Sentenza n. 376 del 2008

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 376

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Giovanni Maria           FLICK                            Presidente

-    Francesco                  AMIRANTE                      Giudice

-    Ugo                          DE SIERVO                          "

-    Paolo                        MADDALENA                      "

-    Alfio                         FINOCCHIARO                   "

-    Alfonso                     QUARANTA                        "

-    Franco                      GALLO                                "

-    Luigi                         MAZZELLA                          "

-    Gaetano                     SILVESTRI                          "

-    Sabino                       CASSESE                             "

-    Maria Rita                 SAULLE                               "

-    Giuseppe                   TESAURO                            "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                     "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 3, comma 132, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), e dell’art. 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, promossi dal Tribunale di Genova nei procedimenti civili vertenti tra R. M. e T. G. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con due ordinanze del 18 dicembre 2007, iscritte rispettivamente al n. 115 e al n. 116 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visti gli atti di costituzione dell’INPS nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 21 ottobre 2008 il Giudice relatore Francesco Amirante;

uditi l’avvocato Mario Poti per l’INPS e l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di un giudizio instaurato da una pensionata, nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, allo scopo di ottenere la rivalutazione, con il coefficiente di 1,5, del periodo di lavoro nel quale ella era stata esposta all’amianto e la conseguente ricostituzione della pensione, il Tribunale di Genova, con ordinanza del 18 dicembre 2007, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 132, della legge 27 dicembre 2003, n. 299 (recte: della legge 24 dicembre 2003, n. 350, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2004»), e dell’art. 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.

Premette, in fatto, il remittente che deve ritenersi pacifico, in base agli atti di causa, che la ricorrente, nel corso dell’attività lavorativa protrattasi dal 22 gennaio 1962 fino 13 gennaio 1992, è stata esposta all’amianto per più di dieci anni in attività assoggettate all’assicurazione obbligatoria gestita dall’INAIL e che la medesima è titolare di pensione di vecchiaia dal giugno 2005, a seguito del compimento del sessantesimo anno di età. L’ordinanza di rimessione, inoltre, dà per pacifica la legittimazione passiva dell’INPS e l’interesse ad agire della ricorrente, trattandosi di lavoratrice esposta all’amianto per il periodo “qualificato” di almeno un decennio, così come fissato dall’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto).

Ciò posto, il Tribunale di Genova osserva che il suddetto art. 47 del d.l. n. 269 del 2003, nel modificare – con decorrenza 2 ottobre 2003 – il testo dell’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, ha reso meno favorevole la disciplina dei benefici previdenziali previsti da tale norma; ed infatti, oltre a ridurre il coefficiente di rivalutazione da 1,5 a 1,25, ne ha anche attribuito rilevanza ai soli fini dell’importo della pensione e non anche della maturazione del diritto alla medesima (peraltro, facendo salva l’applicabilità del precedente regime in favore di alcune categorie di lavoratori). E poiché, nella specie, occorre stabilire se alla ricorrente debba applicarsi la precedente (e più favorevole) disciplina, ovvero quella vigente, ciò dà conto – ad avviso del giudice a quo – della rilevanza dell’odierna questione di legittimità costituzionale.

Nell’esporre il contenuto di tale questione, il Tribunale pone a confronto il testo delle due disposizioni censurate, rilevando che l’art. 3, comma 132, della legge n. 350 del 2003, pur presupponendo la norma dell’art. 47, ha ampliato la platea dei soggetti esclusi dall’applicazione della normativa nuova e meno favorevole, in particolare disponendo l’ultrattività del sistema previgente nei confronti di altre tre categorie di destinatari: 1) coloro i quali, alla data del 2 ottobre 2003 (data di entrata in vigore del d.l. n. 269 del 2003), avevano già maturato il diritto alla pensione; 2) coloro che, alla stessa data, avevano presentato domanda di riconoscimento del beneficio derivante dall’esposizione all’amianto all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ovvero all’INPS; 3) coloro che, a tale data, avevano comunque introdotto una controversia giudiziale poi conclusasi con esito favorevole per il lavoratore. Tale lettura della citata norma è – ad avviso del Tribunale di Genova – l’unica consentita, non potendosi ritenere, in assenza di apposita previsione, che il legislatore abbia «realmente inteso mantenere ferma la disciplina previgente per tutti coloro che erano stati esposti ad amianto prima del 2 ottobre 2003»; e simile interpretazione è anche quella fatta propria dalla Corte di cassazione in numerose pronunce.

