SENTENZA N. 439
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, n. 1, lett. b), della legge 20 maggio 1975, n. 164 (Provvedimenti per la garanzia del salario), promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1991 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Delle Donne Corrado ed altri e S.p.a. Alfa-Lancia ed altra, iscritta al n. 342 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visti gli atti di costituzione della S.p.a. Alfa-Lancia e della S.p.a. Fiat-Auto, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 5 novembre 1991 il Giudice relatore Francesco Greco;
Uditi gli avvocati Giacinto Favalli e Carlo Mezzanotte per la S.p.a. Alfa-Lancia, Paolo Barile e Paolo Tosi per la S.p.a. Fiat-Auto e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
Ritenuto in fatto
1. - La S.p.a. Alfa-Lancia chiedeva, per tre distinti periodi, compresi fra il settembre ed il novembre 1990, l'intervento dell'integrazione salariale ordinaria per la quasi totalità dei dipendenti in servizio presso lo stabilimento di Arese, adducendo un improvviso calo della domanda nel settore automobilistico.
Esperite le preventive procedure sindacali, otteneva dalla competente commissione provinciale dell'I.N.P.S. di Milano, l'autorizzazione all'integrazione richiesta, senza il riconoscimento dell'esistenza di forza maggiore e con conseguente assoggettamento al contributo addizionale di cui all'art. 12, primo comma, n. 2, della legge 20 maggio 1975, n. 164.
Alcuni lavoratori cassaintegrati convenivano davanti al Pretore di Milano la società datrice di lavoro (unitamente alla Fiat Auto S.p.a), per ottenere il pagamento della differenza tra la retribuzione normale che sarebbe loro spettata nei periodi suddetti e l'integrazione percepita assumendo l'inesistenza, nella specie, di una "causa integrabile" e la conseguente nullità o illegittimità della sospensione dei loro rapporti di lavoro.
Il giudice adito, rigettata la richiesta del provvedimento di urgenza ex art. 700 codice di procedura civile, nel giudizio di merito, proseguito in via ordinaria, con ordinanza emessa il 13 marzo 1991 (R.O. n. 342 del 1991), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, n. 1, lettera b), della legge 20 maggio 1975 n. 164, nella parte in cui consente l'integrazione salariale ordinaria per contrazione o sospensione dell'attività produttiva, conseguenti a temporanee situazioni di mercato.
Ritenuta la rilevanza della questione, siccome attinente alla norma in forza della quale la società datrice di lavoro aveva ottenuto il provvedimento di ammissione alla Cassa Integrazione, ha osservato preliminarmente che la suddetta ipotesi di intervento della cassa stessa - che prescinde dall'esistenza di cause di forza maggiore - costituisce uno strumento previdenziale a tutela non solo dei lavoratori, ma, fondamentalmente, delle imprese, le quali si trovino non già in una condizione di sopravvenuta impossibilità temporanea di ricevere la prestazione lavorativa, bensì in una situazione di mercato non favorevole, da neutralizzare mercé l'intervento pubblico di integrazione salariale (finanziato dalla generalità delle imprese industriali e da un contributo statale).
Questo tipo di causa integrabile renderebbe la relativa norma di previsione sospetta di illegittimità costituzionale per contrasto con:
a) l'art. 36, primo comma della Costituzione, in quanto la minor retribuzione che i lavoratori percepiscono in periodo di integrazione salariale consente un trasferimento su di essi del tipico rischio di impresa, consistente nella contrazione degli utili dovuta alla particolare contingenza economica;
b) l'art. 41, primo e secondo comma della Costituzione, perché la sua applicazione comporta dispendio delle risorse della Cassa - costituite in forza del principio di solidarietà fra le imprese e dell'assistenza statale - senza che ricorrano i presupposti di utilità o fini sociali tutelati da detto precetto; e perché il beneficio in questione è concesso per una mera situazione negativa di mercato, senza che si esiga la non imputabilità al destinatario del beneficio stesso, impedendosi in tal modo che l'iniziativa economica e la libertà di impresa si svolgano secondo le regole del mercato e della concorrenza, salvaguardate per esigenza di tutela delle parti sociali più deboli;
c) l'art. 97, primo comma della Costituzione, in quanto la alterazione del normale regime concorrenziale - già di per sé in contrasto con gli obblighi derivanti allo Stato italiano dal trattato CEE, e, quindi, con norme di obiettiva rilevanza costituzionale - intralcia certamente l'operatività del principio di imparzialità dell'azione amministrativa;
d) l'art. 38, secondo comma della Costituzione, poiché, quand'anche si ritenesse la norma censurata strumento previdenziale in favore dei lavoratori, essa sarebbe comunque viziata dal fatto di introdurre una provvidenza che prescinde dalla "non volontarietà" della sospensione del lavoro e opera in relazione ad una semplice scelta imprenditoriale;
e) l'art. 3, secondo comma della Costituzione, poiché il costo sociale di siffatte provvidenze si risolve in un impedimento all'utilizzazione di risorse per fini di rimozione delle diseguaglianze sostanziali e di fatto fra i cittadini.
