SENTENZA N. 270
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
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- Luigi MAZZELLA "
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- Maria
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- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi
di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 4-quinquies, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione
industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con
modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, introdotto dall’articolo 1, comma 10, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134 (Disposizioni urgenti in materia di
ristrutturazione di grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni,
dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166, promossi dal
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con tre ordinanze del 27 maggio
2009, rispettivamente iscritte ai nn. 223, 224 e 225
del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visti gli atti di costituzione di Eurofly
s.p.a ed altra, del Commissario straordinario di Alitalia-Linee Aeree Italiane s.p.a. in amministrazione
straordinaria e di Alitalia Compagnia Aerea Italiana s.p.a. nonché gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 giugno 2010 il Giudice
relatore
uditi gli avvocati Aldo Travi, Romolo Persiani e Cristoforo Osti
per la Eurofly s.p.a ed
altra,
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, con tre ordinanze del 27 maggio 2009, emesse nel corso di
altrettanti giudizi, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 10, del decreto-legge 28
agosto 2008, n. 134 (Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di
grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre
2008, n. 166, nella parte in cui ha
introdotto il comma 4-quinquies
nell’articolo 4 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per
la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza),
convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39 (recte: ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4-quinquies, del decreto-legge n. 347 del
2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 39 del 2004, introdotto
dall’art. 1, comma 10, del decreto-legge n. 134 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 166 del 2008).
2.– La prima ordinanza (r.o. n. 223 del 2009) premette che Eurofly
s.p.a., in persona del legale rappresentante, ha dedotto che esercita
un’impresa di trasporto aereo di linea, in concorrenza, tra l’altro, con Alitalia-Linee Aeree Italiane s.p.a. (di seguito, Alitalia)
ed AirOne s.p.a., chiedendo l’annullamento del
provvedimento dell’Autorità della concorrenza e del mercato (d’ora in poi,
Autorità), adottato nell’adunanza del 3 dicembre
Siffatto provvedimento, reso sulla
comunicazione della società Alitalia-Compagnia Aerea
Italiana s.p.a. (infra:
CAI), effettuata ai sensi del citato art. 4, comma 4-quinquies, avente ad oggetto la notificazione preventiva
dell’operazione di concentrazione relativa all’acquisizione di alcuni rami
d’azienda delle società Alitalia-Linee Aeree Italiane
s.p.a., in amministrazione straordinaria, Alitalia Servizi s.p.a., in
amministrazione straordinaria, Alitalia Airport
s.p.a., in amministrazione straordinaria,
Alitalia Express s.p.a., in amministrazione straordinaria, Volare s.p.a, in amministrazione straordinaria (gruppo AZ), e
delle società AirOne s.p.a., AirOne
City Liner s.p.a., European
Avia Service s.p.a., Air One
Technic s.p.a. e Challey Ltd (gruppo AP), ha prescritto misure comportamentali, per
prevenire il rischio di imposizione di prezzi ed altre condizioni contrattuali
ingiustificatamente gravose per i consumatori, conseguenti alla concentrazione,
fissando al 3 dicembre 2011 la data prima della quale sarà stabilito il
successivo termine entro il quale le posizioni di monopolio eventualmente
determinatesi a seguito dell’operazione devono cessare, previo avvio di idoneo
procedimento istruttorio.
2.1.– Il TAR espone che, con il primo
motivo, Eurofly s.p.a. ha eccepito l’illegittimità
del provvedimento impugnato, in quanto avrebbe dato applicazione al citato art.
4, comma 4-quinquies, che si porrebbe in contrasto con gli artt. 3
e 41 Cost.
La ricorrente, con il secondo motivo, ha
dedotto che il provvedimento impugnato violerebbe il d.l. n. 347 del 2003,
convertito dalla legge n. 39 del 2004, ed il d.l. n. 134 del 2008, convertito
dalla legge n. 166 del 2008, poiché l’esclusione della autorizzazione
dell’operazione di concentrazione riguarderebbe soltanto le «imprese operanti
nel settore dei servizi pubblici
essenziali» e, in virtù dell’art. 1 della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme
sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla
salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione
della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge), sarebbero tali
soltanto i servizi aerei per il collegamento con le isole e, alla data
dell’operazione, CAI, non era titolare
di concessione per l’esercizio dell’attività di trasporto aereo, quindi, il
citato art. 4, comma 4-quinquies, non
sarebbe applicabile.
Eurofly s.p.a., con il terzo ed il quarto motivo, ha,
rispettivamente, eccepito che le norme alla base del provvedimento impugnato si
porrebbero in contrasto con l’art. 86 del Trattato del 15 marzo 1957 (Trattato
che istituisce la Comunità europea), nella versione in vigore dal 1° febbraio
2003 al 30 novembre 2009 (di seguito, Trattato CE), nonché con gli artt. 3,
lettera g), 10 e 82 del medesimo, e
dovrebbero essere disapplicate, insistendo per il rinvio pregiudiziale alla
Corte di giustizia delle Comunità europee, al fine di accertare l’esatta
interpretazione di tali disposizioni.
Il quinto motivo ha prospettato
l’illegittimità del provvedimento impugnato, in quanto la valutazione
dell’operazione di concentrazione spetterebbe alla Commissione europea. In
linea gradata, la ricorrente ha chiesto che sia
disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, per
accertare se «una situazione di controllo congiunto di fatto possa sussistere
nel caso sia provata l’esistenza di una forte comunione di interessi; nel caso
di acquisto del controllo congiunto tramite una "scatola vuota” imprese
interessate debbano considerarsi le imprese madri e non la società veicolo;
l’acquisto del controllo di CAI e l’ingresso del socio straniero debbano essere
considerati quale unica operazione di concentrazione».
Eurofly s.p.a., con il sesto motivo, ha chiesto
l’annullamento del citato provvedimento, deducendone l’illegittimità in
relazione ai contenuti degli «obblighi imposti», in quanto incongrui rispetto
al fine di scongiurare il rischio di condizioni contrattuali
ingiustificatamente gravose per i consumatori.
2.2.– L’ordinanza di rimessione espone
che CAI ha proposto ricorso incidentale
condizionato, affidato a tre motivi, chiedendo l’annullamento del
provvedimento impugnato da Eurofly s.p.a., nel caso
di accoglimento, anche parziale, del ricorso principale.
2.3.– Posta questa premessa, il TAR
espone le ragioni del rigetto dell’eccezione di inammissibilità del ricorso,
per difetto di legittimazione ad agire, proposta dall’Avvocatura dello Stato,
osservando che la ricorrente, impresa concorrente di quelle interessate dalla
concentrazione, è titolare di una posizione «differenziata» rispetto «alla
posizione di tutti gli altri membri della collettività» e «qualificata», poiché
non contesta le prescrizioni contenute nel provvedimento impugnato a tutela dei
consumatori, ma dubita della legittimità dell’operazione di concentrazione
presupposta dal provvedimento, in quanto consentita dalla norma censurata.
2.4.–
Secondo l’ordinanza di rimessione, la norma censurata ha disposto che le
operazioni di concentrazione delle imprese operanti nel settore dei servizi
pubblici essenziali, effettuate entro il 30 giugno 2009, connesse o
contestuali, o comunque previste nel programma debitamente autorizzato di cui
all’art. 2, comma 2, del d.l. n. 347 del 2003, ovvero nel provvedimento di
autorizzazione di cui all’art. 5, comma 1, di detto decreto-legge, rispondono a
preminenti interessi generali e non sono soggette all’autorizzazione di cui
alla legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del
mercato), fermo quanto previsto dagli artt. 2 e 3 della medesima. La
disposizione ha, inoltre, stabilito che, fatto salvo quanto previsto dalle
norme comunitarie, le parti devono preventivamente notificare all’Autorità le
concentrazioni che rientrano nella competenza della medesima, unitamente alla
proposta di misure comportamentali idonee a prevenire il rischio di imposizione
di prezzi o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per i
consumatori.
L’Autorità, con propria deliberazione,
adottata entro trenta giorni dalla comunicazione, prescrive le suddette misure,
con le modificazioni ed integrazioni ritenute necessarie, fissando il termine,
non inferiore a tre anni, entro il quale le posizioni di monopolio
eventualmente determinatesi devono cessare; in caso di inottemperanza, sono
applicabili le sanzioni previste dall’art. 19 della legge n. 287 del 1990.
L’Autorità, con provvedimento del 3
dicembre 2008: ha reso obbligatoria la misura comportamentale con cui CAI si è
impegnata a garantire su tutte le rotte piena e ampia copertura del proprio
programma di fidelizzazione, salvo specifiche iniziative promozionali relative
alla commercializzazione una tantum
di particolari tariffe scontate su determinate rotte; ha integrato detta
misura, con ulteriori prescrizioni; ha stabilito che CAI deve applicare
siffatte misure per tre anni dalla data di inizio delle attività della stessa
società, fissando al 3 dicembre 2011 la data prima della quale sarà stabilito
il successivo termine, entro il quale le posizioni di monopolio eventualmente
determinatesi a seguito dell’operazione devono cessare, previo avvio di idoneo
procedimento istruttorio.
2.5.– Sintetizzato il contenuto del
provvedimento impugnato, il rimettente espone gli argomenti a conforto del
rigetto delle censure svolte da Eurofly s.p.a. nei
motivi dal secondo al sesto.
In primo luogo, approfondisce le ragioni
dell’inammissibilità delle doglianze concernenti le condizioni asseritamente gravose per i consumatori e dell’infondatezza
della tesi diretta a contestare la configurabilità del servizio di trasporto
aereo come servizio pubblico essenziale. In secondo luogo, espone diffusamente
gli argomenti a conforto dell’infondatezza della censura con la quale la
ricorrente ha dedotto che sull’operazione avrebbe dovuto pronunciarsi la Commissione
europea. In terzo luogo, svolge gli argomenti per dimostrare l’inesistenza
dell’eccepito contrasto delle norme nazionali applicabili alla fattispecie con
le disposizioni comunitarie invocate dalla ricorrente.
2.6.– Il TAR, dopo avere sottolineato che «i motivi di impugnativa con
cui la ricorrente ha dedotto vizi propri dell’atto sono in parte infondati ed
in parte inammissibili», solleva questione di legittimità costituzionale del
citato art. 4, comma 4-quinquies.
A suo avviso, detta disposizione
costituirebbe una «norma-provvedimento», poiché concerne le operazioni di
concentrazione, effettuate entro il 30 giugno 2009, tra imprese operanti nel
settore dei servizi pubblici essenziali connesse o contestuali o comunque
previste nel programma, debitamente autorizzato, relativo alla procedura di
amministrazione straordinaria delle grandi
imprese in stato di insolvenza. Dunque, essa ha un limitato ambito di
applicazione e sarebbe stata emanata con riferimento «alla vicenda Alitalia,
tanto che il decreto in cui è contenuta la norma è comunemente noto come c.d.
"decreto Alitalia”». D’altronde, osserva il rimettente, anche l’amministrazione
resistente ha prospettato che, «con l’operazione CAI-Alitalia-AirOne»,
è «stato salvato da sicuro e imminente collasso un sistema integrato di
trasporti pubblici, via aerea su scala nazionale» e la controinteressata
ha precisato che «le vicende sottese all’adozione del provvedimento legislativo
sono a tutti ben note [...]. I rischi di scomparsa della compagnia di bandiera
e di disoccupazione di migliaia di lavoratori hanno spinto il Governo ad
intervenire con misure drastiche che consentissero la continuità operativa
delle imprese incaricate dello svolgimento di servizi pubblici essenziali
entrate in crisi».
La disposizione censurata costituirebbe,
quindi, una «norma-provvedimento» che, secondo il giudice a quo, la giurisprudenza costituzionale avrebbe ritenuto
ammissibile, salvo il rispetto della funzione giurisdizionale e del principio
di ragionevolezza e la sua sottoposizione ad uno scrutinio stretto di
costituzionalità in ordine a detti profili.
Il canone della ragionevolezza comporta
che le disposizioni le quali realizzano una disparità di trattamento devono
essere valutate all’esito di un bilanciamento dei valori in gioco. Ad avviso
del rimettente, la norma censurata stabilisce che le operazioni di
concentrazione in esame sono strumentali alla tutela di preminenti interessi
generali e, appunto per questo, sono sottratte alla disciplina prevista dagli
artt. 6 e 16 della legge n. 287 del 1990. L’art. 16 di detta legge dispone che:
le operazioni di concentrazione indicate nell’art. 5 devono essere
preventivamente comunicate all’Autorità, qualora il fatturato totale realizzato
a livello nazionale dall’insieme delle imprese interessate sia superiore a
determinate soglie (comma1); quando l’Autorità ritenga che l’operazione di
concentrazione possa essere vietata ai sensi dell’art. 6, avvia l’istruttoria
e, se non reputi ciò necessario, deve comunicare le proprie conclusioni alle
imprese interessate ed al Ministro dell’industria, del commercio e
dell’artigianato (comma 4).
