Sentenza n. 63 del 1991

 

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SENTENZA N. 63

 

ANNO 1991

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giovanni CONSO                                              Presidente

Prof. Ettore GALLO                                                   Giudice

Dott. Aldo CORASANITI                                              “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 31 luglio 1956, n. 1002 ("Nuove norme sulla panificazione") promosso con ordinanza emessa il 16 novembre 1989 dal Tribunale regionale amministrativo per l'Emilia Romagna - Sede di Bologna sui ricorsi riuniti proposti da Cuffiani Verter ed altri contro Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Ravenna ed altri, iscritta al n. 550 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1990;

Visti gli atti di costituzione di Fucci Marzia ed altri, della S.p.A. Agritech nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica dell'8 gennaio 1991 il Giudice relatore Renato Granata;

Uditi gli avvocati Maurizio Salari e Walter Prosperetti per Fucci Marzia ed altri, Arrigo Allegri, Stefano Grassi, Carlo Mezzanotte per S.p.a. Agritech e l'Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - Il Tribunale regionale amministrativo per l'Emilia-Romagna, sede di Bologna, - nel corso di un giudizio promosso da vari panificatori locali controinteressati per l'annullamento di quattro distinte delibere (rispettivamente del 26 maggio 1986, del 22 settembre 1986, del 2 febbraio 1987, del 21 marzo 1988, l'ultima delle quali emessa ai sensi del Decreto del Ministro dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato del 13 aprile 1987) con cui la Camera di Commercio di Ravenna autorizzava ex art. 2 della legge 31 luglio 1956 n. 1002 la società Agritech S.p.A. all'attivazione di un nuovo impianto per la produzione di pane, anche surgelato - sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 cit. per violazione degli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione.

Il giudice remittente premetteva che l'autorizzazione era stata rilasciata sulla base della considerazione che, da un lato, la produzione dell'opificio da autorizzare era destinata in assoluta prevalenza al mercato nazionale ed internazionale, il che giustificava di per sé l'opportunità del nuovo impianto, e che, dall'altro, la modesta parte residua di produzione, diretta al mercato locale, non sarebbe stata di turbamento all'equilibrio in atto in relazione alla densità dei panifici esistenti ed al volume della produzione nella località di apertura del nuovo esercizio.

Ricordato, poi, che secondo tale articolo, "i panifici di nuovo impianto...sono soggetti ad autorizzazione della Camera di commercio, industria ed agricoltura della provincia, sentita una Commissione..." la quale "accerta l'opportunità del nuovo impianto in relazione alla densità dei panifici esistenti e del volume della produzione nella località ove è stata chiesta l'autorizzazione", il giudice remittente osservava che il cennato riferimento alla "località ove è stata richiesta l'autorizzazione" deve essere interpretato nel senso che l'area territoriale, in relazione alla quale la Camera di commercio - sulla base, in sostanza, dell'indice statistico offerto dal rapporto pane/popolazione - deve operare la valutazione di opportunità dell'attivazione di un nuovo impianto, sia quella comunale e non possa estendersi, secondo un'opposta, ma non condivisibile, esegesi della norma, fino a quella nazionale o extra nazionale ancorché l'imprenditore che chiede l'autorizzazione intenda destinare il suo prodotto al mercato nazionale od estero.

A giudizio dell'organo remittente la norma citata, così interpretata, violerebbe gli artt. 3 e 41 Cost. perché comprime ingiustificatamente la libertà di iniziativa economica privata rendendo pressoché impossibile la realizzazione di panifici industriali diretti alla produzione di pane di tipo tradizionale o di pane surgelato, mentre la rigida disciplina dell'autorizzazione de qua non si giustifica più in ragione delle mutate condizioni economiche del paese e delle sue abitudini alimentari, che fanno escludere che la produzione del pane abbia più un'importanza, e quindi un'utilità sociale, superiore a quella di altri alimenti. La disciplina protezionistica censurata si appalesa quindi irragionevole, nonché fonte di discriminazione tra produttori e finirebbe per proteggere le imprese esistenti, conservando lo status quo e impedendo non solo l'affermarsi, ma la stessa nascita di nuove imprese.

