Sentenza n. 124 del 1968
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SENTENZA N. 124

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, primo, secondo e terzo comma, e 31 della legge regionale siciliana 23 febbraio 1962, n. 2 (norme per il trattamento di quiescenza, previdenza e assistenza del personale della Regione), modificata ed integrata dagli artt. 6, primo e secondo comma, e 9 della legge regionale 1 febbraio 1963, n. 11, e dalla legge regionale 5 ottobre 1965, n. 25, promosso con ordinanza emessa il 4 luglio 1967 dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana - sui ricorsi del Procuratore generale avverso i decreti di liquidazione di pensione ai dipendenti della Regione siciliana Messina Salvatore, Trabucco Salvatore e Di Stefano Simone, iscritta al n. 215 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 28 ottobre 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 45 del 7 ottobre 1967.

Visti gli atti di costituzione di Messina Salvatore, Trabucco Salvatore e Di Stefano Simone e l'atto d'intervento del Presidente della Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 23 ottobre 1968 la relazione del Giudice Giuseppe Chiarelli;

uditi l'avv. Antonio Sorrentino, per Messina e Di Stefano, l'avv. Pietro Virga, per Trabucco, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente della Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Procuratore generale presso la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, impugnava con distinti ricorsi i decreti dell'Assessore regionale enti locali, del 10 ottobre 1966, n. 1960; del Direttore dell'Azienda forestale siciliana, del 7 settembre 1966, n. 457; dei Presidente della Regione, del 26 ottobre 1966, n. 642, con i quali veniva disposto il collocamento a riposo e la liquidazione della pensione, rispettivamente, in favore del Dott. Salvatore Messina, del sig. Salvatore Trabucco e dell'ing. Simone Di Stefano. Nei ricorsi e nelle successive memorie integrative erano sollevate varie questioni di legittimità costituzionale delle norme applicate nei menzionati provvedimenti.

La sezione giurisdizionale per la Regione siciliana della Corte dei conti, con ordinanza 4 luglio 1967, n. 215, riuniva i tre ricorsi e, sospeso il giudizio, rimetteva a questa Corte le questioni di costituzionalità dell'art. 4, commi primo, secondo e terzo, e dell'art. 31 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, con le modifiche e integrazioni di cui agli artt. 6, primo e secondo comma, e 9 della legge regionale 1 febbraio 1963, n. 11, e alla legge regionale 5 ottobre 1965, n. 25, in relazione agli artt. 3, primo comma, 36 e 97 della Costituzione.

Si osserva nell'ordinanza che le dette norme, col ragguagliare la pensione all'intero ammontare degli assegni dopo 35 anni di servizio utile, col comprendere la 13 mensilità pari a un dodicesimo del trattamento di quiescenza, col prevedere un aumento delle pensioni connesso alle variazioni del costo della vita, avrebbero dato luogo a una sperequazione di trattamento rispetto al personale in servizio, in violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Esse inoltre sarebbero state in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, perché avrebbero agevolato l'esodo volontario di elementi ancor giovani; avrebbero diminuito lo stimolo alla progressione di carriera, e avrebbero menomato la supremazia gerarchica dei dirigenti, nuocendo così al buon andamento dell'Amministrazione.

In particolare, poi, l'art. 4, secondo comma, della legge regionale n. 2 del 1962, concernente la variazione delle pensioni in corrispondenza alle variazioni del costo della vita, avrebbe violato il principio d'eguaglianza nell'interno della stessa categoria dei pensionati regionali, col dar luogo ad aumenti sensibili per le pensioni di importo elevato ed esiguo per quelle di modesto importo.

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 45 del 7 ottobre 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 28 ottobre 1967.