2. - L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata altresì pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
Nel giudizio si sono costituite la Società Lancia S.p.a. e la Fiat Auto S.p.a. ed è intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri.
2.1. - Le società hanno eccepito l'inammissibilità della questione, in quanto si censurano scelte di politica economica e sociale, riservate alla discrezionalità del legislatore.
Nel merito hanno osservato che la contestata ipotesi di Cassa Integrazione, a differenza di quanto ritiene il giudice a quo, che la configura come semplice strumento di tutela dell'impresa, in realtà ha una non meno importante funzione di tutela dell'interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, come emerge anche dai principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 694 del 1988.
Tale ultima funzione non solo non compromette la realizzazione del principio costituzionale di eguaglianza sostanziale, ma ne costituisce, tutelando l'occupazione, efficace strumento di promozione.
D'altra parte, la possibilità che tutte le imprese hanno di profittare, con identiche modalità, dell'istituto in questione, esclude di per sé qualunque violazione delle regole dalla libertà di iniziativa economica e della libera concorrenza; mentre, la tutela apprestata nei confronti dei lavoratori dimostra la sussistenza di una utilità sociale, da conseguire attraverso la norma censurata.
La disposta riduzione di retribuzione si ricollega ad una valutazione legale della congruità della retribuzione residua, non contrastante con l'art. 36 della Costituzione anche perché corrisponde ad una totale carenza della prestazione lavorativa.
La funzione di salvaguardia dei livelli occupazionali pone la norma anche al riparo dalla censura di contrasto con l'art. 38 della Costituzione, alla cui stregua la disoccupazione involontaria è evento che impone un intervento dello Stato a tutela dei lavoratori.
Non può nemmeno porsi il problema del contrasto con l'art. 97 della Costituzione, perché il principio di imparzialità dell'azione amministrativa ha una rilevanza endoprocedimentale, in sede di concreto svolgimento delle procedure necessarie alla erogazione delle provvidenze, la cui previsione ed istituzione costituisce, invece, frutto di scelta di politica legislativa; la mancata osservanza del principio così inteso può ben dedursi da ogni interessato davanti al giudice competente, per ottenere la rimozione degli effetti pregiudizievoli.
2.2. - L'Avvocatura Generale dello Stato ha espresso in primo luogo dubbi sulla rilevanza della questione, essendo essa pregiudiziale solo ove si trattasse di accertare principalter la sussistenza del diritto all'intervento della Cassa integrazione nell'ipotesi considerata, ma non rispetto alla decisione sulla domanda introduttiva del giudizio a quo, intesa a rivendicare differenze retributive, in presenza di detta ipotesi.
Nel merito ha dedotto l'infondatezza della questione osservando che la norma si pone non solo come garanzia di sostegno economico delle imprese ma anche come misura di sostegno dell'occupazione, con intento impeditivo del ricorso a provvedimenti di licenziamenti collettivi e senza che risulti alterato il regime della libera concorrenza.
3. - Nella imminenza della udienza la difesa delle società ha presentato memoria.
In essa ha eccepito la inammissibilità della questione perché: a) siccome il giudizio de quo ha per oggetto l'impugnativa del provvedimento di autorizzazione alla integrazione salariale, il Pretore difetta di giurisdizione, rientrando la controversia nella giurisdizione del giudice amministrativo anziché in quella del giudice ordinario, competente solo per le controversie relative a diritti o obblighi dei lavoratori; b) la ordinanza difetta di motivazione in punto di rilevanza, in quanto non risulta che il giudice remittente abbia verificato l'effettiva sussistenza dei presupposti di applicabilità della disposizione impugnata.