L’art. 6, comma 1, della legge n. 287
del 1990 stabilisce che l’Autorità valuta se dette operazioni di concentrazione
comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul
mercato nazionale, in guisa da eliminare o ridurre in modo sostanziale e
durevole la concorrenza (comma 1), e, al termine dell’istruttoria prevista
dall’art. 16, comma 4, se accerta che l’operazione produce tali effetti, vieta
la concentrazione, ovvero la autorizza, prescrivendo le misure necessarie per
impedirli (comma 2).
La norma censurata avrebbe sottratto
all’Autorità il potere di svolgere il controllo secondo il procedimento
previsto dalla legge n. 287 del 1990, permettendole soltanto di prescrivere
misure comportamentali, escludendo il potere di vietare l’operazione e di
imporre ulteriori misure.
Secondo il rimettente, l’incidenza
dell’operazione di concentrazione sulla concorrenza risulterebbe dallo stesso
provvedimento impugnato, il quale, in primo luogo, indica che «CAI, a seguito
dell’operazione, sarà l’unico vettore ad offrire servizi di trasporto aereo
passeggeri di linea su numerose tratte, tra cui alcune fra le più importanti in
temi di trasportato, mentre sulle altre rotte
risulterà fortemente ridotta la presenza di operatori concorrenti, con
poche eccezioni» (paragrafo 13). In secondo luogo, pone in luce che,
«considerata la situazione concorrenziale che verrà a determinarsi a seguito
dell’operazione», si avrà «la creazione di un vettore che potrà gestire una
rete di collegamenti capillare su tutto il territorio nazionale, detenendo sui
singoli collegamenti posizioni di assoluto rilievo – se non di unica offerta –
in termini di frequenze allo stato disponibili» (paragrafo 31).
Inoltre, poiché la norma censurata
stabilisce che l’Autorità definisce il termine, non inferiore a tre anni, entro
il quale le posizioni di monopolio eventualmente determinatesi devono cessare,
tali posizioni sono destinate a durare almeno tre anni. Dunque, detta norma
avrebbe discriminato le imprese del settore aereo, prevedendo un trattamento
più favorevole per quelle interessate alla concentrazione, che hanno
incrementato la propria posizione in termini concorrenziali, in danno delle
altre già operanti nel settore, o che, in prospettiva, potrebbero operarvi.
Ad avviso del giudice a quo, siffatta discriminazione non
sarebbe ragionevole, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost. e del
principio della libertà di concorrenza, che costituisce una delle espressioni
della libertà di iniziativa economica privata, non avendo la norma censurata
neppure dato conto degli interessi che mirerebbe a garantire e che, all’interno
di un bilanciamento di tutti quelli in gioco, potrebbero giustificare la deroga
del principio di eguaglianza ed il sacrificio della libertà di concorrenza.
Il citato art. 4, comma 4-quinquies, indica, infatti, che le
operazioni di concentrazione in esame «rispondono a preminenti interessi
generali», senza offrire «una precisa spiegazione» al riguardo e senza dare
conto sia delle ragioni della loro prevalenza rispetto ad altri interessi di
rango costituzionale, sia dell’impossibilità di conseguirli con modalità
diverse, rispettose dei principi di eguaglianza e di tutela della concorrenza.
A questo fine, sarebbe insufficiente la considerazione, contenuta nella
premessa del d.l. n. 134 del
La norma censurata violerebbe, quindi,
l’art. 41 Cost., il quale garantisce la libertà dell’iniziativa economica
privata, una delle cui articolazioni fondamentali sarebbe costituita dalla
tutela della concorrenza, mentre l’art. 1 della legge n. 287 del 1990
stabilisce che le norme in questa contenute sono state emanate in attuazione di
detto parametro costituzionale, a tutela del diritto di iniziativa economica.
Secondo il TAR, la questione di
legittimità costituzionale sarebbe rilevante, in quanto l’eccezione di
inammissibilità proposta dall’Avvocatura dello Stato è stata rigettata, sono
stati ritenuti in parte infondati, in parte inammissibili, i motivi del ricorso
aventi ad oggetto vizi propri del provvedimento impugnato, ed è stato
dichiarato inammissibile il ricorso incidentale condizionato. Pertanto,
l’accoglimento della questione «si rifletterebbe inevitabilmente sulla
legittimità dell’impugnato provvedimento […] che, nel prescrivere le misure
comportamentali per la CAI, ha applicato la norma» censurata, «postulando
l’avvenuta realizzazione dell’operazione di concentrazione».
Il rimettente espone, infine, le ragioni a
conforto della inammissibilità del ricorso incidentale condizionato proposto da
CAI.
3.– La seconda ordinanza (r.o. n. 224 del 2009) premette che, nel giudizio
principale, Meridiana s.p.a., in persona del legale rappresentante, ha dedotto
che esercita l’attività di trasporto aereo di linea in concorrenza, tra le
altre, con Alitalia ed AirOne s.p.a., chiedendo, con
otto motivi, l’annullamento del provvedimento dell’Autorità sopra richiamato.
3.1.– Il TAR espone che, con il primo motivo,
la ricorrente ha eccepito l’illegittimità di detto provvedimento, in quanto
adottato in violazione degli artt. 7 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n.
241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi) e degli artt. 7 e 13 del decreto del
Presidente della Repubblica 30 aprile 1998, n. 217 (Regolamento recante norme
in materia di procedure istruttorie di competenza dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato). Meridiana s.p.a., con il secondo motivo, ha
denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del regolamento di
organizzazione e funzionamento dell’attività dell’Autorità e dei principi
generali concernenti l’attività degli organi collegiali amministrativi, nonché
eccesso di potere.
L’ordinanza di rimessione sintetizza,
infine, il contenuto dei motivi dal terzo all’ottavo, sostanzialmente
coincidenti con quelli proposti da Eurofly s.p.a., ed
espone che CAI ha proposto ricorso incidentale condizionato, di contenuto identico
a quello del giudizio introdotto dall’ordinanza r.o.
n. 223 del 2009.
3.2.– Posta questa premessa, il TAR
espone gli argomenti a conforto del rigetto dell’eccezione di inammissibilità
del ricorso, per difetto di legittimazione ad agire, proposta dall’Avvocatura
dello Stato (identici a quelle svolti per dichiarare infondata l’identica
eccezione proposta nel giudizio introdotto da Eurofly
s.p.a.), sintetizza la disciplina stabilita dalla norma censurata ed il
contenuto del provvedimento impugnato.
3.3.– Il giudice a quo esamina, quindi, i primi due motivi del ricorso, ritenendoli
infondati, nonché i motivi dal quarto all’ottavo, rigettati con motivazione
identica a quella svolta nell’ordinanza r.o. n. 223
del 2009.
Il rimettente censura, infine, il citato
art. 4, comma 4-quinquies, in
riferimento ai parametri costituzionali ed ai profili indicati dalla ordinanza r.o. n. 223 del 2009, con argomentazioni sostanzialmente
identiche a quelle svolte in quest’ultimo provvedimento di rimessione, anche in
ordine alla rilevanza della questione ed all’inammissibilità del ricorso
incidentale condizionato.
4.– La terza ordinanza (r.o. n. 225 del 2009) premette che
Con il primo motivo, la ricorrente ha
eccepito che il provvedimento impugnato violerebbe l’art. 3 della legge n. 241
del 1990, nonché gli artt. 2, 3, 41 e 117 Cost. e l’art. 81 del Trattato CE,
deducendo che l’art. 1, comma 10, del d.l. n. 134 del 2008, nel testo
risultante dalla legge di conversione n. 166 del 2008, ed inoltre si porrebbe
in contrasto con norme costituzionali e comunitarie. Con il secondo motivo, ha
eccepito l’illegittimità costituzionale della legge n. 166 del
Secondo il TAR, l’eccezione di
inammissibilità del ricorso, per difetto di legittimazione ad agire, proposta
dall’Avvocatura dello Stato, è infondata, in quanto la ricorrente, ente
esponenziale dei consumatori, è titolare di una posizione differenziata e
qualificata. Il citato art. 4, comma 4-quinquies,
stabilisce, infatti, che le misure comportamentali che l’Autorità deve
prescrivere sono preordinate a prevenire il rischio di imposizione di prezzi o
di altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per i consumatori
in conseguenza dell’operazione di concentrazione. La ricorrente non ha proposto
censure riferite a tali misure comportamentali; nondimeno essa è legittimata a
contestare la concentrazione presupposta dal provvedimento impugnato, in quanto
consentita dalla norma censurata. La disciplina legislativa in materia di
concorrenza è, infatti, stabilita anche a tutela dei consumatori, i quali
potrebbero essere pregiudicati da una ridotta concorrenza tra le imprese del
settore.
4.1.– L’ordinanza di rimessione,
sintetizzati la disciplina stabilita dalla norma impugnata ed il contenuto del
provvedimento impugnato, ne ha escluso il contrasto con l’art. 82 del Trattato
CE, ritenendo non pertinente il richiamo dell’art. 81 del medesimo.
Il rimettente dubita, invece, della
legittimità costituzionale del citato art. 4, comma 4-quinquies, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., sotto i profili
e per le ragioni esposte nell’ordinanza r.o. n. 223
del 2009 che, sostanzialmente, riproduce.
Infine, il TAR deduce che la questione
sarebbe rilevante, premettendo che «ha respinto l’eccezione d’inammissibilità
del ricorso ed ha respinto le censure con cui la ricorrente ha dedotto la
violazione delle norme comunitarie», ed osservando che «l’eventuale
annullamento della detta norma di legge, pertanto, si rifletterebbe inevitabilmente
sulla legittimità dell’impugnato provvedimento dell’Autorità […] che, nel
prescrivere le misure comportamentali per la CAI, ha applicato la norma di
legge della cui costituzionalità si dubita, postulando l’avvenuta realizzazione
dell’operazione di concentrazione».
5.– Nei giudizi promossi dalle ordinanze
r.o. n. 223 e n. 224 del 2009 si sono costituite, con
separati atti, di contenuto sostanzialmente identico, Eurofly
s.p.a., in persona del legale rappresentante, e Meridiana s.p.a., in persona
del legale rappresentante, entrambe ricorrenti nei processi principali,
chiedendo, anche nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica,
che la questione sia accolta. Eurofly s.p.a., nella
memoria, ha indicato che ha modificato la propria denominazione sociale in
Meridiana fly s.p.a.
Le parti premettono una analitica
esposizione delle fasi della privatizzazione di Alitalia-Linee
Aeree Italiane s.p.a. (infra:
Alitalia), muovendo dalla pubblicazione, nel 2006, di un invito a manifestare
l’interesse all’acquisto della partecipazione dello Stato in tale società,
esauritosi senza successo nel 2007, sino alla presentazione in tale anno da
parte di Air France-KLM di un’offerta di acquisto
giudicata idonea, ma non andata a buon fine e ritirata il 21 aprile 2008.
Le società espongono, quindi, le
modalità del conferimento ad Intesa San Paolo s.p.a. del ruolo di advisor, allo
scopo di elaborare un piano e di individuare i soggetti interessati
all’acquisizione; esaminano alcuni profili relativi agli asseriti rapporti
della predetta con AirOne s.p.a. e CAI ed indicano
che, alla fine del mese di luglio del 2008, l’advisor aveva presentato un
programma di acquisizione e di gestione (c.d. Piano Fenice), sostenendo che il d.l. n. 134 del 2008 sarebbe stato
emanato per rendere applicabile nella specie l’amministrazione straordinaria
delle grandi imprese in crisi e permettere al Commissario straordinario di
vendere l’azienda in tempi brevissimi, a trattativa privata, introducendo,
altresì, una deroga ai poteri dell’Autorità.
Le parti ripercorrono le modalità della
sottoposizione delle società del gruppo Alitalia alla procedura di
amministrazione straordinaria, della modifica dello statuto e dell’oggetto
sociale di CAI e della formulazione da parte di quest’ultima di un’offerta di
acquisto; a loro avviso, sarebbe
indubbio che essa era
5.1.– Entrambe le società contestano le
eccezioni di inammissibilità sollevate dalle altri parti del giudizio e dall’interveniente,
osservando che CAI avrebbe svolto argomenti a sostegno dell’inammissibilità
della questione proposta nel diverso giudizio introdotto da Federconsumatori.
Secondo le parti, il TAR ha dichiarato infondati
tutti i motivi dei ricorsi non concernenti l’illegittimità costituzionale del
citato art. 4, comma 4-quinquies,
proprio allo scopo di potere ritenere rilevante la sollevata questione.
Inoltre, contestano che la disposizione censurata conterrebbe tre norme, di
diverso contenuto precettivo, come eccepito da CAI, sostenendo che essa
recherebbe, invece, un unico precetto, avente ad oggetto l’attribuzione
all’Autorità del potere di stabilire misure comportamentali e la sottrazione
alla medesima del controllo previsto dalla legge n. 287 del 1990.
5.1.1.– L’eccezione di inammissibilità della questione, motivata con la
considerazione che il rimettente avrebbe chiesto la pronuncia di una sentenza
«sostitutiva», sarebbe infondata, poiché non terrebbe conto del petitum formulato
dal TAR, mentre l’incidenza della norma sullo svolgimento di un servizio
pubblico essenziale neppure potrebbe essere causa di inammissibilità della
questione.