Si sono costituiti in giudizio il sig. Salvatore Trabucco, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Pietro Virga, con deduzioni depositate il 23 ottobre 1967, e i sigg. Simone Di Stefano e Salvatore Messina, rappresentati e difesi dall'avv. Antonio Sorrentino, con deduzioni depositate il 26 ottobre 1967, é intervenuto il Presidente della Regione siciliana, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

La difesa del sig. Trabucco ha dedotto in via pregiudiziale l'inammissibilità delle questioni, per mancata integrità del contraddittorio, non essendo stato notificato il ricorso del Procuratore generale al fondo di quiescenza per il personale della Regione, a norma dell'art. 81 del Regolamento di procedura dei giudizi davanti alla Corte dei conti, e per mancanza dell'interesse a ricorrere, non essendo stato impugnato il decreto del Presidente della Regione 20 aprile 1966, di cui il provvedimento riguardante il Trabucco sarebbe stato semplice atto esecutivo.

Nel merito si sostiene la manifesta infondatezza della questione di legittimità del precetto sulla scala mobile a favore dei pensionati, in relazione alla pretesa disparità di trattamento fra pensionati e impiegati in servizio; la infondatezza della questione di costituzionalità del preteso contrasto della legislazione pensionistica con l'art. 3 della Costituzione; l'infondatezza della questione di costituzionalità della norma che aggancia l'aumento della scala mobile al costo della vita regionale. Si conclude, quindi, perché le sollevate eccezioni di illegittimità costituzionale siano dichiarate manifestamente inammissibili, irrilevanti e infondate.

Anche la difesa dei sigg. Di Stefano e Messina ha sollevato pregiudizialmente l'eccezione di inammissibilità delle dedotte questioni, per difetto di motivazione sulla incidentalità di esse rispetto alla domanda oggetto del ricorso e per difetto di motivazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 4 della legge citata, in quanto dedotta in relazione al provvedimento di liquidazione delle pensioni e non del decreto del Presidente regionale, che aveva disposto l'aumento del 14,33 per cento delle pensioni in relazione all'aumentato costo della vita.

Nel merito, premesso che la denuncia di violazione dell'art. 3 non ha fondamento in linea di fatto, si nega che le norme impugnate siano in contrasto col principio di eguaglianza, non sussistendo identità nelle situazioni dei pensionati e degli impiegati in servizio. Si sostiene inoltre l'infondatezza della censura concernente l'assenta violazione dell'art. 97 della Costituzione, e della censura secondo cui l'applicazione del sistema della scala mobile violerebbe l'art. 3 della Costituzione, e si osserva che, comunque, tali censure investirebbero valutazioni di politica legislativa. Si chiede quindi che sia disatteso l'incidente di costituzionalità.

L'Avvocatura generale dello Stato, nell'atto di intervento per il Presidente della Regione, ha osservato che il trattamento pensionistico stabilito dalle norme denunciate é stato voluto dal legislatore regionale, nella sua esclusiva discrezionalità, per assicurare ai pensionati quell'esistenza libera e dignitosa di cui all'art. 36 della Costituzione. Comunque, prosegue l'atto di intervento, non sussiste contrasto con l'art. 3, sia perché, in punto di fatto, non é esatto che il trattamento pensionistico sia maggiore di quello attribuito ai pari grado in attività di servizio, sia perché sono diverse le situazioni a raffronto. Anche l'Avvocatura dello Stato ha concluso per la dichiarazione di infondatezza.

In successive memorie sono stati svolti gli argomenti precedentemente dedotti; l'Avvocatura dello Stato ha inoltre aderito alle eccezioni di inammissibilità sollevate dalle parti private.

Gli stessi argomenti sono stati ribaditi nella pubblica udienza.

 

Considerato in diritto

 

1. - La difesa del sig. Trabucco ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale delle norme, innanzi indicate, della legge regionale sul trattamento di quiescenza del personale della Regione, perché nel giudizio di merito sarebbe mancata l'integrità del contraddittorio, in quanto il ricorso del Procuratore generale presso la Corte dei conti (sezione giurisdizionale per la Sicilia) non era stato notificato al Fondo di quiescenza del personale della Regione. Sarebbe inoltre mancato l'interesse a ricorrere, non essendo stato impugnato il decreto del Presidente della Regione 20 aprile 1966, di cui il provvedimento oggetto del ricorso sarebbe stato un semplice atto esecutivo.