Risulterebbe poi violato anche l'art. 97 Cost. perché la valutazione sull'opportunità di un impianto avente lo scopo di realizzare un prodotto industriale come il pane surgelato, rivolto all'intero mercato nazionale ed internazionale, sarebbe demandata ad un organo avente strumenti operativi e conoscitivi limitati, quale la Camera di commercio la cui competenza è ristretta a livello provinciale.

2. - Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri per il tramite dell'Avvocatura di Stato concludendo per l'infondatezza della questione di costituzionalità sulla base del rilievo assorbente che il regime di autorizzazione all'attività economica di panificazione è giustificato dal fine di assicurare capillarmente la produzione del pane, bene di prima necessità; d'altra parte proprio l'interpretazione respinta dal giudice remittente è invece ritenuta esser quella più compatibile con i principi costituzionali.

3. - Si sono costituite le parti private Fucci, Spada e Casadio sostenendo, anche con una memoria aggiunta, l'inammissibilità e l'infondatezza della censura di costituzionalità sul rilievo in particolare che l'art. 2 cit. mira ad assicurare l'ordinato assetto del settore della panificazione, affidato a piccole aziende, per lo più a dimensione familiare, in modo da realizzare una capillare rete di produzione praticamente coincidente con quella di distribuzione, tale per cui il pane, tradizionale alimento fondamentale di cui il legislatore ha sempre voluto garantire la massima genuinità, sia immesso al consumo nei tempi reali di edibilità. Nella discussione orale la difesa ha eccepito anche il difetto di rilevanza della questione di costituzionalità.

4. - Si è costituita altresì la società Agritech insistendo per la dichiarazione di incostituzionalità. Nell'aderire alle argomentazioni svolte nell'ordinanza di remissione la difesa della società osserva in particolare, in una successiva memoria, che le restrizioni all'accesso all'attività di panificazione, imposte dalla legge n. 1002 del 1956, non sono più sorrette da alcuna obiettiva giustificazione giuridica e sociale, atteso che è venuta meno l'utilità sociale perseguita dalla norma, rappresentando ormai il pane un prodotto alimentare ordinario, non dissimile da altri. Sostiene inoltre che l'applicazione letterale della norma renderebbe pressoché impossibile la realizzazione di un panificio a carattere industriale, destinato a produrre pane per l'esportazione verso zone diverse dalla località di produzione, con conseguente ingiustificata limitazione dell'iniziativa economica privata.

5. - Ha spiegato intervento anche l'Associazione panificatori artigiani ed affini di Bologna, non costituitasi nel giudizio a quo, chiedendo che la questione di costituzionalità sia dichiarata infondata.

 

Considerato in diritto

 

 

1. - La Corte è chiamata a decidere se l'art. 2 della legge 31 luglio 1956, n. 1002 - che condiziona l'attivazione di nuovi panifici all'autorizzazione della Camera di commercio, industria e agricoltura della Provincia sul presupposto della ritenuta opportunità del nuovo impianto in relazione alla densità dei panifici esistenti e del volume della produzione nella località dov'è chiesta l'autorizzazione - sia costituzionalmente illegittimo perché in contrasto con l'art. 3 Cost. per irragionevole disparità di trattamento tra gli imprenditori produttori di pane ed altri produttori; con l'art. 41 Cost. per l'ingiustificata limitazione della libertà di iniziativa economica privata; con l'art. 97 Cost. per l'incongrua attribuzione ad un organismo locale (Camera di commercio provinciale) della competenza ad autorizzare l'attività di panificazione anche quando destinata al mercato nazionale ed estero.

2. - Va preliminarmente dichiarata l'inammissibilità dell'intervento dell'Associazione panificatori artigiani ed affini di Bologna, non essendo essa parte del giudizio a quo (in tal senso è l'orientamento costante di questa Corte, ribadito da ultimo nella sentenza n. 124 del 1990).

3. - Va poi respinta l'eccezione, sollevata dalla difesa delle parti private Fucci, Spada e Casadio, di difetto di rilevanza della questione di costituzionalità. Corretta è infatti la ricognizione operata, ancorché sinteticamente, dal giudice a quo, atteso che l'art. 2 della legge n. 1002 del 1956 - se interpretato, nei termini ritenuti dal medesimo giudice - comporterebbe l'illegittimità delle autorizzazioni rilasciate dalla Camera di commercio di Ravenna, mentre - ove si pervenisse ad una pronuncia di incostituzionalità della norma censurata - la conseguente rimozione della valutazione di opportunità dell'attivazione di nuovi panifici, richiesta dalla norma medesima quale presupposto per il rilascio dell'autorizzazione, implicherebbe la legittimità dei provvedimenti impugnati.

