Sentenza n. 548 del 1990

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SENTENZA N.548

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 41 della legge 6 giugno 1974, n. 298, così come modificato dall'art. 4, comma primo, del decreto-legge 6 febbraio 1987, n. 16, convertito in legge 30 marzo 1987, n. 132, nonchè dell'art. 4, comma secondo, del decreto-legge 6 febbraio 1987, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di autotrasporto di cose e di sicurezza stradale), promosso con ordinanza emessa il 14 febbraio 1990 dal T.A.R. per il Piemonte sul ricorso proposto dalla S.p.a. I.T.A.C. Trasporti ed altre contro il Ministero dei trasporti, iscritta al n. 349 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24/1a serie speciale dell'anno 1990.

Visti gli atti di costituzione delle S.p.a. I.T.A.C., Bartoletti ed altre, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 13 novembre 1990 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

uditi gli avvocati Riccardo Ludogoroff e Gustavo Romanelli per la S.p.a. I.T.A.C. Trasporti e Marco Siniscalco per la S.p.a. Bartoletti ed altre e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio Promosso dalla s.p.a. I.T.A.C. Trasporti di Tortona per l'annullamento del Provvedimento dell'Ufficio provinciale di Alessandria della Motorizzazione civile e dei trasporti in concessione che rigettava l'istanza di autorizzazione al trasporto merci in conto terzi di un semirimorchio, "in aumento" rispetto all'autorizzazione n. 262 del 30 gennaio 1981 per il trattore stradale targato AL 522716, il T.A.R. per il Piemonte, con ordinanza emessa il 14 febbraio 1990, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 41 della Costituzione, dell'art. 41 della l. 6 giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell'albo di cose per conto di terzi, disciplina di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella merci su strada), come sostituito dall'art. 4, primo febbraio 1987, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di autotrasporto di cose e di sicurezza stradale), convertito, con modificazioni, in l. 30 marzo 1987, n. 132, nonchè del secondo comma del medesimo art. 4 del decreto-legge n. 16 del 1987 come convertito.

L'art. 41 della l. n. 298 del 1974, come sostituito dall'art. 4, primo comma, del d.l. n. 16 del 1987, nel dettare la disciplina dei trasporto di cose per conto di terzi (definita "la attività imprenditoriale per la prestazione di servizi di trasporto verso un determinato corrispettivo"), dispone che, per il suo esercizio nell'intero territorio nazionale, oltre all'iscrizione nell'albo nazionale degli autotrasportatori, l'imprenditore debba ottenere "apposita autorizzazione". Quest'ultima viene accordata "per ciascun autoveicolo" trainante ed é valida per il traino di rimorchi e semirimorchi che siano nella disponibilità della stessa impresa o di altre, iscritte nell'albo ed a loro volta autorizzate, ovvero siano nella disponibilità di consorzi o cooperative cui partecipino imprese iscritte all'albo e munite di autorizzazione. L'immatricolazione di rimorchi e semirimorchi da parte di tali soggetti é però subordinata (art. 41, quarto comma) "al rispetto del rapporto di non più di cinque veicoli rimorchiati per ciascun veicolo a motore tecnicamente idoneo al loro traino".

La s.p.a. I.T.A.C. Trasporti, che aveva richiesto l'immatricolazione di un proprio semirimorchio "in aumento all'autorizzazione" già concessa per un proprio trattore stradale, impugnava davanti al T.A.R. per il Piemonte il provvedimento con il quale l'Ufficio provinciale di Alessandria della M.C.T.C. aveva negato tale autorizzazione - "in quanto la Ditta supera già il rapporto di uno a cinque previsto dall'art. 4, comma quarto, della legge n. 132 del 30 marzo 1987" - deducendone, quale unico vizio, l'illegittimità "in quanto applicativo di una disposizione di legge (quella che istituisce il rapporto tra motrici e rimorchi) affetta da puntuali e specifici vizi di incostituzionalità". La società ricorrente censurava altresì la norma transitoria, contenuta nel secondo comma dell'art. 4 del decreto-legge n. 16 del 1987, che imponeva alle imprese già iscritte all'albo e titolari di autorizzazioni, con disponibilità dei relativi veicoli, di adeguare il proprio parco al rapporto di uno a cinque di cui si é detto entro tre anni dall'entrata in vigore della legge di conversione dei decreto.

