Sentenza n. 107 del 1970
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SENTENZA N. 107

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZI'

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale sarda 17 dicembre 1968, riapprovata il 6 novembre 1969, recante "Autorizzazione al trasporto all'esercizio successivo degli ordini di accreditamento emessi dall'Amministrazione regionale per spese in conto capitale", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 22 novembre 1969, depositato in cancelleria il 1 dicembre successivo ed iscritto al n. 13 del registro ricorsi 1969.

Visto l'atto di costituzione del Presidente della Regione autonoma della Sardegna;

udito nell'udienza pubblica del 22 aprile 1970 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri, e l'avv. Pietro Gasparri, per la Regione sarda.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso notificato al Presidente della Giunta regionale sarda il 22 novembre 1969 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 1 dicembre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato la legge regionale sarda 17 dicembre 1968, riapprovata nella seduta del 6 novembre 1969 con la quale si dispone che "gli ordini di accreditamento emessi dall'Amministrazione regionale per spese in conto capitale, rimasti in tutto o in parte inestinti alla fine dell'esercizio, possono essere trasportati integralmente, o per la parte inestinta, all'esercizio successivo".

Secondo l'Avvocatura la legge regionale sarebbe in contrasto con l'art. 81 della Costituzione, nelle parti in cui enuncia il principio dell'annualità del bilancio e quello della copertura delle spese, nonché con gli artt. 41 e 26 delle norme di attuazione dello statuto sardo approvato con D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250, in relazione alla normativa statale sulla contabilità generale dello Stato.

La legge sulla contabilità generale approvata con R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 (art. 61) e le relative norme di attuazione di cui al D.M. 3 giugno 1929 (art. 5) escludono tassativamente dal così detto trasporto all'esercizio successivo gli "ordini di accreditamento" a favore dei funzionari delegati.

Le rare deroghe al divieto in parola sono state eccezionalmente possibili solo facendo ricorso a leggi speciali, quale il D.L. 20 marzo 1948, n. 700, che autorizzò il trasporto di ordini di accreditamento emessi dal Ministro dei lavori pubblici per "spese di funzionamento o mantenimento (art. 1) e per spese per opere pubbliche di bonifica (art. 2); nonché la legge 16 marzo 1951, n. 232 a favore dell'ANAS, che consentl' il trasporto di ordini di accreditamento relativi a spese ordinarie e non in conto capitale.

La rigidità della normativa si ricollega alla natura del bilancio statale quale é desumibile dall'art. 81 della Costituzione, e cioè ad un bilancio che, essendo di competenza, deve evidenziare fedelmente le previsioni delle entrate e delle spese evitando ogni possibilità di commistione fra le poste di un esercizio finanziario e quelle di un altro. L'indiscriminata possibilità di trasporto di spese dall'esercizio precedente al successivo non consentirebbe inoltre al Parlamento di accertare la vera entità delle spese per l'esercizio in corso. Il legislatore perciò potrebbe essere indotto a programmare spese per le quali non sussistono corrispettive entrate con la conseguente violazione del precetto costituzionale di copertura posto dall'art. 81.

Soggiunge l'Avvocatura che la legge impugnata viola inoltre sia l'art. 41 delle norme di attuazione approvate con D.P.R. n. 250 del 1949, in forza del quale la Regione é tenuta ad osservare, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti della contabilità generale dello Stato, sia l'art. 26 delle citate norme poiché il trasporto degli ordini di accreditamento all'esercizio successivo comporterebbe un allargamento del tempo di durata dei rendiconti con ampliamento della portata del controllo successivo della Corte dei Conti, e riduzione proporzionale dell'area del controllo preventivo. Nel presente giudizio si é costituito il Presidente della Regione sarda, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Gasparri, mediante deposito di deduzioni in cancelleria in data 12 dicembre 1969.

