Sentenza n. 167 del 2009

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SENTENZA N. 167

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco             AMIRANTE                   Presidente

- Ugo                      DE SIERVO                  Giudice

- Paolo                    MADDALENA               "

- Alfio                    FINOCCHIARO             "

- Alfonso                QUARANTA                  "

- Franco                  GALLO                         "

- Luigi                             MAZZELLA                            "

- Gaetano                SILVESTRI                   "

- Sabino                  CASSESE                      "

- Maria Rita            SAULLE                        "

- Giuseppe              TESAURO                     "

- Paolo Maria          NAPOLITANO              "

- Giuseppe              FRIGO                           "

- Alessandro           CRISCUOLO                 "

- Paolo                    GROSSI                         "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 18 della legge della Regione Umbria 26 maggio 2004, n. 8 (Ulteriori modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 febbraio 1994, n. 6 - Disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), promosso dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria nei procedimenti riuniti vertenti tra il Consorzio del tartufo di Roscetti ed altri e la Comunità Montana dell'Alto Tevere Umbro ed altri con ordinanza del 5 giugno 2008, iscritta al n. 311 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 2008.

    Visti gli atti di costituzione del Consorzio del tartufo di Roscetti ed altra, di Brofferio Diego ed altro e dell'Associazione Tartufai del Comprensorio Eugubino-Gualdese;

    udito nell'udienza pubblica del 21 aprile 2009 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

    uditi gli avvocati Mario Rampini per il Consorzio del tartufo di Roscetti ed altra, Marco Massoli per Brofferio Diego ed altro.

Ritenuto in fatto

    1. – Il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria con ordinanza del 5 giugno 2008 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge della Regione Umbria 26 maggio 2004, n. 8 (Ulteriori modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 febbraio 1994, n. 6 - Disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), nella parte in cui, aggiungendo i commi 2-quater e 2-quinquies all'art. 4 della legge della Regione Umbria 28 febbraio 1994, n. 6 (Disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), prevede limiti all'estensione territoriale delle tartufaie controllate o coltivate, nonché, in riferimento ai medesimi parametri, dell'art. 18 della medesima legge regionale n. 8 del 2004 nella parte in cui estende l'applicazione delle nuove norme anche alle tartufaie già riconosciute.

    Il rimettente premette che la disciplina statale in materia di raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi prevede, ai sensi dell'art. 3 della legge quadro statale, 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo), che «la raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni non coltivati» e che «hanno diritto di proprietà sui tartufi prodotti nelle tartufaie coltivate o controllate tutti coloro che le conducano [...] purché vengano apposte apposite tabelle delimitanti le tartufaie stesse». La Regione Umbria ha dato attuazione alla disciplina statale con la legge regionale n. 6 del 1994 che, nel suo testo originario, non poneva alcun limite alle dimensioni delle tartufaie coltivate o controllate, limiti che invece sono stati introdotti, per le tartufaie controllate, dall'art. 4 della legge n. 8 del 2004 oggetto del presente giudizio di costituzionalità. In particolare la norma censurata ha previsto, al comma 2-quater aggiunto all'art. 4 della legge regionale n. 6 del 1994, che «la superficie massima delle tartufaie controllate non può superare i tre ettari», e al comma 2-quinquies che «nei confronti di eventuali consorzi od altre forme associative tra aventi titolo alle tartufaie controllate, comunque tra loro confinanti, il limite di cui al comma 2-quater è elevato a 15 ettari». Inoltre, all'art. 18, è previsto che «entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge, le tartufaie controllate costituite precedentemente dovranno essere riperimetrate».

    Così delineato il quadro normativo di riferimento, il TAR dell'Umbria riferisce che i ricorrenti nel giudizio principale hanno impugnato i provvedimenti delle locali comunità montane con i quali è stata rigettata la domanda di rinnovo del riconoscimento della qualifica di tartufaie controllate per la parte di terreno eccedente il limite previsto dalle norme ora indicate, vale a dire di quindici ettari per i consorzi e di tre ettari negli altri casi e aggiunge, in punto di rilevanza, che gli atti amministrativi impugnati risultano aderenti alle disposizioni della legge regionale e che per tale motivo «appare rilevante e non eludibile la questione di legittimità costituzionale».

