Sentenza n. 328 del 1990

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SENTENZA N.328

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3 della legge 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa-quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo) e 2 e 6 della legge regionale dell'Umbria 3 novembre 1987, n. 47 (Norme concernenti la disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 1989 dal T.A.R. dell'Umbria sui ricorsi riuniti proposti da Torlonia Annamaria contro la Regione Umbria ed altri, iscritta al n. 68 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale dell'anno 1990.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e della Regione Umbria;

udito nella camera di consiglio del 23 maggio 1990 il Giudice relatore Francesco Greco.

Ritenuto in fatto

1. - La concessionaria dell'azienda faunistico-venatoria "Schifanoia" instaurava dinanzi al T.A.R. dell'Umbria tre giudizi, poi riuniti, nei confronti della Regione Umbria e della Comunità Montana dell'Alto Chiascio, di impugnazione del provvedimento con cui si era rigettata la sua richiesta di tabellamento del fondo per escludervi la raccolta di tartufi, nonchè di alcune autorizzazioni per la raccolta rilasciate dalla detta Comunità Montana e della delibera della Giunta regionale umbra relativa a termini e modalità di presentazione di richieste di rilascio di autorizzazioni per la ricerca di tartufi nella suddetta azienda.

Il T.A.R. sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge statale 16 dicembre 1985, n. 752, e degli artt. 2 e 6 della legge regionale dell'Umbria 3 novembre 1987, n. 47, in riferimento agli artt. 42, secondo e terzo comma, e 117 della Costituzione.

1.2. - Secondo il giudice remittente l'art. 3 della legge n. 752 del 1985 e l'art. 2 della legge regionale n. 47 del 1987, di identico contenuto, i quali sanciscono la libertà della raccolta dei tartufi nei boschi e nei terreni incolti e la possibilità di riservarsi la proprietà dei tartufi raccolti solo per i proprietari delle tartufai coltivate o controllate, prevederebbero una sottrazione originaria del bene al legittimo proprietario del tutto sproporzionata rispetto all'interesse generale perseguito, posto che sarebbe stato più ragionevole ed equo prevedere la libera ricerca solo nel caso di inerzia del proprietario del terreno nella raccolta.

Invece, le disposizioni censurate consentirebbero al proprietario di riservarsi la raccolta dei tartufi solo se sopportasse il gravoso onere di apportare miglioramenti ed incrementi della coltivazione, mentre nessun onere sarebbe imposto ai terzi.

La menomazione del diritto di proprietà urterebbe contro il precetto costituzionale citato perchè non sarebbe previsto alcun indennizzo o compenso che, invece, si sarebbe dovuto prevedere vertendosi in una situazione di vero e proprio trasferimento forzoso di beni ed utilità a vantaggio di terzi.

1.3 - L'art. 6 della legge regionale n. 47 del 1987, il quale reca una disciplina particolare per la ricerca dei tartufi nelle aziende faunistico-venatorie, violerebbe gli artt. 117 e 42 della Costituzione, in quanto estenderebbe il regime della libera raccolta anche nei terreni delle dette aziende, limitando ulteriormente il diritto di proprietà e venendo così ad incidere nei rapporti intersoggettivi, la cui regolamentazione é preclusa al legislatore regionale.

2.- Il giudice a quo ha ritenuto le questioni sollevate rilevanti, in quanto la eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate condurrebbe alla caducazione delle autorizzazioni di raccolta dei tartufi rilasciate dalla Comunità Montana e alla impossibilità di rilasciarne altre, oltre che al riconoscimento a favore della parte privata della facoltà di tabellazione del fondo.

3.- L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

4.- Nel giudizio sono intervenuti sia il Presidente del Consiglio dei ministri che il Presidente della Giunta regionale umbra, rappresentati entrambi dall'Avvocatura generale dello Stato.

Essa ha preliminarmente eccepito la inammissibilità per irrilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge n. 752 del 1985, posto che solo la legge regionale (art. 6) estende il regime della libera raccolta dei tartufi anche alle aziende faunistico-venatorie, ponendosi in contrasto, secondo il giudice a quo, con gli artt. 117 e 42 della Costituzione.

La censura sarebbe, inoltre, affetta da contraddittorietà stante la inconciliabilità della denuncia della norma statale, sotto il profilo dell'art. 42 della Costituzione, con quella concernente la norma regionale, sotto il profilo dell'art. 117 della Costituzione, norme separatamente individuate come fonte esclusiva della regolamentazione lesiva. La contraddittorietà renderebbe inammissibili le questioni nei termini in cui sono state prospettate.