4. - La questione non è fondata.

È utile premettere che nell'immediato dopoguerra, con la caduta dell'ordinamento corporativo e la spinta alla valorizzazione dell'iniziativa economica privata, il legislatore - nel dettare la nuova disciplina delle industrie della macinazione e della panificazione - provvide ad abrogare (con la legge 7 novembre 1949 n. 857) le limitazioni d'ordine economico previste dal r.d.-l. 5 settembre 1938 n. 1890, convertito nella legge 2 giugno 1939 n. 739, e dal r.d.-l. 21 luglio 1938 n. 1609, convertito nella legge 9 gennaio 1939 n. 143. Ancorché all'originaria licenza per l'esercizio della panificazione, rilasciata (ex art. 5 r.d.-l. n. 1609 cit.) dal Prefetto, all'epoca presidente del Consiglio provinciale delle Corporazioni, si sostituisse comunque altro atto autorizzatorio costituito dalla licenza della Camera di commercio della provincia (ex art. 6 legge n. 857 cit.), mutavano radicalmente i presupposti dei due provvedimenti giacché il primo era emesso sulla base della valutazione delle esigenze di approvvigionamento nel territorio del Comune, tenendo conto del numero dei panifici esistenti, dello sviluppo edilizio e della densità della popolazione, nonché della situazione locale dell'industria della panificazione; il secondo, invece, era rilasciato sul presupposto del rispetto delle sole prescrizioni di carattere igienico e sanitario.

Successivamente il legislatore rivisitò organicamente tutta la materia della panificazione apportando correttivi alla precedente disciplina liberista, che - come denunciato in sede di lavori preparatori - aveva causato squilibri in questo particolare settore merceologico; introdusse quindi, con la legge n. 1002 del 1956 (art. 2 cit.), vincoli ulteriori, rispetto a quelli di carattere igienico e sanitario, nel rilascio delle autorizzazioni da parte della Camera di commercio della provincia, condizionandole alla previa valutazione della densità dei panifici esistenti e del volume della produzione nella località dov'è chiesta l'autorizzazione, sulla scorta di un parere espresso da una particolare Commissione in cui trovavano voce gli interessi coinvolti (risultando essa composta da un rappresentante dell'Associazione provinciale panificatori, da un rappresentante delle Organizzazioni sindacali degli operai panettieri, da un rappresentante del Comune interessato, oltre che da due rappresentanti della stessa Camera di commercio provinciale).

Pertanto l'attuale disciplina dell'autorizzazione per l'attivazione di nuovi panifici - oggetto della censura di incostituzionalità - è frutto di una scelta consapevole del legislatore di porre limiti (settoriali ed assai circoscritti) all'iniziativa economica privata come correttivi di un precedente assetto maggiormente liberista.

Questo quadro di riferimento non è stato alterato dalla successiva normativa di settore (legge n. 580 del 1967, sulla disciplina per la lavorazione ed il commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari, e legge n. 41 del 1974 sulla disciplina delle chiusure e delle interruzioni di attività delle aziende esercenti la produzione e la vendita al dettaglio di generi della panificazione), né da quella più generale relativa agli alimenti (legge n. 283 del 1962 sulla disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, ed - in quanto rilevante per la produzione del pane congelato - legge n. 32 del 1968 sulla disciplina della vendita al pubblico degli alimenti surgelati).

5. In tale contesto normativo si collocano i primi due profili di censura di incostituzionalità dell'art. 2 cit., richiamanti i parametri degli artt. 3 e 41 Cost., che possono essere esaminati congiuntamente giacché l'accertata sussistenza di un fine sociale che legittima la limitazione dell'iniziativa economica privata si appalesa altresì quale giustificata ragione della speciale disciplina di tale settore, evidenziando il carattere centrale e decisivo dello scrutinio di costituzionalità condotto in riferimento all'art. 41 Cost.