    Secondo il rimettente, le norme in oggetto violerebbero l'art. 117, terzo comma, Cost. in quanto, rientrando nell'ambito della competenza concorrente relativa alla valorizzazione dei beni ambientali, si porrebbero in contrasto con il principio fondamentale recato dall'art. 3 della legge quadro n. 752 del 1985 per la disciplina della raccolta libera dei tartufi, che non prevede limiti per l'individuazione delle tartufaie controllate.

    Inoltre, l'introduzione dei suddetti limiti di estensione territoriale violerebbe gli artt. 3, 41 e 42 Cost. determinando una irragionevole disparità di trattamento fra il ricercatore e il proprietario del fondo, il primo dei quali si arricchirebbe ingiustamente a detrimento del secondo, potendo lucrare, oltre al giusto compenso per la propria opera di ricerca, anche il maggior valore inerente ad un bene economico alla cui produzione in nessun modo ha concorso, sottraendolo interamente al proprietario.

    Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale rimettente evidenzia che i prodotti vegetali sono frutti naturali che appartengono di diritto al proprietario del fondo, quand'anche alla loro produzione non concorra l'opera dell'uomo. Il diritto di proprietà sui frutti della cosa sarebbe un principio fondamentale dello statuto della proprietà fondiaria: anzi, ne costituirebbe l'essenza, in quanto, a ben vedere, la proprietà di un terreno agricolo o boschivo consisterebbe proprio nel dritto esclusivo di appropriarsi dei frutti, anche spontanei. Pertanto, le eventuali eccezioni al principio indicato dovrebbero avere una giustificazione razionale, etica e sociale e dovrebbero comunque essere limitate. L'eccezione che ammette la libertà di raccolta di taluni prodotti spontanei quali i fiori di campo, le bacche ed erbe selvatiche e simili si baserebbe, dunque, su due presupposti: che i prodotti siano privi di un valore economico intrinseco, raccolti solo per diletto e destinati all'autoconsumo o, al più, alla cessione ad un prezzo che non eccede la modesta remunerazione dell'opera del raccoglitore, e che si possa presumere il disinteresse del proprietario.

    A questa logica sarebbe ispirata la sentenza n. 328 del 1990 con la quale la Corte ha ritenuto costituzionalmente legittima la norma che riconosce la libertà di raccolta dei tartufi, in quanto protegge le esigenze «di quella parte della popolazione che nella ricerca e raccolta dei tartufi trova un motivo di distensione ed anche di integrazione del proprio reddito».

    Tuttavia, a parere del rimettente, oggi la situazione sarebbe del tutto diversa, dal momento che il tartufo è diventato un bene di elevatissimo valore commerciale e, dunque, il diritto del ricercatore non dovrebbe più prevalere su quello del proprietario del fondo.

    In altre parole, la normativa in esame sarebbe censurabile «perché consente al ricercatore non solo di ritrarre un giusto compenso per la propria opera, ma di lucrare il maggior valore inerente ad un bene economico alla cui produzione in nessun modo ha concorso, sottraendolo interamente al proprietario di quello che è il suo maggiore, o unico, fattore di produzione».

    Da queste considerazioni, secondo il rimettente, si ricaverebbe innanzitutto una violazione, da parte delle disposizioni censurate, oltre che dell'art. 42 della Costituzione, anche dell'art. 3, in quanto vi sarebbe irragionevole disparità di trattamento fra raccoglitore e proprietario, il primo dei quali si arricchirebbe ingiustamente a detrimento del secondo.

    Inoltre risulterebbe violato il principio fondamentale recato dall'art. 3 della legge quadro n. 752 del 1985 per la disciplina della raccolta libera dei rifiuti, che non prevede limiti per l'individuazione delle tartufaie controllate o coltivate. Infatti, secondo il TAR umbro, il legislatore nazionale ha bilanciato equamente i contrapposti interessi contemperando la libertà del ricercatore con la facoltà, data al proprietario del fondo, di qualificare come tartufaia controllata (con i conseguenti obblighi e diritti) tutte le superfici che ne siano tecnicamente idonee, senza limiti di estensione.

    Secondo il rimettente il legislatore regionale, con la norma censurata, in violazione della legislazione statale, avrebbe rotto l'equilibrio tra libertà di raccolta e tutela degli interessi del proprietario del fondo, esorbitando dal proprio potere di integrazione e specificazione dei contenuti della legge quadro.