Il giudice a quo in primo luogo individua l'utilità sociale riferibile al settore economico del trasporto non tanto nell'adeguamento di domanda ed offerta (che potrebbe implicare delle limitazioni all'accesso sul mercato di nuovi trasportatori), quanto piuttosto ne "la qualità e la sicurezza del trasporto in uno con la economicità a vantaggio dell'utenza ma, in definitiva, stante l'ampiezza e la multisettorialità della stessa, dell'intero sistema economico nazionale".

Ciò premesso, muove alla norma che ha introdotto il rapporto di "uno a cinque" fra motrici e rimorchi una duplice censura: essa si porrebbe in contrasto, da una parte con l'art. 41, secondo comma, Cost., in quanto non é diretta a correggere una preesistente situazione di contrasto con l'utilità sociale, e dall'altra con l'art. 41, terzo comma, Cost., in quanto non costituisce uno strumento utile per il conseguimento di fini sociali.

Ad avviso dell'autorità remittente, l'introduzione di una limitazione nella facoltà dell'imprenditore di utilizzare, oltre un certo rapporto quantitativo, un bene strumentale, i rimorchi - con il conseguente obbligo di investire in un diverso bene strumentale, le motrici, ove voglia superare il limite fissato dalla legge -, non consente ad esso di ricercare il giusto equilibrio nella combinazione dei fattori della produzione, facoltà sicuramente compresa nella libertà di iniziativa economica costituzionalmente tutelata, inducendo così un aumento dei costi di gestione dell'impresa. La distribuzione sul territorio nazionale di un numero elevato di rimorchi, infatti, consente una ottimale utilizzazione dei trattori in viaggi comunque caratterizzati dal trasporto di rimorchi a Pieno carico.

Secondo l'autorità remittente, un servizio organizzato sulla base della utilizzazione di una illimitata quantità di rimorchi non contrasta con l'utilità sociale, sicchè la norma denunciata, "non rilevandosi una pregressa situazione di contrasto con l'utilità sociale e ponendo essa, al contempo, dei limiti alla combinazione della produzione che alterano l'equilibrio di massima economicità dell'impresa, neppure" può dirsi rivolta al perseguimento di "fini sociali" risultando così estranea all'area di ragionevole "reattività" dell'art. 41 Cost. sull'iniziativa economica.

I limiti in parola, poi, introdurrebbero una distorsione del mercato su scala europea, in quanto le imprese straniere non sono gravate in via imperativa di costi aggiuntivi, mentre i più forti operatori italiani, per eludere la normativa nazionale, possono costituire società di trasporto all'estero.

Le ipotesi di autorizzazione, oltre il rapporto di uno a cinque, previste dall'art. 41, sesto comma, dalla l. n. 298 del 1974 come modificata, conclude il giudice a quo, costituiscono una ulteriore limitazione dell'iniziativa economica privata, in quanto subordinano quest'ultima a provvedimenti autoritativi emanati sul presupposto di fatti solo eventuali (l'attuazione di norme internazionali) ovvero di una gestione collettiva della materia (il riferimento é agli accordi collettivi tra associazioni di autotrasportatori e dell'utenza ovvero tra le prime), la cui attivazione sfugge al singolo imprenditore.

2.- Si é costituita con memoria la s.p.a. I.T.A.C. Trasporti, la ricorrente nel giudizio a quo, concludendo per la fondatezza della questione.

Sottolinea in particolare la società I.T.A.C. che, alla stregua dell'art. 41, secondo comma, Cost., il legislatore ordinario può porre limitazioni all'attività economica privata solo ove essa si ponga in contrasto con l'utilità sociale ed al fine di rimuovere il contrasto medesimo. Le limitazioni, quindi, non possono essere giustificate da alcuna altra o diversa finalità, neppure da quella di favorire l'utilità sociale. L'art. 41 della Costituzione prescrive infatti al terzo comma che la legge può indirizzare e coordinare l'attività economica a fini sociali, ma solo attraverso programmi e controlli.

Nel caso in esame, osserva la difesa dell'I.T.A.C., non vi sono elementi che inducano a ritenere che una disponibilità illimitata di rimorchi da parte delle imprese di autotrasporto sia in contrasto con l'utilità sociale; al contrario, essa consente di offrire all'utenza un servizio più adeguato e completo.

