Sentenza n. 196/98

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SENTENZA N.196

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 4 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988, n. 65 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi), come interpretato dall'art. 29 della legge regionale 14 giugno 1996, n. 22 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi e di attività estrattive), promosso con ordinanza emessa il 27 marzo 1997 dal g.i.p. presso la Pretura di Udine nel procedimento penale a carico di Giancarlo Toso n.q., iscritta al n. 321 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di intervento della Regione Friuli-Venezia Giulia;

udito nell'udienza pubblica del 13 gennaio 1998 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

udito l'avv.to Renato Fusco per la Regione Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

1. - Il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Udine, con ordinanza del 27 marzo 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 4, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988, n. 65 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi) il quale, nell’interpretazione autentica datane dall’art. 29 delle legge regionale Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi e di attività estrattive), stabilisce che negli impianti di discarica dei rifiuti, autorizzati ai sensi della prima delle due leggi, non possono essere smaltiti i rifiuti importati da altre regioni, in riferimento agli artt. 3, 41 e 116 della Costituzione.

2. - Il P.m. aveva richiesto al g.i.p. l’archiviazione di un affare rubricato, sotto l’ipotesi di reato dell’art. 27 d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, al nome del legale rappresentante di una società esercente lo smaltimento di rifiuti urbani e speciali in Pozzolo del Friuli. Nel corso delle indagini preliminari si era accertato che nell’impianto in questione venivano trattati rifiuti solidi assimilabili ai rifiuti urbani provenienti da altra regione, ossia una condotta astrattamente idonea ad integrare una violazione dei limiti dell’autorizzazione di cui l’imprenditore era titolare dal 1990. Ciò in quanto la disposizione interpretativa ha esplicitato il divieto espresso di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale, precisandone la riferibilità anche a tutti gli impianti di discarica considerati dalla precedente legge ed ha, in tal modo, ampliato il novero delle "prescrizioni" relative a tali impianti, la cui infrazione é penalmente sanzionabile.

Il giudice a quo deduce che, in mancanza di una pianificazione regionale degli impianti in grado di assicurare lo smaltimento dei rifiuti interni, la disciplina legislativa regionale risulta discriminatoria e viola gli artt. 3 e 41 della Costituzione "atteso che il divieto di smaltire rifiuti provenienti da fuori regione crea inevitabilmente un'alterazione dell'assetto concorrenziale del mercato della raccolta dei rifiuti a favore delle imprese prive di limiti territoriali di esercizio".

In contrario, prosegue il g.i.p. presso la pretura di Udine, non giova osservare che il d.lgs.5 febbraio 1997, n. 22 stabilisce il principio dell’autosufficienza degli ambiti spaziali di smaltimento, in quanto esso concerne soltanto i rifiuti urbani non pericolosi e presuppone la compiuta adozione dei piani regionali di gestione dei rifiuti. Analogamente, non rileva che detto atto normativo mira tendenzialmente a ridurre la circolazione dei rifiuti stessi, dato che il conseguimento di tale risultato non può dipendere dall’atteggiamento di un singolo ente territoriale. La norma denunziata, a suo avviso, viola, quindi, anche l’art. 116 della Costituzione, perchè la Regione non ha osservato i principi generali dell’ordinamento statale, le norme di riforma economico-sociale e gli obblighi che alla Repubblica italiana derivano dall’appartenenza all’Unione europea ed attuati dal d.lgs. n. 22 del 1997.

Infine, la questione é rilevante, perchè, conclude il g.i.p., l'art. 27 del d.P.R. n. 915 del 1982, nonostante la sostituzione disposta con il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (art. 51, comma 4), é applicabile in virtù dei principi sulla successione nel tempo delle leggi penali.

3. - La Regione Friuli Venezia Giulia é intervenuta nel giudizio ed ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.