    Il TAR della Regione Umbria evidenzia, inoltre, che la scelta del proprietario del fondo, di istituire una «tartufaia controllata» e di chiederne il riconoscimento, non costituisce solo un atto di esercizio del diritto di proprietà (inteso a provocare l'effetto di precludere ai terzi la raccolta dei tartufi) ma rappresenta anche un atto di iniziativa economica, come risulta dalla disciplina dettata dalla legge regionale n. 6 del 1994 che subordina il riconoscimento all'accertamento di una serie di condizioni oggettive, e all'assunzione, da parte del proprietario, dell'impegno di effettuare una serie di interventi (ovviamente onerosi) di miglioramento, manutenzione ed incremento il cui mancato adempimento comporta la revoca del riconoscimento (art. 9, comma 6) oltre ad una sanzione pecuniaria (art. 20).

    In questa luce, l'esclusività del diritto di raccogliere i tartufi accordata al titolare della tartufaia controllata, sembrerebbe correlata, non solo e non tanto, al diritto di proprietà, quanto al fatto che i tartufi sono considerati il risultato di un'attività produttiva programmata, organizzata e dispendiosa. Di conseguenza, la disposizione introdotta dalla legge regionale n. 8 del 2004, inciderebbe non solo sul diritto di proprietà (art. 42 della Costituzione) ma anche sulla libertà d'impresa (art. 41) impedendo al proprietario di assumere un'iniziativa economica con investimenti e lavoro, a fronte della prospettiva di un utile.

    Il rimettente, in subordine, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 della legge regionale n. 8 del 2004 che, anziché far salve le tartufaie controllate riconosciute anteriormente alla sua entrata in vigore, ha assoggettato anche queste ultime alla nuova disciplina, ordinandone la riperimetrazione.

    In tal modo risulterebbero compromesse le legittime aspettative maturate dai titolari per effetto non solo e non tanto degli atti amministrativi di riconoscimento, ma anche e soprattutto degli investimenti già effettuati e dei lavori compiuti, circostanze che renderebbero ancor più evidenti le violazioni degli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione.

    2.1. – Con atti depositati il 27 ottobre 2008 si sono costituiti in giudizio, rispettivamente, il Consorzio del tartufo di Roscetti, Brofferio Diego e Brofferio Alfredo, in proprio e quali legali rappresentanti dell'Azienda Agraria “Il palazzetto”, e l'Azienda Agraria Ganovelli Franco e Giorgio, parti del giudizio a quo, chiedendo la declaratoria di incostituzionalità delle norme censurate dal TAR dell'Umbria.

    In fatto tutte le parti sopraindicate, ricorrenti nel giudizio a quo, dichiarano che la Comunità Montana con i provvedimenti impugnati, in applicazione della nuova normativa, ha rigettato la loro richiesta di  rinnovo del riconoscimento della qualifica di tartufaia controllata per la parte di terreno eccedente il limite previsto dalle norme censurate, vale a dire di quindici ettari per i consorzi e di tre ettari negli altri casi.

    Le parti private evidenziano che, in passato, al fine di ottenere il suddetto riconoscimento per i loro terreni, hanno posto in essere ingenti investimenti volti a soddisfare le richieste della Regione, cui era subordinato appunto il rilascio dell'attestato di tartufaia controllata, tanto da poter affermare che si è trattato di investimenti per una vera e propria attivi­tà imprenditoriale ed anche di ragguardevoli dimensioni. Pertanto la disposizione introdotta dall'art. 4 della legge regionale n. 8 del 2004, sull'estensione massima delle tartufaie controllate, verrebbe ad applicarsi an­che nei confronti di soggetti che rivestono una particolare posizione, qualificata e consolidata in ragione di una struttura imprenditoriale di rilevanti dimensioni, venutasi a creare esclusivamente sul presupposto del particolare regime di privativa sulla produzione dei tartufi che la legge statale n. 752 del 1985 e la precedente legge regionale conferivano in via generale alle tartufaie control­late ed in particolare alle imprese agricole e forestali.