La difesa della Regione osserva in primo luogo che la materia del bilancio, intesa come disciplina normativa degli adempimenti degli uffici regionali, rientra nell'art. 3, lettera a) dello statuto, che attribuisce alla Regione potestà legislativa primaria per quanto concerne l'ordinamento degli uffici. In relazione a questa norma va rettamente interpretato l'art. 41 delle disposizioni di attuazione approvate con D.P.R. n. 250 del 1949 che dispone il rinvio alle vigenti norme della contabilità generale dello Stato per la compilazione, variazioni e gestione del bilancio di previsione e del rendiconto della Regione.

Se tale articolo venisse inteso nel senso che tutte le norme della contabilità dello Stato sono obbligatorie per la Regione, la potestà legislativa primaria di quest'ultima in materia di contabilità verrebbe ad essere esclusa o a ridursi ad una mera competenza integrativa.

La realtà, invece, é che l'art. 41, per come é dato desumere dalla sua collocazione, ha carattere di norma transitoria di prima attuazione che rese possibile nel 1949 l'inizio del funzionamento della Regione consentendo di utilizzare nell'ordinamento regionale la legislazione contabile dello Stato come sostitutiva di quella che poteva essere una legge regionale sul proprio ordinamento contabile. Il suo inciso "in quanto applicabili" deve essere pertanto inteso non soltanto nel senso "in quanto non incompatibili con lo Statuto", ma anche nel senso di "in quanto non incompatibili con le norme dell'ordinamento regionale".

É pertanto da ritenere che la Regione, nel rispetto delle norme costituzionali e dei principi generali dell'ordinamento, può adottare norme nella materia in esame ed il problema che la legge impugnata pone é quello di stabilire se il divieto di trasporto degli ordini di accreditamento possa essere configurato come principio generale della legge di contabilità dello Stato. La soluzione di tale problema é data dalla stessa Avvocatura con l'indicazione delle deroghe legislative (D.L. 20 marzo 1948, n. 700 e la legge 16 marzo 1951, n. 232) al divieto in parola, dal momento che non può certo qualificarsi principio generale una regola che può essere derogata da leggi statali.

Nega inoltre la difesa che la legge impugnata violi l'art. 81 della Costituzione osservando che il principio dell'annualità del bilancio, che da tale precetto discende, non esclude affatto il trasporto di accreditamenti non utilizzati all'esercizio successivo.

In una memoria depositata l'8 aprile 1970 la difesa della Regione ha ulteriormente sviluppato le considerazioni svolte precisando che:

- il sistema del trasporto degli ordini di accreditamento all'esercizio successivo, adottato come regola con la legge impugnata in luogo della normativa statale che dispone invece l'annullamento del vecchio ordine non utilizzato e la sua sostituzione con una nuova apertura di credito, oltre ad essere giustificato dalla particolare natura degli interventi regionali, ha il pregio di far risparmiare il tempo e la trafila burocratica necessari per l'emissione di un nuovo accreditamento, evitando così ogni ritardo nei pagamenti con tutte le spiacevoli conseguenze che dal ritardo di solito derivano e cioè sospensione dei lavori, delle forniture e in genere delle attività in considerazione delle quali l'apertura di credito era stata disposta;

- tale sistema non é in contrasto con i principi dell'annualità del bilancio e della copertura delle spese, che discendono dall'art. 81 della Costituzione, perché il residuo di spese dell'esercizio precedente non deve essere soddisfatto con le entrate previste in conto competenza del nuovo bilancio, ma viene iscritto a fronte delle residue attività del vecchio esercizio;

- la legge regionale non contrasta con l'art. 41 delle norme di attuazione dello statuto poiché con questa disposizione non si é voluto integrare lo statuto e trasfondere in esso tutto il corpo di leggi concernenti la contabilità generale dello Stato. Ove, per contro, ciò dovesse ritenersi, sarebbe inevitabile giungere alla conclusione che detto articolo é viziato da illegittimità costituzionale in riferimento all'art. 3 lett. a) dello statuto - che riconosce una potestà legislativa in materia alla Regione - nonché all'art. 3 della Costituzione, poiché non si vede in base a quale razionale giustificazione alla Regione sarda dovrebbe essere riservato un trattamento così negativamente discriminatorio;