E’ successivamente intervenuto il d.m. 27 ottobre 2004 il quale, nel regolare la posizione dei lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 avevano già maturato il diritto ai benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, ha previsto, all’art. 1, comma 2, per tutti costoro, la possibilità di avvalersi del precedente regime presentando apposita domanda nel termine di centottanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto medesimo (15 giugno 2005). Siffatta previsione – che, ad avviso del Tribunale di Genova, è illegittima, sicché se ne rende necessaria la disapplicazione – ha peraltro tentato di porre rimedio a quella che «pare essere un’irragionevole disparità di trattamento». Nella specie, infatti, la perdurante applicazione del precedente e più favorevole regime previdenziale è stata collegata, come si è detto, alla sussistenza di almeno una delle condizioni indicate dal censurato art. 3, comma 132; ad avviso del giudice a quo, mentre sembra «del tutto ragionevole» collegare la diversità di trattamento alla già avvenuta maturazione del diritto a pensione, non altrettanto può dirsi per la presentazione, entro la data del 2 ottobre 2003, di una qualsiasi domanda amministrativa per il riconoscimento del beneficio in questione. Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione in precedenza richiamata, infatti, nel regime antecedente l’entrata in vigore delle disposizioni censurate non era prevista la necessità di alcuna domanda amministrativa per fare accertare il diritto alla rivalutazione dei contributi previdenziali per effetto dell’esposizione all’amianto. Ne consegue che al remittente pare si possa fondatamente dubitare della ragionevolezza «della disparità di trattamento stabilita dalla legge in ragione di un atto – la presentazione della domanda – che non soltanto non rientra in alcun modo tra gli elementi costitutivi del beneficio disciplinato, ma neppure ne condiziona il riconoscimento». Introdurre la necessità di una domanda che prima non era prevista e ricollegare alla mancata precedente presentazione di tale domanda l’applicazione della nuova e meno favorevole disciplina «significa di fatto introdurre un termine di decadenza con effetto retroattivo».

Nel caso specifico, la lavoratrice alla data del 2 ottobre 2003 non possedeva i requisiti per il pensionamento ed ha presentato per la prima volta la domanda all’INAIL per il riconoscimento dei benefici in data 15 giugno 2005; alla medesima, pertanto, dovrebbe applicarsi la nuova disciplina di cui all’impugnato art. 47 del d.l. n. 269 del 2003. Tale situazione appare al remittente tale da creare un’ingiustificata disparità di trattamento tra due lavoratori che abbiano subito la medesima esposizione all’amianto, per il solo fatto che uno di costoro abbia omesso di presentare una domanda «che non era tenuto a presentare», con violazione dell’art. 3 della Costituzione.

Il Tribunale di Genova, quindi, solleva questione di legittimità costituzionale delle censurate disposizioni nella parte in cui escludono dall’applicazione della disciplina previgente a quella introdotta dall’art. 47 del d.l. n. 269 del 2003 «coloro che prima del 2 ottobre 2003 non abbiano presentato domanda amministrativa di riconoscimento dei benefici previsti dall’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992», pur avendo poi presentato la domanda nel termine di decadenza di cui al menzionato art. 47.

2.–– Nel corso di un’altra controversia, promossa da un lavoratore nei confronti dell’INPS, per ottenere la rivalutazione, con il coefficiente di 1,5, del periodo lavorativo nel quale era stato esposto all’amianto, il Tribunale di Genova ha sollevato, sempre in riferimento all’art. 3 Cost., un’identica questione di legittimità costituzionale.