    In tal modo, verrebbe attuata, di fatto, una vera e propria espropria­zione di una parte significativa, se non addirittura essenziale, dell'intera strut­tura aziendale coincidente con la predisposizione di tutte le migliori condizioni per la produzione dei tar­tufi, incidendo in modo determinante sull'esercizio del diritto di impresa per effetto della eliminazione in via autoritativa della disponi­bilità esclusiva dei fattori della produzione.

    Tale forma di espropriazione, tuttavia, oltre a non prevedere alcun in­dennizzo con violazione dell'art. 42 Cost., non sarebbe nemmeno contemplata da una legge statale, così come richiesto dal riparto di competenze legislati­ve sancito dalla Costituzione.

    Il legislatore regionale avrebbe anche violato il riparto di competenze di cui all'art. 117 Cost., secondo comma, lettera l), che riserva in via esclusiva allo Stato la materia dell'ordinamento civile, in quanto, per effetto della disciplina regionale, il diritto di proprietà sui tartufi, riconosciuto dalla normativa statale, verrebbe a decadere per la semplice decorrenza del termine quin­quennale.

    Sotto un ulteriore profilo, inoltre, l'illegittimità costituzionale della normativa regionale di riferimento discenderebbe anche dalla mancata pre­visione di una esplicita norma diretta ad imporre un'applicazione non retroattiva dei limiti posti all'attività imprenditoriale (nella specie, attraverso l'indiscriminata riduzione del comprensorio territoriale interessato dalla tartufaia controllata), limiti che altrimenti costituirebbero una palese violazione del principio di libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.).

    L'effettivo e sostanziale riconoscimento, invece, del diritto di libertà di iniziativa economica da parte del privato non avrebbe potuto che discendere dal doveroso mantenimento di una situazione produttiva ed imprenditoriale venutasi a creare facendo legittimo affidamento su un determinato status quo sia di fatto che di diritto.

    2.2. – Con atto depositato il 27 ottobre 2008 si è costituita in giudizio l'Associazione Tartufai del Comprensorio Eugubino-Gualdese, a mezzo del suo Presidente e legale rappresentante, chiedendo che le questioni sollevate dal TAR dell'Umbria siano dichiarate inammissibili o infondate.

    Secondo quest'altra parte privata, interveniente ad opponendum nel giudizio a quo, le questioni oggetto del presente giudizio sarebbero state già state valutate dalla Corte costituzionale quando, con la sentenza n. 212 del 2006, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge regionale n. 8 del 2004 in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere l) e s), e terzo comma, della Costituzione.

    In tale occasione la Corte, muovendo dall'evidente genericità della definizione di tartufaia controllata fornita dall'art. 3 della legge quadro n. 752 del 1985, ha affermato come «non possa ritenersi precluso alle Regioni, in base alle regole di riparto della competenza nelle materie di legislazione concorrente, fissare requisiti e limiti delle tartufaie controllate in relazione alla specificità del territorio regionale, onde evitare una eccessiva compressione del principio fondamentale della libera raccolta nei boschi e nei terreni non coltivati, precisando altresì che detta regolamentazione non incide di per sé sul regime di proprietà dei tartufi, che, al contrario, resta disciplinato dalle norme di principio dettate dalla legislazione statale ed in particolare dall'art. 3 della legge n. 752 del 1985».

    Pertanto sarebbe del tutto errato il presupposto interpretativo del remittente secondo il quale il legislatore regionale, introducendo limiti dimensionali alle tartufaie controllate, non si sarebbe limitato ad integrare e specificare i contenuti della legge quadro, bensì avrebbe posto una limitazione non compatibile con la filosofia della legge statale.

    In realtà il principio fondamentale desumibile dall'art. 3 della legge n. 752 del 1985, contrariamente a quanto prospettato dall'ordinanza di rimessione, sarebbe, infatti, quello della libera raccolta dei tartufi nei boschi e nei terreni non coltivati, principio che dovrebbe prevalere nel bilanciamento tra l'interesse dei conduttori e dei proprietari delle tartufaie e l'interesse dei raccoglitori.

    L'art. 4 della legge regionale n. 8 del 2004 sarebbe una mera norma di dettaglio che, lungi dall'imporre arbitrariamente limitazioni al diritto di proprietà sui tartufi, si limiterebbe, conformemente alla delega contenuta all'art. 1 della legge quadro, all'individuazione di un limite perimetrale massimo all'estensione delle tartufaie controllate.

