l’estensione della disciplina di derivazione comunitaria agli appalti c.d. sottosoglia, al pari dell’intero settore dell’evidenza pubblica, tenderebbe ad assicurare non solo l’imparzialità della pubblica amministrazione, ma anche l’uguaglianza e la libera concorrenza degli operatori economici. Che si tratti di competenza esclusiva dello Stato non sarebbe smentito, secondo l’Avvocatura, dal comma 9 dell’impugnato art. 24, il quale definisce le disposizioni dei precedenti commi 1, 2 e 5 “norme di principio e di coordinamento”, in quanto si tratterebbe di una “norma di chiusura” dettata per l’evenienza che le Regioni avessero inteso la materia come concorrente, “così da evitare contestazioni”.

Costituendosi nel giudizio promosso dalla Regione Piemonte, l’Avvocatura articola la propria difesa sostenendo, in via generale, che, senza vincolo di materia, lo Stato, nella fase di transizione al nuovo modello di regionalismo inaugurato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, sarebbe legittimato a modificare la legislazione anteriore, da esso stesso prodotta, “senza incontrare alcuna riserva di legge regionale”, “con salvezza delle competenze legislative che ogni singola Regione potrà o meno esercitare”. Allo Stato competerebbe, quindi, la potestà di disciplinare mediante proprie leggi, “eventualmente cedevoli”, le attività amministrative degli enti locali, anche in ambiti non compresi nelle materie elencate nell’art. 117, secondo comma, della Costituzione.

Peraltro il legislatore, con la disposizione contenuta nel comma 9 dell’impugnato art. 24 della legge n. 289 del 2002, avrebbe “collocato il proprio intervento nell’ambito della legislazione concorrente”: la disposizione censurata, inserita in una legge finanziaria, rientrerebbe nella materia del “coordinamento della finanza pubblica” (artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione). Anche in questo atto di costituzione, tuttavia, l’Avvocatura rileva che “avrebbero potuto evocarsi anche materie di legislazione esclusiva dello Stato”, quali la tutela della concorrenza e l’ordinamento civile, nonché i poteri sostitutivi previsti dall’art. 120 della Costituzione. La norma denunciata – prosegue la difesa erariale – perseguirebbe l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica “allargata” attraverso una maggiore e più aperta concorrenza, che eliminerebbe le “nicchie” di mini-protezionismo locale, e attraverso le “economie di scala” ottenibili dai più elevati volumi di acquisti e di commesse gestiti dalla CONSIP: finalità, queste, non realizzabili se non attraverso una legislazione unitaria sul piano nazionale.

Nell’atto di costituzione depositato nel giudizio promosso dalla Provincia autonoma di Bolzano, l’Avvocatura contesta inoltre il richiamo all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, affermando che, in attesa dell’adeguamento dello statuto, non sarebbe possibile stabilire se le competenze di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione spettino alla Regione o alle Province autonome, sicché la ricorrente non potrebbe dolersi della lesione di una sfera di competenza di dubbia spettanza. Nel merito, ad avviso della difesa erariale, la censurata disciplina dell’acquisto di beni e servizi sarebbe materia concorrente ai sensi degli artt. 5 e 9 dello statuto speciale, non riconducibile alla materia, di competenza provinciale esclusiva, dell’ordinamento degli uffici, non avrebbe contenuto dettagliato, ma costituirebbe norma di principio.

3. ¾ Con successivo ricorso (iscritto al n. 73 del registro ricorsi del 2003), la Regione Valle d’Aosta ha proposto, in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ed agli artt. 2, primo comma, lettera a), e 4 dello statuto speciale di autonomia, approvato con la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, questione di legittimità costituzionale della legge 1° agosto 2003, n. 212 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143, recante disposizioni urgenti in tema di versamento e riscossione dei tributi, di Fondazioni bancarie e di gare indette da CONSIP s.p.a.), nella parte in cui modifica l’art. 24 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sostituendo il comma 3 ed introducendo i commi 3-bis e 4-bis.