L'eccezione non può essere accolta.

Come questa Corte ha affermato in precedenti occasioni (sentenza n. 60 del 1957; n. 111 del 1963), gli eventuali vizi di costituzione del contraddittorio nel giudizio di merito sono insindacabili nella sede del giudizio di legittimità costituzionale, che non può estendersi alla valutazione della legittima instaurazione del rapporto processuale davanti al giudice a quo.

Ugualmente al giudizio di merito attiene l'eccezione di mancanza di interesse ad agire: giudizio nel quale la Corte non può interferire, salvo che per la verifica del presupposto della rilevanza (sentenza n. 24 del 1959). Nella specie, l'interesse a una pronuncia sulla legittimità costituzionale della norma di legge in base alla quale era stato emanato il provvedimento impugnato determinava la rilevanza della proposta questione ai fini della decisione di merito, indipendentemente dal fatto che tale provvedimento, nella parte in cui aveva fissato la misura della variazione della pensione, si era uniformato al decreto del Presidente della Regione.

2. - Nell'ordinanza di rimessione a questa Corte si riscontrerebbe, secondo la difesa dei sigg. Di Stefano e Messina, una insufficienza di motivazione sulla rilevanza delle prospettate questioni di legittimità costituzionale rispetto alla domanda, oggetto del ricorso del Procuratore generale, di annullare il provvedimento di liquidazione della pensione degli interessati limitatamente all'aumento dipendente dalle variazioni del costo della vita, previsto dal secondo comma dell'art. 4 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2.

Ma l'assunto é infondato.

Premesso che non può formare oggetto di esame in questa sede l'esattezza della identificazione dell'oggetto del giudizio principale da parte del giudice a quo, va comunque osservato che, nel caso presente, il Procuratore generale, nei ricorsi e nelle memorie integrative, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale, non solo del secondo, ma anche del primo e del terzo comma del detto art. 4, nonché dell'art. 31 della citata legge regionale, chiedendo l'annullamento degli impugnati provvedimenti, in via principale, sul punto della liquidazione del trattamento pensionistico principale e accessorio, e, in via subordinata, sul punto della maggiorazione derivante dall'applicazione della scala mobile. Su la rilevanza delle questioni, quali risultavano dai menzionati atti del Procuratore generale e dalle sue conclusioni orali, l'ordinanza ha ampiamente motivato, nel rimetterle a questa Corte.

3. - La difesa dei sigg. Di Stefano e Messina contesta inoltre la rilevanza della questione di costituzionalità del secondo comma dell'art. 4 citato, in quanto proposta in relazione a singoli provvedimenti attributivi di pensione, e non al ricordato decreto del Presidente regionale, che aveva stabilito, nella misura del 14,33 per cento, la variazione della pensione in relazione alla variazione dell'indice del costo della vita. Quanto meno, si soggiunge, l'ordinanza avrebbe dovuto motivare sulla rilevanza, sotto questo profilo.

Ma anche questa eccezione é infondata.

La questione sollevata dal Procuratore generale riguardava la legittimità costituzionale di una norma di legge che era stata applicata nei provvedimenti impugnati. Sui termini della questione non influiva l'esistenza del decreto del Presidente regionale, che aveva determinato la misura della variazione della pensione, voluta da quella norma di legge; né la proponibilità di essa era condizionata dall'impugnativa del detto decreto. Il giudizio sulla rilevanza, che la sezione della Corte dei conti era tenuta a dare, riguardava pertanto esclusivamente il rapporto tra la norma di legge, che si assumeva incostituzionale, e gli impugnati provvedimenti di attuazione di essa, ed in questi limiti il giudizio é stato correttamente ed esaurientemente compiuto. La considerazione, svolta dalla difesa, che se il Procuratore generale avesse impugnato anche, o precedentemente, il decreto del Presidente della Regione, gli effetti della pronuncia sulla costituzionalità della norma di legge sarebbero stati diversi e più ampi, non vale a configurare un difetto di rilevanza negli instaurati giudizi, né una insufficienza di motivazione nell'ordinanza che ha rimesso la questione a questa Corte.