    Infine, con riferimento alla sospetta violazione dell'art. 41 della Costituzione, risulterebbe evidente come l'attività posta in essere dai proprietari delle tartufaie controllate sia, in realtà, un'attività di esigue proporzioni, che, in quanto tale, non rientra nella libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 della Costituzione.

    Parimenti priva di qualsivoglia fondamento sarebbe l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 18 della stessa legge regionale, che applica i limiti dimensionali introdotti dall'art. 4 alle tartufaie già riconosciute, ordinandone la riperimetrazione entro un anno dall'entrata in vigore della legge.

    Quelle dei proprietari sarebbero situazioni giuridiche soggettive che non assumono la consistenza di diritti quesiti, non essendo espressione di interessi giuridici consolidati, ma in divenire, ovvero situazioni la cui asserita lesione da parte del legislatore regionale si rivela palesemente inidonea a fondare la sollevata eccezione di incostituzionalità.

     In ogni caso, il termine fissato dall'art. 18, comma 2, della legge regionale predisporrebbe una tutela sufficiente per i proprietari dei terreni adibiti a tartufaie controllate, consentendo un graduale e progressivo ridimensionamento di quest'ultime.

    In prossimità dell'udienza, il Consorzio del tartufo di Roscetti ha presentato una memoria con la quale ha ribadito le proprie argomentazioni a favore dell'accoglimento della questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria.

Considerato in diritto

    1. – Il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 117 della Costituzione, dell'art. 4 della legge della Regione Umbria 26 maggio 2004, n. 8 (Ulteriori modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 febbraio 1994, n. 6 - Disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), nella parte in cui, aggiungendo i commi 2-quater e 2-quinquies all'art. 4 della legge della Regione Umbria 28 febbraio 1994, n. 6 (Disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), prevede limiti all'estensione territoriale delle tartufaie controllate o coltivate, nonché, in riferimento ai medesimi parametri, dell'art. 18 della medesima legge regionale, nella parte in cui estende l'applicazione delle nuove norme anche alle tartufaie già riconosciute.

    Secondo il rimettente, le norme in oggetto violerebbero l'art. 117, terzo comma, Cost. in quanto, rientrando nell'ambito della competenza concorrente relativa alla valorizzazione dei beni ambientali, si porrebbero in contrasto con il principio fondamentale recato dall'art. 3 della legge quadro statale, 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo), per la disciplina della raccolta libera dei tartufi, che non prevede limiti per l'individuazione delle tartufaie controllate o coltivate.

    Inoltre, l'introduzione dei suddetti limiti di estensione territoriale violerebbe gli artt. 3, 41 e 42 Cost., determinando una irragionevole disparità di trattamento fra il ricercatore e il proprietario del fondo, il primo dei quali si arricchirebbe ingiustamente a detrimento del secondo, potendo lucrare, oltre al giusto compenso per la propria opera di ricerca, anche il maggior valore inerente ad un bene economico alla cui produzione in nessun modo ha concorso, sottraendolo interamente al proprietario.

    Il TAR dell'Umbria, sul presupposto che la raccolta dei tartufi sia un'attività produttiva, ritiene violato anche l'art. 41 Cost., in quanto le disposizioni introdotte dalla legge regionale, nel porre limiti estremamente restrittivi all'estensione delle tartufaie controllate, inciderebbero sulla libertà d'impresa, impedendo al proprietario di assumere iniziative economiche con investimenti e lavoro, a fronte della prospettiva di un utile.

    In subordine, il rimettente ripropone le stesse censure nei confronti dell'art. 18 della legge regionale n. 8 del 2004 che, anziché far salve le tartufaie controllate riconosciute anteriormente alla sua entrata in vigore, ha ordinato la loro riperimetrazione entro un anno dall'entrata in vigore della legge, assoggettandole così alla nuova disciplina in violazione degli artt. 3, 41 e 42 Cost.. La norma comprometterebbe le legittime aspettative dei titolari dei fondi, maturate per effetto non solo e non tanto degli atti amministrativi di riconoscimento, ma anche e soprattutto degli investimenti già effettuati e dei lavori compiuti.

    2. – Le questioni non sono fondate.