3.1. ¾ La norma impugnata circoscrive l’obbligo di ricorrere alle convenzioni quadro definite dalla CONSIP, limitandolo alle sole ipotesi di acquisto di beni o servizi caratterizzati “dall’alta qualità dei servizi stessi e dalla bassa intensità di lavoro” (comma 3) e demandando ad un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze il compito di indicare quali servizi possano considerarsi rientranti nella predetta nozione (comma 3-bis); il comma 4-bis, poi, consente alle amministrazioni pubbliche la stipulazione di ogni tipo di contratto senza utilizzare le convenzioni quadro definite dalla CONSIP, qualora il valore dei costi e delle prestazioni dedotte in contratto sia uguale o inferiore a quello previsto dalle stesse convenzioni.

3.2. ¾ La Regione Valle d’Aosta sostanzialmente ripropone contro la legge n. 212 del 2003 le doglianze dalla medesima svolte avverso la legge n. 289 del 2002. Ad esse la ricorrente aggiunge due nuove censure, in riferimento agli artt. 2, primo comma, lettera a), e 4 dello statuto speciale, sostenendo che la disciplina degli acquisti di beni e servizi rientrerebbe nella propria competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione (art. 2, primo comma, lettera a) e che sarebbe violata la propria competenza amministrativa in materia (art. 4).

4. ¾ Anche in questo giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo, preliminarmente, per l’inammissibilità del ricorso e riproponendo, nel merito, le medesime difese e conclusioni dell’atto di costituzione nel procedimento instaurato dalla ricorrente con il precedente ricorso iscritto al n. 19 del registro ricorsi del 2003.

Ad avviso dell’Avvocatura, l’inammissibilità del ricorso deriverebbe dal fatto che esso, sebbene volto apparentemente ad impugnare le nuove disposizioni introdotte con la legge n. 212 del 2003, in realtà riprodurrebbe le medesime censure a suo tempo mosse avverso l’art. 24 della legge n. 289 del 2002, e si limiterebbe a richiamare solo tre disposizioni della legge impugnata, senza tuttavia muovere alcuna autonoma censura verso le stesse.

Nel merito, la difesa erariale, oltre a ribadire le precedenti conclusioni, sostiene che la legge n. 212 del 2003, limitandosi a ridurre il campo di operatività di norme già impugnate, sarebbe priva di contenuto lesivo.

L’Avvocatura richiama inoltre la sentenza n. 303 del 2003 di questa Corte per escludere che la materia dei lavori pubblici possa essere ricondotta alla competenza residuale delle Regioni (art. 117, quarto comma, della Costituzione).

5. ¾ In prossimità dell’udienza pubblica fissata per il 28 settembre 2004, le Regioni Toscana, Piemonte ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Bolzano hanno depositato memorie nelle quali, dato atto della intervenuta abrogazione della disposizione impugnata da parte dell’art. 3, comma 166, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), hanno ritenuto cessata la materia del contendere. Altrettanto ha affermato la Regione Umbria, nel corso dell’udienza pubblica. Per lo stesso motivo la Regione Valle d’Aosta ha espressamente rinunciato ad entrambi i ricorsi proposti.

La Regione Veneto, di contro, ritiene che la avvenuta abrogazione delle disposizioni impugnate dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 non determini la cessazione della materia del contendere ovvero la sopravvenuta carenza di interesse, in quanto l’abrogazione non ha avuto efficacia retroattiva e le disposizioni impugnate conservano, pertanto, una sia pure limitata vigenza temporale.

La Regione Veneto, inoltre, rileva che l’art. 1, comma 4, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito nella legge 30 luglio 2004, n. 191, ha sostituito il comma 3 dell’art. 26 della legge n. 488 del 1999, prevedendo che le amministrazioni pubbliche possono aderire alle convenzioni definite dalla CONSIP ovvero ne utilizzano i parametri prezzo-qualità, come limiti massimi, per l’acquisto di beni e servizi, e che la violazione di tale obbligo è causa di responsabilità amministrativa. La ricorrente sostiene che, in questa parte, sia stato sostanzialmente riprodotto il contenuto precettivo dell’impugnato articolo 24 della legge n. 289 del 2002, e che, per il principio di effettività della tutela delle parti nei giudizi costituzionali in via di azione, la successione di norme nel tempo determini il trasferimento della questione di costituzionalità sulla nuova disposizione.