4. - Nel merito viene dedotta la illegittimità costituzionale delle norme di cui agli artt. 4, primo, secondo e terzo comma, e 31 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2 (e successive modifiche), le quali avrebbero dato luogo a una sperequazione di trattamento fra il personale in attività di servizio e il personale in quiescenza, in contrasto con l'art. 3, primo comma, e 36 della Costituzione, e col carattere retributivo della pensione.

Il trattamento di maggior favore per il personale in quiescenza deriverebbe dall'aver ragguagliato la pensione all'intero ammontare degli assegni fissi e continuativi dopo 35 anni di servizio utile; dall'aver compreso la 13 mensilità nella base pensionabile e dall'aver disposto la corresponsione di una 13 mensilità nel trattamento annuo di quiescenza; dall'aver previsto un aumento delle pensioni corrispondente alle variazioni dell'indice del costo della vita.

Nelle indicate disposizioni si ravvisa inoltre una violazione dell'art. 97 della Costituzione, in quanto il trattamento previsto per i pensionati, col favorire l'esodo dall'Amministrazione di impiegati ancora giovani e col diminuire lo stimolo alla progressione di carriera, comprometterebbe il buon andamento dell'Amministrazione e menomerebbe la supremazia gerarchica dei dirigenti.

Infine, l'adozione del sistema della scala mobile, stabilita col secondo comma del citato art. 4, violerebbe il principio di eguaglianza all'interno della stessa categoria dei pensionati, determinando un aumento sensibile per le pensioni di importo elevato, ed esiguo per le pensioni di modesto importo.

5. - La violazione dell'art. 3 della Costituzione non sussiste.

Le condizioni dell'impiegato in 'servizio attivo e dell'impiegato in pensione si concretano in situazioni diverse fra loro, a cui corrisponde una diversa disciplina giuridica del rispettivo trattamento.

Dal carattere retributivo delle pensioni deriva che il trattamento di quiescenza dev'essere proporzionale alla qualità e alla durata del lavoro prestato; non deriva che tale trattamento debba essere necessariamente e in ogni caso inferiore al trattamento di servizio attivo.

L'applicazione al trattamento pensionistico dell'art. 36 della Costituzione, che si connette al carattere retributivo della pensione, richiede che sia assicurata al pensionato e alla sua famiglia, come all'impiegato in servizio attivo, "un'esistenza libera e dignitosa". Appartiene alle valutazioni del legislatore ordinario disporre i mezzi per attuare tale principio, applicando in ogni caso il criterio della proporzionalità rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato durante il servizio attivo; né la discrezionalità del legislatore trova un limite nelle richiamate norme costituzionali, nel senso che egli non possa prevedere che, in casi determinati, il trattamento pensionistico venga economicamente a eguagliarsi al trattamento di servizio attivo, ed eventualmente, sempre in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato, possa essere migliore di quello goduto al momento della cessazione del servizio.

La formula, usata nell'ordinanza, che la pensione é una quota di retribuzione differita non può essere intesa nel senso che essa debba consistere in una quota dell'ultima retribuzione goduta al momento della cessazione del rapporto, né vi é alcun principio costituzionale che induca a dare a quella formula tale significato. Al contrario con essa si vuol dire che la pensione fa parte del complessivo trattamento retributivo del lavoro che si presta durante l'esecuzione del rapporto; trattamento in parte dilazionato, per fini previdenziali, a momenti successivi alla estinzione del rapporto stesso.

Proprio dal riconoscere alla pensione il carattere di quota di retribuzione del lavoro prestato in precedenza deriva che la mancanza di una attuale prestazione di lavoro non può influire sulla misura della pensione stessa, nel senso che debba essere necessariamente inferiore, anche dopo un congruo numero di anni di servizio, alla retribuzione del servizio attivo, purché proporzionata alla complessiva entità del lavoro.