Del pari infondata sarebbe l’eccezione
di inammissibilità della questione per difetto di incidentalità, dato che il
TAR avrebbe correttamente deciso gli altri motivi, proprio al fine di ritenere
la questione rilevante.
Meridiana fly
s.p.a. e Meridiana s.p.a. contestano, infine, l’eccezione di difetto di
motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza della questione,
argomentata con la considerazione che il TAR non avrebbe chiarito «se, in caso
positivo perché, la delibera dell’Autorità impugnata nel giudizio principale
dovrebbe essere annullata» e neppure indicato che i vizi del provvedimento
deriverebbero dalla norma censurata. A loro avviso, i rimettenti non erano
tenuti a motivare sul punto e l’inidoneità del provvedimento impugnato allo
scopo di garantire la concorrenza risulterebbe dalla circostanza che esso,
nell’osservanza del citato art. 4, comma 4-quinquies,
stabilisce esclusivamente misure comportamentali, irrilevanti rispetto alla
tutela della concorrenza, con la conseguenza che ogni valutazione al riguardo
da parte dei rimettenti sarebbe stata superflua. Inoltre, il TAR ha anche
precisato che l’accoglimento della questione influirebbe sull’eventuale
annullamento del provvedimento dell’Autorità.
5.2.–
Nel merito, secondo le parti, l’operazione di concentrazione in esame
avrebbe determinato un monopolio di fatto sulle linee di navigazione aeree più
importanti e redditizie del nostro Paese (in particolare, sulla tratta Roma-Linate), in danno delle imprese concorrenti, costrette
a subire il rafforzamento delle posizioni dell’operatore dominante sulle tratte
economicamente più interessanti, dato che non sono stati ceduti slot, come sarebbe accaduto, qualora
fosse stata applicata la legge n. 287 del 1990.
A loro avviso, la disposizione censurata
costituirebbe una «norma-provvedimento», carattere confortato dai lavori preparatori,
dalle notizie di stampa, dalle circostanze che essa era diretta «a consentire
un’operazione concreta e specifica» e che il d.l. n. 134 del 2008 è stato
emanato pochi giorni dopo che era maturata la proposta della «cordata CAI»,
nonché dalla limitazione temporale che impedirebbe di applicarla ad altri casi.
Meridiana fly
s.p.a. e Meridiana s.p.a., richiamando la giurisprudenza di questa Corte,
alcuni orientamenti della dottrina, e facendo generico riferimento alla
Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed al Trattato dell’Unione europea,
svolgono diffuse argomentazioni per sostenere che le leggi-provvedimento,
benché non siano ex se illegittime,
sarebbero soggette ad uno scrutinio stretto di legittimità costituzionale.
Nella specie, assumerebbe rilievo la
circostanza che la legge n. 287 del 1990, non solo per l’espresso richiamo
dell’art. 41 Cost., stabilisce una disciplina essenziale a garanzia della
libertà dell’iniziativa economica privata, è collocata in un quadro
regolamentato a tutela della concorrenza quale «interesse costituzionalmente
protetto» ed attribuisce all’Autorità il controllo delle operazioni di
concentrazione, allo scopo di scongiurare l’eliminazione o la riduzione della
concorrenza in modo sostanziale e durevole.
5.2.1.– In relazione alle censure
riferite all’art. 41 Cost., secondo le parti, la giurisprudenza costituzionale
e la dottrina avrebbero affermato che la tutela della concorrenza ha copertura
costituzionale, soprattutto dopo la modifica dell’art. 117 Cost. La negativa incidenza
della norma censurata sulla concorrenza sarebbe dimostrata dalle considerazioni
che con essa: è stata posta nel nulla la disciplina della legge n. 287 del
1990, attuativa dell’art. 41 Cost.; è stata determinata una situazione di
mercato in grado di assicurare extraprofitti ad un’impresa egemone; è stata
accreditata una nozione di «monopolio utile», quale strumento dirigistico,
strumentale a realizzare finalità non chiare; sarebbe stata violata la
disciplina dell’Unione europea, dato che il regolamento 20 gennaio 2004, n. 139
(Regolamento del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra
imprese – «Regolamento comunitario sulle concentrazioni») riconosce che le
concentrazioni possono avere effetti positivi, ma richiede l’esistenza di uno strumento
specifico in grado di garantire un controllo efficace.
Entrambe le società approfondiscono le
ragioni della pretesa inidoneità delle misure comportamentali contenute nel
provvedimento dell’Autorità a garantire la tutela della concorrenza, deducendo
che non sarebbe comprensibile come la norma censurata possa tutelare l’utilità
sociale. In ogni caso, il legislatore avrebbe dovuto fornire una adeguata
giustificazione in ordine a detto profilo, spettando a questa Corte
«l’identificazione del fine sociale e della riferibilità ad esso di programmi e
controlli» (sentenze
n. 196 del 1998 e n. 63 del 1991).
A loro avviso, anche ritenendo
sussistenti ragioni di utilità sociale, questa Corte dovrebbe accertare se la
norma abbia realizzato un intervento ragionevole e proporzionato, come non
sarebbe accaduto. Infatti, pur reputando la deroga in esame preordinata a
realizzare un obiettivo di pubblico interesse, in assenza di ogni indicazione
nella disposizione censurata, non si comprenderebbe perché, a detto fine,
sarebbe stato necessario garantire un monopolio per tre anni. Un onere
correlato al servizio pubblico può, inoltre, sussistere in relazione ad alcune
tratte svantaggiate (quali quelle che assicurano i collegamenti con le isole),
non a quella tra gli aeroporti di Milano-Linate e Roma-Fiumicino. Infine, qualora l’obiettivo avuto di mira
fosse stato quello di garantire la promozione di un «campione nazionale», in
nome di preminenti interessi generali, avrebbe dovuto essere utilizzato lo
strumento dell’art. 25 della legge n. 287 del 1990, ovvero dell’art. 8, comma
2, della stessa legge.
La constatazione che la disciplina
prevista da detta legge prevede la possibilità di deroghe conforterebbe che
l’operazione di concentrazione in esame, in violazione degli obblighi assunti
in seno all’Unione europea, sarebbe stata preordinata a «creare un campione
nazionale, consegnandogli per tre anni» il monopolio assoluto del mercato.
Secondo le parti, la volontà del
legislatore di «assicurare il "salvataggio” di Alitalia (e di AirOne) attraverso la concentrazione proposta da CAI» non
sarebbe sufficiente a far escludere la violazione degli artt. 3 e 41 Cost. La
legge n. 287 del 1990 prevede la possibilità di autorizzare un’operazione di
concentrazione pregiudizievole della concorrenza, nei casi e nei modi dalla
stessa stabiliti; nondimeno, non potrebbero essere autorizzate le
concentrazioni che comportano «la eliminazione della concorrenza dal mercato o
restrizioni alla concorrenza non strettamente giustificate dagli interessi
generali». Inoltre, all’Autorità spetta il potere di prescrivere le misure
necessarie per ristabilire le «condizioni di piena concorrenza entro un termine
prefissato» e questo limite costituirebbe la condizione di compatibilità con
l’art. 41 Cost. del potere eccezionale di autorizzare concentrazioni
pregiudizievoli della concorrenza.
A loro avviso, il potere previsto
dall’art. 25 della legge n. 287 del 1990 neppure avrebbe reso ammissibile
l’operazione di concentrazione in esame e, per tale ragione, ne sarebbe stata
esclusa l’applicabilità, in pregiudizio delle ragioni della concorrenza e del
mercato.
5.2.2.– La norma censurata avrebbe
permesso la concentrazione dei due maggiori vettori aerei nazionali,
incrementandone la posizione di dominio, in danno delle imprese concorrenti,
che non hanno avuto accesso agli slot
più importanti, senza alcuna considerazione per la tutela della concorrenza ed
in violazione dell’art. 3 Cost., anche in quanto le società alienate sono state
liberate dai debiti pregressi.
La lesione dei parametri costituzionali
evocati dal TAR sarebbe stata determinata dall’esigenza di salvaguardare
«preminenti interessi nazionali», che la disposizione si limita a menzionare.
Il rilievo attribuito alle vicende aziendali di Alitalia ed AirOne
non giustificherebbe la mancata considerazione dei riflessi della
concentrazione sulle aziende concorrenti e, quindi, sarebbe mancato un corretto
bilanciamento tra gli interessi della «cordata CAI» e «le posizioni qualificate
degli altri operatori». Peraltro, la considerazione che il requisito della
motivazione non concerne gli atti legislativi non escluderebbe che detti
interessi debbano essere esplicitati e debba risultare l’avvenuto apprezzamento
e bilanciamento di tutti quelli in gioco, come non sarebbe accaduto.
In definitiva, concludono le parti, la
sorte del trasporto aereo in Italia avrebbe potuto essere salvaguardata
mediante misure rispettose della tutela del mercato e dei parametri
costituzionali evocati dai rimettenti, anche dando applicazione all’art. 25
della legge n. 287 del 1990.
6.–
Nei tre giudizi si è costituita CAI, in persona del legale rappresentante,
parte dei processi principali, chiedendo, con argomentazioni sostanzialmente
identiche nei distinti atti di costituzione e nelle memorie depositate in
prossimità dell’udienza pubblica, che la questione sia dichiarata
manifestamente inammissibile e, comunque, manifestamente infondata.
6.1.– La parte sintetizza anzitutto le
vicende di Alitalia sino alle date di ammissione alla procedura di amministrazione
straordinaria e di dichiarazione dello stato di insolvenza, la modalità della
proposta di acquisto di alcuni beni e rapporti giuridici, le linee essenziali
del progetto industriale alla base di tale acquisto ed il contenuto del
provvedimento impugnato nei giudizi principali. Posta questa premessa, CAI
deduce che il TAR avrebbe «sbrigativamente» rigettato un’eccezione di
inammissibilità, con la quale era stato contestato l’interesse di Federconsumatori a censurare l’atto impugnato (la deduzione
è svolta anche negli atti riguardanti i giudizi non introdotti da quest’ultima
parte). Il rimettente ha, infatti, affermato che il citato art. 4, comma 4-quinquies, dispone che «le misure
comportamentali sono preordinate alla tutela dei consumatori» ed ha precisato
che Federconsumatori, in relazione a queste, «non ha
proposto alcuna censura», ritenendola, tuttavia, legittimata ad agire in
giudizio.
Secondo CAI, il giudice a quo non si sarebbe avveduto che
l’interesse che avrebbe potuto legittimare Federconsumatori
sarebbe stato soltanto quello dei consumatori e che la ricorrente non ha
censurato le misure comportamentali. L’operazione di concentrazione costituiva
un dato di mero fatto e avrebbe potuto avere giuridico rilievo, in relazione
all’interesse a ricorrere, soltanto qualora Federconsumatori
avesse dedotto che nessuna misura comportamentale avrebbe potuto evitare il
rischio di pregiudizi da parte dei consumatori, non essendo identificabile un
astratto interesse di questi ultimi a contestare direttamente l’operazione di
concentrazione. Le uniche norme di interesse della ricorrente sarebbero,
quindi, quelle a tutela dei consumatori e la questione di costituzionalità
concernente la norma relativa all’an della concentrazione sarebbe irrilevante. Siffatta conclusione
si imporrebbe anche in quanto Federconsumatori, nel
giudizio principale, avrebbe contestato l’operazione di concentrazione,
proponendo un ricorso direttamente rivolto contro le norme di legge che
l’autorizzavano.
Nelle memorie, CAI ha insistito nella
deduzione, svolta in tutti i giudizi, secondo la quale, la questione è stata
sollevata dopo il rigetto di tutti gli altri motivi e, quindi, costituirebbe
l’unico oggetto dei processi principali, con conseguente carenza del requisito
dell’incidentalità, risultando le fattispecie identiche a quella decisa dalla
sentenza n. 38
del 2009, della quale riporta ampi brani.
6.1.1.– Secondo la parte, la questione
sarebbe, altresì, inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza, in
considerazione sia del rigetto di tutti i motivi dei ricorsi, sia del fatto che
l’eventuale annullamento della norma censurata «si rifletterebbe
inevitabilmente sulla legittimità» del provvedimento impugnato.
A suo avviso, «la facoltizzazione
dell’operazione di integrazione» rinverrebbe fondamento anche in norme
ulteriori e la disposizione che i rimettenti dovrebbero applicare non
coinciderebbe con quella censurata. Pertanto, nei giudizi principali «si
discute di una norma diversa» da quest’ultima, come sarebbe dimostrato dal fatto
che lo stesso TAR, «non sapendo come qualificare il rapporto tra la norma
censurata e il giudizio a quo, opina
che quella norma sia stata "postulata” (in una con l’operazione di
integrazione) dal provvedimento» impugnato, prefigurando una relazione insufficiente
ai fini della rilevanza della questione.
Nelle memorie CAI ha insistito in tale
eccezione, deducendo che i rimettenti non si sarebbero avveduti che il citato
art. 4, comma 4-quinquies,
conterrebbe una pluralità di norme e non avrebbero precisato quale di essa
hanno inteso censurare.