In questa diversa ordinanza il giudice a quo precisa che il ricorrente era stato esposto all’amianto per oltre diciassette anni (dal 14 novembre 1975 al 31 dicembre 1992) e che il suo interesse ad agire è dimostrato dal fatto che egli potrebbe accedere immediatamente alla pensione di anzianità solo ove gli venisse applicata la previgente disciplina dell’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992. Il lavoratore, infatti, alla data del 2 ottobre 2003 aveva maturato poco meno di trentuno anni di contribuzione e non avrebbe potuto raggiungere i quarant’anni neppure col riconoscimento dei benefici in questione. Al momento della proposizione del ricorso, però, il medesimo lavoratore aveva maturato trentatré anni di contribuzione che, rivalutati con il coefficiente di 1,5, gli consentirebbero di accedere alla pensione di anzianità; prestazione che non potrebbe conseguire, invece, ove gli si applicasse «la successiva – e meno favorevole – disciplina» introdotta dall’art. 47 del d.l. n. 269 del 2003.

Nel prosieguo dell’ordinanza, il Tribunale chiarisce che il ricorrente ha presentato domanda all’INAIL per il riconoscimento dei benefici in data 3 dicembre 2004, sicché deve essergli applicata la nuova e meno favorevole disciplina previdenziale, con la conseguenza che egli matura il diritto a pensione «più tardi e in un importo inferiore per il solo fatto di non aver presentato una domanda che non era tenuto a presentare»; donde la rilevanza della questione.

Per il resto, l’ordinanza è di contenuto identico alla precedente.

3.–– Si è costituito in entrambi i giudizi l’INPS, con atti di contenuto identico, chiedendo che la Corte dichiari la questione inammissibile o comunque infondata.

Rileva l’ente previdenziale che dal confronto tra l’art. 47, comma 6-bis, del d.l. n. 269 del 2003, introdotto dalla legge di conversione n. 326 del 2003, e l’art. 3, comma 132, della legge n. 350 del 2003, emerge – anche alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione – che il perdurare dell’applicazione dell’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 è collegato alla già avvenuta maturazione, alla data del 2 ottobre 2003, del diritto a pensione ovvero all’avviamento di un procedimento amministrativo o giurisdizionale. Tali condizioni sono fra loro alternative e non cumulative, sicché il possesso anche di una sola di esse è sufficiente ad evitare l’effetto sfavorevole costituito dall’entrata in vigore della nuova disciplina. Nella specie, ove pure fosse accolta la prospettata questione, continuerebbe a doversi applicare la disposizione del censurato art. 47, perché «l’eventuale espunzione della preventiva domanda amministrativa di prestazione dal novero delle condizioni legittimanti l’ultrattività della pregressa normativa non varrebbe comunque ad escludere l’applicazione dello ius superveniens» nei confronti dei ricorrenti i quali, per ammissione dello stesso Tribunale di Genova, non avevano maturato il diritto al trattamento di pensione e non avevano avanzato alcuna domanda in sede giurisdizionale.

Nel merito, la questione sarebbe infondata, poiché costruita sul convincimento del giudice a quo, reputato «eccessivamente drastico», secondo cui nel vigore del testo originario della legge n. 257 del 1992 non era necessaria alcuna domanda amministrativa per ottenere il riconoscimento del diritto alla rivalutazione dei contributi in conseguenza dell’esposizione all’amianto. Nella prassi, invece, ancorché in difetto di una specifica norma di legge, la domanda di riconoscimento dell’esposizione era stata prevista dall’INPS fin dalla circolare n. 304 del 1995, che specificava la necessità di una domanda da corredare con la certificazione già resa dall’INAIL; sicché collegare la perdurante applicazione della pregressa e più favorevole normativa all’avvenuto inoltro di una domanda di accertamento appare del tutto ragionevole.

La stessa Corte di cassazione, infatti, pur avendo ribadito l’inesistenza di una previsione di legge che imponesse la presentazione di una domanda amministrativa per ottenere i benefici previdenziali in questione, ha affermato che la rivalutazione determina in concreto il contenuto del diritto alla pensione, di modo che la richiesta di accredito dei contributi figurativi per l’esposizione all’amianto si può immedesimare nella stessa domanda di pensione. Il che, del resto, è del tutto logico, essendo l’INPS nella chiara impossibilità di provvedere d’ufficio al computo del beneficio.

