Sentenza n. 200 del 1975
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SENTENZA N. 200

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 del d.l. 24 luglio 1973, n. 427 (Disciplina dei prezzi di beni di largo consumo), convertito in legge 4 agosto 1973, n. 496, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 5 novembre 1973 dal pretore di Sassari nel procedimento civile vertente tra il pastificio Bartolomeo Pesce e il prefetto di Sassari, iscritta al n. 424 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15 del 16 gennaio 1974;

2) ordinanza emessa il 13 maggio 1974 dal pretore di Sora nel procedimento civile vertente tra la società pastificio Zaffiri Tommaso e Walter e il prefetto di Frosinone, iscritta al n. 325 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 263 del 9 ottobre 1974;

3) ordinanza emessa il 4 maggio 1974 dal pretore di Gaeta nel procedimento civile vertente tra la società Domenico Paone e il prefetto di Latina, iscritta al n. 342 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 del 30 ottobre 1974;

4) ordinanza emessa il 21 gennaio 1975 dal pretore di Castellammare di Stabia nel procedimento civile vertente tra la società pastificio Gerardo Di Nola e il prefetto di Napoli, iscritta al n. 73 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 88 del 2 aprile 1975.

Visti gli atti di costituzione del pastificio Bartolomeo Pesce, della società Zaffiri Tommaso e Walter, dei prefetti di Sassari, di Frosinone e di Napoli, nonché gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 4 giugno 1975 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi gli avvocati Giuseppe Guarino e Walter Prosperetti, per il pastificio Pesce, l'avv. Giuseppe Guarino, per la società Zaffiri, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per i prefetti di Sassari, di Frosinone e di Napoli, e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - In quattro distinti procedimenti, relativi ai ricorsi promossi da imprese nei confronti di ordinanze recanti l'ingiunzione di pagare una somma di danaro a titolo di sanzione amministrativa per infrazioni alle disposizioni in materia di disciplina dei prezzi dei beni di largo consumo, i pretori di Sassari, di Sora, di Gaeta e di Castellammare di Stabia hanno proposto questione di legittimità costituzionale, con riferimento all'art. 41 della Costituzione, degli artt. 1 e 2 del d.l. 24 luglio 1973, n. 427, convertito nella legge 4 agosto 1973, n. 496.

Secondo le ordinanze di rimessione, l'intento del legislatore volto a statuire autoritativamente i prezzi dei beni e dei prodotti posti in vendita da parte delle imprese, può, in linea di massima, ritenersi legittimo, quando é diretto a porre in essere misure protettive del benessere sociale e ad indirizzare l'attività economica a fini di comune interesse.

Tuttavia, tale intervento non può essere senza regole e senza garanzie in relazione alla tutela del diritto di iniziativa economica dei cittadini; e comunque non 'può essere attuato in modo da comportare un annullamento di fatto del predetto diritto mediante la soppressione totale della convenienza economica dei privati di svolgere attività in campo economico. Questi limiti, secondo i giudici a quo, sarebbero stati superati dalle norme contenute negli artt. 1 e 2 del d.l. 24 luglio 1973, n. 427, che hanno introdotto un blocco rigido dei prezzi, destinato a durare per un tempo apprezzabilmente lungo e non suscettibile di modificazione, nemmeno nel caso di comprovati e imprescindibili aumenti dei costi di produzione, perché il blocco rigido dei prezzi si risolverebbe nella imposizione alle imprese di vendere le proprie merci a prezzi costanti, nonostante l'aumento dei costi di produzione, e quindi in perdita o almeno con l'esclusione di qualsiasi ragionevole guadagno, sancito dall'art. 41 della Costituzione.

Le quattro ordinanze sono state tutte ritualmente notificate, comunicate e pubblicate.

2. - Il pastificio Bartolomeo Pesce e la società in nome collettivo Zaffiri Tommaso e Walter, parti private nei giudizi rispettivamente promossi dal pretore di Sassari e dal pretore di Sora, si sono costituiti dinanzi alla Corte chiedendo che venga dichiarata la illegittimità costituzionale delle norme impugnate. A sostegno dei motivi prospettati dalle rispettive ordinanze di rimessione, le imprese ritengono che la illegittimità costituzionale deriverebbe dal fatto che i prezzi non sono stati ancorati all'andamento del mercato delle materie prime impiegate e agli altri costi di produzione, ma sarebbero stati bloccati, con la conseguenza che tutte le variazioni dei costi di produzione risulterebbero posti a carico dell'imprenditore.

3. - Dinanzi alla Corte si sono costituiti, a mezzo della Avvocatura generale dello Stato, i prefetti di Sassari, di Frosinone e di Napoli, nei giudizi rispettivamente promossi dai pretori di Sassari, di Sora e di Castellammare di Stabia, deducendo la infondatezza della questione di legittimità degli artt. 1 e 2 del d.l. 24 luglio 1973, n. 427. In difesa della legittimità costituzionale delle norme impugnate é altresì intervenuto, in tutti e quattro i giudizi, il Presidente del Consiglio dei ministri col patrocinio dell'Avvocatura dello Stato.

Secondo la difesa dello Stato, le norme impugnate hanno soltanto lo scopo di realizzare un temporaneo congelamento del meccanismo della libera formazione dei prezzi - volto ad arginare il grave processo inflazionistico che ha investito l'economia del Paese - congelamento conseguito mediante l'introduzione di un regime di prezzi controllati, non già di prezzi amministrati. I prezzi dei generi di largo consumo che debbono essere mantenuti sono infatti quelli stessi che l'imprenditore già praticava alla data indicata nel provvedimento legislativo e che egli aveva liberamente fissati secondo i normali criteri di convenienza economica.