6.1.2.– Secondo la parte, la questione
sarebbe inammissibile anche in quanto i rimettenti avrebbero chiesto una
pronuncia di tipo sostitutivo, deducendo che la norma censurata non
«spiegherebbe» quale sia l’interesse costituzionalmente rilevante perseguito,
ritenendo a questo fine insufficiente l’indicazione, contenuta nella premessa
del d.l. n. 134 del
A suo avviso, il TAR sarebbe incorso in
una palese contraddittorietà: da un lato, avrebbe riconosciuto la pregevolezza
del fine perseguito (la continuità dei servizi pubblici essenziali);
dall’altro, avrebbe negato «che il legislatore ne abbia spiegato la sostanza».
Indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla configurabilità
dell’obbligo della motivazione di un atto legislativo, sarebbe chiaro che i
rimettenti non avrebbero censurato 1’an del perseguimento di un fine da essi stessi giudicato
pregevole, ma il quomodo,
richiedendo in tal modo una pronuncia additiva o sostitutiva, senza indicare il
contenuto dell’auspicata sostituzione e senza dimostrare che quella chiesta è
una soluzione costituzionalmente obbligata.
Ritenendo, invece, che il TAR abbia
chiesto una pronuncia demolitoria, la questione
sarebbe egualmente inammissibile, poiché il suo eventuale accoglimento
comprometterebbe l’interesse generale alla continuità dei servizi essenziali,
evidenziato dagli stessi giudici a quibus.
6.2.– Nel merito, CAI contesta il
carattere di «norma-provvedimento» della disposizione censurata, che i
rimettenti hanno desunto dalla circostanza che il decreto-legge nel quale è
inserita sarebbe «comunemente noto» come «decreto Alitalia», senza avvedersi
che le acquisizioni del linguaggio giornalistico non possono essere recepite,
«acriticamente, dall’operatore del diritto».
Siffatta disposizione riguarda, invece,
tutte, indistintamente, le «imprese operanti nel settore dei servizi pubblici
essenziali», quindi, recherebbe una norma generale ed astratta, non rilevando, in
contrario, che concerne solo dette imprese, essendo sufficiente la sua
riferibilità a tutte le fattispecie connotate da determinate caratteristiche
oggettive o soggettive, mentre la occasio legis non influirebbe sulla ratio legis. Peraltro, la norma non avrebbe
autorizzato ex lege
una concentrazione, ma si sarebbe limitata a disciplinare i poteri
dell’Autorità in modo diverso da quello ordinariamente previsto dalla legge n.
287 del 1990; gli effetti contestati sarebbero stati prodotti dalla
«intermediazione del provvedimento amministrativo», tant’è «che
Secondo la parte, in un momento di grave
crisi economico-finanziaria, il legislatore, nell’esercizio della propria
discrezionalità, ragionevolmente apprezzando il pubblico interesse, avrebbe
stabilito per determinate operazioni di concentrazione, coinvolgenti rilevanti
compendi industriali ed occupazionali, una disciplina in parte differente da
quella prevista dalla legge n. 287 del 1990, senza fare venire meno
l’intermediazione del procedimento e del provvedimento amministrativo.
Il riferimento ai lavori parlamentari
sarebbe inconferente ed erroneo, poiché essi
evidenzierebbero il carattere generale ed astratto della norma (sono richiamati
gli interventi di alcuni senatori e le dichiarazioni del Ministro dello
sviluppo economico rese nel corso dei lavori congiunti delle Commissioni VIII e
X° del Senato, nella seduta del 23 settembre 2008),
dimostrando che «la vicenda di Alitalia è soltanto una tra le realtà
interessate dalla regolamentazione in esame», al punto che nel corso dei lavori
preparatori sarebbe stata stigmatizzata «la pericolosità di un provvedimento
del genere che pur essendo stato concepito per l’Alitalia, ha un carattere
generale» (intervento del senatore Teresa Armato).
6.3.– Ad avviso di CAI, secondo la
giurisprudenza costituzionale, il legislatore ordinario può emanare
«norme-provvedimento», soggette ad uno scrutinio stretto di costituzionalità;
quindi, qualora fosse fondata la tesi del TAR, occorrerebbe identificare le
«particolari situazioni di interesse generale» che giustificano la norma e che,
ad avviso dei rimettenti, non risulterebbero indicate.
Quest’ultima conclusione sarebbe, da un
canto, erronea, in quanto le ordinanze di rimessione hanno evocato un
inesistente principio di motivazione degli atti legislativi; dall’altra,
sarebbe viziata da contraddittorietà, poiché lo stesso TAR ha riconosciuto
«l’oggettiva ed assoluta rilevanza della continuità dei servizi pubblici
essenziali» e, quindi, non si comprenderebbe perché questa ragione sia inidonea
ad integrare l’interesse generale di cui è stata eccepita la carenza.
L’interpretazione della norma censurata
fornita dalle ricorrenti nei giudizi principali, secondo la quale essa avrebbe
inteso garantire la «continuità dei gruppi Alitalia-AirOne»,
non considera che l’esigenza tutelata è stata quella di assicurare lo
svolgimento di servizi pubblici essenziali. In ogni caso, i rimettenti non
avrebbero considerato che l’intervento del legislatore ordinario sarebbe stato
reso necessario dalla grave situazione economica, suffragata dai rilievi svolti
dalla Banca d’Italia, contenuti nel bollettino del 15 aprile 2008, n.
In presenza di univoci indici di una
grave crisi economico-finanziaria, l’intervento del legislatore ordinario
sarebbe stato giustificato dall’esigenza di permettere operazioni strumentali a
garantire la salvaguardia ed il rilancio di compendi industriali ed occupazionali
strategici per il Paese, anche mediante un adattamento della disciplina
ordinaria delle concentrazioni, nell’osservanza dei principi di ragionevolezza
e proporzionalità.
Secondo CAI, il TAR avrebbe erroneamente
prospettato il difetto di un ragionevole bilanciamento degli interessi in
gioco, dato che: in primo luogo, non avrebbe indicato quale avrebbe dovuto
essere siffatto bilanciamento, ciò che evidenzierebbe una ulteriore ragione di
inammissibilità della questione; in secondo luogo, avrebbe contraddittoriamente
eccepito il difetto di tale corretto bilanciamento e l’inesistenza di un
interesse di rango costituzionale tutelato dalla norma in esame.
Ad avviso della parte, il citato art. 4,
comma 4-quinquies, avrebbe, invece,
realizzato un ragionevole bilanciamento, in quanto: la procedura a trattativa
privata non avrebbe escluso nessun acquirente in possesso dei requisiti di
legge; la deroga è stata temporalmente limitata sino al 30 giugno
Secondo la parte, questa valutazione
sarebbe confortata dal contenuto del provvedimento impugnato nel giudizio
principale, che ha integrato le misure comportamentali proposte dalla
notificante, ha previsto una misura sostanzialmente strutturale (il cospicuo
riposizionamento di 50 slot dalla
rotta Linate-Fiumicino, con possibile apertura di
spazi a soggetti terzi), ha prescritto congrue misure a tutela dei consumatori.
Inoltre, le misure comportamentali neppure incidono sul potere dell’Autorità di
reprimere gli abusi di posizione dominante e le intese anticompetitive;
comunque, decorsi tre anni, l’Autorità si è riservata di intervenire, in
termini strutturali, sulle posizioni di monopolio ancora eventualmente
esistenti.
Il TAR ha, infine, ritenuto infondate le
censure dirette a prospettare un contrasto della norma censurata con il diritto
comunitario, escluso anche dalla Commissione europea, e ciò confermerebbe che
la disciplina in esame avrebbe realizzato un parziale e limitato adattamento
del regime nazionale di controllo delle concentrazioni, riconducibile alle
legittime prerogative del legislatore nazionale. Inoltre, le ordinanze di
rimessione avrebbero erroneamente assunto la legge n. 287 del 1990 quale
parametro costituzionale interposto, senza considerare che le soluzioni
realizzate da detta legge non sono costituzionalmente vincolate e che la norma
censurata è giustificata da una specifica contingenza economica ed ha natura
transitoria.
6.4.– Ad avviso della parte, l’art. 3
Cost. sarebbe stato evocato in modo oscuro e incerto, con modalità che
evidenzierebbero l’inammissibilità della questione per insufficiente
motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza; comunque, il TAR non
avrebbe chiarito in cosa si sostanzierebbe la disparità di trattamento in danno
delle imprese concorrenti, emergendo in tal modo l’infondatezza della censura
riferita all’art. 3 Cost. Infine, secondo CAI, assumerebbe rilievo che la
deroga della disciplina a tutela della concorrenza, in presenza di interessi
pubblici rilevanti, è prevista anche in altri ordinamenti (ad esempio, in
Germania), ed è contemplata dalla stessa legge n. 287 del 1990. Il richiamo
operato dalle ricorrenti al pregiudizio dell’affidamento degli altri operatori
del settore sarebbe irrilevante, sia perché l’argomento non è stato svolto dai
rimettenti, sia perché la pretesa al mantenimento delle regole preesistenti non
costituirebbe un affidamento tutelabile. Da ultimo, il TAR, nel prospettare il
pregiudizio in danno dei consumatori, avrebbe del tutto trascurato la previsione
delle misure comportamentali contenuta nel citato art. 4, comma 4-quinquies.
7.– Nei primi due giudizi si è
costituito il Commissario straordinario di Alitalia-Linee
Aeree Italiane s.p.a., in amministrazione straordinaria (di seguito,
Commissario), intervenuto anche nel terzo, chiedendo, nei distinti atti, che la
questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o manifestamente
infondata, sviluppando gli argomenti a conforto di detta conclusione nelle
memorie, di contenuto in larga misura coincidente, depositate in prossimità
dell’udienza pubblica.
7.1.– Il Commissario eccepisce
l’inammissibilità della questione, per difetto del requisito
dell’incidentalità, osservando che il TAR ha ritenuto infondati tutti i motivi
dei ricorsi principali, dichiarando inammissibile il ricorso incidentale
condizionato (proposto nei primi due giudizi), con la conseguenza che i
processi principali hanno quale unico, residuo petitum la questione di
costituzionalità, che sarebbe, quindi, inammissibile, configurandosi detti
giudizi come una sorta di impugnazione diretta della legge.
I rimettenti hanno,
inoltre, dedotto che l’accoglimento della questione influirebbe sulla
legittimità del provvedimento impugnato, che «ha applicato la norma di legge
della cui costituzionalità si dubita, postulando l’avvenuta realizzazione
dell’operazione di concentrazione», con argomentazione inidonea a giustificare
la rilevanza della questione. Non sarebbe, infatti, comprensibile come
l’eventuale accoglimento della questione possa influire sul provvedimento
impugnato, avente ad oggetto le misure comportamentali finalizzate alla tutela
dei consumatori, con conseguente difetto di motivazione in ordine al nesso di
pregiudizialità tra processo principale e giudizio di legittimità costituzionale.
Sotto un ulteriore profilo, la questione
sarebbe inammissibile, in quanto il TAR non avrebbe adempiuto l’onere di
sperimentare un’interpretazione adeguatrice della
norma censurata e, comunque, avrebbe evocato gli artt. 3 e 41 Cost. in modo
confuso ed eterogeneo, senza chiarire in cosa consisterebbe l’eccepita
disparità di trattamento e per quale ragione gli imprenditori concorrenti
sarebbero stati discriminati.
7.2.– Nel merito, secondo il
Commissario, il citato art. 4, comma 4-quinquies,
non costituirebbe una «norma-provvedimento», ma disciplinerebbe una fattispecie
generale ed astratta, configurazione non esclusa dalla circostanza che è stata
applicata in un solo caso. La disposizione recherebbe una norma «di portata
generale la cui ratio
deve essere individuata nella volontà del legislatore di procedere alla
risoluzione della crisi attraversata da alcuni grandi gruppi industriali
operanti nei settori dei servizi pubblici essenziali, e ciò nel rispetto delle
esigenze dei risparmiatori e dei lavoratori e favorendo altresì il rilancio
delle realtà aziendali interessate attraverso il contemperamento di tutti gli
interessi pubblici coinvolti».
Il TAR, con motivazione contraddittoria,
ha affermato che la norma dà conto della rilevanza della continuità dei servizi
pubblici essenziali, ma non avrebbe chiarito quali siano i preminenti interessi
generali che, all’esito del bilanciamento dei valori in gioco, potrebbero
«giustificare la deroga operata al principio costituzionale della par condicio ed al valore costituzionalmente
rilevante della libertà di concorrenza».
Ad avviso del Commissario, la
considerazione che la norma ha modificato il d.l. n. 347 del 2003, concernente
l’amministrazione straordinaria applicabile alle grandi imprese con almeno
cinquecento dipendenti, dimostrerebbe, da sola, l’intento di salvaguardare
numerosi posti di lavoro. Il legislatore ordinario, nell’osservanza dei canoni
di ragionevolezza e proporzionalità, avrebbe stabilito una disciplina volta ad
evitare la disgregazione di grandi gruppi industriali (strategici per il nostro
sistema paese), salvaguardando il livello occupazionale, in coincidenza con la
fase grave della crisi finanziaria globale. La mancata realizzazione di tale
intervento avrebbe determinato una situazione gravissima dal punto di vista
occupazionale e la disgregazione di assets industriali fondamentali per il sistema economico del
Paese.