L’interveniente premette di essere titolare di potestà legislativa concorrente nella materia della "igiene e sanità", alla quale va ricondotta la disciplina dello smaltimento dei rifiuti, e deduce che l’art. 15, comma 6, della legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 aveva consentito il rilascio di autorizzazioni alla gestione di impianti per i quali fosse "dimostrata la sussistenza effettiva del fabbisogno in relazione alla quantità di rifiuti prodotti, rapportata agli ambiti territoriali". Successivamente, l’art. 16 della legge regionale n. 65 del 1988 ha sostituito detta disposizione e, in via transitoria e per ragioni di emergenza, ha accordato ad altri soggetti la facoltà di ottenere l’autorizzazione, al solo scopo di garantire la raccolta dei rifiuti in rapporto "agli ambiti territoriali serviti, di pertinenza esclusivamente regionale. L’art. 29 della legge d’interpretazione autentica n. 22 del 1996, a suo avviso, si é infine limitato a ribadire, a causa di difficoltà applicative, che il legislatore intende ancora adesso assicurare lo smaltimento soltanto dei rifiuti prodotti nella regione, perdurando la fase di emergenza per il mancato perfezionamento del sistema dei piani di livello provinciale introdotto proprio dalla legge regionale n. 65 del 1988.

La Regione contesta, inoltre, che nell’ordinamento sia individuabile un principio che stabilisca la "libera circolazione dei rifiuti [...] derogabile solo in presenza di piani di gestione", in quanto ne esiste anzi uno di segno contrario, ora espressamente sancito dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 22 del 1997, che vieta, a far data dal 1999, lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi al di fuori della regione ove essi sono stati prodotti.

L’interveniente ha concluso, infine, osservando che il principio costituzionale che stabilisce la libertà di impresa deve comunque essere giudicato recessivo rispetto ai valori connessi alla salubrità ambientale, i quali sono vulnerati da una indiscriminata circolazione dei rifiuti.

Considerato in diritto

1. - La questione di legittimità costituzionale sollevata con l'ordinanza in epigrafe concerne l'art. 16, comma 4, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988, n. 65, che dispone: "fino a quando non saranno attuati i Piani (per lo smaltimento) e non saranno entrati in esercizio gli impianti dagli stessi previsti, potranno venire autorizzati...solamente la realizzazione e l'esercizio di quelle nuove discariche...per le quali sia stata dimostrata la sussistenza effettiva del fabbisogno di spazi di deposito in relazione alla quantità di rifiuti prodotti, rapportata agli ambiti territoriali serviti di pertinenza esclusivamente regionale", così come autenticamente interpretato dall'art. 29 della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22, che stabilisce che "si intende per <<quantità di rifiuti prodotti, rapportata agli ambiti territoriali serviti di pertinenza esclusivamente regionale>> la quantità di rifiuti di provenienza esclusivamente regionale per i quali é stata dimostrata l'effettiva necessità di ulteriori spazi di deposito".

Secondo il giudice a quo, la situazione di carenza di pianificazione a livello regionale -pianificazione che avrebbe anche potuto rendere plausibile l'adozione di misure restrittive per la tutela dell'ambiente- determina profili di "disparità di trattamento senza valide giustificazioni", in violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione, in quanto "il divieto di smaltire rifiuti provenienti da fuori regione crea inevitabilmente un'alterazione dell'assetto concorrenziale del mercato della raccolta dei rifiuti a favore delle imprese prive di limiti territoriali di esercizio che possono garantirsi la piena utilizzazione delle capacità dei propri impianti".

Inoltre la norma impugnata violerebbe, secondo l'ordinanza di rinvio, anche l'art. 116 della Costituzione, integrato sia dall'art. 4 dello statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, sia dagli artt. 5 e 6, ultimo comma, dello statuto, in quanto "la materia dello smaltimento dei rifiuti non rientra fra quelle per le quali é riconosciuta al Friuli-Venezia Giulia una potestà legislativa esclusiva, bensì solo concorrente o integrativa della disciplina statale".

2. - La questione non é fondata.