La ricorrente Regione Veneto ripropone, per il resto, le argomentazioni svolte nell’atto introduttivo.

6. ¾ In prossimità dell’udienza pubblica anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memorie, nelle quali, in via preliminare, chiede darsi atto della cessazione della materia del contendere, per intervenuta abrogazione delle disposizioni impugnate, e, nel merito, ribadisce le difese già svolte.

Considerato in diritto

1. ¾ Le Regioni Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Emilia-Romagna e Veneto e la Provincia autonoma di Bolzano, con distinti ricorsi (rispettivamente iscritti ai nn. 15, 18, 19, 22, 25, 26 e 20 del registro ricorsi del 2003), hanno proposto questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), e, tra queste, dell’art. 24, nella sua interezza, o di alcuni commi di tale articolo, oggetto del presente giudizio, concernenti l’“acquisto di beni e servizi”.

 La Regione autonoma Valle d’Aosta, con successivo ricorso (reg. ric. n. 73 del 2003), ha altresì impugnato la legge 1° agosto 2003, n. 212 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143, recante disposizioni urgenti in tema di versamento e riscossione dei tributi, di Fondazioni bancarie e di gare indette da CONSIP s.p.a.), nella parte in cui modifica l’art. 24 della legge n. 289 del 2002, sostituendo il comma 3 ed introducendo i commi 3-bis e 4-bis.

1.1. ¾ L’articolo 24 della legge n. 289 del 2002 impone alle amministrazioni aggiudicatrici, come individuate nell’art. 1 del decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358 (Testo unico delle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture, in attuazione delle direttive 77/62/CEE, 80/767/CEE e 88/295/CEE) e nell’art. 2 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 (Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi), di ricorrere alle procedure comunitarie, aperte o ristrette, per l’acquisizione di beni e servizi di importo superiore ad euro 50.000 (comma 1). Da tale obbligo sono esclusi i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, le amministrazioni che facciano ricorso alle convenzioni quadro definite dalla CONSIP ovvero al mercato elettronico della pubblica amministrazione, nonché le cooperative sociali (comma 2). I contratti stipulati in violazione di tale obbligo e di quello, alternativo, di aderire alle convenzioni CONSIP sono nulli, con responsabilità del dipendente che ha sottoscritto il contratto (comma 4). Anche nelle ipotesi in cui la vigente normativa ammette la trattativa privata è fatto obbligo alle amministrazioni di ricorrervi solo in casi eccezionali e motivati, previo esperimento di documentata indagine di mercato, con comunicazione alla sezione regionale della Corte dei conti (comma 5). Il comma 9 qualifica come “norme di principio e di coordinamento” le disposizioni dei commi 1, 2 e 5.

L’art. 24 della legge n. 289 del 2002 detta pure disposizioni in riferimento alla CONSIP, prevedendo (nel testo originario del comma 3) che, fermo quanto previsto da altre disposizioni (a partire dall’art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2000”), le pubbliche amministrazioni considerate nella Tabella C (amministrazioni dello Stato) e, comunque, gli “enti pubblici istituzionali”, hanno l’obbligo di utilizzare le convenzioni quadro da questa definite e che, per procedere agli acquisti in maniera autonoma, gli enti di cui all’art. 24, comma 6, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Comuni, Province, comunità montane e loro consorzi) adottano i prezzi di tali convenzioni come base d’asta al ribasso.