Nè la limitazione imposta appare diretta ad adeguare l'offerta alla domanda - a norma dell'art. 41, ultimo comma, dalle l. n. 298 del 1974, come modificata, il Ministero dei trasporti adotta infatti i provvedimenti necessari affinchè "l'offerta del trasporto di merci su strada sia adeguata alla domanda".

Non si comprende, quindi, qual é il fine di utilità sociale perseguito dal legislatore, nè, di conseguenza, é possibile verificare l'idoneità del mezzo utilizzato per raggiungerlo.

3.- Nel giudizio si é altresì costituita la s.p.a. E. Bartoletti di Forlì, una impresa produttrice di rimorchi e semirimorchi intervenuta ad adiuvandum, assieme ad altre, nel giudizio a quo, concludendo per la fondatezza della questione.

L'intervento nel giudizio amministrativo era giustificato, deduce la società Bartoletti, del danno prodotto alle ditte costruttrici di rimorchi dalla norma denunciata, sia per la imposizione del rapporto di uno a cinque - che eventualmente riduce la domanda di nuovo veicoli -, sia per l'obbligo, posto dalle norme transitorie alle imprese che superino tale limite, di rientrare in esso, obbligo che può determinare una consistente immissione sul mercato di rimorchi e semirimorchi usati a basso prezzo.

La difesa della Bartoletti aderisce alla linea argomentativa seguita dall'ordinanza di rimessione, dalla quale però dissente proprio per quel che riguarda le censure di illegittimità costituzionale mosse alla normativa dalle società (produttrici di rimorchi) intervenute nel giudizio a quo. Secondo il T.A.R. per il Piemonte, infatti, non si potevano riscontrare vizi di legittimità costituzionale con riferimento agli "effetti riflessi" su settori economici diversi da quello (l'autotrasporto di merci) direttamente disciplinato dalle norme denunciate. Ad avviso della Bartoletti, il limite di uno a cinque imposto dalla norma, intervenendo in modo diretto ed immediato sulla domanda, esplica effetti diretti e non riflessi sul settore produttivo, che ne é quindi destinatario primario.

4.- Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.

Osserva l'Avvocatura che la disciplina delle attività economiche e la scelta degli strumenti più adeguati é riservata alla discrezionalità del legislatore - persegue la tutela dell'interesse generale, e non solo di quello delle imprese di settore, secondo il parametro, oltre che della utilità sociale, della sicurezza.

I limiti dimensionali introdotti, infatti, sono posti a garanzia della serietà delle imprese e perciò a tutela della qualità e della sicurezza del trasporto e della circolazione, e consentono una verifica anticipata dei requisiti prescritti uguale per tutti.

La compressione parziale del diritto di impresa, in un settore sottoposto a vigilanza e regolamentazione attraverso l'istituzione di un albo, é dunque giustificata, come dei resto la sottoposizione di altre attività imprenditoriali, alla presenza di requisiti di vario ordine (aziendale, di onorabilità, di adeguatezza tecnico-economica, etc.) per l'esercizio di attività di interesse generale.

5.- In prossimità dell'udienza, la s.p.a. I.T.A.C. Trasporti ha depositato memoria insistendo per l'accoglimento della questione sollevata dal T.A.R. per il Piemonte.

La difesa della parte privata osserva, in particolare, che nel sistema configurato dalla Costituzione, e segnatamente dagli arti. 41, 43 e 44, attività economica privata ed intervento pubblico coesistono, coordinati ai fini sociali e di benessere collettivo.

Ogni limitazione normativa alla espansione della persona umana ed alle relative libertà di iniziativa economica che intervenga sull'autonomia di scelta di mezzi ed obbiettivi, può essere legittimata solo da un effettivo e comprovato contrasto di essa iniziativa con l'utilità sociale.

Solo il perseguimento di fini sociali, poi, può riservare allo Stato la funzione di indirizzare e coordinare l'attività economica privata e pubblica attraverso "piani e controlli", lasciando inalterati la libertà di scelta del consumatore, l'iniziativa dell'impresa privata e l'assetto concorrenziale del mercato, elementi caratteristici del nostro sistema economico.