Secondo la difesa delle interventrici, 1,interpretazione fornita dal giudice a quo sarebbe errata in quanto anche dai lavori preparatori risulta che il regime della libera raccolta si era voluto anche per le aziende faunistico-venatorie, le quali non implicano alcuna coltivazione dei fondi, ma postulano la conservazione dell'ambiente naturale ivi esistente.

Sarebbe inconferente la censura che attiene al profilo della mancata previsione di un indennizzo o della facoltà del proprietario dei fondi sui quali insistono le aziende faunistico-venatorie di riservarsi la raccolta dei tartufi, in considerazione dell'oggetto dei giudizi a quibus, concernenti l'esclusione dei terzi dalla ricerca e raccolta.

La ricerca nei terreni non coltivati costituisce l'oggetto di un uso civico a favore di una determinata collettività, mentre, nel caso di gestione di una tartufaia coltivata o controllata, occorre tenere conto degli oneri che sopporta il proprietario onde, rispetto all'altra ipotesi, risulta giustificata la riserva a suo favore della raccolta dei tartufi. pertanto, la scelta del legislatore é pienamente ragionevole, in conformità alla tradizione vigente in materia ed agli interessi generali perseguiti, coerentemente con il disposto dell'art. 44 della Costituzione.

Considerato in diritto

1. - Il T.A.R. dell'Umbria dubita della legittimità costituzionale:

a) degli artt. 3 della legge statale 16 dicembre 1985, n. 752, e 2 della legge regionale dell'Umbria 3 novembre 1987, n. 47, nella parte in cui sanciscono la libera raccolta dei tartufi nei boschi e nei terreni non coltivati e la possibilità di riserva della proprietà degli stessi solo in favore di chi gestisce tartufaie coltivate o controllate, in quanto risulterebbe violato l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, perchè le dette disposizioni, a fronte di una sottrazione originaria del bene al legittimo proprietario, non prevedono alcuna forma di indennizzo, e, irrazionalmente, consentono al proprietario dei terreni la possibilità della riserva della raccolta solo sopportando i rilevanti oneri economici per la coltivazione e il controllo delle tartufaie, oneri che, invece, non incontrano i terzi ammessi alla libera raccolta;

b) dell'art. 6 della legge regionale n. 47 del 1987, in quanto, estendendo il regime della libera raccolta dei tartufi anche ai terreni in cui si trovano le aziende faunistico-venatorie, violerebbe gli artt. 117 e 42 della Costituzione, perchè attua una disciplina di rapporti interprivati sottratti alla potestà normativa regionale.

2. - Le questioni non sono fondate per quanto si dirà.

La legge quadro n. 752 del 1985 detta nuove norme in materia di raccolta, coltivazione e commercio di tartufi freschi o conservati destinati al commercio. Essa, ovviando alla insufficienza e alla inadeguatezza della precedente legge n. 568 del 1970, persegue la finalità di salvaguardare un patrimonio ambientale di grande valore, specie a favore di quella parte della popolazione che nella ricerca e raccolta dei tartufi trova un motivo di distensione ed anche di integrazione del proprio reddito.

La nuova disciplina è più adeguata alla rilevanza economica della attività che si protegge ed evita che la raccolta indisciplinata produca l'estinzione delle tartufaie e danni irreparabili al patrimonio ambientale.

Inoltre, si sono tutelati anche gli interessi delle popolazioni che ne traggono vantaggio, le loro consuetudini e gli eventuali usi civici.

La normativa statale fornisce i principi ed i criteri per la disciplina di dettaglio che spetta alle Regioni nell'esercizio della potestà legislativa in materia di conservazione del patrimonio naturale e dell'assetto ambientale.

La detta legge quadro sancisce la libera raccolta dei tartufi nei boschi e nei terreni non coltivati; riconosce a tutti coloro che hanno diritti di godimento sul fondo o che vi conducono tartufaie, coltivate o controllate, il diritto di proprietà sui tartufi ivi prodotti, autorizzandoli ad apporre apposite tabelle.

La raccolta non è consentita, quindi, nei terreni coltivati e, anche in base alle norme contenute nel codice civile (artt. 841 e 842), nei fondi chiusi, specie nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia.

Non sussiste la dedotta lesione dell'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, per la mancata previsione da parte del legislatore statale di un indennizzo o di un compenso a favore del proprietario di terreni non coltivati o di boschi.

Si è, invero, più volte affermato (sentenze della Corte costituzionale nn. 6 del 1966, 55 e 56 del 1968, 245 del 1976) che la detta violazione non si verifica allorquando, come nella fattispecie, i limiti posti alla proprietà privata si riferiscano ai modi di godimento di intere categorie di beni, specie nell'ambito della attuazione della funzione sociale che deve svolgere il diritto di proprietà per la tutela accordata ad interessi sociali e quindi pubblici che fanno capo alla generalità dei cittadini.