- neppure ravvisabile é la violazione dell'art. 26 delle norme di attuazione poiché il controllo da parte della Corte dei conti sui rendiconti dei funzionari delegati continua ad aver luogo, senza varianti di sorta, sia che l'Amministrazione ritiri o riproduca l'atto di accreditamento, sia che ne operi il trasporto. Comunque, anche questa norma, ove fosse interpretata in modo incompatibile con l'autonomia della Regione in materia di organizzazione dei propri uffici contabili, sarebbe costituzionalmente illegittima in relazione ai precetti costituzionali sopraindicati.

L'Avvocatura dello Stato, dal suo canto, nella memoria depositata l'8 aprile 1970 insiste nel ricorso osservando che:

- con l'espediente del trasporto la Regione viene in pratica ad allungare indefinitivamente il proprio bilancio, oltre l'anno di competenza, falsandone l'equilibrio ordinario e violando così l'art. 81 della Costituzione;

- é fuor di luogo il riferimento all'art. 3 lett. a) dello statuto poiché la compilazione del bilancio non é materia che possa essere inquadrata nell'ordinamento degli uffici;

- l'art. 41 delle norme di attuazione, col suo inciso "in quanto applicabili", non sta ad indicare una indiscriminata possibilità di deroga all'ordinamento contabile statale, ma solo il necessario adattamento, tenuto conto delle diversità dei due soggetti, di quell'ordinamento all'organizzazione regionale;

- lo Stato ha fatto uso pochissime volte e per materie e situazioni ben determinate dello strumento tecnico del trasporto; la legge regionale, viceversa, oltre a non offrire una plausibile causa giustificatrice alla sua emanazione, ha effetti duraturi e illimitati trasferendo in blocco da un bilancio di competenza ad un altro delle poste che hanno esaurito ogni loro funzione nel bilancio di provenienza, il che, in definitiva, significa sostituire al bilancio annuale e rigido un bilancio elastico che non esiste nel nostro ordinamento.

 

Considerato in diritto

 

1. - Col ricorso indicato in epigrafe la legge regionale sarda 17 dicembre 1968 riapprovata il 6 novembre 1969 - recante autorizzazione al trasporto all'esercizio successivo degli ordini di accreditamento emessi dall'amministrazione regionale per spese in conto capitale - viene denunciata come costituzionalmente illegittima, in riferimento all'art. 81 della Costituzione, ed agli artt. 41 e 26 delle norme di attuazione dello statuto sardo, approvate con D.P.R. 15 maggio 1949, n. 250, in relazione alla normativa statale sulla contabilità generale dello Stato.

Problema preliminare alla questione proposta é quello attinente all'esistenza di una potestà della Regione ad emanare norme in materia di bilancio e contabilità regionale, nonché alla individuazione della fonte statutaria dalla quale tale potestà trarrebbe origine.

Ad avviso della Corte l'esigenza di riconoscere alla Regione sarda la potestà normativa di cui trattasi trova anzitutto fondamento ed é anzi necessaria conseguenza dell'autonomia legislativa ad essa attribuita nelle numerose materie indicate negli artt. 3 e 4 dello statuto. II bilancio e la contabilità non possono infatti essere intesi come materia a sé stante, ma rappresentano mezzi e strumenti giuridici indispensabili perché l'ente Regione possa concretamente operare per il perseguimento dei vari fini assegnatigli.

A parte ciò é poi da rilevare che la potestà regionale a dettare le norme in questione rientra nel precetto statutario contenuto nell'art. 3 lett. a) relativo all'"ordinamento degli uffici", poiché é fuor di dubbio che in questa espressione va ricompreso il potere di regolare tanto la composizione, quanto anche le competenze degli organi regionali e fra queste ultime sono certamente da includere la gestione del bilancio e l'erogazione delle spese in esso stanziate.