La deroga stabilita dalla norma sarebbe
stata strumentale rispetto allo scopo di garantire la continuità del servizio
pubblico del trasporto aereo ad opera di un vettore in grado di svolgerlo in
modo completo e libero da esigenze di vario genere, che ne avrebbero potuto
condizionare l’esercizio. Nell’eventualità che il servizio pubblico essenziale
di trasporto aereo fosse stato svolto da una serie di piccoli vettori, ciascuno
soggetto a proprie e specifiche esigenze e scelte di politica industriale,
alcune rotte, economicamente non convenienti, avrebbero, infatti, potuto essere
cancellate ed il costo dei relativi biglietti avrebbe potuto lievitare, in
danno dei consumatori.
La ragionevolezza e la proporzionalità
della disciplina censurata sarebbero confortate dalla considerazione che la
deroga non si pone in contrasto con le norme comunitarie, è temporalmente
limitata e concerne le sole concentrazioni realizzate entro il 30 giugno 2009,
e cioè è stata prevista per un tempo limitato, coincidente con la fase più
acuta della recente crisi economica, così da fare escludere che la concorrenza
sia stata pregiudicata in modo sostanziale e durevole. D’altronde, la
disciplina in esame, al fine di garantire la tutela dei consumatori, prevede il
potere dell’Autorità di stabilire idonee misure comportamentali, mantenendo
«inalterati i rimedi volti a evitare un vulnus
alla ratio della medesima norma derogata» e la
Commissione europea avrebbe ritenuto che essa non viola i principi ispiratori
ed i valori essenziali di riferimento del sistema comunitario antitrust. Infine, conclude il
Commissario, sarebbe irrilevante la mancata, espressa indicazione della ragioni
della norma, in difetto di un obbligo di motivazione degli atti legislativi.
8.– In tutti e tre i giudizi è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, negli atti di intervento e
nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica, che la questione
sia dichiarata inammissibile, ovvero manifestamente infondata.
8.1.– L’interveniente, nei distinti atti
depositati in relazione ai tre giudizi, di contenuto sostanzialmente identico,
eccepisce l’inammissibilità della questione, per difetto di motivazione sulla
rilevanza, ritenendo insufficiente l’indicazione contenuta nelle ordinanze di
rimessione, secondo la quale l’accoglimento della questione comporterebbe
l’annullamento del provvedimento impugnato. A suo avviso, il TAR avrebbe dovuto
dimostrare che, in difetto della norma censurata, la concentrazione, valutata
secondo il procedimento previsto dalla legge n. 287 del 1990, non avrebbe
superato il controllo da questa previsto e sarebbe stata vietata.
I rimettenti non avrebbero, inoltre,
considerato che la concentrazione «ha modificato la titolarità soggettiva»
degli slot, «ma non ne ha accresciuto
il numero, e quindi non ha inciso sugli equilibri di mercato; la posizione
concorrenziale degli operatori "minori”, quali le ricorrenti Meridiana ed Eurofly, è rimasta immutata, perché non è diminuito il
numero dei loro diritti di volo sulle medesime tratte» e le predette neppure
hanno «dedotto che l’incremento globale di fatturato», conseguente alla
concentrazione, è tale da permettere economie di scala in grado di consentire
«riduzioni tariffarie irraggiungibili dai ricorrenti». La concentrazione non
sarebbe stata, infine, resa possibile dal citato art. 4, comma 4-quinquies, ma dalla procedura di vendita
prevista dal comma 4-quater di tale
norma, quindi la questione sarebbe stata «mal posta».
8.2.– Nel merito, secondo
l’interveniente, l’applicabilità della norma censurata a tutte le «imprese di
cui all’articolo 2, comma 2, secondo periodo», ne escluderebbe il carattere di
«norma-provvedimento», non rilevando, in contrario, la limitazione temporale
alle operazioni effettuate entro il 30 giugno 2009, introdotta per «rendere
l’intervento normativo strettamente limitato alle necessità della particolare
situazione economica in atto al momento della sua adozione e, quindi,
proporzionato» a tale scopo. D’altronde, la legge di conversione è stata
pubblicata il 27 ottobre 2008 ed a tale data non sarebbe stato possibile
individuare le operazioni di concentrazione concluse entro il 30 giugno
In riferimento alla censura di
violazione del principio di eguaglianza, la considerazione che la norma in
esame riguarda soltanto le grandi imprese, le quali svolgono servizi pubblici
essenziali, e sono in amministrazione straordinaria, renderebbe palese che il
legislatore ordinario poteva stabilire una disciplina speciale per un
determinato settore, ferma l’osservanza del principio di ragionevolezza, che
non sarebbe stato leso.
Secondo l’Avvocatura generale dello
Stato, l’art. 25 della legge n. 287 del 1990 consentirebbe particolari
operazioni di concentrazione e, nella specie, è stato «soltanto disposto per legge,
con efficacia temporalmente limitata a circa 10 mesi, che le concentrazioni
interessanti le imprese di servizi pubblici essenziali in amministrazione
straordinaria "rispondono a preminenti interessi generali”». Peraltro, deroghe
analoghe a quella in esame sarebbero previste anche dalle norme comunitarie
(art. 21, paragrafo 4, del Regolamento CE n. 139 del 2004), quindi, sarebbero
possibili da parte degli Stati membri dell’Unione europea.
Il citato art. 4, comma 4-quinquies, neanche esclude ogni controllo
dell’Autorità ed avrebbe disciplinato un’autorizzazione che può contenere
misure comportamentali, anche molto penetranti, mantenendo fermo il potere di
detta Autorità, decorso un termine dilatorio, di disporre misure strutturali,
per eliminare eventuali situazioni di monopolio. Inoltre, costituirebbe una
mera illazione del TAR la considerazione che il decorso di detto termine
renderebbe intangibili le eventuali posizioni di monopolio determinate dalla
norma in questione.
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello
Stato, la disciplina in esame sarebbe in armonia con le norme di settore e con
le disposizioni comunitarie ed avrebbe introdotto una regolamentazione
specifica per un settore peculiare in un periodo di crisi economica mondiale,
per garantire la continuità dei servizi pubblici essenziali, a tutela dei
diritti fondamentali dei cittadini.
In ordine alla censura riferita all’art.
41 Cost., secondo l’interveniente, nei settori dei servizi pubblici essenziali
esistono situazioni di posizione dominante che le concentrazioni possono
rafforzare, e ciò sarebbe presupposto dalla norma censurata, la quale,
altrimenti, sarebbe del tutto superflua; nondimeno, tale constatazione non
potrebbe «costituire di per sé un motivo di illegittimità costituzionale».
Il TAR non avrebbe, inoltre, esplicitato
le ragioni dell’inadeguatezza delle misure comportamentali prescritte
dall’Autorità, né chiarito «se, e in caso positivo perché, ritiene che la
delibera dell’Autorità impugnata nel giudizio principale dovrebbe essere annullata»,
omettendo anche di indicare quali siano gli ipotetici vizi del provvedimento,
con conseguente irrilevanza della questione. L’errore che vizierebbe la tesi
dei rimettenti risiederebbe nella configurazione della disciplina degli artt.
5, 6 e 16 della legge n. 287 del 1990 come l’unica in grado di attuare e
tutelare
9.– All’udienza pubblica le parti e
l’interveniente hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte
negli atti difensivi.
Considerato
in diritto
1.–
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con tre ordinanze,
emesse nel corso di altrettanti giudizi, ha sollevato, in riferimento agli
articoli 3 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 1, comma 10, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134
(Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in
crisi), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166,
nella parte in cui ha introdotto il comma 4-quinquies
nell’articolo 4 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per
la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza),
convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39 (recte: ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4-quinquies, del decreto-legge n. 347 del
2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 39 del 2004, introdotto
dall’art. 1, comma 10, del decreto-legge. n. 134 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 166 del 2008).
1.1.– Il citato art. 4, comma 4-quinquies, stabilisce che le operazioni
di concentrazione concluse dalle imprese sottoposte ad amministrazione
straordinaria, che operano nel settore dei servizi pubblici essenziali,
connesse o contestuali o comunque previste nel programma debitamente
autorizzato, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 347 del 2003,
convertito dalla legge n. 39 del 2004, ovvero nel provvedimento di
autorizzazione di cui all’art. 5, comma 1, di detto decreto-legge, rispondono a
preminenti interessi generali e sono escluse dalla necessità
dell’autorizzazione di cui alla legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la
tutela della concorrenza e del mercato), fermo quanto previsto dagli articoli 2
e 3 della stessa legge.
La norma dispone, inoltre, che, fatto
salvo quanto previsto dalla normativa comunitaria, qualora dette operazioni di
concentrazione rientrino nella competenza dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato (d’ora in poi, Autorità), le parti sono, comunque,
tenute a notificarle preventivamente a questa, unitamente alla proposta di
misure comportamentali idonee a prevenire il rischio di imposizione di prezzi o
altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per i consumatori in
conseguenza dell’operazione. L’Autorità, con propria deliberazione adottata
entro trenta giorni dalla comunicazione dell’operazione, prescrive le suddette
misure, con le modificazioni ed integrazioni ritenute necessarie, fissando il
termine, comunque non inferiore a tre anni, entro il quale le posizioni di
monopolio eventualmente determinatesi devono cessare.
La disposizione prevede, infine, che, in
caso di inottemperanza, si applicano le sanzioni di cui all’articolo 19 della
legge n. 287 del 1990 e che essa è riferibile alle operazioni di concentrazione
effettuate entro il 30 giugno 2009.
1.2.– Le ordinanze, con argomentazioni
in larga misura coincidenti, premettono che il citato art. 4, comma 4-quinquies, costituirebbe una
«norma-provvedimento», come tale soggetta ad uno scrutinio stretto di
costituzionalità, in relazione ai principi di ragionevolezza e non
arbitrarietà.
Secondo i rimettenti, la disposizione
violerebbe siffatti principi, ponendosi in contrasto con gli artt. 3 e 41
Cost., in quanto avrebbe introdotto, per l’operazione di concentrazione oggetto
dei giudizi principali, una deroga del procedimento di controllo stabilito
dalla legge n. 287 del 1990, che sarebbe irragionevole, perché non coerente con
la disciplina della concorrenza stabilita dall’art. 41 Cost., e lesiva della
libertà di concorrenza e della parità di trattamento tra imprese concorrenti.
La norma avrebbe, infatti, reso possibile che un «unico vettore» offra «servizi
di trasporto aereo passeggeri di linea su numerose tratte», consentendo una
forte riduzione su altre della «presenza di operatori concorrenti, con poche
eccezioni» e permettendo che un unico vettore possa «gestire una rete di
collegamenti capillare su tutto il territorio nazionale, detenendo sui singoli
collegamenti posizioni di assoluto rilievo».
Siffatti parametri sarebbero vulnerati
anche in quanto la posizione di monopolio eventualmente determinata dalla
concentrazione è destinata a durare per almeno tre anni, in danno delle imprese
concorrenti, senza che siano stati esplicitati gli interessi che la norma mira
a realizzare. A questo fine sarebbero, infatti, insufficienti l’indicazione che
le operazioni di concentrazione oggetto della disposizione «rispondono a
preminenti interessi generali» e la considerazione, contenuta nella premessa
del decreto-legge n. 134 del
Il TAR richiama, quindi, la
regolamentazione stabilita dalla legge n. 287 del 1990 quale parametro di
controllo della ragionevolezza della norma censurata, dato che la prima,
sebbene si autoqualifichi come di attuazione
dell’art. 41 Cost., costituisce pur sempre una legge ordinaria e non reca
l’unica possibile disciplina attuativa di tale parametro, con la conseguenza
che la deroga della medesima, di per sé sola, non può comportare violazione
degli artt. 3 e 41 Cost.
2.– I giudizi, avendo ad oggetto la
medesima norma, censurata in riferimento agli stessi parametri costituzionali,
sotto gli stessi profili e con argomentazioni sostanzialmente coincidenti,
pongono un’identica questione di legittimità costituzionale e, quindi, vanno
riuniti e decisi con un’unica sentenza.
3.– Alitalia-Linee
Aeree Italiane s.p.a., in amministrazione straordinaria (di seguito,
Commissario), non è parte del processo principale in cui è stata pronunciata
l’ordinanza di rimessione iscritta nel r.o. n. 225
del
La costituzione di detta società nei
giudizi introdotti dalle ordinanze r.o. n. 223 e n.
224 del 2009 è, invece, ammissibile, in quanto, sebbene non costituita nei
processi principali, in questi è soggetto controinteressato,
poiché il ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo rimettente è stato
proposto anche nei suoi confronti. Secondo la giurisprudenza costituzionale,
sono infatti «parti in causa», cui va notificata l’ordinanza di rimessione,
«tutti i soggetti fra i quali è in corso il giudizio principale», «restando
ininfluente se la parte si sia costituita» (v. ordinanze n. 377
e n. 13 del 2006).
Dunque, dovendo l’ordinanza di rimessione essere notificata a tali «parti in
causa», ai fini dell’integrazione del contraddittorio, è conseguentemente
ammissibile la costituzione del Commissario in detti giudizi.
4.– In linea preliminare, devono essere
esaminate le eccezioni di inammissibilità delle questioni, proposte da Alitalia-Compagnia Aerea Italiana s.p.a. (infra: CAI), dal
Commissario e dall’interveniente.