4.–– E’ intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, con due atti di contenuto pressoché identico, ha concluso nel senso dell’inammissibilità o dell’infondatezza della questione.

Osserva l’Avvocatura che l’inammissibilità deriverebbe dal fatto che il remittente non ha esposto le ragioni per le quali dall’accoglimento della questione dovrebbe derivare ai ricorrenti l’applicazione di un trattamento più favorevole; la declaratoria di illegittimità costituzionale, infatti, non potrebbe condurre ad estendere il beneficio ai lavoratori dei giudizi a quibus, i quali non rientrano nelle altre categorie indicate dal legislatore, sicché rimarrebbero comunque esclusi. Non sarebbe possibile, d’altra parte, neppure una pronuncia additiva, in mancanza di una soluzione dal contenuto costituzionalmente obbligato.

Considerato in diritto

1.–– Il Tribunale di Genova – con due ordinanze di contenuto sostanzialmente eguale quanto alle disposizioni impugnate e alla motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione, ancorché le fattispecie oggetto dei giudizi si diversifichino per alcuni elementi – ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 3, comma 132, della legge 27 dicembre 2003, n. 299 (recte: legge 24 dicembre 2003, n. 350, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004»), e dell’art. 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.

Le suddette disposizioni vengono censurate nella parte in cui escludono dall’applicazione della disciplina previgente a quella introdotta dall’art. 47, comma 1, del richiamato d.l. n. 269 del 2003 «coloro che prima del 2 ottobre 2003 non abbiano presentato domanda amministrativa di riconoscimento dei benefici previsti dall’art. 13, comma 8, legge n. 257 del 1992, come sostituito dall’articolo 1, comma 1, d.l. n. 169 del 1993, convertito in legge n. 271 del 1993, pur avendo poi presentato domanda nel termine decadenziale previsto dal citato art. 47».

2.–– Dalle ordinanze di rimessione risulta, per quanto qui interessa, che la questione viene posta nell’ambito di due giudizi promossi, con ricorsi rispettivamente del 13 ottobre 2006 (r.o. n. 115 del 2008) e 26 settembre 2005 (r.o. n. 116 del 2008), da due ex lavoratori dipendenti addetti ad attività assoggettate all’assicurazione obbligatoria gestita dall’INAIL con esposizione all’amianto in concentrazione oltre i limiti di legge e per periodi ultradecennali (cessati, in entrambi i casi, entro il 31 dicembre 1992) che hanno chiesto di poter usufruire del beneficio previdenziale di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto), nel testo previgente all’art. 47 del d.l. n. 269 del 2003, pur non essendo alla data di entrata in vigore di tale ultimo decreto (2 ottobre 2003) titolari di pensione di vecchiaia o anzianità né avendo presentato, entro la stessa data, la relativa domanda amministrativa o giudiziaria seguita da sentenza di accoglimento.

Il remittente premette che la disciplina originaria dell’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 attribuiva ai lavoratori addetti a lavorazioni comportanti contatti con l’amianto, per una certa durata e con un rilevante quantitativo di concentrazione potenzialmente morbigeno, il beneficio della moltiplicazione dei periodi di contribuzione in cui dette lavorazioni avevano avuto luogo per il coefficiente 1,50 e che tale beneficio era efficace al fine del conseguimento dell’anzianità contributiva necessaria per ottenere la pensione oltre che sulla misura di questa. Successivamente è stato emanato il d.l. n. 269 del 2003, il cui art. 47, per quanto rileva nel presente giudizio, ha ridotto, con decorrenza dal 2 ottobre 2003, il coefficiente suddetto da 1,50 a 1,25 ed ha stabilito che siffatto beneficio non è utilizzabile per la maturazione del diritto al trattamento pensionistico, ma soltanto ai fini della determinazione dell’importo delle relative prestazioni. Con la legge di conversione n. 326 del 2003 nel citato art. 47 è stato inserito il comma 6-bis, il quale ha previsto l’applicabilità delle previgenti disposizioni anche per coloro che avessero, alla data indicata, già maturato il diritto a pensione avvalendosi del beneficio previdenziale in oggetto, nonché per coloro che, alla stessa data, fruissero del trattamento di mobilità o avessero definito la risoluzione del rapporto di lavoro in relazione alla domanda di pensionamento.