Nel merito ha insistito sulle finalità della concessa integrazione salariale, che per il lavoratore è strumento di tutela previdenziale e per le imprese è una provvidenza diretta al superamento di temporanee situazioni sfavorevoli di mercato, onde la ricorrenza di fini sociali e il rispetto dei limiti della discrezionalità legislativa. Risulta tutelata l'azienda come complesso di beni ed attività; e cioè l'interesse dell'imprenditore al mantenimento della produttività dell'impresa alla quale è legata la conservazione della occupazione cui è interessato il lavoratore.
Ha anche rilevato che l'ammissione all'integrazione salariale nella ipotesi di cui trattasi importa per l'imprenditore il pagamento di contributi aggiuntivi e che la garanzia della competitività dell'impresa è tanto più sentita ora, nella imminenza dell'attuazione del mercato comune.
Considerato in diritto
1. - La Corte è chiamata a verificare se l'art. 1, n. 1, lettera b), della legge 20 maggio 1975, n. 164, nella parte in cui consente l'ammissione delle imprese al beneficio della integrazione salariale ordinaria in caso di sospensione o contrazione della attività produttiva, dovuta a temporanee situazioni di mercato, violi gli artt:
a) 3, secondo comma della Costituzione, perché arbitrariamente destina a beneficio delle imprese, per ridurne il rischio economico, risorse che potrebbero impiegarsi per promuovere la uguaglianza sostanziale fra i cittadini;
b) 36, primo comma della Costituzione, perché comporta la riduzione del trattamento economico dei lavoratori collocati in cassa integrazione e così trasferisce su di essi un rischio proprio dell'imprenditore;
c) 41, primo e secondo comma della Costituzione, perché altera le regole della concorrenza e del libero mercato, pur in difetto di fini di utilità sociale da perseguire;
d) 38, secondo comma della Costituzione, perché la provvidenza accordata, quand'anche configurabile come strumento di tutela dei lavoratori, prescinderebbe dall'involontarietà dell'evento;
e) 97, primo comma della Costituzione, in quanto la suddetta alterazione delle regole della libera concorrenza comporta una remora alla imparzialità dell'azione della pubblica amministrazione.
2. - Devono essere esaminate pregiudizialmente le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa della Società convenuta.
2.1. - La prima di esse si fonda sul rilievo che il Pretore remittente difetta di giurisdizione in quanto il giudizio di cui trattasi ha per oggetto la impugnazione dell'autorizzazione alla integrazione salariale dei lavoratori ricorrenti anziché la tutela di un diritto dei lavoratori.
La eccezione non è fondata.
Si ritiene che si possa pervenire a una declaratoria di inammissibilità della sollevata questione di legittimità costituzionale solo quando il difetto di giurisdizione del giudice a quo risulti ictu oculi; sia cioè di tutta evidenza che la controversia esuli dalla giurisdizione del giudice adito (v. sentt. n. 283 del 1990; n. 102 del 1990).
A siffatto risultato si sarebbe potuto pervenire se la domanda proposta al Pretore remittente non avesse avuto ad oggetto la tutela di un diritto soggettivo. Dall'ordinanza di remissione si deduce con assoluta certezza che il giudizio è stato instaurato da alcuni lavoratori proprio per ottenere la tutela del loro diritto (soggettivo) alla intera retribuzione al posto della concessa integrazione salariale.
2.2. - L'altra eccezione di inammissibilità poggia sul preteso difetto di motivazione in punto di rilevanza per mancata verifica da parte del giudice a quo della effettiva sussistenza dei presupposti di applicabilità della disposizione impugnata.
Anche questa eccezione è infondata.
Il Pretore remittente ha effettuato l'esame della rilevanza della questione ed ha considerato che proprio la disposizione censurata, la quale era stata posta a base dell'autorizzazione alla integrazione salariale, cioè della praticata riduzione della retribuzione, impediva l'accoglimento della domanda di riconoscimento del diritto dei ricorrenti all'intera retribuzione.
Sono, quindi, inconsistenti anche i dubbi sulla rilevanza della questione espressi dall'Avvocatura Generale dello Stato, in quanto solo la disposizione che ha consentito l'autorizzazione alla integrazione salariale, la cui legittimità costituzionale è posta in discussione, impedisce l'accoglimento della domanda che non richiede affatto l'esame della legittimità o meno della suddetta autorizzazione.
3. - La questione nel merito non è fondata.