4.1.– Secondo CAI, le questioni
sarebbero anzitutto inammissibili per difetto di motivazione sulla rilevanza,
in quanto il citato art. 4, comma 4-quinquies,
conterrebbe una pluralità di norme ed i rimettenti non avrebbero precisato
quale di esse abbiano inteso censurare e neppure svolto argomenti per
dimostrare che i parametri costituzionali sarebbero lesi dalla norma che ha
autorizzato la concentrazione, anziché da quella concernente le misure
comportamentali.
Il TAR avrebbe, inoltre, ritenuto la
norma in questione «postulata» dall’Autorità nell’adottare il provvedimento
impugnato, evocando un’implicazione logica insufficiente ai fini della
rilevanza della questione, senza neppure considerare che l’operazione di
concentrazione in esame rinverrebbe fondamento in norme ulteriori. In
particolare, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, detta operazione
sarebbe stata resa possibile dalla procedura di vendita disciplinata dall’art.
4, comma 4-quater, del d.l. n. 347
del 2003, convertito dalla legge n. 39 del 2004, quindi la questione sarebbe
stata «mal posta». Ad avviso del Commissario, i rimettenti non avrebbero, poi,
chiarito come l’eventuale dichiarazione di illegittimità della norma censurata
possa influire sul provvedimento impugnato.
Secondo CAI, l’ordinanza r.o. n. 225 del
L’Avvocatura generale dello Stato, ha,
invece, eccepito il difetto di motivazione sulla rilevanza, anche sostenendo
che la concentrazione «ha modificato la titolarità soggettiva» degli slot, «ma non ne ha accresciuto il
numero, quindi, non ha inciso sugli equilibri di mercato». Inoltre, a suo
avviso, i rimettenti avrebbero dovuto dimostrare che la concentrazione, in
difetto della norma impugnata, non avrebbe superato il controllo esercitato ai
sensi della legge n. 287 del 1990.
Secondo CAI ed il Commissario, la
questione sarebbe, infine, inammissibile anche per difetto del requisito
dell’incidentalità, poiché il rigetto delle censure concernenti i vizi propri
dell’atto impugnato e l’inammissibilità dei ricorsi incidentali condizionati
avrebbero comportato che unico e residuo petitum dei giudizi principali
sarebbe la questione di legittimità costituzionale; in relazione a tale
profilo, le fattispecie sarebbero omologhe a quella decisa da questa Corte con
la sentenza n.
38 del 2009.
4.2.– Le eccezioni non sono fondate.
Le ordinanze di rimessione r.o. n. 223 e n. 224 del 2009, con motivazione
sostanzialmente identica, hanno diffusamente esposto le ragioni della
titolarità da parte delle ricorrenti «di una posizione di interesse legittimo e
cioè di una posizione qualificata e differenziata», osservando che ognuna è
«concorrente delle imprese che hanno posto in essere l’operazione di
concentrazione». In particolare, hanno chiarito perché tale posizione non
sussista in relazione alle misure comportamentali e sia, invece, configurabile
in riferimento alle censure concernenti «la legittimità della stessa operazione
di concentrazione» «presupposta dal provvedimento», sottolineando che la
disciplina in materia di concentrazioni è stabilita «anche e soprattutto a
tutela della libertà di concorrenza tra le imprese». I rimettenti hanno,
infine, osservato che una diversa soluzione condurrebbe alla «paradossale e non
accettabile conclusione che, a fronte di un’operazione di concentrazione
disposta dalla legge in "deroga” alla normale disciplina in materia, le imprese
concorrenti sarebbero prive di ogni forma di tutela giurisdizionale».
Secondo l’ordinanza r.o. n. 225 del
2009, la circostanza che Federconsumatori ha messo in
discussione «la legittimità della stessa operazione di concentrazione»,
«presupposta dal provvedimento», è sufficiente a far ritenere sussistente
l’interesse ad agire, poiché la disciplina in materia di concorrenza «è dettata
anche a tutela dei consumatori», non rilevando, in contrario, la mancata
formulazione di specifiche censure in ordine alle misure comportamentali
oggetto del provvedimento impugnato.
Tutti i giudici a quibus hanno, infine, avuto cura di
indicare che l’accoglimento della questione «si rifletterebbe inevitabilmente
sulla legittimità dell’impugnato provvedimento».
L’ampia motivazione svolta nelle
ordinanze di rimessione in ordine a detti profili ed alla rilevanza della
questione rende applicabile il principio, secondo il quale il riscontro
dell’interesse ad agire e «la verifica della legittimazione delle parti sono
rimessi alla valutazione del giudice rimettente, attenendo entrambi alla
rilevanza dell’incidente di costituzionalità e non sono suscettibili di riesame
ove sorretti da una motivazione non implausibile» (sentenze n. 50 del
2007, n. 173
del 1994, n.
124 del 1968, n.
17 del 1960). Non rientra, infatti, tra i poteri di questa Corte «quello di
sindacare, in sede di ammissibilità, la validità dei presupposti di esistenza
del giudizio a quo, a meno che questi
non risultino manifestamente e incontrovertibilmente carenti» (sentenza n. 62 del
1992) ed essendo sufficiente che, come accaduto nella specie, l’ordinanza
di rimessione argomenti non implausibilmente la
rilevanza della questione di legittimità costituzionale (tra le più recenti, sentenza n. 34 del
2010).
4.2.1.– In riferimento alle specifiche
deduzioni svolte dalle parti, va, anzitutto, osservato che il TAR ha censurato
esclusivamente la sottrazione, da parte della norma impugnata, dell’operazione
di concentrazione alla regolamentazione prevista dalla legge n. 287 del 1990,
senza affatto porre in questione la disciplina dell’amministrazione straordinaria
e della procedura di vendita. Il citato art. 4, comma 4-quinquies (che ha appunto ad oggetto siffatta deroga, le modalità
del controllo e le misure applicabili alle operazioni di concentrazione nello
stesso indicate), è, dunque, la sola norma a venire in rilievo, mentre, ai fini
della rilevanza, è sufficiente che la disposizione censurata incida sulla
decisione del giudizio principale, costituendo ininfluente questione di fatto
la concreta possibilità delle parti di giovarsi degli effetti della decisione (sentenza n. 241 del
2008).
L’ulteriore argomento
dell’interveniente, concernente l’idoneità della modificazione della titolarità
soggettiva degli slot ad incidere
sulla concorrenza, indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla sua fondatezza,
concerne il merito, non la rilevanza della questione.
4.2.2.– Il requisito
dell’incidentalità ricorre, poi, quando
la questione investe una disposizione avente forza di legge, che il rimettente
deve applicare, quale passaggio obbligato
ai fini della risoluzione della controversia oggetto del processo principale
(tra le molte, sentenze
n. 151 del 2009 e n. 303 del 2007),
e manca, invece, qualora il petitum del giudizio abbia ad oggetto direttamente una
norma, in difetto di un atto che ad essa abbia dato applicazione (sentenza n. 84 del
2006; ordinanze
n. 17 del 1999 e n. 291 del 1986).
Siffatto requisito sussiste, quindi,
quando l’annullamento della norma censurata sia imprescindibile per la
rimozione del provvedimento che le ha dato applicazione, a sua volta necessaria
in relazione alla situazione giuridica fatta valere nel giudizio principale,
come accade appunto nel caso delle «leggi o norme-provvedimento» (tale è la
disposizione in esame, come si precisa di seguito). Diversamente, sarebbe, infatti,
negata «ogni garanzia» ed «ogni controllo» (così sin dalla sentenza n. 59 del
1957), dato che, in riferimento a norme aventi tale carattere, la tutela
dei soggetti viene a connotarsi «secondo il regime tipico dell’atto legislativo
adottato, trasferendosi dall’ambito della giustizia amministrativa a quello
proprio della giustizia costituzionale» (ex
plurimis, sentenze n. 241 del
2008, n. 62
del 1993).
In definitiva, quando il rapporto che
intercorre tra il provvedimento impugnato nel giudizio principale e la norma è
di «mera esecuzione» e, nondimeno, l’adozione del primo sia indispensabile per
la produzione degli effetti previsti dalla seconda, sussiste l’incidentalità
della questione, in virtù di un principio in questi termini enunciato anche
dalla sentenza
n. 38 del 2009, non pertinentemente richiamata a
conforto dell’eccezione di inammissibilità.
5.– Secondo CAI, le questioni sarebbero
inammissibili anche in quanto i rimettenti avrebbero chiesto una pronuncia di
tipo sostitutivo, omettendo di indicare una soluzione costituzionalmente
obbligata. Inoltre, il TAR avrebbe contraddittoriamente riconosciuto la
rilevanza dell’interesse tutelato dal citato art. 4, comma 4-quinquies, (identificato in quello di
garantire la continuità di un servizio pubblico essenziale) e negato che «il
legislatore ne abbia spiegato la sostanza». Peraltro, a suo avviso, qualora si
ritenga che i rimettenti abbiano chiesto una pronuncia di mero annullamento
della norma, le questioni sarebbero egualmente inammissibili, poiché il loro
eventuale accoglimento comprometterebbe detto interesse, ritenuto meritevole di
tutela dallo stesso TAR.
L’eccezione non è fondata.
I giudici a quibus deducono che la norma censurata
avrebbe «sottratto» all’Autorità «il compito di svolgere il procedimento di cui
alla legge n. 287 del 1990» e, in buona sostanza, sostengono che l’accoglimento
della questione renderebbe applicabile la disciplina prevista da detta legge.
Pertanto, non hanno chiesto nessuna addizione ed il petitum consiste nella richiesta
di annullamento della norma, mentre il giudizio di prevalenza dell’interesse
dalla stessa tutelato rispetto agli altri interessi in gioco attiene al merito,
non all’ammissibilità della questione.
6.– Il Commissario ha, infine, eccepito
l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale (eccezione
esaminabile in riferimento ai giudizi introdotti dalle ordinanze r.o. n. 223 e n. 224 del 2009), a causa della mancata
sperimentazione dell’interpretazione adeguatrice e
del difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza. A suo avviso, e
secondo CAI, il TAR avrebbe, inoltre, evocato gli artt. 3 e 41 Cost. in modo
confuso ed eterogeneo, senza chiarire in cosa consisterebbe la dedotta
disparità di trattamento, facendo riferimento talora alla ragionevolezza,
talaltra alla libertà di concorrenza, talaltra, ancora, alla parità di
trattamento.
Anche questa eccezione non è fondata.
Relativamente al primo profilo, è
sufficiente osservare che la formulazione lessicale della disposizione non
permette un’interpretazione diversa da quella fornita dai rimettenti (ritenuta
lesiva degli artt. 3 e 41 Cost.). In ordine al secondo profilo, va sottolineato
che le ordinanze di rimessione hanno svolto ampie argomentazioni a conforto
delle censure e l’eccezione ne pone in discussione la fondatezza e la
congruità, con osservazioni concernenti il merito, non l’ammissibilità della
questione.
7.– Nel merito, la questione non è
fondata.
7.1.– La disposizione censurata è
contenuta in un atto normativo che, per quanto qui interessa, ha modificato la
procedura di amministrazione straordinaria preordinata a garantire la gestione
delle crisi di imprese di grandissime dimensioni, introdotta dal decreto-legge
n. 347 del 2003, convertito dalla legge n. 39 del 2004. Il d.l. n. 347 del
Le modifiche della disciplina
dell’amministrazione straordinaria e le modalità della cessione dei beni,
tuttavia, non vengono in rilievo, dato che non sono state prese in
considerazione dai giudici rimettenti, i quali hanno censurato esclusivamente
la regolamentazione del controllo della concentrazione, in riferimento alla
disciplina antitrust, stabilita dal
citato art. 4, comma 4-quinquies,
dubitando della legittimità costituzionale di questa sola norma.
7.2.– Il primo profilo rilevante ai fini
della decisione concerne la qualificazione della disposizione censurata come
«norma-provvedimento», che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, va
affermata quando essa «incide su un numero determinato e molto limitato di
destinatari ed ha contenuto particolare e concreto» (sentenze n. 267 del
2007, n. 2 del
1997), anche in quanto ispirata da particolari esigenze (sentenza n. 429 del
2002).
Nella specie, più elementi depongono nel
senso della natura provvedimentale del citato art. 4, comma 4-quinquies. In primo luogo, la norma è
stata inserita da un decreto-legge composto da cinque disposizioni (l’ultima si
limita a stabilire l’immediata efficacia dell’atto normativo), una delle quali
reca un’altra norma concernente, significativamente, soltanto Alitalia-Linee Aeree Italiane s.p.a., Alitalia Servizi
s.p.a. e le società da queste controllate (art. 3, comma 1). In secondo luogo,
il limite temporale della norma censurata, unitamente alle condizioni di
applicabilità della medesima, l’hanno resa applicabile, in sostanza, alla sola
operazione di concentrazione oggetto dei giudizi principali. In terzo
luogo, il rilievo di detta norma nella
definizione della citata vicenda, nonché la coincidenza temporale tra
approvazione, entrata in vigore della medesima e perfezionamento della concentrazione
costituiscono indici sintomatici della riferibilità della disposizione soltanto
a quella fattispecie. D’altra parte, il riferimento costante, nel corso dei
lavori preparatori, alla concentrazione oggetto dei giudizi principali,
indipendentemente dalle divergenti valutazioni offerte in ordine
all’opportunità della scelta operata, alla luce del ristretto orizzonte
temporale della norma e dei presupposti della deroga, ne conferma il carattere provvedimentale.