I precedenti commi 5 e 6 dello stesso articolo hanno, inoltre, prescritto che coloro che intendessero ottenere il riconoscimento del beneficio dovessero presentare domanda all’INAIL entro centottanta giorni dalla data di pubblicazione del decreto interministeriale contenente le modalità di attuazione della nuova disciplina, da emanare entro sessanta giorni dall’entrata in vigore dello stesso d.l. n. 269 del 2003. Tale decreto ministeriale è stato, invece, emanato il 27 ottobre 2004 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 17 dicembre 2004, sicché il termine per la suindicata domanda è scaduto il 15 giugno 2005.

L’art. 3, comma 132, della legge finanziaria n. 350 del 2003 ha esteso le categorie dei soggetti che possono godere del regime previgente all’emanazione del d.l. n. 269 del 2003, prevedendone l’applicazione anche a coloro che, alla data 2 ottobre 2003, avessero «già maturato […] il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 e successive modificazioni», nonché «a coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all’INAIL o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data».

Successivamente, il citato decreto interministeriale attuativo ha stabilito che «ai lavoratori che sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall’INAIL, che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, si applica la disciplina previgente alla medesima data, fermo restando, qualora non abbiano già provveduto, l’obbligo di presentazione della domanda […] entro il termine di 180 giorni a pena di decadenza dalla data di entrata in vigore del presente decreto».

Premesso l’esposto svolgimento normativo, il remittente riferisce, in fatto, che, per entrambi i ricorrenti, sono state accertate sia l’esposizione all’amianto per il tempo e nelle concentrazioni previsti, sia la mancata maturazione del diritto a pensione alla data del 2 ottobre 2003. Più precisamente, la ricorrente nel giudizio di cui all’ordinanza n. 115 del 2008 gode della pensione di vecchiaia dal giugno 2005 e il ricorrente nell’altro giudizio maturerebbe il diritto alla pensione di anzianità se gli fosse applicato il regime previgente il d.l. n. 269 del 2003. Entrambi i ricorrenti, inoltre, hanno presentato la domanda in sede amministrativa solo in epoca successiva (rispettivamente, il 15 giugno 2005 e il 3 dicembre 2004).

Il giudice a quo sostiene che la normativa censurata, nella interpretazione datane dalla Corte di cassazione in alcune pronunce tra loro conformi – costituenti, quindi, “diritto vivente” – non consente l’applicazione ai ricorrenti nei giudizi principali del regime previgente più favorevole per quanto concerne la misura del coefficiente di rivalutazione. La Corte di cassazione, infatti, ha precisato che, nella lettura della suddetta disciplina: a) l’espressione “maturazione del diritto” deve intendersi riferita alla maturazione del diritto a pensione; b) «tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l’accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva».

Conseguentemente, ad avviso del Tribunale di Genova, il decreto ministeriale attuativo, nella parte in cui attribuisce il diritto al più favorevole coefficiente di rivalutazione anche a coloro che alla data del 2 ottobre 2003 non avevano maturato il diritto a pensione né presentato alcuna domanda, purché provvedessero a farlo entro il 15 giugno 2005, non è conforme alla legge e va disapplicato. Ma la disciplina legale suddetta è irragionevole perché, condizionando il trattamento più favorevole alla presentazione di una domanda amministrativa entro una certa data quando, all’epoca, non era previsto alcun onere di una simile presentazione, fa derivare una diversità di regime da un fatto puramente casuale.

3.–– In via preliminare deve essere disposta la riunione dei due giudizi aventi ad oggetto la medesima questione.

Non può essere accolta l’eccezione d’inammissibilità avanzata, sia pure in termini formalmente diversi, dalla difesa dell’INPS e dall’Avvocatura dello Stato, secondo cui la motivazione sulla rilevanza sarebbe insufficiente in quanto le ordinanze non chiarirebbero in che modo l’eventuale accoglimento della questione, così come proposta, influirebbe sui giudizi di provenienza.