Vale rimarcare che la libertà di iniziativa economica privata, riconosciuta dal primo comma dell'art. 41 Cost., è da una parte bilanciata dal limite dell'utilità sociale e dal rispetto della sicurezza, libertà e dignità umana (secondo comma), d'altra parte è indirizzata e coordinata a fini sociali che legittimano la previsione ad opera del legislatore ordinario di programmi e controlli (terzo comma). Essa poi può talora essere del tutto compressa nel caso in cui - avendo ad oggetto servizi pubblici essenziali o fonti di energia o situazioni di monopolio e rivestendo preminente interesse nazionale - il legislatore ordinario ne riservi originariamente a sé o ne trasferisca l'esercizio (art. 43 Cost.).

Pertanto tra i due estremi costituiti dal pieno ed assoluto riconoscimento della libertà di iniziativa economica privata e, all'opposto, dalla riserva di esercitare determinate imprese si collocano vari possibili modelli settoriali connotati da un più o meno intenso intervento pubblico nell'economia.

La concreta misura di tale intervento, che va a comprimere l'iniziativa economica privata, è demandata al legislatore ordinario spettando alla Corte costituzionale solo l'identificazione del fine sociale e della riferibilità ad esso di programmi e controlli in generale e più in particolare - come nella specie - di speciali regimi autorizzatori.

Tale valutazione di riferibilità può sottendere anche un giudizio sull'idoneità minima - che ridonda in ragionevolezza della limitazione della libertà di iniziativa economica privata per il raggiungimento del fine sociale medesimo; ma non può esorbitare nel merito del provvedimento legislativo.

Costituisce principio ripetutamente affermato (da ultimo nella sentenza n. 446 del 1988) quello secondo cui il potere della Corte "di giudicare in merito all'utilità sociale alla quale la Costituzione condiziona la possibilità di incidere sui diritti dell'iniziativa economica privata concerne solo la rilevabilità di un intento legislativo di perseguire quel fine e la generica idoneità dei mezzi predisposti per raggiungerlo".

In numerose ipotesi la Corte ha operato questo riscontro ritenendo legittime discipline settoriali che in vario modo limitavano l'iniziativa economica privata in ragione del perseguimento di un'apprezzabile utilità sociale. Così con sentenza n. 20 del 1980 (e prima ancora con la pronuncia n. 137 del 1971) la Corte ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità, in riferimento all'art. 41 Cost., della normativa contenente il divieto di produrre e mettere in commercio paste alimentari di farina integrale di grano duro, avendo identificato l'utilità sociale di tale limitazione dell'iniziativa economica privata nell'esigenza di protezione e valorizzazione della produzione, tipicamente italiana, di grano duro. Altresì, sempre in riferimento all'art. 41 Cost., è stata ritenuta la legittimità della disciplina del controllo dei prezzi dei beni di largo consumo, tra cui il pane (con sentenza n. 200 del 1975); del regime autorizzatorio che regola l'attività dei gestori di albergo e degli affittacamere (con sentenza n. 144 del 1970); delle licenze di impianto ed esercizio dei magazzini di vendita di merci a prezzo unico (con sentenza n. 97 del 1969); del regime di controllo delle vendite straordinarie o di liquidazione (con sentenza n. 60 del 1965), della riserva ai Comuni della facoltà di istituire Centrali del latte (con sentenza n. 11 del 1960).

Nel caso dell'art. 2 della legge n. 1002 del 1956 come posto in rilievo dalla giurisprudenza amministrativa, l'interesse pubblico primario, che tale disciplina speciale mira a soddisfare, è costituito dall'esigenza di salvaguardare l'equilibrio locale di mercato tra domanda ed offerta, equilibrio che in tale particolarissimo settore merceologico è stato ritenuto dal legislatore del 1956 fare aggio sulla contrapposta esigenza di tutelare il libero ed incondizionato estrinsecarsi dell'iniziativa economica privata in ragione della natura di alimento di base che rivestiva il pane.

La razionalità dell'opzione legislativa dell'epoca si saldava e si coniugava, come ancor oggi, con il regime amministrativo del prezzo del pane comune.

Le mutate abitudini alimentari possono aver in concreto affievolito tale funzione sociale, ma non fino al punto di rendere irrazionale ed ingiustificato tale settoriale ed assai circoscritta limitazione della libera concorrenza e quindi dell'iniziativa economica privata. Spetta però al legislatore ordinario un'eventuale nuova valutazione complessiva volta a verificare se l'ipotizzato affievolimento dell'esigenza tutelata non giustifichi più la disciplina protezionistica censurata (sent. n. 20 del 1980).