L'art. 1 della legge 20 maggio 1975, n. 164, la quale, recependo l'accordo interconfederale del 21 gennaio 1975, ha disposto provvedimenti a tutela del salario dei lavoratori, a favore degli operai dipendenti da imprese industriali, sospesi dalla prestazione di lavoro o ad orario ridotto, fermi restando i trattamenti previdenziali e assicurativi, prevede due ipotesi d'integrazione salariale. Una ordinaria, per contrazione o sospensione dell'attività produttiva: a) per situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all'imprenditore o agli operai; b) ovvero determinate da situazioni temporanee di mercato. L'altra, straordinaria: a) per crisi economiche settoriali o locali; b) per ristrutturazioni, riorganizzazioni, o conversioni aziendali.
È posta in discussione la disposizione che prevede la integrazione salariale ordinaria nella ipotesi che la contrazione o la sospensione dell'attività produttiva sia determinata da situazioni di mercato.
Si deduce che, in assenza di una causa di forza maggiore, si verificherebbe il trasferimento del rischio economico, consistente nella contrazione degli utili della impresa, dall'imprenditore sui lavoratori, i quali sarebbero privati di una parte della retribuzione, e sulle risorse della Cassa integrazione senza che vi siano i presupposti di utilità o di fini sociali ex art. 41 della Costituzione.
Inoltre, non sarebbero rispettate le regole poste a tutela del mercato e della concorrenza dirette a proteggere i contraenti più deboli, tanto più che non si esclude l'imputabilità, in astratto, all'imprenditore, dell'evento protetto. Non si sarebbero poste delle regole di applicazione uniforme della disposizione suddetta; si sarebbe apprestato uno strumento previdenziale in una ipotesi di sospensione della prestazione lavorativa non involontaria, ma frutto di una scelta dell'imprenditore; non si eviterebbero discriminazioni arbitrarie.
3.1. - Siffatto assunto non può condividersi. Per disattenderlo occorre anzitutto considerare le finalità dell'istituto.
L'integrazione salariale è la risultante di una scelta di politica socio-economica, finalizzata sia alla tutela dei lavoratori, contro il pericolo della perdita del posto di lavoro e contro il rischio della disoccupazione; sia alla tutela non del singolo imprenditore ma dell'attività produttiva dell'impresa, considerata nel contesto dell'economia del paese.
Le cause integrabili sono anche esse frutto di una scelta del legislatore diretta al raggiungimento dei suddetti obiettivi.
Si tratta di eventi che non si verificano per volontà degli imprenditori e dei lavoratori e che, ancorché temporanei, riducono la potenzialità produttiva dell'impresa ed il loro protrarsi nel tempo può produrre la contrazione dei livelli occupazionali.
Tra i suddetti eventi correttamente si annoverano le situazioni di mercato, che sostanzialmente sono situazioni aziendali dovute ad eventi transitori non imputabili all'imprenditore o ai lavoratori.
Si ricorda che la loro previsione come causa integrabile non era contenuta specificamente nella precedente legislazione, ma è stata introdotta dalla prassi amministrativa e dalla giurisprudenza. Trattasi di una mera difficultas, ma sempre di una fattispecie non rappresentativa di una causa di forza maggiore e si richiede che l'imprenditore abbia osservato la normale diligenza (art. 1176 cod. civ.) ed i canoni della correttezza (art. 1175 cod. civ.), che la sua scelta non sia arbitraria, né fittizia, né putativa, né discriminatoria, ma oggettivamente riscontrabile e verificata in concreto nella sua realtà ed effettività a mezzo di un apposito accertamento compiuto nella competente sede amministrativa.
Posto che il legislatore, nella sua discrezionalità, per i fini e gli obiettivi che si è posto, ha qualificato la situazione temporanea di mercato come causa integrabile, non rileva che l'imprenditore sia stato sollevato dal rischio che normalmente cade su di lui.
L'intervento statale rimane sempre determinato dalle finalità socio-economiche e, quindi, da un interesse pubblico, anche se si è posto a carico dell'imprenditore un contributo addizionale il cui ammontare varia a seconda del numero dei dipendenti impiegati (art. 12, n. 2, legge n. 164 del 1975).
4. - Rileva, poi, l'interesse collettivo (intervento nelle procedure degli organismi sindacali). Comunque, l'interesse individuale dei lavoratori non rimane privo di tutela.
Per l'attivazione degli interventi della Cassa è prevista la procedura di consultazione sindacale (art. 5, legge n. 164 del 1975).