Nella specie, al contrario, prosegue la difesa della s.p.a. I.T.A.C., le norme denunciate integrano una grave violazione della libertà di iniziativa economica, recando danno tanto alle imprese di autotrasporto che a quelle di costruzione, senza peraltro attribuire alcun comprensibile vantaggio "al versante dell'utilità sociale e del benessere collettivo", che dovrebbe necessariamente rinvenirsi in una razionalizzazione del servizio e nel relativo maggior beneficio del consumatore. Gli utenti, infatti, non possono essere avvantaggiati da un servizio che "decelera passo e operatività".

Considerato in diritto

1. - Il T.A.R. del Piemonte dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 41, secondo e terzo comma, della Costituzione:

a) dell'art. 4, primo comma, del decreto-legge 6 febbraio 1987, n. 16, convertito con legge 30 marzo 1987, n. 132 (Disposizioni urgenti in materia di autotrasporto di cose e di sicurezza stradale), nella parte in cui, sostituendo gli otto commi dell'art. 41 della legge 6 giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell'albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasporti di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada), con dieci commi, stabilisce, con il quarto di questi ultimi, che la immatricolazione di rimorchi e semirimorchi da parte dei soggetti che possano conseguirla ai sensi del comma precedente, è subordinata al rispetto del rapporto di non più di cinque veicoli rimorchiati per ciascun veicolo tecnicamente idoneo al loro traino;

b) dello stesso art. 4, secondo comma, del decreto-legge n. 16 del 1987 come sopra convertito in quanto dispone che, per le imprese titolari di autorizzazioni e aventi in disponibilità i relativi veicoli alla data di entrata in vigore della legge di conversione, è fatto obbligo di adeguare il proprio parco al rapporto stabilito con la norma di cui sub a) entro e non oltre due anni dalla stessa data.

2. -Le norme impugnate-l'una a regime e l'altra transitoria- fanno parte di una normativa che, modificando e integrando l'art. 41 della legge n. 298 del 1974, costituisce l'ulteriore disciplina di un'attività economica (il trasporto di merci per conto terzi) già considerata e disciplinata come servizio pubblico dalla legislazione precedente (legge 20 giugno 1935, n. 1349).

In particolare, con l'art. 41 come sopra sostituito, oltre a prevedersi che il trasporto per conto terzi è esercitabile da imprese iscritte in un apposito albo nazionale che abbiano ottenuto apposita autorizzazione, è stato stabilito che l'autorizzazione sia accordata per ciascun veicolo (autocarro, trattore, autoveicolo per uso speciale o per trasporti specifici secondo le definizioni contenute nel T.U. delle norme sulla circolazione stradale approvato con d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393), e ancora che l'autorizzazione valga per il traino di rimorchi e semirimorchi <che siano nella disponibilità della stessa impresa o di altre imprese> (ovvero di consorzi o cooperative cui partecipino imprese) iscritte nell'albo.

Con la disposizione per ultima richiamata è stato regolato il fenomeno del <trazionismo>, vale a dire dell'impiego dei trattori, veicoli motori idonei esclusivamente al traino di veicoli (a loro volta idonei esclusivamente al contenimento delle cose trasportate, quali i rimorchi e i semirimorchi) in disponibilità di soggetto diverso da quello avente la disponibilità del trattore.

Ed il fenomeno è stato regolato nel senso di ammetterne la liceità, ma dettandosi certe condizioni: a) quella che entrambi i soggetti siano imprese iscritte all'albo (art. 41, terzo comma, come sostituito con l'art. 4 del decreto-legge n. 16 del 1987); b) quella che non sia consentita l'immatricolazione, da parte di ciascuna impresa, di trattori in numero superiore a quello dei rimorchi nella disponibilità della stessa (e quindi che ciascuna impresa abbia nella propria disponibilità, per ogni trattore, almeno un rimorchio: art. 41, quinto comma, come sopra sostituito); c) quella che in ogni caso non sia consentita l'immatricolazione di rimorchi in misura superiore a quella derivante dal rapporto di cinque rimorchi per un trattore (art. 41, quarto comma, come sopra sostituito).