Il remittente, infatti, chiede che la dichiarazione di illegittimità colpisca quella parte della normativa che condiziona la fruizione del più favorevole previgente regime del beneficio in oggetto, da parte di coloro che non avessero maturato il diritto a pensione alla data del 2 ottobre 2003, alla presentazione, entro la stessa data, di una apposita domanda amministrativa. Eliminato tale requisito, poiché entrambi i ricorrenti nei giudizi a quibus hanno presentato la domanda amministrativa entro il 15 giugno 2005 (termine fissato dalla nuova disciplina), le loro domande, sotto tale profilo, non troverebbero ostacoli all’accoglimento.

4.–– La questione è, invece, inammissibile per ragioni diverse.

Senza voler qui ripercorrere tutta la vicenda normativa e giurisprudenziale relativa alle lavorazioni comportanti esposizione all’amianto, è necessario, tuttavia, metterne in evidenza alcuni punti rilevanti per comprendere i termini della questione stessa.

In una prima fase, una volta accertata l’efficacia morbigena delle polveri di amianto, ancorché non ben identificati i modi, i tempi e i livelli di concentrazione della esposizione perché siffatta efficacia potesse spiegarsi, l’esigenza primaria fu quella di favorire la dismissione delle lavorazioni concernenti il suddetto minerale.

Il problema si pose in sede comunitaria nella prima metà degli anni ottanta. L’Italia tardò a dare esecuzione alle misure disposte in quella sede e solo dopo la sentenza di condanna della Corte di giustizia CE 13 settembre 1990, n. 240, seguita ad una procedura d’infrazione, fu emanata la legge n. 257 del 1992, principalmente finalizzata, come si evince anche dal titolo, a favorire la cessazione dell’impiego dell’amianto.

Tra le misure previste per raggiungere tale obiettivo, l’art. 13, comma 8, stabilì che i periodi di lavoro relativi alle attività assoggettate all’assicurazione obbligatoria gestita dall’INAIL che esponevano alle polveri di amianto fossero moltiplicati per il coefficiente 1,50 quando superavano i dieci anni. E’ opportuno precisare che tale misura non comportava l’introduzione di una nuova prestazione previdenziale, bensì una modalità di calcolo della anzianità contributiva ai fini delle ordinarie prestazioni pensionistiche di vecchiaia e di anzianità o di queste sostitutive in regimi speciali, modalità di calcolo che aveva il fine precipuo di favorire l’esodo dal mondo del lavoro del maggior numero di lavoratori che subivano, sul piano occupazionale, le conseguenze della voluta dismissione. In correlazione a tale finalità, il beneficio non era attribuito a coloro che fossero già titolari dei suddetti trattamenti pensionistici (sentenza n. 434 del 2002).

Dopo oltre un decennio, durante il quale sono anche intervenute modifiche normative che qui non rilevano, con il d.l. n. 269 del 2003 la misura suindicata ha subito una radicale trasformazione dovuta ad un duplice ordine di ragioni. Da un lato, infatti, è stato logico presumere che, a distanza di tanti anni dall’entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, il risultato della dismissione delle lavorazioni dell’amianto, comportanti esposizione dei lavoratori alle sue polveri, fosse stato ormai conseguito; dall’altro, è venuto emergendo, dalle indagini epidemiologiche e dai progressi della scienza medica, che gli effetti dannosi della suddetta esposizione possono prodursi anche a lunga distanza di tempo e che non era, quindi, irragionevole attribuire un beneficio previdenziale a coloro che a siffatto rischio erano stati esposti, anche se le relative attività non erano obbligatoriamente assoggettate all’assicurazione INAIL. La nuova normativa ha, pertanto, previsto che il beneficio non valga al fine del raggiungimento della anzianità contributiva, ma sia attribuito, in presenza delle altre condizioni di legge, a coloro che  abbiano maturato il diritto al trattamento di quiescenza secondo gli ordinari criteri di calcolo, al solo fine della misura della pensione. La riduzione del coefficiente di rivalutazione da 1,50 a 1,25 è dovuta alla non irragionevole previsione che vi sarebbe stato un allargamento della platea degli aventi diritto e, quindi, a una nuova valutazione delle esigenze di bilancio.