La disposizione impugnata, che sostanzialmente vieta di smaltire negli impianti di discarica autorizzati della Regione Friuli-Venezia Giulia rifiuti provenienti da altre regioni, si inserisce in un complesso quadro normativo costituito da fonti comunitarie, statali e regionali, che disciplinano il settore dei rifiuti. In questo ambito, in particolare, il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che ha espressamente abrogato il previgente d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e che é stato emanato in base alla legge 22 febbraio 1994, n. 146, recante delega al Governo per l'attuazione delle direttive 91/156/CEE e 91/689/CEE, contiene disposizioni che costituiscono principi fondamentali della legislazione statale, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, e rappresentano anche "norme di riforma economico-sociale" nei confronti delle regioni a statuto speciale.

Tra le disposizioni del decreto n. 22 del 1997, l'art. 5, in particolare, contiene una serie di principi che attengono alla questione del divieto di smaltimento dei rifiuti extraregionali. E' prescritto infatti che lo smaltimento dei rifiuti sia attuato per mezzo di una rete integrata ed adeguata di impianti al fine di realizzare "l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi in ambiti territoriali ottimali" (comma 3, lett. a), nonchè di permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, al fine di "ridurre i movimenti" dei rifiuti stessi (comma 3, lett. b). Lo stesso decreto n. 22 del 1997, all'art. 23, specifica che, salvo diversa disposizione regionale, "gli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani sono le Province". Infine, nell'ambito dei principi fissati dallo stesso art. 5, va segnalato il comma 5 che stabilisce che "é vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti". Da tale statuizione, in quanto applicabile soltanto a decorrere dal 1° gennaio 1999, può essere, nel frattempo, ricavato un criterio interpretativo della ratio complessiva cui si ispira il legislatore statale nella disciplina di questa materia.

Questi principi sono conformi anche alla normativa comunitaria, dato che il trattato di Maastricht prevede, tra gli altri, anche il "principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all'ambiente" (art. 130 R. n. 2); principio che, data la peculiarità dei rifiuti, secondo l'interpretazione della Corte di giustizia della Comunità europea "implica che spetta a ciascuna regione, comune o altro ente locale adottare le misure adeguate al fine di garantire l'accoglimento, il trattamento e lo smaltimento dei propri rifiuti; questi devono essere quindi smaltiti, nei limiti del possibile, nel luogo della loro produzione al fine di limitare il loro trasporto per quanto si possa fare" (Corte di giustizia, sent. 9 luglio 1992, causa C-2/90).

Nell'ambito delle fonti comunitarie, inoltre, il regolamento CEE 1° febbraio 1993 n. 259/93 dispone, in via generale, all'art. 13, che gli Stati membri istituiscono un appropriato sistema di sorveglianza e controllo delle spedizioni di rifiuti al loro interno. In particolare, gli Stati membri possono, ai sensi dell'art. 4, paragrafo 3 a) i) dello stesso regolamento, adottare, nel rispetto del trattato e al fine di attuare i "principi della vicinanza, della priorità al recupero e dell'autosufficienza", "misure per vietare del tutto o in parte le spedizioni di rifiuti". Tutto questo, del resto, era già previsto dalla direttiva 91/156/CEE, recepita ed attuata dal citato decreto n. 22 del 1997, la quale, all'art. 7, paragrafo 3, stabilisce che "gli Stati membri hanno la facoltà di prendere i provvedimenti necessari per impedire movimenti di rifiuti non conformi con i loro piani di gestione dei rifiuti".

Anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia della Comunità europea, del resto, sussiste un preciso orientamento, secondo cui l'obiettivo di fondo del diritto comunitario in materia é quello di costituire un sistema armonizzato di procedimenti attraverso i quali limitare la circolazione dei rifiuti, al fine di garantire la tutela dell'ambiente. Ed infatti la Corte di giustizia interpreta la citata direttiva 91/156 nel senso che essa prospetti l'opportunità di ridurre i movimenti di rifiuti conformemente alle esigenze di protezione dell'ambiente e, su questa premessa, rileva che il ricordato regolamento n. 259/93 "prescrive le modalità alle quali sono assoggettate le spedizioni di rifiuti all'interno degli Stati membri e i procedimenti da seguire per la loro autorizzazione...al fine di attuare i principi della vicinanza, della priorità al recupero e della autosufficienza a livello comunitario e nazionale" (Corte di giustizia, sent. 28 giugno 1994, causa C-187/93).