6. - Neppure è ravvisabile violazione dell'art. 41 Cost. sotto il profilo denunciato secondo cui la norma censurata impedirebbe, senza ragione, l'apertura di nuovi panifici industriali con grande potenzialità produttiva e comunque la nascita di nuove imprese.

La valutazione rimessa all'organo provinciale (Camera di commercio) - che ha ad oggetto la ricognizione della densità dei panifici esistenti e del volume della produzione in evidente, ancorché non espressa, connessione con il fabbisogno di pane - è testualmente circoscritta in un ambito territoriale locale, tale essendo il riferimento letterale contenuto nell'art. 2 alla "località" ove è stata chiesta l'autorizzazione.

Il valore semantico della locuzione usata già di per sé lascia intendere come abbia riferimento ad un ambito circoscritto, certamente non identificabile, come pure si vorrebbe secondo alcune pronunzie di giudici amministrativi sottordinati, con un'area estesa a tutto il territorio regionale o financo nazionale.

In conformità alla giurisprudenza del giudice amministrativo di ultima istanza (Cons. Stato, Sez. VI, 12 giugno 1985 n. 306), fanno invece propendere per l'identificazione di tale ambito con il territorio comunale, o con aree infracomunali quando caratterizzate da peculiari connotati di autonomia e di specificità di mercato, sia, nel quadro della disciplina vigente, la composizione della particolare Commissione consultiva che annovera tra i suoi componenti "un rappresentante del Comune interessato" come soggetto esponenziale degli interessi pubblici incidenti nella "località" dove è richiesta l'autorizzazione, come pure il dato ermeneutico offerto dall'art. 11 che contempla il trasporto del pane "da un comune all'altro", sia, sotto il profilo storico, il testuale riferimento alle "esigenze del comune" contenuto nell'art. 5 del citato r.d. l. n. 1609 del 1938, costituente il diretto precedente normativo sostanzialmente ripristinato dall'art. 2 legge n. 1002 del 1956 dopo la parentesi "liberista" introdotta con la legge 7 novembre 1949 n. 857.

E quand'anche l'ambito della "località" considerata dalla norma possa venire riferita ad un'area più estesa del territorio comunale (cfr. la circolare del Ministero dell'Industria n. 404, prot. n. 122466 del 22 ottobre 1970, secondo cui la "località" può ricomprendere il territorio di più comuni, nonché l'art. 2 del citato d.m. 13 aprile 1987, recante norme sulla produzione di pane surgelato, nel quale l'area territoriale di riferimento è la provincia), giammai potrebbe esorbitarsi dalla circoscrizione provinciale per ineludibili esigenze di coerenza con il principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), che induce ad escludere la possibilità di riferire ad organi provinciali una ricognizione tecnica, quale quella della densità dei panifici esistenti e del volume della loro produzione, e la conseguente valutazione di opportunità, incidenti in una zona di mercato più ampia dell'area territoriale di competenza dell'organo medesimo.

7. - Peraltro, il coordinamento della disposizione sospettata di incostituzionalità con il già citato successivo art. 11 dimostra l'erroneità della conclusione secondo cui la disciplina dettata dall'art. 2 della legge n. 1002 del 1956 impedirebbe l'apertura di (nuovi) panifici a carattere industriale, anche quando la loro produzione sia destinata in larga prevalenza, come nella specie, o addirittura per la totalità a soddisfare il fabbisogno di località diverse da quelle dove venga richiesta l'autorizzazione.

Se, infatti, l'esportazione "liberamente" consentita dall'art. 11 da un comune all'altro senza limitazioni di distanza (rovesciando la opposta previsione contenuta nel testo originariamente proposto, che però non contemplava il limite autorizzatorio poi introdotto nel corso della discussione parlamentare con l'attuale testo dell'art. 2) dovesse intendersi riferita, come evenienza normale, alla quantità di pane necessaria per allineare l'offerta alla domanda nella località considerata, si attribuirebbe al complessivo disegno normativo l'intrinseca contraddizione di volere ed al tempo stesso non volere assicurare il tendenziale equilibrio tra domanda ed offerta nella località stessa.