Per quanto riguarda la illegittimità costituzionale dell'art. 6 della legge n. 47 del 1987, si osserva che con detta disposizione si è inteso disciplinare, nell'ambito della legislazione di dettaglio che compete alla Regione, la raccolta dei tartufi nei terreni soggetti anche a uso civico, al vincolo connesso alla attività venatoria nonchè nelle aziende faunistico-venatorie.

Per queste ultime si sono previsti dei limiti alla libera raccolta e cioè l'autorizzazione della Comunità Montana competente per territorio, l'audizione del legale rappresentante della concessionaria o del proprietario, l'ammissione di un numero limitato di raccoglitori con due soli cani, i turni della raccolta, le modalità di accesso nei soli giorni di silenzio venatorio.

La disciplina in esame va anzitutto coordinata con quella specifica delle aziende faunistico-venatorie rientrante in quella più ampia della caccia dettata con la legge statale n. 968 del 1977, la legge regionale dell'Umbria n. 21 del 1986, ed il regolamento regionale 7 agosto 1986, n. 2.

L'art. 36 della legge statale stabilisce che le aziende faunistico- venatorie, o derivate dalle riserve di caccia o di nuova costituzione, hanno come scopo il mantenimento, l'organizzazione e il miglioramento degli ambienti naturali anche ai fini dell'incremento della fauna selvatica.

La disciplina riguarda le aziende di rilevante interesse naturalistico e faunistico con particolare riferimento alla tipica fauna alpina, alla grossa selvaggina europea e alla fauna acquatica.

Si demanda alle Regioni il coordinamento e l'approvazione dei piani annuali di ripopolamento e di abbattimento della selvaggina compatibili con le finalità naturalistiche e faunistiche nonchè l'indicazione dei criteri di gestione.

La Regione Umbria ha, da ultimo, emanato la legge n. 21 del 1986 ed il regolamento n. 2 del 1986.

Si sono previste tre categorie di aziende venatorie (art. 25 della legge n. 21 del 1986 e art. 2 del regolamento) a seconda della proprietà dei terreni e delle specie degli animali.

Si è specificamente sancito (art. 25, sesto comma, della legge regionale) che la concessione per l'allevamento del cinghiale e degli ungulati è rilasciata a condizione che i terreni a ciò destinati siano delimitati da barriere naturali o artificiali insuperabili dalla selvaggina allevata e tabellati (art. 11 del regolamento), mentre l'art. 6 del regolamento regola la idoneità del territorio.

Ora, la disciplina della raccolta dei tartufi di cui all'art. 6 della legge regionale deve essere anzitutto ispirata ai principi della legge quadro, peraltro, ripetuti nella stessa legge regionale (art. 2 della legge regionale n. 47 del 1987) secondo cui la raccolta è libera nei boschi e nei terreni non coltivati e, limitatamente alle aziende faunistico-venatorie esistenti nei detti luoghi, con le modalità di cui all'art. 6 della stessa legge regionale innanzi richiamata; mentre è vietata nei terreni coltivati e nei fondi chiusi e recintati e, comunque, nelle aziende faunistico-venatorie che ivi insistono e che sono chiuse con recinzioni, barriere o palizzate secondo le previsioni della legge regionale sulla caccia e pedissequo regolamento ribadite nella concessione.

Pertanto, le concessionarie di aziende faunistico-venatorie che si trovano in terreni coltivati o che, ovunque site, hanno un perimetro chiuso con recinzioni o barriere o palizzate non hanno alcun interesse alla apposizione di tabelle recanti il divieto di raccolta di tartufi, non essendo in esse consentita, secondo l'interpretazione che si è data delle norme applicabili, la libera raccolta.

Non sono fondate le censure sollevate dell'art. 6 della legge regionale n. 47 del 1987, in quanto la Regione ha emanato la legislazione di dettaglio secondo i principi e i criteri della legge quadro statale, nell'esercizio di una competenza propria. Ha poi correttamente coordinato la disciplina della raccolta dei tartufi nelle aziende faunistico-venatorie con la disciplina specifica delle stesse dettata dalla legge quadro statale e dalla legge regionale sulla caccia e dal regolamento delle aziende faunistico-venatorie.

Non ha regolato affatto rapporti intersoggettivi di diritto privato nè, in particolare, ha emanato norme incidenti sul diritto di proprietà di dette aziende.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata , nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3 della legge 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa-quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo) e 2 e 6 della legge regionale dell'Umbria 3 novembre 1987, n. 47 (Norme concernenti la disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), in riferimento agli artt. 42, secondo e terzo comma, e 117 della Costituzione, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/06/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco GRECO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 13/07/90.