Il datore di lavoro deve comunicare alle rappresentanze sindacali aziendali e, in mancanza di queste, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori più rappresentative, operanti nella provincia, le cause della sospensione o della riduzione dell'orario di lavoro, la loro durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati.
A richiesta delle parti è previsto un esame congiunto dei problemi relativi alla tutela degli interessi dei lavoratori.
Segue poi la domanda dell'imprenditore alla sede provinciale dell'I.N.P.S., con la specificazione, tra l'altro, della causa dell'intervento (art. 7, legge citata), e, quindi, la deliberazione da parte di una apposita commissione provinciale (art. 8, legge citata) della quale fanno parte, tra gli altri, anche tre rappresentanti dei lavoratori in posizione paritetica con i rappresentanti degli imprenditori.
Essa esamina la fondatezza della domanda, accerta l'esistenza della causa addotta e l'entità della sospensione o riduzione dell'orario di lavoro.
Contro il provvedimento della Commissione provinciale possono ricorrere (art. 9, legge citata) al Comitato speciale di cui all'art. 7 del d.lgs.lgt. n. 788 del 1945 sia i lavoratori che le competenti organizzazioni sindacali di categoria.
Inoltre, i provvedimenti emessi sono impugnabili sia dinanzi al giudice del lavoro che dinanzi al giudice amministrativo nei limiti delle loro competenze.
5. - In tale situazione, quindi, non risulta violato nessuno dei richiamati precetti costituzionali. Né l'art. 3, secondo comma, della Costituzione, perché la scelta operata dal legislatore non è né arbitraria né irrazionale, ma è chiaramente ed univocamente diretta ad impedire l'estraneazione del lavoratore dalla organizzazione economica, sociale e politica del paese, ed a salvaguardare la sua dignità umana. È chiaramente finalizzata all'impiego di risorse per realizzare obiettivi sociali, in osservanza di precetti costituzionali che riguardano una particolare categoria di lavoratori, senza che sia messa in discussione o comunque turbata l'uguaglianza degli altri lavoratori.
5.1. - Non sono violati né l'art. 36, né l'art. 38, secondo comma, della Costituzione.
A parte la considerazione che l'integrazione salariale prende il posto della retribuzione in una situazione di sospensione o di riduzione dell'orario di lavoro e di sospensione del pagamento dei contributi che sarebbero stati a carico sia dell'imprenditore che dei lavoratori, si considera che la riduzione della retribuzione trova un equo contemperamento nella conservazione del posto di lavoro che il lavoratore realizza. La integrazione, quindi, viene ad avere anche una innegabile finalità previdenziale, poiché, in definitiva, concreta un mezzo di tutela del lavoratore contro il rischio della disoccupazione involontaria.
5.2. - Non è violato l'art. 41, primo e secondo comma, anche in relazione all'art. 3 della Costituzione, perché l'accesso alla integrazione salariale è consentito a tutti gli imprenditori, sempre che si verifichi una delle cause integrabili previste, in condizione di perfetta parità, nei settori in cui essi operano, senza alcuna differenziazione.
L'integrazione mira a salvaguardare le condizioni della loro efficienza, della loro potenzialità e competitività; in genere, a garantire i valori aziendali, la permanenza delle imprese in un mercato libero, il mantenimento delle regole della libera concorrenza che in esso vigono, nonché il sistema economico produttivo vigente. E siccome le imprese, come detto innanzi, accedono ai provvedimenti di cui trattasi in condizione di assoluta parità e per effetto di provvedimenti imparziali ed obiettivi, risulta rispettato anche il precetto di cui all'art. 97 della Costituzione.
In definitiva, le misure e i trattamenti concessi sono diretti a realizzare proprio quei fini di utilità sociale ai quali deve essere finalizzata l'attività imprenditoriale.
5.4. - Non possono dirsi violate nemmeno le norme comunitarie perché le leggi che prevedono le suddette misure sono emanate proprio in esecuzione di direttive della Comunità e sono comuni a tutti i paesi che ne fanno parte, allorquando in essi si verificano le stesse situazioni alle quali si intende porre rimedio.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, n. 1, lettera b), della legge 20 maggio 1975, n. 164 (Provvedimenti per la garanzia del salario), in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 36, primo comma, 38, secondo comma, 41, primo e secondo comma, 97, primo comma, della Costituzione, sollevata dal Pretore di Milano con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 9 dicembre 1991.