Invece, come già avvertito in tempi risalenti dal Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato con la direttiva impartita nella circolare n. 404 citata, alla valutazione della Camera di commercio provinciale rimane del tutto estranea la (quantità della) produzione di pane destinata ad essere esportata in mercati diversi da quello della località considerata, nel senso che nell'ambito di ciascuna località l'autorità preposta al rilascio dell'autorizzazione all'apertura di nuovi panifici deve impedire che l'offerta destinata alla stessa località superi la domanda, onde non l'intera produzione di cui l'autorizzando panificio sia potenzialmente capace va tenuta in conto, ma solo quella parte di essa che per l'aspirante imprenditore sia lecito destinare al mercato locale. Sicché è ben possibile, come ritenuto nella ricordata circolare e nel parere del Consiglio di Stato in essa richiamato, che la realizzazione di tale equilibrio sia garantita mediante l'imposizione, nel contesto dell'autorizzazione, dell'obbligo di destinare la parte di produzione, ritenuta eccedente rispetto al fabbisogno locale, all'esportazione in altra località, con la conseguente possibilità di interventi repressivi in via di autotutela in caso di inosservanza di una siffatta limitazione, che si appalesa idonea di per sé ad escludere la possibilità di ravvisare una ragione di impedimento, sotto il profilo della opportunità ex art. 2 citato, alla apertura del nuovo panificio.

8. - Né vale obiettare che la protezione interna accordata a livello locale (con il regime autorizzatorio di cui all'art. 2) potrebbe essere turbata dai flussi di produzione provenienti dall'esterno (per effetto dell'art. 11 che, per le considerazioni esegetiche sopra svolte, riconosce implicitamente la libertà di produzione destinata fuori dall'area locale), rientrando nella discrezionalità del legislatore calibrare le misure limitative dell'iniziativa economica privata alle effettive esigenze di tutela dell'utilità sociale perseguita. Come emerge dai lavori preparatori, il legislatore del 1956 ha ben tenuto presente l'ipotesi del panificio industriale la cui zona di mercato ecceda l'ambito locale, ipotesi questa che non ha inteso affatto contrastare; né contro questo tipo di panificio - proprio nella laboriosa formulazione dell'art. 11 - ha inteso ergere barriere protettive, ritenendo anzi che la concorrenza proveniente dall'esterno della "località" considerata - per il fatto di essere consentita, tra l'altro, a condizione dell'adozione di determinate prescrizioni di impianto e di attrezzature - potesse essere di stimolo per l'ammodernamento degli impianti. D'altra parte la legge economica del libero mercato opera nel senso che, a parità di qualità di prodotto e di costi di produzione, in tanto è possibile che il pane prodotto nella "località", come sopra intesa, sia collocato su un mercato esterno alla stessa in quanto di tale alimento in quel mercato vi sia effettiva carenza, altrimenti rivelandosi l'esportazione non conveniente per la maggiore incidenza delle spese di trasporto rispetto ai produttori locali. La circostanza, poi, che l'evoluzione dei mezzi di trasporto e avanzate tecnologie industriali (quale quella del surgelamento del pane) possano aver reso maggiormente possibile (e quindi ricorrente) l'evenienza della concorrenza dei produttori esterni alla località data e pertanto possano in qualche modo aver indebolito la protezione degli impianti strettamente locali di panificazione, attiene ancora una volta alla discrezionalità del legislatore, non senza considerare che ciò va a bilanciare un possibile affievolimento dell'utilità sociale sottesa all'art. 2 per l'erosione del carattere di alimento-base del pane.

9. - La ricostruzione esegetica dell'art. 2 della legge n. 1002 cit. così operata conduce altresì a ritenere infondata la questione di costituzionalità di tale disposizione in riferimento all'art. 97 Cost., atteso che la ricognizione dei dati di fatto determinanti al fine del rilascio dell'autorizzazione (densità dei panifici esistenti, volume della produzione) attiene esclusivamente ad una realtà locale, territorialmente contenuta nell'area di competenza della Camera di commercio provinciale, la quale quindi è pienamente idonea ad operare quella valutazione di opportunità che è richiesta dall'art. 2 con conseguente rispetto del canone di buon andamento dell'amministrazione prescritto dall'art. 97 Cost.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 31 luglio 1956 n. 1002 ("Nuove norme sulla panificazione"), sollevata in riferimento agli artt. 3, 41, e 97 della Costituzione dal Tribunale regionale amministrativo per l'Emilia Romagna con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

Depositata in cancelleria l'8 febbraio 1991.