Le disposizioni dell’art. 47, commi 5 e 6, del d.l. n. 269 del 2003 sono predisposte alla definizione delle modalità di attuazione della nuova disciplina, con riguardo alla quale stabiliscono a carico degli aventi diritto l’onere della domanda amministrativa entro il termine di decadenza collegato alla pubblicazione del suddetto decreto interministeriale.

Il comma 6-bis dello stesso art. 47, introdotto dalla legge di conversione, e l’art. 3, comma 132, della legge finanziaria n. 350 del 2003, disciplinano il regime transitorio in considerazione del mutamento delle finalità e dei presupposti della misura previdenziale in oggetto. Il primo, come si è detto, consente l’attribuzione del beneficio previdenziale secondo il più favorevole previgente regime in favore di coloro che alla data di entrata in vigore del d.l. n. 269 del 2003 (2 ottobre 2003) abbiano maturato il diritto al trattamento pensionistico anche in base ai benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, e ad altre categorie che qui non rilevano. Il citato art. 3, comma 132, a sua volta stabilisce che il regime previgente si applica ai lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano maturato «il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni», nonché «a coloro che hanno presentato domanda di riconoscimento all’INAIL o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data».

Il remittente ritiene, anche in conformità ad un orientamento della Corte di cassazione, che l’espressione «abbiano maturato il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali» debba essere interpretata come riferentesi al diritto alla pensione, implicitamente con l’attribuzione dei benefici di cui si tratta, nonché che il regime previgente si applichi anche a coloro che abbiano fatto domanda amministrativa entro il 2 ottobre 2003.

Ai fini del giudizio di costituzionalità è sufficiente rilevare che siffatta  interpretazione non è implausibile, qualora si consideri che la disposizione di cui all’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, come già osservato, non ha istituito una nuova prestazione previdenziale, ma soltanto un sistema più favorevole di calcolo della contribuzione per la determinazione della pensione. Non si può, pertanto, configurare «la maturazione del diritto ai benefici» indipendentemente dal conseguimento del diritto a pensione.

Ciò che non può essere condiviso nel ragionamento del remittente è l’affermazione che il fatto di aver subordinato l’attribuzione del più favorevole originario regime alla presentazione di una domanda amministrativa, effettuata entro una data ricadente in un periodo in cui essa non era obbligatoriamente prevista, costituisca la retroattiva – e quindi irragionevole – imposizione di un onere. A tal proposito, si rileva che il legislatore ha dettato la disciplina transitoria inerente al passaggio da un regime ad un altro in correlazione con il mutamento di funzione e di struttura della misura disciplinata. Considerando che tale passaggio comportava un trattamento meno favorevole, ha voluto far salve alcune situazioni ritenute meritevoli di tutela, introducendo disposizioni derogatorie rispetto all’immediata applicazione della nuova disciplina. Tra tali ipotesi ha inserito anche quella di coloro che avessero precedentemente presentato domanda amministrativa per ottenere il riconoscimento del beneficio, in ragione della relativa efficacia ai fini del conseguimento della pensione.

La tesi del remittente non si limita all’affermazione della irragionevolezza della suddetta disposizione derogatoria, ma si estende dalla richiesta della relativa dichiarazione di illegittimità a quella della introduzione, come diversa ipotesi derogatoria, della presentazione della domanda entro il termine del 15 giugno 2005, termine, quest’ultimo, che è stato stabilito a fini diversi, come non contesta lo stesso remittente, il quale afferma l’impossibilità di applicarlo in via puramente interpretativa della normativa censurata.

A quanto rilevato consegue l’inammissibilità della questione, dal momento che, per giurisprudenza costante di questa Corte, va riconosciuta al legislatore ampia discrezionalità – salvo il limite della palese irragionevolezza – nella fissazione delle norme di carattere transitorio dettate per agevolare il passaggio da un regime ad un altro, tanto più ove si tratti di disciplina di carattere derogatorio comportante scelte connesse all’individuazione delle categorie dei beneficiari delle prestazioni di carattere previdenziale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 3, comma 132, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), e dell’art. 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Genova con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2008.