Ciò posto, l'Avvocatura osserva che la invariabilità dei prezzi, decisa non già a tempo indeterminato, ma soltanto per un periodo ben limitato nel tempo e non certo irragionevolmente protratto, non é idoneo a produrre quella assoluta compressione della libertà di iniziativa economica lamentata nelle ordinanze di rinvio.

All'udienza di discussione le parti hanno ulteriormente illustrato le loro conclusioni.

Considerato in diritto

1. - Poiché le questioni proposte con le quattro ordinanze vertono sulla stessa materia, le cause possono essere riunite e decise con unica sentenza.

2. - Allo scopo di frenare la spinta inflazionistica, particolarmente accentuatasi nei primi mesi del 1973, il Governo adottava nell'estate dello stesso anno provvedimenti urgenti, mediante decreti legge poi convertiti, e diretti a controllare la dinamica dei prezzi.

Fra questi, il d.l. 24 luglio 1973, n. 427, conteneva norme per la disciplina dei prezzi dei beni di largo consumo e disponeva all'art. 1 che i prezzi alla produzione, alla distribuzione e al consumo, relativi a prodotti elencati nell'art. 2 ed in massima parte alimentari, non avrebbero dovuto, fino al 31 ottobre 1973, superare quelli che ciascun operatore trovavasi a praticare alla data del 6 luglio stesso. Il provvedimento stabiliva poi i controlli mediante l'obbligo fatto agli operatori di depositare i listini relativi a tali prezzi e comminava per i contravventori sanzioni penali.

Con le ordinanze elencate in epigrafe, le norme degli articoli 1 e 2 del citato decreto sono state denunziate alla Corte assumendo che esse violerebbero la libertà della iniziativa economica, che l'art. 41, primo comma, della Costituzione proclama libera, anche se, nei successivi commi, afferma che essa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale e dispone, che, per impedire ciò, la legge può introdurre gli opportuni controlli.

Nel caso, però, assumono i giudici che hanno proposto la questione, il controllo dei prezzi che veniva così introdotto supererebbe il limite di tollerabilità che ogni disciplina vincolistica deve pur avere e che é costituita dalla necessità di lasciare all'operatore un ragionevole margine di utile, affinché egli possa trovare, nell'esercizio dell'attività economica, la convenienza a iniziare e proseguire il suo lavoro. Nel caso, si afferma, tale limite sarebbe stato superato perché, bloccando i prezzi a una certa data, senza tener conto dell'aumento dei costi delle materie prime, della mano d'opera e dei servizi di distribuzione, si costringerebbe gli operatori o a cessare l'attività o a proseguirla in perdita o almeno senza alcun utile.

3. - La questione non é fondata.

In rapporto alla generalità dei casi sui quali le norme vincolistiche sono venute a incidere, può affermarsi che le dette previsioni, alla stregua di un rapido esame delle disposizioni impugnate, non possono essersi verificate.

Ciò perché tali norme non hanno introdotto un calmiere rigido di prezzi fissati d'autorità in base a calcoli fondati su dati medi di costi e di ricavi, ma hanno prescritto che ogni operatore economico del settore colpito denunciasse i prezzi da lui praticati a una certa data e li mantenesse fermi per il periodo del blocco.

Si trattava quindi di prezzi liberamente determinati in base alle leggi di mercato e, in partenza almeno, certamente remunerativi.

Quanto alla variazione in aumento che i costi di produzione e di ricarico delle merci potevano subire, é da tener presente che quelle variazioni, oltre a essere contenute (perché il blocco comprendeva l'intero arco del fenomeno economico, incidendo sia sulla produzione che sulla distribuzione e sulla cessione al consumo), non avevano ovviamente alcun effetto sulle merci giacenti in magazzino e su quelle non ancora introdottevi, ma già acquistate a prezzi anteriori. Il che, se si tiene conto della relativa brevità del periodo di blocco, che ammetteva una revisione a partire dal 31 ottobre 1973, porta a concludere che il sacrificio imposto agli operatori era tollerabile e ragionevole.

D'altra parte, non può farsi astrazione, ai fini di un tale giudizio, né dalla eccezionalità del momento né dalle alte finalità che il provvedimento perseguiva e nemmeno dai temperamenti che le stesse norme prevedevano per rendere meno pesante il blocco, specie per le merci la cui velocità di smercio rendeva più sensibili alle variazioni dei costi.

Per le carni fresche di qualsiasi specie animale, i prezzi potevano infatti variare in relazione alle disposizioni della CEE (art. 2, secondo comma); l'Azienda di Stato per gli interventi sul mercato agricolo (AIMA) era incaricata di svolgere attività per la regolazione del mercato interno del grano, delle carni bovine, dei mangimi destinati all'alimentazione del bestiame, mediante acquisto e stoccaggio, all'interno e all'estero e successiva immissione nel mercato nazionale alle condizioni stabilite dal CIPE (art. 7 del decreto e unico della legge di conversione). Ed é noto che, per quanto é stato possibile, i pastifici e i panifici sono poi stati riforniti di grano a prezzi politici.

Né va infine dimenticato che le disposizioni del decreto legge del 24 luglio 1973, n. 427, trovavano base ed appoggio in quelle del decreto di pari data n. 425, il quale poneva a monte un più generale blocco, incidente specialmente sulle materie prime, ed attuato mediante il controllo dei prezzi cui venivano sottoposte le imprese commerciali produttrici o distributrici di beni che, nel primo semestre del 1973, avessero avuto un volume di affari superiore a cinque miliardi di lire.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 del decreto legge 24 luglio 1973, n. 427, sulla disciplina dei prezzi dei beni di largo consumo, convertito con modificazioni nella legge 4 agosto 1973, n. 496; questione con le ordinanze in epigrafe proposta in riferimento all'art. 41 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 10 luglio 1975.