1.2. ¾ La legge n. 212 del 2003, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 143 del 2003, ha in parte novellato l’art. 24 della legge n. 289 del 2002. Nel sostituire l’art. 5 di detto decreto-legge, la legge n. 212 del 2003 ha circoscritto l’obbligo di ricorrere alle convenzioni quadro definite dalla CONSIP, limitandolo alle sole ipotesi di acquisto di beni o servizi caratterizzati “dall’alta qualità dei servizi stessi e dalla bassa intensità di lavoro” (art. 24, comma 3) e demandando poi ad un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze il compito di indicare quali servizi possano considerarsi rientranti nella predetta nozione (art. 24, comma 3-bis); inoltre ha introdotto nell’art. 24 un comma 4-bis, il quale consente la stipulazione di ogni tipo di contratto senza utilizzare le convenzioni quadro definite dalla CONSIP qualora il valore dei costi e delle prestazioni dedotte in contratto sia uguale o inferiore a quello previsto dalle stesse convenzioni.

1.3. ¾ Successivamente alla proposizione dei ricorsi, il decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti in tema di versamento e riscossione dei tributi, di Fondazioni bancarie e di gare indette dalla CONSIP s.p.a. nonché di alienazione di aree appartenenti al patrimonio e al demanio dello Stato), convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326, ha soppresso i commi 1 e 2 dell’impugnato art. 24 della legge n. 289 del 2002, cioè le disposizioni recanti l’estensione alle gare sottosoglia, ma di importo superiore a 50.000 euro, della disciplina nazionale di recepimento della normativa comunitaria.

L’art. 3, comma 166, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004) ha, infine, abrogato l’intera disposizione, ad eccezione dell’ultimo periodo del comma 3 (disposizione che consente ai partiti politici di aderire alle convenzioni della CONSIP) e dei commi 6-bis e 7 (disposizioni relative a modalità operative della CONSIP ed alla peculiare posizione dei servizi di informazione e sicurezza dello Stato).

Il decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito nella legge 30 luglio 2004, n. 191, ha sostituito il comma 3 dell’art. 26 della legge n. 488 del 1999, prevedendo (art. 1, comma 4), con disposizione parzialmente analoga a quella dell’impugnato art. 24 della legge n. 289 del 2004, che le amministrazioni pubbliche possono aderire alle convenzioni definite dalla CONSIP ovvero ne utilizzano i parametri prezzo-qualità, come limiti massimi, per l’acquisto di beni e servizi, e che la violazione di tale obbligo sia causa di responsabilità amministrativa.

2. ¾ Stante la sostanziale identità dell’oggetto delle questioni proposte, riferite al medesimo articolo, i giudizi promossi con i ricorsi indicati in epigrafe, possono essere riuniti per essere decisi con unica pronuncia.

3. ¾ Deve anzitutto darsi atto che, a seguito della pressoché integrale abrogazione dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 da parte dell’art. 3, comma 166, della legge n. 350 del 2003, la Regione autonoma Valle d’Aosta ha rinunciato ai due ricorsi proposti. La rinuncia è stata accettata dalla Avvocatura generale dello Stato e deve pertanto dichiararsi l’estinzione dei giudizi in questione.

Per gli stessi motivi le Regioni Toscana, Piemonte ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Bolzano, nelle memorie presentate in prossimità dell’udienza, hanno ritenuto cessata la materia del contendere. Altrettanto ha affermato la Regione Umbria, nel corso dell’udienza pubblica.

La richiesta di queste ricorrenti di dichiarare la cessazione della materia del contendere per il venire meno del loro interesse ad una pronuncia di merito fa ritenere che l’impugnato articolo 24 della legge n. 289 del 2002 non abbia avuto applicazione nell’ambito del loro territorio.

Deve pertanto dichiararsi la cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni di costituzionalità sollevate dalle Regioni Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna e Umbria e dalla Provincia autonoma di Bolzano con i ricorsi indicati in epigrafe.

4. ¾ La Regione Veneto ritiene, di contro, che la abrogazione non retroattiva delle disposizioni impugnate faccia persistere il proprio interesse al ricorso.