Dell'art. 41 della legge n. 298 del 1974 come sostituito con l'art. 4, primo comma, del decreto-legge n. 16 del 1987, fanno parte anche altre norme, che è opportuno qui richiamare, come: 1) quella secondo la quale i limiti al la immatricolazione dei veicoli come indicati sub b) e sub c) possono essere derogati con decreti del Ministro dei trasporti emanati in attuazione di norme internazionali, ovvero tenendo conto di particolari tecniche di trasporto, nonchè con decreti che recepiscano accordi economici collettivi conclusi fra le associazioni più rappresentative degli autotrasportatori, presenti nel Comitato centrale per l'albo (art. 3 della legge n. 298 del 1974), e dell'utenza, ovvero tra associazioni di autotrasportatori (comma sesto dell'art. 41 della legge n. 298 del 1974 come sopra sostituito); 2) quella secondo la quale il Ministro dei trasporti, sentite le regioni e il Comitato centrale per l'albo, adotta i provvedimenti necessari per adeguare l'offerta del trasporto merci su strada alla domanda e che con tali provvedimenti il Ministro fissa i criteri di priorità per l'assegnazione delle autorizzazioni contingentate (comma decimo dell'art. 41 dianzi richiamato).

3.-Assunta la nozione di utilità sociale-con cui, ai sensi dell'art. 41, secondo comma, della Costituzione, non può contrastare la libertà di iniziativa economica, e cui viceversa devono essere funzionali i limiti posti a tale iniziativa-con riguardo al settore produttivo considerato (trasporto di cose per conto di terzi), e precisamente nel senso della (buona) qualità e della sicurezza del trasporto, in una con la economicità, a vantaggio dell'utenza, ma in definitiva <dell'intero sistema economico nazionale>, il giudice a quo sostiene che a utilità sociale non appaiono rispondenti le norme specificamente censurate.

Ciò in quanto la stabilita limitazione della immatricolabilità, e quindi della disponibilità, dei rimorchi implicherebbe una restrizione del potere dell'imprenditore di individuare e di realizzare l'equilibrio ottimale dei fattori della produzione, e quindi la riduzione dei costi di gestione dell'impresa, ed anzi si risolverebbe senz'altro in un ostacolo a tale riduzione e quindi all'economicità del servizio. La distribuzione sul territorio di una consistente quantità di rimorchi da parte di un'unica impresa, consentirebbe invece di evitare i viaggi di ritorno a vuoto ovvero di realizzare una integrazione con le analoghe esigenze di altre imprese, e quindi, in parallelo con il fenomeno del trazionismo, una piena utilizzazione dei trattori in viaggi comunque caratterizzati dal trasporto di rimorchi a pieno carico.

Ostacolando tale possibilità e quindi il raggiungimento dell'equilibrio di massima economicità dell'impresa, la norma impugnata-sempre secondo il giudice a quo - non potrebbe ritenersi rivolta a perseguire <fini sociali> (recte: a indirizzare l'attività economica in discorso a fini sociali come richiesto dall'art. 41, secondo comma, della Costituzione per la adottabilità di programmi e di controlli) e sarebbe quindi incompatibile con la intera previsione della cennata norma costituzionale.

4. - La questione non è fondata.

Non può dubitarsi che, anche nei casi di regolazione ex lege di un'attività economica considerata quale pubblico servizio in ragione della sua diretta incidenza su bisogni o interessi della collettività, l'attività così regolata possa e debba essere considerata come espressione del diritto di iniziativa economica garantito dall'art. 41 della Costituzione.

Ne discende che il limite costituito dallo stesso intervento normativo e dal suo concreto contenuto in tanto appare compatibile con il secondo comma del detto art. 41 in quanto sia diretto a realizzare, oltre ovviamente alla protezione di valori primari attinenti alla persona umana-il cui rispetto è il limite insuperabile di ogni attività economica - un'utilità sociale (l'imposizione di controlli e di programmi per l'indirizzo dell'attività economica a fini sociali è connaturale al regime di ogni servizio pubblico: con riguardo al settore considerato, è previsto anche un piano generale dei trasporti con la legge 15 giugno 1984, n. 245, ad assicurare la cui continuità funzionale è teso, come si desume dal preambolo, lo stesso decreto-legge n. 16 del 1987).

Ma in tali casi la individuazione da parte del legislatore dell'utilità sociale può sostanziarsi di valutazioni attinenti alla situazione del mercato anche per quel che concerne fenomeni di concentrazione o no delle imprese, sia che queste somministrino ciascuna le stesse prestazioni di cui si compone il servizio, sia che le imprese concorrano a rendere il servizio agli utenti mediante la distribuzione fra loro (e la coordinazione) di specifiche operazioni, come avviene appunto nel caso del <trazionismo>.