La natura di «norma-provvedimento» del
citato art. 4, comma 4-quinquies,
tuttavia, da sola, non incide sulla legittimità della disposizione. Secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte, la legge ordinaria può, infatti,
attrarre nella propria sfera di disciplina oggetti o materie normalmente
affidati all’autorità amministrativa (tra le più recenti, sentenza n. 137
del 2009, n.
288 del 2008 e n. 267 del 2007)
e tale carattere comporta soltanto che in detta ipotesi la legge deve
osservare, per quanto qui interessa, limiti generali, in breve il principio di
ragionevolezza e non arbitrarietà, ed è soggetta ad uno scrutinio stretto di
costituzionalità (alle pronunce sopra richiamate, adde sentenze n. 429 del
2002, n. 185
del 1998, n.
153 e n. 2
del 1997).
La legittimità di questo tipo di leggi
va, in particolare, «valutata in relazione al loro specifico contenuto» (sentenze n. 137 del
2009, n. 267
del 2007 e n.
492 del 1995) e devono risultare i criteri che ispirano le scelte con esse
realizzate, nonché le relative modalità di attuazione (sentenza n. 137 del
2009). Peraltro, poiché la motivazione non inerisce agli atti legislativi (sentenza n. 12 del
2006), è sufficiente che detti criteri, gli interessi oggetto di tutela e
la ratio
della norma siano desumibili dalla norma stessa, anche in via interpretativa,
in base agli ordinari strumenti ermeneutici, fermo restando che il sindacato di
questa Corte sulla eventuale irragionevolezza della scelta compiuta dal
legislatore «non può spingersi fino a considerare la consistenza degli elementi
di fatto posti a base della scelta medesima» (sentenze n. 347 del
1995 e n. 66
del 1992).
8.– La norma è censurata nella parte in
cui, autorizzando l’operazione di concentrazione oggetto dei giudizi principali
in deroga al procedimento prescritto dalla legge n. 287 del 1990,
determinerebbe una compressione della libertà di concorrenza in assenza di
ragionevoli giustificazioni e per ciò stesso violerebbe gli artt. 3 e 41 della
Costituzione.
I parametri evocati dal TAR esigono di
ricordare che questa Corte, nelle più risalenti pronunce concernenti l’art. 41
Cost., ha sottolineato che la «libertà di concorrenza» costituisce
manifestazione della libertà d’iniziativa economica privata, che, ai sensi del
secondo e del terzo comma di tale disposizione, è suscettibile di limitazioni
giustificate da ragioni di «utilità sociale» e da «fini sociali» (sentenze n. 46 del
1963 e n. 97
del 1969). In seguito, è stata offerta una nozione più ampia della garanzia
della libertà di concorrenza ed è stato osservato, in primo luogo, che essa ha
«una duplice finalità: da un lato, integra la libertà di iniziativa economica
che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e, dall’altro, è
diretta alla protezione della collettività, in quanto l’esistenza di una
pluralità di imprenditori, in concorrenza tra loro, giova a migliorare la
qualità dei prodotti e a contenerne i prezzi» (sentenza n. 223 del
1982); in secondo luogo, che la concorrenza costituisce un «valore basilare
della libertà di iniziativa economica […] funzionale alla protezione degli
interessi dei consumatori» (sentenza n. 241 del
1990). Emerge in questa lettura dell’art. 41 Cost., particolarmente del
primo comma, lo stretto collegamento logico-sistematico con l’art. 3 della
Costituzione.
Le più recenti decisioni di questa
Corte, dopo la modifica dell’art. 117 Cost. ad opera della legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione) e la previsione della «tutela della concorrenza» come materia
attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, hanno posto in
luce che la nozione interna di concorrenza riflette «quella posta
dall’ordinamento comunitario» (sentenze n. 45 del
2010, n. 430
del 2007 e n. 12 del 2004).
In particolare, si è rilevato che detta locuzione «comprende, tra l’altro,
interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza,
quali: le misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto
gli atti ed i comportamenti delle imprese che influiscono negativamente
sull’assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di
controllo, eventualmente anche di sanzione; le misure legislative di
promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura,
eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero
esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, in
generale i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche. In
tale maniera, vengono perseguite finalità di ampliamento dell’area di libera
scelta sia dei cittadini, sia delle imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi» (sentenze n. 430
e n. 401 del
2007). «Si tratta, in altri termini, dell’aspetto più precisamente di
promozione della concorrenza, che è una delle leve della politica economica del
Paese» (sentenze
n. 80 del 2006, n. 242 del 2005,
n. 175 del 2005
e n. 272 del
2004). A detta materia sono state, quindi, ricondotte, ad esempio, le
misure volte a evitare che un operatore estenda la propria posizione dominante
in altri mercati (sentenza
n. 326 del 2008), ovvero a scongiurare «pratiche abusive a danno dei
consumatori» (sentenza n. 51 del 2008),
oppure a garantire la piena apertura del mercato (sentenza n. 320 del
2008), non quelle che «lo riducono o lo eliminano» (sentenza n. 430 del
2007; analogamente, sentenze n. 63 del
2008 e n.
431 del 2007).
8.1.– Nell’interpretare le clausole generali «utilità sociale» e «fini
sociali» contenute nell’art. 41, secondo e terzo comma, Cost., questa Corte,
sin dalle pronunce più risalenti, ha affermato che le ragioni ad esse
riconducibili «non devono necessariamente risultare da esplicite dichiarazioni
del legislatore» (sentenza
n. 46 del 1963, ove sono richiamate le sentenze n. 5 e
n. 54 del 1962),
assumendo in seguito come «principio ripetutamente affermato» quello secondo il
quale il giudizio in ordine «all’utilità sociale alla quale
Alle clausole generali in esame
sono stati ricondotti anche interessi
qualificati in vario modo e collegati alla sfera economica, quali, in
particolare, quelli attinenti alla esigenza di protezione di una data
produzione (sentenza
n. 20 del 1980), ovvero a quella «di salvaguardare l’equilibrio di mercato
tra domanda ed offerta» in un determinato settore (sentenza n. 63 del
1991), oppure strumentali a garantire i valori della concorrenzialità e
competitività delle imprese (sentenza n. 439 del
1991), o anche «l’esigenza di interesse generale di riconoscimento e
valorizzazione del ruolo» di imprese di determinate dimensioni (sentenza n. 64 del
2007). In definitiva, è stato rilevato, nella sostanza, che la sfera di
autonomia privata e la concorrenza non ricevono «dall’ordinamento una
protezione assoluta» e possono, quindi, subire le limitazioni ed essere
sottoposte al coordinamento necessario «a consentire il soddisfacimento
contestuale di una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti» (sentenza n. 279 del
2006, ordinanza
n. 162 del 2009).
8.2.–
Nonostante, peraltro, il ricordato rilievo dato in qualche occasione al
bilanciamento tra utilità sociale e concorrenza, la giurisprudenza di questa
Corte ha affrontato solo indirettamente il rapporto tra concorrenza e
regolazione generale e il profilo dell’equilibrio tra l’esigenza di apertura
del mercato e di garanzia dell’assetto concorrenziale rispetto alle condotte
degli attori del mercato stesso, cioè imprese e consumatori, da una parte; e,
dall’altra, la tutela degli interessi diversi, di rango costituzionale,
individuati nell’art. 41, secondo e terzo comma, Cost., che possono venire in
rilievo e la tutela dei quali richiede un bilanciamento con
Beninteso, la dovuta coerenza con
l’ordinamento comunitario, in particolare con il principio che «il mercato interno
ai sensi dell’art. 3 del Trattato sull’Unione europea comprende un sistema che
assicura che la concorrenza non sia falsata» (Protocollo n. 27 sul mercato
interno e la concorrenza, allegato al Trattato di Lisbona entrato in vigore il
1° dicembre 2009, che conferma l’art. 3, lettera g, del Trattato CE), comporta il carattere derogatorio e per ciò
stesso eccezionale di questa regolazione. In altri termini, occorre che
siffatto intervento del legislatore costituisca la sola misura in grado di
garantire al giusto la tutela di quegli interessi.
I criteri utilizzati normalmente nella
valutazione antitrust di una
operazione di concentrazione sono, infatti, collegati, direttamente o
indirettamente, al fine di garantire un assetto concorrenziale del mercato: la
considerazione delle quote dalle quali si parte a quelle cui si perviene, la
costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante, l’ostacolo
significativo alla concorrenza, il potenziale pregiudizio per i consumatori,
fino al test di efficienza anche interna dell’esito dell’operazione e al
rilievo particolare e specifico dell’acquisizione di un’impresa in stato
d’insolvenza. È questa, in sintesi, la valutazione spettante ad un’autorità
indipendente al fine di autorizzare un’operazione di concentrazione, che il
nostro ordinamento giuridico, in virtù della legge 287 del 1990, chiede
all’Autorità antitrust e che
quest’ultima ha svolto negli ultimi vent’anni. Si tratta di una valutazione che
va al di là del controllo ex post
sulla condotta delle imprese tipico della funzione di garanzia e, proprio in
quanto si esercita ex ante, cioè su
un progetto di concentrazione, finisce per avvicinarsi e toccare il confine tra
tutela della concorrenza e regolazione del mercato. Ciò nonostante, è pur
sempre una valutazione prevalentemente economica, che resta coerente con la
natura tecnica e indipendente dell’Autorità, in quanto limitata alla verifica
del perseguimento dei cosiddetti obiettivi economici del mercato, in
particolare del suo assetto concorrenziale.
8.3.– La valutazione richiesta per le
operazioni di concentrazione di dimensione nazionale, qual è quella oggetto dei
giudizi principali, come non implausibilmente
ritenuto dai rimettenti, è ispirata ai criteri che sovraintendono a quella
svolta dalla Commissione europea, Direzione generale concorrenza, delle
concentrazioni di dimensione comunitaria. La relativa disciplina è contenuta
nel regolamento 20 gennaio 2004, n. 139 (Regolamento del Consiglio relativo al
controllo delle concentrazioni tra imprese – «Regolamento comunitario sulle
concentrazioni»), completato, per quanto qui soprattutto interessa, dalla
Comunicazione della Commissione 5 febbraio 2004, n. 2004/C31/03, recante gli
«Orientamenti relativi alla valutazione delle concentrazioni orizzontali a norma
del regolamento del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra
imprese» (infra:
Orientamenti). Anche la disciplina del controllo delle concentrazioni di
dimensioni comunitarie contiene criteri di valutazione strumentali a
finalizzarla ai cosiddetti obiettivi economici del mercato unico.
Il regolamento n. 139 del 2004 consente,
in particolare, di apprezzare le eventuali efficienze generate dalle
concentrazioni. La valutazione delle concentrazioni tiene conto sia
dell’incidenza delle medesime sulle imprese concorrenti, sia della circostanza
che, ai fini della dichiarazione di incompatibilità, rileva anche l’idoneità
delle stesse a cagionare un danno ai consumatori. Il criterio di valutazione
fondato sul test di efficienza «è che i consumatori non devono ritrovarsi in
una situazione peggiore a seguito della concentrazione»; «a tal fine, i
miglioramenti di efficienza devono essere considerevoli e tempestivi e, in
linea di principio, apportare dei vantaggi ai consumatori in quei mercati
rilevanti nei quali sarebbero altrimenti probabili problemi sotto il profilo
della concorrenza» (Orientamenti, paragrafo 79).
Una concentrazione valutata
negativamente può, inoltre, essere ritenuta «compatibile con il mercato comune,
se una delle imprese partecipanti alla concentrazione versa in stato di crisi»,
in base ad un apprezzamento condotto sulla scorta di criteri prestabiliti
(Orientamenti, paragrafi 89-90). Peraltro, anche anteriormente al regolamento
n. 139 del 2004, la circostanza che l’impresa da salvare potesse rischiare
altrimenti di uscire dal mercato è stata ritenuta un fattore suscettibile di
positiva valutazione. Né è mancato, nella prassi della Commissione, il rilievo
che «un’autorizzazione della concentrazione subordinata a condizioni
appropriate» può, eventualmente, essere «più favorevole per gli utenti di un
deterioramento della struttura del mercato causato dalla potenziale cessazione
delle attività» da parte di una determinata impresa, specie quando entrano in
gioco interessi rilevanti non riconducibili solo e/o direttamente all’assetto
concorrenziale del mercato, come ad esempio il pluralismo dell’informazione
(Commissione europea, decisione del 2 aprile 2003, caso COMP/M.2876, Newscorp/Telepiù).
Il citato regolamento presuppone, poi,
l’esistenza di norme antitrust
nazionali, ma non necessariamente di norme che impongono l’autorizzazione
preventiva alle concentrazioni.