    Questa Corte ha già affermato che l'ambito materiale al quale si deve ascrivere la disciplina della raccolta dei tartufi, che è oggetto della legge regionale n. 8 del 2004, è quello della valorizzazione dei beni ambientali, di competenza concorrente, ciò in quanto «il patrimonio tartuficolo costituisce una risorsa ambientale della Regione, suscettibile di razionale sfruttamento, la cui valorizzazione compete perciò alla Regione medesima, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, nel rispetto dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale» (sentenza n. 212 del 2006).

    In tale occasione la Corte ha anche delimitato la portata del principio fondamentale della materia, secondo il quale «la raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni non coltivati» (art. 3 della legge n. 752 del 1985), precisando che, secondo il legislatore statale, coessenziale all'affermazione di tale libertà è la sua limitazione al solo ambito dei boschi e dei terreni non coltivati, nell'ottica di un ragionevole bilanciamento tra le esigenze «di quella parte della popolazione che nella ricerca e raccolta dei tartufi trova un motivo di distensione ed anche di integrazione del proprio reddito (sentenza n. 328 del 1990) e la necessità di difendere il patrimonio ambientale dal rischio di danni irreparabili e di tutelare altresì i diritti dei proprietari dei fondi» (sentenza n. 212 del 2006).

    La Corte ha, poi, precisato che la legge quadro n. 752 del 1985, all'art. 3, quinto comma, si limita a definire le tartufaie controllate come «tartufaie naturali migliorate e incrementate con la messa a dimora di un congruo numero di piante tartufigene» e, che, stante l'evidente genericità di tale definizione, di per sé insuscettibile di pratica applicazione, non può che spettare alle Regioni, in base alle regole di riparto della competenza nelle materie di legislazione concorrente, la normativa di dettaglio diretta alla concreta individuazione dei requisiti per il riconoscimento di tartufaia controllata. In particolare, «in mancanza di qualsiasi enunciazione di principio, nella legge statale, riguardo alla estensione delle suddette tartufaie controllate, non può certamente ritenersi precluso alle medesime Regioni di fissare limiti massimi, in relazione alle specifiche caratteristiche del territorio regionale, onde evitare una eccessiva compressione del principio fondamentale della libera raccolta nei boschi e nei terreni non coltivati» (sentenza n. 212 del 2006).

    In conclusione, con riferimento alla prima censura relativa alla violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., deve escludersi l'esistenza, nella legislazione statale, di un principio fondamentale, quale quello elaborato dal rimettente, secondo il quale sarebbe vietato al legislatore regionale prevedere limiti territoriali per l'estensione delle tartufaie controllate.

    Quanto alle altre censure relative agli artt. 3, 41 e 42 Cost., con le quali si lamenta l'irragionevole e illegittima compressione del diritto di proprietà e del diritto di libera iniziativa economica dei titolari delle tartufaie controllate, va in primo luogo richiamata la sentenza di questa Corte n. 328 del 1990, con la quale si è negata la violazione dell'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, per la mancata previsione da parte del legislatore statale di un indennizzo o di un compenso a favore dei proprietari di terreni non coltivati o di boschi a fronte del mancato riconoscimento del loro diritto esclusivo di proprietà sui tartufi.

    Con tale sentenza la Corte ha ribadito che «detta violazione non si verifica allorquando, come nella fattispecie, i limiti posti alla proprietà privata si riferiscano ai modi di godimento di intere categorie di beni, specie nell'ambito della attuazione della funzione sociale che deve svolgere il diritto di proprietà per la tutela accordata ad interessi sociali e quindi pubblici che fanno capo alla generalità dei cittadini». La funzione sociale che persegue il principio della libera raccolta dei tartufi è, come già dianzi accennato, quella «di salvaguardare un patrimonio ambientale di grande valore, specie a favore di quella parte della popolazione che nella ricerca e raccolta dei tartufi trova un motivo di distensione ed anche di integrazione del proprio reddito» (sentenza n. 328 del 1990).

    Le motivazioni ora riferite, che sono state poste a base del rigetto della questione relativa alla mancanza di indennizzo per i proprietari dei boschi e dei terreni non coltivati in violazione dell'art. 42, terzo comma, Cost, ben possono estendersi anche alla presunta violazione dell'art. 41 Cost., dovendosi ritenere non configurabile una lesione della libertà d'iniziativa economica allorché l'apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all'utilità sociale. Ciò che conta è che, per un verso, l'individuazione dell'utilità sociale, come ora motivata, non appaia arbitraria e che, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue (sentenza n. 548 del 1990).         