Non conferente alla questione in esame é il richiamo, contenuto nell'ordinanza, all'art. 38 della Costituzione, che riguarda l'assistenza e l'assicurazione sociale, e comunque nessun contrasto può ravvisarsi tra i principi in esso contenuti e le norme impugnate.

6. - In relazione alla denunciata violazione dell'art. 97 della Costituzione, si può convenire con l'ordinanza che la disciplina del trattamento pensionistico non deve esser tale da turbare il buon andamento della pubblica Amministrazione.

Ritiene infatti la Corte che il principio enunciato nel detto articolo non riguarda esclusivamente l'organizzazione interna dei pubblici uffici, ma si estende alla disciplina del pubblico impiego, in quanto possa influire sull'andamento dell'Amministrazione.

Nella specie, però, non può dirsi che le norme impugnate abbiano superato il limite che l'art. 97 segna al legislatore ordinario.

Va considerato in proposito che sia il numero di anni che la legge regionale richiede per il conseguimento della pensione, sia la misura di questa e il previsto adeguamento al costo della vita, non danno luogo a un trattamento di irragionevole vantaggio per i pensionati, che possa favorire un esodo degli impiegati, a danno dell'Amministrazione, tenuto anche conto degli emolumenti straordinari (compensi per lavoro straordinario, indennità per incarichi e missioni, ecc.) connessi alla permanenza in servizio. D'altra parte, la prospettiva di un trattamento di quiescenza adeguato alle esigenze della vita non può che essere di incentivo all'afflusso dei più capaci negli impieghi regionali, sopra tutto nelle attuali condizioni del cosiddetto mercato del lavoro, che offrono altre attrattive fuori del campo della pubblica Amministrazione.

É nota, del resto, la tendenza anche dei legislatore statale a rivedere e migliorare il trattamento pensionistico dei pubblici dipendenti, per adeguare la disciplina del pubblico impiego, oltre che ai ricordati principi costituzionali sulla retribuzione del lavoro, alle odierne condizioni della vita sociale.

Non si vede poi in qual modo le norme impugnate limiterebbero lo stimolo alla progressione delle carriere, se, in base a tali norme, gli avanzamenti nella carriera producono un miglioramento nel successivo trattamento di quiescenza. Né può affermarsi che la supremazia gerarchica dei dirigenti possa fondarsi sulla prospettiva del danno che deriverebbe all'impiegato dal collocamento a riposo.

7. - Non può infine ravvisarsi una violazione del principio di eguaglianza nella norma del secondo comma dell'art. 4, che stabilisce la variazione della misura della pensione in relazione alle variazioni dell'indice del costo della vita nella Regione.

Se, infatti, é vero che l'applicazione di tale norma dà luogo ad aumenti differenziati della pensione, con ciò non si crea una diseguaglianza tra situazioni eguali, ma si riproduce nella variazione della pensione la originaria differenza nella misura di essa, proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato.

La scelta tra l'applicazione del congegno della scala mobile all'intera pensione o a una quota di essa, vale a dire, la scelta tra un adeguamento della pensione al costo della vita che mantenga le posizioni pensionistiche iniziali, corrispondenti al servizio prestato, o che invece riduca le distanze fra esse, appiattendole, corrisponde a valutazioni di politica legislativa e finanziaria, sottratte all'esame di questa Corte.

Da ultimo, l'osservazione che il sistema adottato é legato alle variazioni del costo della vita in Sicilia, mentre il pensionato può risiedere fuori della Regione, non configura una violazione del principio di eguaglianza, giacché la legge ha disposto per la generalità dei casi, con criteri tutt'altro che irrazionali.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4, primo, secondo e terzo comma, e dell'art. 31 della legge regionale siciliana 23 febbraio 1962, n. 2 (norme per il trattamento di quiescenza, previdenza e assistenza del personale della Regione), con le modifiche ed integrazioni di cui agli artt. 6, primo e secondo comma, e 9 della legge regionale 1 febbraio 1963, n. 11, ed alla legge regionale 5 ottobre 1965, n. 25, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 36 e 97 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 1968.

 

Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria il 9 dicembre 1968.