3. - Premesso questo quadro normativo e giurisprudenziale, in cui va collocata la norma sottoposta a scrutinio, non si riscontrano le prospettate censure di costituzionalità.

Non sussiste infatti la violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione, sotto il profilo che il divieto di smaltire rifiuti provenienti da fuori regione determinerebbe alterazioni dell'assetto concorrenziale del mercato della raccolta dei rifiuti e conseguente disparità di trattamento tra imprese del settore.

In proposito, va osservato che, nella specie, non é configurabile la lesione della libertà d'iniziativa economica, perchè questa consente l'apposizione di limiti al suo esercizio a condizione che essi corrispondano all'utilità sociale, nel cui ambito sicuramente rientrano gli interessi alla tutela della salute e dell'ambiente. In ogni caso, la asserita limitazione, a fini di tutela ambientale, della libertà d'impresa relativa allo smaltimento dei rifiuti, disposta dalla norma in oggetto nella Regione Friuli-Venezia Giulia, si giustifica nel quadro delle norme-principio, che si é ora prospettato. Tanto più che, secondo la giurisprudenza comunitaria, la direttiva 91/156 mira principalmente a garantire, al fine preminente di salvaguardare l'ambiente, l'efficacia della gestione dei rifiuti nella Comunità e, solo in subordine, ad incidere sulle condizioni della concorrenza e degli scambi: "é quindi errato sostenere che la direttiva in esame abbia quali obiettivi specifici il corretto funzionamento del mercato interno e l'eliminazione delle disparità di trattamento tra gli operatori economici" (Corte di giustizia, sent. 12 settembre 1996, cause riunite C-58, 75, 112, 119, 123, 135, 140, 141, 154, 157/95). E' dunque in questo contesto che va esaminata la norma in questione, che, nel bilanciamento tra la salvaguardia della salute e dell'ambiente e la libertà d'impresa, presceglie non irragionevolmente la prima, anche a costo di stabilire a carico della seconda "restrizioni inevitabili giustificate dal perseguimento dello scopo di interesse generale costituito dalla tutela dell'ambiente" (Corte di giustizia, sent. 7 febbraio 1985, causa C-240/83).

D'altra parte, la disciplina in oggetto trova adeguata giustificazione anche sul piano della ragionevolezza, poichè il legislatore regionale, in attesa dell'attuazione di una compiuta pianificazione territoriale dei siti di discarica, si é proposto di evitare, attraverso il divieto di conferimento di rifiuti provenienti da fuori regione, una incongrua e pregiudizievole moltiplicazione di impianti di smaltimento, derivante dall'assoluta imprevedibilità della quantità di materiali da trattare. A tal fine, il divieto tende pertanto a divenire, sia pure in via transitoria, generalizzato: ed infatti l'art. 28 della legge n. 22 del 1996 prevede l'autorizzazione di nuovi impianti di discarica in relazione a rifiuti di provenienza esclusivamente regionale, mentre la norma censurata dell'art. 29 chiarisce, non irragionevolmente, che lo stesso criterio limitativo, in quanto già ricavabile dall'art. 16, comma 4, della legge n. 65 del 1988, é applicabile anche agli impianti di discarica considerati dalla predetta legge.

Infine non sussiste neppure la violazione dell'art. 116 della Costituzione, per inosservanza sia dell'art. 4, sia degli artt. 5 e 6 dello statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, poichè la norma censurata della legge n. 22 del 1996 appare rispettosa, alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale che si é precedentemente delineato, dei limiti inerenti alla potestà legislativa regionale e, in particolare, sia delle norme di riforma economico-sociale, sia dei principi fondamentali in materia, sia infine delle esigenze di attuazione delle direttive comunitarie di settore.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 29 della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi e di attività estrattive) e 16, comma 4, della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988, n. 65 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987, n.30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi), sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 41 e 116 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Udine.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Relatore: Piero Alberto CAPOTOSTI

Depositata in cancelleria il 3 giugno 1998.