Disposizioni sostanzialmente identiche a quella testé indicata, in forza delle quali é stato esercitato un potere normativo in materia di bilancio e contabilità, si rinvengono del resto nello statuto siciliano (art. 14 lett. p), in quello della Valle d'Aosta (art. 23 lett. a), in quello del Friuli (art. 4 n. 1) ed, infine, in quello della Regione del Trentino - Alto Adige (art. 4 n. 1). Quest'ultima, anzi, come é dato desumere dalla legge regionale 24 settembre 1951, n. 17, recante "norme sulla contabilità generale della Regione", é stata la prima, tra le Regioni a statuto speciale, a darsi una propria legge organica di contabilità completamente autonoma e distinta da quella dello Stato.

Non può pertanto disconoscersi che anche alla Regione sarda spetti una potestà primaria ad emanare norme di contabilità purché l'esercizio di essa avvenga nel rispetto dei precetti della Costituzione e dello statuto e con l'osservanza dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato.

2. - Occorre ora verificare se con la legge in esame detta potestà sia stata esercitata entro i limiti sopra indicati.

Col primo motivo di incostituzionalità si denuncia la violazione dell'art. 81 della Costituzione. Assume in particolare il ricorrente che la legge regionale, autorizzando il trasporto all'esercizio successivo degli ordini di accreditamento rimasti in tutto o in parte inestinti alla chiusura dell'esercizio, vulneri sia il principio della annualità del bilancio, sia quello della copertura delle spese.

Ambedue i rilievi sono privi di fondamento.

Giova premettere che in base alla legislazione statale vigente gli ordini di accreditamento, disposti presso le tesorerie provinciali a favore dei funzionari delegati, costituiscono una forma di pagamento di alcune spese, indicate dalla legge di contabilità, la cui rapida effettuazione é obbiettivamente giustificata da particolari e non eliminabili esigenze di talune amministrazioni, quali ad esempio quelle militari, autonome e dei lavori pubblici.

Può però accadere che alla fine dell'esercizio l'ordine di accreditamento non sia stato utilizzato o lo sia stato solo in parte. In tali casi l'ordine viene annullato o ridotto. Se permane la necessità della spesa, occorrerà emettere nel nuovo esercizio un altro ordine di accreditamento la cui contabilizzazione figurerà nel conto residui dell'esercizio scaduto.

Poiché sia i decreti di annullamento o riduzione sia le nuove aperture di credito seguono lo stesso iter (uffici amministrativi, ragioneria, Corte dei conti) degli originari ordini di accreditamento é evidente che nel frattempo le operazioni di pagamento subiscono un fermo che avrà innegabili negative ripercussioni sulla realizzazione di quegli scopi in relazione ai quali gli accreditamenti erano stati autorizzati.

Orbene, con la legge approvata dalla Regione tutto ciò non accade perché con essa si dispone l'automatico trasporto dell'originario ordine di accreditamento, rimasto totalmente o in parte inestinto nell'esercizio conclusosi, al successivo esercizio finanziario.

Esempi di siffatto trasporto non mancano nella legislazione statale. A norma della disposizione contenuta nell'art. 5, ultimo comma, del D.M. 3 giugno 1929, emesso in base alla delega di cui all'art. 8 della legge 9 dicembre 1928, n. 2783, il trasporto é infatti normalmente usato dall'amministrazione dei lavori pubblici su richiesta dei funzionari delegati per le spese in conto capitale e cioè proprio per quelle spese per le quali il trasporto é stato disposto in via generale dalla legge impugnata.

Ad avviso della Corte il sistema del trasporto non é lesivo della regola dell'annualità del bilancio prevista dall'art. 81, comma primo, della Costituzione. L'utilizzazione dell'originaria apertura di credito mediante il suo trasferimento ope legis all'esercizio successivo non implica l'imputazione di spese non effettuate nell'esercizio scaduto ai fondi di competenza del nuovo bilancio. Il trasferimento riguarda infatti spese residue del bilancio anteriore per le quali era già prevista la relativa copertura e l'annotazione contabile di esse non può essere fatta nella previsione di competenza del nuovo bilancio, ma figurerà in un documento distinto quale é appunto il conto dei residui del trascorso esercizio.