Al riguardo deve ritenersi che la abrogazione di tutti i commi impugnati dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 non faccia venire meno di per sé l’attualità dell’interesse in relazione alle questioni poste dalla ricorrente, giacché queste disposizioni, abrogate ex nunc e non ex tunc, hanno comunque dispiegato effetti, sia pure per un breve arco temporale.

La Regione Veneto, inoltre, chiede che la questione di costituzionalità, sollevata in relazione al comma 4 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, sia trasferita sulla disposizione dell’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito nella legge n. 191 del 2004. 

Tale richiesta non può essere accolta.

Infatti le due disposizioni appena richiamate ricollegano la sanzione della responsabilità amministrativa alla violazione di obblighi diversi. Nel caso del comma 4 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, la responsabilità consegue alla violazione dell’obbligo di indire la gara secondo le procedure comunitarie, o, in alternativa, di aderire alle convenzioni CONSIP; mentre nel caso dell’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 168 del 2004 la responsabilità stessa consegue alla violazione dell’obbligo di rispettare il prezzo unitario di base delle convenzioni CONSIP.

La diversità delle disposizioni impedisce che possa darsi luogo a quanto richiesto dalla Regione Veneto, in quanto, a ben vedere, la ricorrente chiede una inammissibile estensione oggettiva del giudizio ad una norma diversa, che essa aveva l’onere di impugnare autonomamente.

5. ¾ In via preliminare, deve essere dichiarata inammissibile la questione sollevata dalla Regione Veneto avverso il comma 5 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, in quanto la norma, che sarebbe ridondante rispetto alle normative comunitarie, nazionali e regionali già disciplinanti la materia, imporrebbe una comunicazione alla Corte dei conti che costituirebbe un ulteriore adempimento “burocratico” di cui non risulterebbe chiaro l’effetto.

Al riguardo deve infatti essere ribadito l’orientamento di questa Corte, il quale esclude che la Regione possa invocare, a fondamento di una impugnazione in via principale di una legge statale, parametri costituzionali diversi da quelli relativi alla tutela della propria sfera di autonomia (da ultimo, sentenze n. 4, n. 6 e n. 196 del 2004).

6. ¾ La Regione Veneto impugna i commi 1, 2, 4, 5 e 9 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, sostenendo che la disciplina dell’acquisto di beni e servizi secondo procedure di evidenza pubblica, non riconducibile a nessuna delle materie elencate nei commi secondo e terzo dell’art. 117 della Costituzione, rientrerebbe nella competenza residuale delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione.

6.1. ¾ La questione non è fondata nei termini di seguito precisati.

6.2. ¾ Le procedure di evidenza pubblica, anche alla luce delle direttive della Comunità Europea (cfr., da ultimo, la direttiva 2004/18/CE, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e servizi), hanno assunto un rilievo fondamentale per la tutela della concorrenza tra i vari operatori economici interessati alle commesse pubbliche.

Viene in rilievo, a questo proposito, la disposizione di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, secondo la quale spetta allo Stato legiferare in via esclusiva in tema di tutela della concorrenza.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 14 e 272 del 2004) ha posto in evidenza che si tratta di una competenza trasversale, che coinvolge più ambiti materiali, si caratterizza per la natura funzionale (individuando, più che degli oggetti, delle finalità in vista delle quali la potestà legislativa statale deve essere esercitata) e vale a legittimare l’intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri profili, di competenza regionale.

Peraltro la stessa giurisprudenza ha chiarito che l’intervento del legislatore statale è legittimo se contenuto entro i limiti dei canoni di adeguatezza e proporzionalità. In particolare, come si legge nella citata sentenza n. 272 del 2004 (punto 3 del Considerato in diritto), la norma statale che imponesse una disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza costituirebbe una illegittima compressione dell’autonomia regionale.

Deve pertanto ritenersi che nel caso di specie l’estensione agli acquisti sotto soglia di beni e servizi della normativa nazionale di recepimento della normativa comunitaria non implichi per gli enti autonomi l’applicazione di puntuali modalità, ma solo l’osservanza dei principi desumibili dalla normativa in questione.