E può dar luogo a interventi legislativi tali da condizionare in qualche modo le scelte organizzative delle imprese, tanto più quando essa individuazione involge necessariamente la considerazione delle modalità del servizio-qui caratterizzato dal <trazionismo>, cioé da un fenomeno spontaneamente determinatosi nel mercato-e quindi delle scelte organizzative a tali modalità strettamente collegate.

Ciò che conta è che, per un verso, l'individuazione dell'utilità sociale come dianzi motivata non appaia arbitraria e che gli interventi del legislatore non perseguano l'individuata utilità sociale mediante misure palesemente incongrue, e per altro verso, e in ogni caso, che l'intervento legislativo non sia tale da condizionare le scelte imprenditoriali in grado così elevato da indurre sostanzialmente la funzionalizzazione dell'attività economica di cui si tratta, sacrificandone le opzioni di fondo o restringendone in rigidi confini lo spazio e l'oggetto delle stesse scelte organizzative.

5. - Ora qui non ricorre alcuna delle evenienze appena indicate.

Le norme in argomento, nell'ambito della normativa in cui si inquadrano - che, come si è visto, è diretta, con disposizioni non impugnate, anche all'adeguamento dell'offerta alla domanda, sia pure sotto l'aspetto esterno dei rapporti fra trasportatori e utenti-appaiono specificamente volte alla disciplina del servizio con riguardo al fenomeno del trazionismo, contestualmente regolato, e a perseguire ragionevolmente, in tale prospettiva, un equilibrato rapporto fra imprese esercenti la trazione e imprese esercenti il trasporto, e un ordinato svolgimento del servizio, anche a costo di determinare una riduzione della frequenza dell'uso della strada da parte dei veicoli a pieno carico ed eventualmente (ma non necessariamente e senza possibili recuperi di economicità) una mancata riduzione dei costi di gestione.

D'altra parte le limitazioni con riferimento alla indicata particolare modalità del servizio (trazionismo) possono essere derogate, sia pure in relazione a date categorie di situazioni, da appositi decreti del Ministro dei trasporti. Orbene, contrariamente a quanto ritiene il giudice a quo, la previsione del detto potere di deroga non è irrilevante, nè tanto meno rafforzativa della compressione della libertà di iniziativa economica.

Viceversa, la previsione-che è stata interpretata ed attuata con larghezza in quanto, con D.M. 19 aprile 1990, il Ministro dei trasporti, in considerazione anche di situazioni derivanti dall'attuazione di norme comunitarie (cfr. preambolo del detto decreto), ha esonerato dall'osservanza dei limiti concernenti il rapporto fra rimorchi o semirimorchi e trattori le imprese esercenti trasporti internazionali e trasporti realizzati mediante tecniche speciali (art. 1) e dall'osservanza dei limiti concernenti l'adeguamento le imprese esercenti anche solo abitualmente tali trasporti (art. 2)-importa che non può ravvisarsi nei limiti stessi il carattere di una intollerabile rigidità.

Il che non toglie ovviamente che il legislatore possa, nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali, modificare la individuazione e valutazione già assunte di utilità sociale e le incidenze già disposte sulla libertà di iniziativa economica nel settore, muovendosi nel senso auspicato dal giudice a quo, o quanto meno ampliando e generalizzando i poteri di deroga da parte del Ministero dei trasporti.

Considerato, peraltro, che la riduzione della frequenza dell'uso delle strade risponde obbiettivamente, a causa della minore usura delle forze dei conducenti e degli apparati dei trattori, a esigenze di sicurezza delle strade (e quindi alla sicurezza umana degli utenti: art. 41, secondo comma, della Costituzione) è auspicabile che il legislatore, in caso di abrogazione o di modificazione delle norme ora impugnate, si dia carico di valutare se il problema della tutela della sicurezza stradale abbia trovato o possa trovare altre ed eventualmente più adeguate soluzioni.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 41, secondo e terzo comma, della Costituzione, dell'art. 4, primo e secondo comma, del decreto- legge 6 febbraio 1987, n. 16, convertito con legge 30 marzo 1987, n. 132 (Disposizioni urgenti in materia di autotrasporto di cose e di sicurezza stradale), sollevata dal T.A.R. per il Piemonte con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/12/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Aldo CORASANITI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 19/12/90.