Questa netta separazione tra conto di competenza e conto dei residui, dalla quale necessariamente consegue l'impossibilità che una spesa relativa ad un esercizio scaduto venga soddisfatta con entrate della nuova competenza e viceversa, vale anche a dimostrare l'infondatezza del secondo rilievo, espresso dall'Avvocatura, concernente il pericolo per il legislatore di programmare spese per le quali non sussistono in realtà corrispondenti fondi di copertura.

3. - Resta da esaminare se la legge impugnata sia in contrasto con gli artt. 41 e 26 delle norme di attuazione dello statuto di cui al D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250.

In ordine alla prima disposizione, che enuncia la validità per la Regione sarda delle norme della contabilità generale dello Stato per quanto concerne la compilazione, le variazioni e la gestione del bilancio di previsione e del rendiconto consuntivo, é agevole rilevare che non può ritenersi che in virtù di tale precetto tutta la normativa contabile dello Stato sia stata definitivamente recepita nell'ordinamento regionale.

Una simile interpretazione sarebbe inconciliabile con quanto innanzi é stato detto circa il riconoscimento alla Regione di una potestà legislativa primaria in materia di bilancio e di contabilità.

La norma di attuazione va pertanto rettamente intesa nel senso che l'applicabilità delle leggi di contabilità dello Stato nell'ambito della Regione resta subordinata al mancato esercizio della potestà legislativa regionale in materia.

Del pari privo di fondamento é l'asserito contrasto con l'art. 26 del D.P.R. n. 250 del 1949 secondo il quale i rendiconti delle aperture di credito a favore dei funzionari delegati devono essere sottoposti al controllo della Delegazione della Corte dei conti ogni tre mesi e, in ogni caso, entro trenta giorni da quello in cui é stata ultimata l'utilizzazione dell'ordine di accreditamento.

Il sistema di controllo adottato da questa norma, in quanto esige una dichiarazione di regolarità, importa il riscontro effettivo di tutti i rendiconti dei funzionari delegati, e non riconosce all'organo di controllo - così come avviene per l'Amministrazione dello Stato ai sensi dell'art. 60, comma quarto, della legge generale di contabilità - la possibilità di un semplice controllo saltuario limitato a determinati rendiconti. Ora il sistema del controllo regionale, sia nella fase preventiva che in quella successiva, non viene affatto intaccato dalla legge impugnata. Tanto nel caso in cui l'ordine originario sia annullato o ridotto e venga emesso un nuovo ordine di accreditamento, quanto nel caso in cui, in luogo di tali operazioni, si disponga più semplicemente il trasporto al nuovo esercizio della originaria apertura di credito, il controllo continua a svolgersi con la medesima regolarità e completezza.

La legge regionale, disciplinando in modo particolare la attività dei funzionari delegati al pagamento delle spese, non ha quindi violato né i precetti contenuti nell'art. 81 della Costituzione, né i principi dell'ordinamento ai quali si informa la contabilità dello Stato, essendo da escludere che con essa siasi arrecato pregiudizio alle fondamentali garanzie della veridicità, della chiarezza e della correttezza nella gestione del pubblico denaro.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge regionale sarda 17 dicembre 1968, riapprovata dal Consiglio regionale nella seduta del 6 novembre 1969 (recante "Autorizzazione al trasporto all'esercizio successivo degli ordini di accreditamento emessi dall'Amministrazione regionale per le spese in conto capitale"), proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri, col ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all'art. 81 della Costituzione, nonché agli artt. 41 e 26 delle norme di attuazione per lo statuto speciale per la Sardegna approvato con D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250, in relazione alla normativa statale sulla contabilità generale dello Stato.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 26 giugno 1970