Questa interpretazione del comma 1 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 appare d’altro canto conforme alla disposizione del comma 9 dello stesso art. 24, nel quale si legge che “le disposizioni dei commi 1, 2 e 5 costituiscono norme di principio e di coordinamento”. Questa espressione, diversa da quella di “principi fondamentali” che ricorre in ipotesi di legislazione concorrente, conferma che qui ci si trova di fronte ad un caso di legislazione esclusiva e “trasversale” dello Stato, che deve tener conto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza dei mezzi usati rispetto al fine che si vuol raggiungere della tutela della concorrenza.

6.3. ¾ Se ne deve concludere che i commi 1, 2, 4, 5 e 9 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002, là dove impongono la gara, fissano l’ambito soggettivo ed oggettivo di tale obbligo, limitano il ricorso alla trattativa privata e collegano alla violazione dell’obbligo sanzioni civili (nullità dei contratti) e forme di responsabilità, trovano fondamento, nei termini sopra riferiti, nella potestà dello Stato di regolare il mercato e di favorire rapporti concorrenziali nell’ambito dello stesso.

7. ¾ La Regione Veneto ha impugnato il comma 4 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 anche sotto il profilo dell’incompetenza dello Stato a dettare la disciplina sostanziale della responsabilità amministrativa dei dipendenti della Regione e degli enti pubblici regionali e locali, sostenendo che si versi in tema di competenza residuale della Regione in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 117, quarto comma, della Costituzione).

La questione non è fondata.

La ricorrente trascura che, in proposito, vengono in evidenza le disposizioni dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, secondo le quali spettano alla competenza esclusiva dello Stato le materie della giurisdizione e dell’ordinamento civile.

Nella disciplina generale della responsabilità amministrativa i profili sostanziali sono strettamente intrecciati con i poteri che la legge attribuisce al giudice chiamato ad accertarla (come si rileva, ad esempio, dalla disposizione dell’art. 52 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, recante il “Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti”, secondo la quale “la Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto”), ovvero fanno riferimento a situazioni soggettive riconducibili alla materia dell’ordinamento civile.

Ne discende che la potestà legislativa residuale delle Regioni a statuto ordinario in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 117, quarto comma, della Costituzione), se può esplicarsi nel senso di disciplinare il rapporto di impiego o di servizio dei propri dipendenti, prevedendo obblighi la cui violazione comporti responsabilità amministrativa, non può tuttavia incidere sul regime della stessa.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce ogni decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto altre disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), sollevate con i ricorsi in epigrafe,

riuniti i giudizi,

1) dichiara estinti i giudizi promossi dalla Regione Valle d’Aosta, in ordine alle questioni di costituzionalità dell’art. 24, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 9, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, con i ricorsi indicati in epigrafe (reg. ric. n. 19 e n. 73 del 2003);

2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di costituzionalità dell’art. 24, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 9, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sollevate, rispettivamente: in riferimento all’art. 117 della Costituzione, dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt. 5, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, dalla Regione Piemonte, in riferimento agli artt. 8, primo comma, numero 1), 9, primo comma, numero 10), e 16 dello statuto speciale (approvato con il d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e alle relative norme di attuazione (di cui all’art. 2 del d.P.R. 28 agosto 1975, n. 474), all’art. 117 della Costituzione e all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento agli artt. 117, primo, terzo e quarto comma, e 114, secondo comma, della Costituzione, dalla Regione Umbria, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe (reg. ric. nn.15, 18, 20, 22 e 25 del 2003);

3) dichiara inammissibile la questione di costituzionalità dell’art. 24, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sollevata, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dalla Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 26 del 2003);

4) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di costituzionalità dell’art. 24, commi 1, 2, 4, 5 e 9, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sollevate in riferimento all’art. 117 della Costituzione dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 26 del 2003).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 ottobre 2004.

Valerio ONIDA, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2004.