L’art. 21, paragrafo 4, del regolamento
n. 139 del 2004 stabilisce, infine, che «gli Stati membri possono adottare
opportuni provvedimenti per tutelare legittimi interessi diversi da quelli
presi in considerazione» dal medesimo, nei limiti dallo stesso stabiliti e
compatibili con i principi del diritto comunitario. Il fatto, poi, che il
rispetto di tale limite sia verificato dalla Commissione, e in ultima analisi
dal giudice comunitario, non ne esclude l’idoneità ad incidere sull’esito della
concentrazione, in quanto il controllo vale solo a distinguere gli interventi a
fini protezionistici degli Stati da quelli dovuti ad interessi pubblici
legittimi diversi dalla concorrenza (Commissione europea, Relazione sulla
politica della concorrenza 2009, del 3 giugno 2010).
8.4.– La rilevanza dei molteplici
interessi coinvolti dalle operazioni di concentrazione, ai fini della
valutazione delle medesime, risulta anche dalla disciplina stabilita in altri
Stati membri dell’Unione europea. In Francia, ad esempio, è prevista la
possibilità di sottrarre all’Autorità antitrust
il potere di autorizzare una determinata concentrazione, quando entrano in
considerazione «motivi di interesse generale diversi dalla protezione della
concorrenza», che con questa devono essere bilanciati (l’art. L 430-7-1 II del
codice di commercio, come risultante dalla legge 4 agosto 2008, n. 776, prevede
il potere del Ministro dell’economia di avocare il caso, in presenza di «motivi
di interesse generale» non meglio precisati dalla norma). In Germania è
previsto il potere del Ministro dell’economia, all’esito di uno specifico
procedimento, di stabilire per le imprese vincoli e condizioni, di autorizzare
operazioni di concentrazione in precedenza vietate dall’Autorità di
concorrenza; e ciò per ragioni di interesse generale, qualora la limitazione
della concorrenza sia «compensata dai vantaggi che si rinvengono per l’economia
generale oppure se la concentrazione viene giustificata da un preminente
interesse della collettività» (art. 42 GWB, legge sulla concorrenza). Nel Regno Unito, l’Enterprise Act del 2002, sezione 42, prevede il
potere di intervento del Segretario di Stato competente per gli Affari e
l’Impresa quando ritiene che sulla valutazione della concentrazione possono
incidere «considerazioni di pubblico interesse», in particolare nel settore
della sicurezza nazionale e dei media. Inoltre, lo stesso Segretario di Stato può
aggiungere ulteriori motivi di interesse pubblico anche rispetto ad una
specifica concentrazione, con l’approvazione del Parlamento entro 28 giorni
(motivo della stabilità del sistema finanziario nazionale, ad esempio, fatto
prevalere nel caso dell’acquisizione della Halifax
Bank of Scotland da
parte della Lloyds TSB nel 2008, sui rischi
dell’operazione per la concorrenza).
8.5.– Siffatta possibilità è prevista
anche nel nostro ordinamento dall’art. 25 della legge n. 287 del 1990. Tale norma
stabilisce che «Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro
dell’industria, del commercio e dell’artigianato determina in linea generale e
preventiva i criteri sulla base dei quali l’Autorità può eccezionalmente
autorizzare, per rilevanti interessi generali dell’economia nazionale
nell’ambito dell’integrazione europea, operazioni di concentrazione vietate ai
sensi dell’art. 6, sempreché esse non comportino la eliminazione della
concorrenza dal mercato o restrizioni alla concorrenza non strettamente
giustificate dagli interessi generali predetti» e prescrivendo «le misure
necessarie per il ristabilimento di condizioni di piena concorrenza entro un
termine prefissato».
All’interno delle figure tipizzate dal
diritto antitrust, le concentrazioni
fruiscono, in definitiva, di una disciplina complessivamente più flessibile,
vuoi in quanto sottoposte ad un controllo ordinariamente, ma non
necessariamente, preventivo, vuoi in quanto possono essere, in alcuni casi
eccezionali, suscettibili di una valutazione che può adeguatamente tenere conto
dell’esigenza di tutelare preminenti interessi generali diversi da quelli
collegati all’obiettivo di garantire un assetto competitivo del mercato.
L’attenzione per questi interessi diversi si può tradurre in un potere di
valutazione, in sostanza di regolazione generale, comunque non tecnica,
demandato normalmente all’autorità politica, eventualmente in aggiunta o in
sostituzione dell’Autorità indipendente preposta al controllo antitrust. La funzione di garanzia a
questa spettante rimane, beninteso, anche in questa ipotesi inalterata quanto
al controllo ex post degli esiti
della concentrazione, in particolare rispetto al divieto di abuso di posizione
dominante.
9.– Nel quadro di tali principi, alla
luce del generale contesto normativo di riferimento, il citato art. 4, comma 4-quinquies, risulta immune dalle censure
proposte dai rimettenti.
La disciplina del controllo delle
concentrazioni stabilita dalla legge n. 287 del 1990, che fa espressa
applicazione dell’art. 41 Cost., è caratterizzata dall’attribuzione in via
generale all’Autorità del compito di valutare se esse comportino la
costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato
nazionale tale da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza,
stabilendo le misure necessarie per porvi rimedio. Inoltre, l’art. 25 della
legge n. 287 del 1990 contempla uno specifico meccanismo per tutelare interessi
diversi dalla concorrenza. Tale disciplina, tuttavia, non è a contenuto
costituzionalmente vincolato. Il legislatore ordinario può, infatti, prevedere
la possibilità di autorizzare operazioni di concentrazione in vista del
contemperamento con altri interessi costituzionalmente rilevanti, diversi da
quelli inerenti all’assetto concorrenziale del mercato.
Nel caso in esame, peraltro, il
legislatore è intervenuto con una norma-provvedimento, sì che lo scrutinio di
ragionevolezza al quale questa va sottoposta richiede di accertare in maniera
stringente se siano identificabili interessi in grado di giustificarla,
desumibili anche in via interpretativa, e se sia stata realizzata una scelta
proporzionata ed adeguata, fermo restando che tale scrutinio di
costituzionalità non può spingersi sino a valutare autonomamente gli elementi
di fatto posti a base della scelta.
Tale verifica ha esito positivo. Il
citato art. 4, comma 4-quinquies,
indica che le operazioni di concentrazione da esso considerate rispondono «a
preminenti interessi generali», con formula che assume concretezza alla luce
del contesto nel quale la norma è inserita e dei lavori preparatori. La
considerazione che la disposizione è contenuta in un decreto-legge è,
anzitutto, sintomatica della necessità di provvedere in via d’urgenza; il
riferimento, contenuto nella premessa di tale atto normativo, all’esigenza di
modificare la procedura di amministrazione straordinaria per le imprese di
grandissime dimensioni, «individuando una specifica disciplina per le grandi
imprese operanti nei settori dei servizi pubblici essenziali volta a garantire
la continuità nella prestazione di tali servizi», e l’inserimento della
medesima nella legge che la regolamenta, fanno, inoltre, emergere le ragioni
della scelta.
Nella specie occorreva fronteggiare una
situazione di gravissima crisi di un’impresa (come dimostra la sottoposizione
della medesima all’amministrazione straordinaria), che svolgeva un servizio
pubblico essenziale del quale doveva essere garantita la continuità
(circostanza, quest’ultima, espressamente condivisa dai rimettenti), peraltro
in un settore particolare, notoriamente di importanza strategica per l’economia
nazionale, meritevole di distinta considerazione, che esigeva di scongiurare
distorsioni ed interruzioni suscettibili di ricadute sistemiche in ulteriori
comparti. Il legislatore ordinario ha dunque inteso realizzare un intervento
diretto a garantirne la continuità ed a permettere la conservazione del
rilevante valore dell’azienda (costituita da una pluralità di beni e rapporti,
di varia natura), al fine di scongiurare, in tal modo, anche una grave crisi
occupazionale.
Di tale obiettivo danno ampio conto i
lavori preparatori. Dagli interventi al Senato ed alla Camera, nelle
Commissioni ed in Assemblea, risulta, infatti, che è stato continuo il
riferimento alla «necessità di un’azione importante ed ampia per il salvataggio
dell’Alitalia» e traspare costante il convincimento della ritenuta
strumentalità della norma in esame rispetto a tale obiettivo. Emerge univoco
l’intento di garantire la continuità del trasporto aereo su tutte le rotte nazionali,
anche su quelle economicamente non convenienti, e di evitare la dissoluzione di
un’impresa di rilevanti dimensioni e la dispersione del valore aziendale, in
vista della tutela dei livelli occupazionali e di esigenze strategiche
dell’economia nazionale. Questi interessi, sebbene attengano, prevalentemente,
alla sfera economica, per le osservazioni dianzi svolte, ed in considerazione
della gravità della congiuntura economica e della peculiarità del settore di
riferimento, sono riconducibili alle ragioni di «utilità sociale» ed ai «fini
sociali» (art. 41 Cost.) che giustificano uno specifico, eccezionale,
intervento di regolazione estraneo alla sfera di competenza dell’Autorità
indipendente.
La considerazione che siffatta scelta,
dal punto di vista dell’obiettivo generale perseguito e dello strumento
utilizzato, neppure è eccentrica rispetto al contesto normativo di riferimento
suffraga, inoltre, l’inesistenza di profili di irragionevolezza. La soluzione
privilegiata dalla disposizione in esame può essere iscritta, infatti, nella
nuova modalità di approccio alla crisi dell’impresa che caratterizza il nostro
ordinamento, alla quale è stata ispirata anche la riforma della legge
fallimentare, connotata dal superamento della concezione liquidatoria
dell’impresa, in favore di quella diretta alla conservazione del valore
dell’azienda, per fini di utilità sociale (tra questi, la tutela del lavoro),
conseguibile anche mediante cessioni e concentrazioni.
Se, in definitiva, il bilanciamento di
una molteplicità di interessi impone una scelta non tipica del controllo antitrust, ma, in sostanza,
caratterizzata da una connotazione di politica economica e di regolazione del
mercato imposta da una situazione eccezionale, questa scelta non può essere
giudicata irragionevole per il solo fatto di essere stata operata mediante un
atto legislativo.
10.–
Una volta identificati gli interessi generali costituzionalmente
rilevanti che, anche alla luce delle peculiarità della fase economica e del
servizio pubblico espletato dalle imprese coinvolte nella concentrazione, sono
riconducibili alle clausole generali «utilità sociale» e «fini sociali»
dell’art. 41, secondo e terzo comma, Cost., la soluzione realizzata per
garantirne la tutela resiste al necessario test di proporzionalità al quale va
sottoposta.
L’esame del contesto generale di
riferimento ha, anzitutto, evidenziato che la disciplina rilevante della
concorrenza permette di tenere conto di detti interessi e di valorizzarli anche
al fine di una particolare conformazione del controllo delle concentrazioni.
È poi particolarmente significativo che
il citato art. 4, comma 4-quinquies,
sebbene abbia introdotto una deroga della disciplina di regola applicabile, in
riferimento al potere dell’Autorità di prescrivere misure strutturali e di
esercitare i poteri previsti dall’art. 6, comma 2, della legge n. 287 del
Il legislatore ordinario ha, altresì,
dimostrato attenzione all’interesse dei consumatori (obiettivo, nella specie,
di rilievo, alla luce dell’intento di garantire il mantenimento di un servizio
di trasporto fondamentale per il nostro Paese, su tutte le rotte), che, come
sopra evidenziato, in ogni latitudine costituisce oggetto di specifica
considerazione nella disciplina delle concentrazioni. La norma in esame ha,
infatti, mantenuto fermo il potere dell’Autorità di stabilire le misure
comportamentali idonee a garantire i consumatori, e neppure ha inciso sulla
possibilità di esercitare un controllo continuo e di adottarle in tempi
diversi, conformandole e modulandole in vario modo, anche temporaneamente,
tenendo conto a tal fine dell’evoluzione del mercato e dell’incidenza di questa
sugli interessi dei consumatori.
Si tratta di un profilo di sicuro
rilievo nel giudizio di proporzionalità della misura; per apprezzarne
l’importanza, è sufficiente ricordare che
Il regolamento n. 139 del 2004, come è
stato ricordato, stabilisce, poi, quale limite invalicabile di una favorevole
valutazione delle concentrazioni, la circostanza che esse non devono comportare
«un pregiudizio durevole per la concorrenza». In relazione a questo profilo, il
citato art. 4, comma 4-quinquies, ha
attribuito all’Autorità il potere di definire «il termine, comunque non
inferiore a tre anni, entro il quale le posizioni di monopolio eventualmente
determinatesi devono cessare». Il carattere transitorio della deroga del potere
dell’Autorità di disporre determinate misure concorre, pertanto, a fare
escludere l’irragionevolezza della norma e la violazione degli artt. 3 e 41
della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibile l’intervento della Alitalia-Linee Aeree Italiane s.p.a., in amministrazione
straordinaria, in persona del Commissario straordinario, nel giudizio
introdotto dall’ordinanza iscritta nel r.o. n. 225
del 2009;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 4, comma 4-quinquies,
del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la
ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza),
convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, introdotto
dall’articolo 1, comma 10, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134
(Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in
crisi), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166,
sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con le ordinanze indicate in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno
2010.
F.to:
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in