    Va, altresì, considerato che l'espressione «boschi e terreni non coltivati», di cui all'art. 3 della legge quadro, richiamata anche dalle leggi regionali di attuazione, deve essere letta insieme alle norme del codice civile (artt. 841 e 842 cod. civ.) e alle leggi sulla caccia e che, pertanto, è vietato raccogliere liberamente i tartufi oltre che nei terreni coltivati (per i quali, peraltro, la censurata legge regionale non prevede limiti dimensionali) anche nei fondi chiusi e recintati, secondo le previsioni del codice civile e, comunque, nelle aziende faunistico-venatorie che sono chiuse con recinzioni, barriere o palizzate secondo le previsioni delle leggi regionali sulla caccia (sentenza n. 328 del 1990). In tali ultimi casi, dunque, il diritto di proprietà sui tartufi è riservato dal legislatore a tutti coloro che hanno diritti di godimento o di proprietà sul fondo, anche se non vi sia stata alcuna apposizione di tabelle recanti il divieto di raccolta di tartufi, non essendo consentita, secondo l'interpretazione che questa Corte ha dato delle norme applicabili, la libera raccolta.

    La limitazione introdotta dal legislatore regionale all'estensione territoriale delle tartufaie controllate non risulta, quindi, né irragionevole né contrastante con gli artt. 41 e 42 Cost. in quanto, come si è detto, la stessa risponde all'esigenza di evitare una eccessiva compressione del principio fondamentale della libera raccolta nei boschi e nei terreni non coltivati e compie un non censurabile bilanciamento tra i diritti dei proprietari o conduttori dei fondi (che potranno escludere l'accesso agli estranei chiudendo il fondo) e l'utilità sociale correlata alla possibilità di libera raccolta nei boschi e nei terreni non coltivati così come sopra restrittivamente individuati.

    Infine, anche l'ultima questione sollevata dal TAR in relazione all'art. 18 della legge della Regione Umbria n. 8 del 2004 che impone, entro un anno dall'entrata in vigore della legge, una riperimetrazione delle tartufaie controllate co­stituite precedentemente, non è fondata.

    Il regime transitorio ora indicato non è irragionevole posto che «se da una parte il legislatore, per salvaguardare posizioni acquisite e temperare le conseguenze dell'impatto di una nuova normativa, può dettare norme transitorie intese a mantenere ferme disposizioni abrogate per situazioni precedenti l'entrata in vigore della nuova legge, dall'altra, per non cadere nell'irrazionalità e non ledere norme costituzionali, deve evitare che la disciplina differenziata si estenda a categorie così vaste e senza limiti di tempo con l'effetto di realizzare non il graduale e sollecito subentro della nuova normativa, ma un notevole svuotamento del contenuto di quest'ultima, lasciando nell'ordinamento sine die una duplicità di discipline diverse e parallele per le stesse disposizioni» (sentenza n. 378 del 1994).

    D'altra parte, laddove fosse prevista per le tartufaie controllate già riconosciute la non applicabilità sine die dei nuovi limiti territoriali, si determinerebbe una evidente disparità di trattamento tra coloro che si sono avvalsi del regime più favorevole e coloro che, invece, devono subire il limite introdotto dalle norme censurate, con l'ulteriore effetto che il differente trattamento potrebbe determinare effetti distorsivi sul mercato, con lesione del principio della concorrenza.

    Né può essere lamentata una sproporzione talmente marcata tra la normativa a regime e la disposizione transitoria da trasmodare in irragionevolezza, posto che il comma 5 dell'art. 9 della medesima legge regionale prevede che «il riconoscimento delle tartufaie controllate ha validità quinquennale» ed il censurato comma 2 dell'art.18 della legge regionale n. 8 del 2004 prevede che la riperimetrazione debba avvenire entro il termine di un anno.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 18 della legge della Regione Umbria 26 maggio 2004, n. 8 (Ulteriori modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 febbraio 1994, n. 6 - Disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo dell'Umbria con l'ordinanza in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 maggio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2009.